logged-posts

Carl von Clausewitz - Della Guerra - Lettura | 27d


1. Prefazione e Avvertenze: Genesi e Natura di un'Opera Postuma

La pubblicazione postuma dell'opera per volontà della vedova e la sua natura frammentaria.

Maria von Clausewitz motiva la sua prefazione con il dovere di onorare la volontà del defunto marito, il quale "spesso, un po' per celia, un po' col presentimento di una morte precoce" le diceva: "Sarai tu a pubblicarla". L'opera, che "ha occupato quasi esclusivamente gli ultimi dodici anni di vita" di Carl von Clausewitz, era il suo scopo principale, nato dal desiderio di "esercitare una influenza potente e duratura". L'autore, tuttavia, non intendeva renderla pubblica da vivo, lasciando una raccolta di "pacchi sigillati" che furono aperti solo dopo la sua morte. La pubblicazione, curata da Maria con l'aiuto di amici, presenta il lavoro così come è stato trovato, "senza aggiungervi né togliervi una parola". L'Avvertenza dell'autore del 1827 e una Nota incompiuta successiva delimitano esplicitamente lo stato dell'opera: "una massa informe di pensieri" e "una raccolta di frammenti, destinati a costruire una teoria della grande guerra". Clausewitz stesso ammette che "i primi sei libri [sono] già messi in pulito come un materiale piuttosto informe che ha assoluto bisogno di subire un rimaneggiamento", mentre i libri settimo e ottavo sono per lo più abbozzati.

Sommario

Il blocco delinea le circostanze personali e intellettuali che hanno portato alla creazione e alla pubblicazione postuma dell'opera di Carl von Clausewitz. La prefazione di Maria von Clausewitz funge da giustificazione etica e affettiva per la pubblicazione, sottolineando il "dovere" derivante dalle parole del marito e la "nobile sua aspirazione" alla verità. Viene descritto il lungo percorso di elaborazione dell'opera, iniziato con appunti sparsi a Coblenza e proseguito con maggiore impegno a Berlino, dove la nomina a Direttore della Scuola di guerra gli "procurò il tempo di dare maggiore estensione alla sua opera". L'autore, "animato[ ] dall'ambizione di scrivere un libro che non potesse essere dimenticato dopo due o tre anni", concepì il suo lavoro come una rivoluzione nella teoria, basata su "meditazioni varie, costantemente dirette verso il lato pratico della questione". Le Avvertenze dell'autore rivelano il metodo e lo stato incompiuto del lavoro, definendo la guerra nella sua "duplice forma" e introducendo il principio cardine secondo cui "la guerra non è se non la continuazione della politica con altri mezzi". L'obiettivo dichiarato è di "portare una rivoluzione nella teoria della guerra", evitando i "luoghi comuni" delle teorie sistematiche esistenti e presentando invece "il risultato dei suoi lunghi anni di meditazione sulla guerra" in "capitoli, appena appena collegati all’esterno", ma con una "ben più intima connessione all’interno".


La natura della guerra e i suoi limiti 2

La guerra come atto di forza illimitato e le moderazioni imposte dalla realtà.

Il blocco analizza il concetto di guerra come atto di forza spinto teoricamente all'estremo, per poi esaminare i fattori reali che ne moderano l'applicazione. La guerra è definita come un atto di violenza che coinvolge necessariamente il sentimento e le passioni, anche tra popoli civili. La teoria, partendo da un'astrazione di forze contrastanti che conduce a criteri illimitati, deve poi confrontarsi con la realtà. Quest'ultima introduce principi moderatori: la guerra non è un atto isolato, non consiste in un solo urto e il suo risultato non è sempre assoluto. Di conseguenza, "le probabilità della vita reale si sostituiscono alla tendenza all'estremo". Il ruolo dello scopo politico riemerge come fattore determinante per misurare l'obiettivo e gli sforzi bellici. L'analisi si conclude esaminando la possibilità di soste nell'azione, che contrasta con la logica di una continuità che spingerebbe nuovamente all'estremo, introducendo il principio di polarità e la differenza tra attacco e difesa.


Scopi e mezzi della guerra 3

Dalla limitazione degli obiettivi alla centralità del combattimento.

Il blocco analizza la pluralità di scopi perseguibili in guerra, che vanno oltre il puro annientamento del nemico, e la conseguente varietà di mezzi strategici. Si afferma che "in guerra vi sono molte vie che conducono allo scopo" e che "la distrazione delle forze militari del nemico, la conquista di sue province, [...] e, finalmente, un'attesa passiva dell’urto, sono altrettanti mezzi" utilizzabili per vincere la volontà avversaria. Viene sottolineata l'influenza preponderante della personalità e la "molteplicità degli scopi politici che possono causare una guerra", con una gamma di possibilità che si estende "fra una guerra di annientamento, ove si tratta della esistenza politica, ed un’altra che sia divenuta un obbligo spiacevole". La trattazione si sposta poi sull'unico mezzo fondamentale: la lotta. Viene stabilito che "tutto ciò che si riferisce alla forza combattente appartiene all'attività militare" e che "ogni attività militare si riferisce, in modo mediato od immediato, al combattimento". Il soldato viene addestrato e mantenuto "unicamente per combattere nel luogo e nel tempo opportuno". L'analisi del combattimento riconosce che, sebbene il suo scopo ideale sia "la distruzione della forza armata nemica", nella pratica gli scopi possono essere diversi. Infatti, "anche quei combattimenti che [...] sono più specialmente consacrati al debellamento delle forze armate avversarie, non hanno necessariamente tale distruzione per scopo immediato", poiché in un grande scontro le singole frazioni possono perseguire "numerosi scopi, diversi dalla semplice distruzione delle forze nemiche" che contribuiscono allo scopo finale in modo indiretto.

Riferimenti

(487, 488, 489, 491, 493, 494, 497, 500, 508, 509, 512, 515, 517)


Il mezzo e lo scopo: la distruzione delle forze nemiche 4

La centralità del combattimento e la preponderanza dell'annientamento delle forze avversarie come fondamento di ogni azione bellica.

Sommario

Il blocco stabilisce che "il combattimento" è l'unico mezzo in guerra, un'unità da cui "parte un filo che si insinua in tutta la vasta rete dell’attività militare". Sebbene si riconosca che campagne intere possano svolgersi con attività "senza che il combattimento reale vi abbia avuto parte notevole", si afferma con forza che "la distruzione delle forze armate nemiche è in guerra la base di ogni azione, il caposaldo finale di tutte le combinazioni". Questo principio è paragonato al "denaro contante" nel commercio, una liquidazione che, per quanto remota, "non potrà mai mancare". L'efficacia di questo mezzo è tale che "davanti al quale ogni altro deve passare in seconda linea". Tuttavia, alla sua "efficacia superiore" si contrappongono "il prezzo che essa costa e il pericolo che l'accompagna", motivi per cui a volte si ricorre ad "altre vie", a condizione che anche "il nemico segua le stesse vie". Il concetto di distruzione non è limitato alla "forza fisica", ma si estende necessariamente alla "forza morale", un elemento che "possiede la massima fluidità" e si diffonde dopo una grande vittoria. Viene poi esaminato il "lato negativo", "la conservazione delle nostre" forze, associato a uno "sforzo a scopo negativo" che "presuppone l'attesa" dell'atto di annientamento. Si precisa che "l’attesa non deve divenire uno stato puramente passivo" e che "sarebbe dunque un grave errore di principio ritenere che lo sforzo a scopo negativo debba escludere l'intenzione di distruggere il nemico".


Il Genio della Guerra 5

Le qualità intellettuali e morali necessarie per eccellere nell'arte della guerra, in un ambiente dominato da pericolo, caso e incertezza.

Sommario

Il blocco analizza le componenti del genio guerriero, evidenziando come esso richieda uno "sviluppo di forze intellettuali" assente nei "popoli barbari". Si afferma che "le forze intellettuali debbono essere preponderanti" poiché la guerra è "il dominio dell’incerto", dove "i tre quarti delle cose sulle quali ci si basa per agire sono immerse nella nebbia, più o meno densa, dell’incertezza". Viene esaminato il coraggio, distinto in fisico e di fronte alle responsabilità, e la necessità di un'intelligenza penetrante. Due qualità cardinali sono identificate: il colpo d'occhio, definito come "la percezione pronta di una verità che non riesce evidente alla comune veduta dello spirito", e la risolutezza, "un atto di coraggio" di fronte alla responsabilità che "tagliando corto ad uno stato di dubbiosità, non può venir eccitata che dall'intelligenza". La risolutezza è presentata come frutto di "un indirizzo speciale dell’intelligenza — che doma ogni altro timore nell'animo umano, mediante il timore di divenire indecisi". Il discorso si estende alla presenza di spirito, necessaria per "dominare l'impreveduto", e alla forza d'animo del comandante, che deve resistere alla pressione delle circostanze e "ravvivare il proprio ardore" nelle truppe. Viene sottolineato il ruolo cruciale delle passioni, in particolare "l'aspirazione dell'animo alla gloria e all’onore", come motore dell'azione. L'analisi prosegue esaminando la forza di carattere, la fermezza, la perseveranza e la loro degenerazione in ostinazione. Infine, viene trattato il "senso del terreno", una facoltà dell'immaginazione essenziale per orientarsi nello spazio di guerra. Si conclude che "ogni grado della gerarchia forma... una zona distinta di capacità spirituali necessarie" e che per i comandi supremi "il condottiero diviene uomo di Stato", poiché "la condotta della guerra e la politica coincidono qui". L'insieme di queste qualità intellettuali e morali, sostenute da un "lavoro dello spirito" elevato, costituisce il genio militare.


6. Tattica, strategia e attività connesse alla condotta della guerra

La delimitazione tra tattica e strategia e le attività preparatorie estranee all'arte della guerra in senso ristretto.

Sommario

Il blocco definisce la tattica come "l'impiego delle forze nel combattimento" e la strategia come "l'impiego dei combattimenti per lo scopo della guerra". Viene riconosciuta l'esistenza di "casi dubbi" e "atti parziali" che potrebbero essere attribuiti a entrambi i campi, ma la classificazione proposta, sebbene con "differenze decrescenti gradualmente e sfumanti in zone di passaggio intermedie", viene considerata valida. Viene operata una distinzione fondamentale tra le attività che costituiscono "la guerra stessa" e quelle che sono "semplicemente i preparativi per la guerra". Attività come le marce, i campi e gli accantonamenti sono analizzate in profondità: le marce, ad esempio, sono definite "parte integrante della lotta" e "strumento strategico", la cui esecuzione è "sottomessa alla doppia legge della tattica e della strategia". Allo stesso modo, i campi "fanno parte essenziale della strategia e della tattica". Altre funzioni, come il "servizio di vettovagliamento", il "servizio sanitario" e il "rifornimento delle armi", sebbene abbiano "rapporti continui con l’impiego delle truppe, ne differiscono essenzialmente" e sono considerate "estranee all'arte della guerra, concepita in senso ristretto". La teoria della condotta della guerra, o "arte della guerra in senso ristretto", si occupa dunque dell'applicazione dei mezzi organizzati allo scopo della guerra, suddividendosi in tattica e strategia, e considera i risultati delle attività di mantenimento come semplici "dati necessari". La necessità di questa "distinzione accurata" è giustificata dal compito della teoria di "porre ordine nelle idee avventate alla rinfusa" per permettere un esame lucido.


Blocco 7: Le forze morali e le difficoltà della teoria bellica

Le caratteristiche fondamentali dell'azione in guerra e l'impossibilità di una dottrina positiva a causa dell'influenza dei fattori morali, dell'incertezza dei dati e della reazione vivente dell'avversario.

Sommario

Il blocco analizza le caratteristiche primarie dell'azione bellica, partendo dalla preminenza dei "fattori spirituali" che "non possono trascurarsi". L'azione in guerra non è mai diretta "contro la sola materia, ma anche, contemporaneamente, contro le forze morali che l'animano". Tra queste forze, il "sentimento ostile" è identificato come la prima caratteristica; sebbene nelle guerre moderne l'odio possa non essere personale, "il sentimento ostile si desta per effetto della lotta stessa" ed è "innato nella natura umana". Un'altra forza morale cruciale è il coraggio, generato dal pericolo, che è definito come "un sentimento, come la paura", ma più nobile poiché tende "alla conservazione morale". L'influenza del pericolo si estende ben oltre la minaccia fisica immediata, agendo anche attraverso "la responsabilità che esso fa gravare, con un peso decuplo, sullo spirito del capo". La seconda caratteristica è la "reazione vivente dell'avversario", un elemento così individuale da sfidare qualsiasi calcolo e che richiede perciò l'intervento del "talento". La terza caratteristica è "la grande incertezza di tutti i dati", per cui l'azione si compie in una "luce crepuscolare". Data questa natura, "sarebbe impossibile dotare l’arte della guerra di un corpo positivo di dottrina" che possa sempre guidare il comandante, poiché il genio spesso deve agire "fuori della legge". Tuttavia, le difficoltà non sono uguali a tutti i livelli: "Nei gradi inferiori la bravura e l’abnegazione personale hanno influenza preponderante", mentre "più ci innalziamo nella scala del comando, più le difficoltà si accumulano, fino a raggiungere il massimo per il capo supremo", per il quale "quasi tutto è abbandonato al genio". Allo stesso modo, le difficoltà sono minori quando gli effetti "appartengono maggiormente al mondo materiale" e aumentano "a mano a mano che si entra nel campo morale".


8. Natura della guerra e metodismo

La guerra come atto sociale e i limiti delle dottrine applicative.

Il blocco analizza la natura fondamentale della guerra, distinguendola dalle arti e dalle scienze per collocarla nel dominio della vita sociale. Viene esaminata la differenza tra il semplice sapere e il potere pratico, concludendo che "è preferibile dire arte, piuttosto che scienza, della guerra". Tuttavia, si afferma che "la guerra non è né un’arte né una scienza, nel vero senso delle due espressioni", bensì "un conflitto di grandi interessi, che ha una soluzione sanguinosa". Viene introdotto e discusso il concetto di "metodismo", definito come la regolazione dell'azione "mediante metodo, anziché dirigerla a mezzo di principi generali". Se ne esaminano l'utilità e i limiti, specialmente nei gradi di comando più bassi, dove fornisce un appoggio al criterio, mentre la sua applicazione diminuisce "nelle posizioni più elevate". Il pericolo del metodismo è identificato nella sua tendenza a sopravvivere alla sua efficacia, conservandosi "mentre le circostanze si modificano insensibilmente", come dimostrato dall'esempio dei generali prussiani nel 1806 che, applicando un metodo ormai invecchiato, "riuscirono a far annientare l’esercito".


9. La critica della condotta di guerra e l'uso degli esempi storici

La difficoltà del giudizio critico posteriore e il corretto impiego della storia militare.

Il sommario analizza i limiti della critica storica, la quale, conoscendo l'esito degli eventi, fatica a giudicare le decisioni dei comandanti senza essere influenzata da tale conoscenza. "Noi vediamo le cose alla luce del fatto compiuto; è il risultato che ce lo fa in parte conoscere ed apprezzare". L'astrazione completa da questo dato di fatto è ritenuta impossibile. La critica, pertanto, non può identificarsi completamente con chi ha agito e deve essere permesso al critico di avvalersi della prospettiva più ampia di cui dispone. Il giudizio si fonda dunque sulla "correlazione fra le cose, e cioè sul risultato". Viene discussa l'influenza del risultato come prova della giustezza di un'azione, prendendo come esempio la campagna di Napoleone in Russia del 1812. Si afferma che "ogni azione in guerra è diretta verso risultati probabili e non verso risultati certi", e che "vi sono casi in cui la maggior saggezza sta nel correre il maggiore rischio". La parte lasciata alla fortuna è inevitabile, e il successo o l'insuccesso influenzano il giudizio, creando un "sottile legame" percepito tra il risultato e il genio del generale. La critica, dopo aver valutato gli elementi calcolabili, deve accettare il verdetto del risultato per gli aspetti più misteriosi e indeterminabili. La seconda parte del testo è dedicata all'uso degli esempi storici. Essi sono definiti come le "prove più solide" in un'arte sperimentale come la guerra. Vengono elencati quattro impieghi principali: come spiegazione di un pensiero, come applicazione dello stesso, come prova di una possibilità e per dedurre insegnamenti. Si mette in guardia dall'abuso di esempi, specialmente quando sono solo "sfiorati" superficialmente per "far mostra di erudizione", poiché un fatto storico "può servire a difendere le opinioni più disparate". Si sostiene che "un solo esempio esposto in modo compiuto riesce più istruttivo di dieci che siano appena sfiorati". Viene infine raccomandato di privilegiare la storia militare moderna, in quanto più vicina alle condizioni attuali, mentre gli esempi antichi, sebbene non del tutto inutili per principi generali, sono di minore utilità pratica a causa del "cambiamento completo avvenuto nei mezzi".


10. La virtù militare e l'audacia in guerra

La natura e le fonti della virtù militare, il suo confronto con altre qualità e il ruolo fondamentale dell'audacia nella condotta della guerra.

Sommario

Il blocco definisce la virtù militare come "una delle principali forze morali in guerra", specificando che è propria degli eserciti permanenti ma che in sua assenza può essere sostituita da "qualità naturali" o dalla "superiorità del generale e l’entusiasmo nazionale". Vengono identificate le sue fonti generative: "una serie di guerre fortunate" e "l’attività dell’esercito spinta sovente fino ai più estremi sforzi", sottolineando che "Questo germe non fruttifica dunque che in mezzo ad una incessante attività ed a sforzi continui, ed anche, solamente, al sole della vittoria". Si distingue questa virtù radicata da un semplice "amor proprio e l’orgoglio di eserciti permanenti i quali non reggono che in grazia dei vincoli dei regolamenti", poiché "L'ordine, il grado di addestramento, la buona volontà" da soli non bastano, in quanto "Il miglior morale del mondo si trasforma assai facilmente, al primo rovescio, in pusillanimità". La trattazione si sposta poi sull'audacia, definita "il principio d’azione efficace a sé stante" e "l'acciaio che dà all'arma il suo filo e il suo splendore". Viene esaltata come "una forza veramente creatrice" che, quando si oppone all'esitazione, "ha necessariamente per sé la probabilità del risultato". Si analizza l'audacia a diversi livelli di comando: "Più c’innalziamo nella scala gerarchica dei Capi, più diviene necessario che l’audacia sia accompagnata da un giudizio ponderato", diventando così "il vero suggello dell’eroe" che sostiene "vigorosamente le conclusioni di quel calcolo mentale che il genio, il tatto nel giudicare hanno effettuato colla prontezza del lampo". Si conclude affermando la necessità dell'audacia per un grande condottiero, in quanto "non si può concepire un grande condottiero senza audacia", e la sua importanza per forgiare lo spirito nazionale, poiché "non esiste altro mezzo che la guerra, e la guerra condotta audacemente, per sviluppare lo spirito nazionale in questa direzione".


11. L'impiego simultaneo delle forze in strategia

La superiorità numerica come principio fondamentale per estendere il risultato strategico e contrastare gli effetti del tempo.

Sommario

Il testo esamina l'idea di impiegare le forze in modo successivo, riservandone una parte per la fase finale di una campagna, e la confuta. Si sostiene che, a differenza della tattica, in strategia le perdite dovute a fatiche e privazioni non crescono proporzionalmente con la massa delle forze impiegate. Al contrario, "la superiorità numerica sul nemico" rende il servizio dell'esercito "più facile" e le fatiche minori, poiché "per parare da per tutto a tali pericoli, per far progredire l’azione con sicurezza, occorre una quantità di attività particolari". Riguardo alle privazioni, sebbene possano accentuarsi con la concentrazione di truppe, si afferma che "la superiorità numerica sull’avversario [è] il mezzo migliore per allargarsi e procurare con ciò alle truppe condizioni migliori". Viene citato l'esempio di Napoleone in Russia, non per dimostrare un indebolimento, ma per chiarire come "la preponderanza può giungere prontamente, con questa progressione crescente, ad un punto, che con un'accuratissima economia delle forze non si sarebbe mai raggiunto". Si conclude che "gli effetti distruttori che il tempo esercita sulle forze armate anche nella strategia, vengono in parte diminuiti dalla grandezza della massa", pertanto la legge strategica definitiva è: "Occorre impiegare simultaneamente tutte le forze destinate ad uno scopo strategico".


Riserva Strategica ed Economia delle Forze 12

Sull'impiego delle riserve e il principio dell'economia delle forze in strategia e tattica.

Sommario

Il testo analizza il concetto di riserva strategica, distinguendone i compiti da quelli della riserva tattica. Viene affermato che "una riserva strategica è ammissibile, ma solo nei casi in cui possano verificarsi avvenimenti imprevisti", poiché in strategia l'incertezza diminuisce con l'allontanarsi dall'azione tattica. Vengono presentate tre considerazioni principali che portano a ritenere le riserve strategiche "tanto più inutili e dannose, quanto più la loro destinazione è generica ed incerta". Si sostiene che, a differenza della tattica, la strategia deve rinunciare a tenere forze in riserva per rimediare a insuccessi, in quanto "tutte le forze debbono essere utilizzate per produrre" la decisione principale. Viene citato l'esempio storico del 1806 in Prussia per illustrare gli errori derivanti da un'idea errata di riserva strategica. Il discorso si collega poi al principio dell'economia delle forze, definito come "la costante ricerca della cooperazione fra tutte le forze", poiché "nessuna loro aliquota deve restare improduttiva". Viene infine accennato, come tema minore, il ruolo dell'elemento geometrico, preminente nella fortificazione e nella tattica, ma assai meno importante in strategia, dove "le forze morali, i caratteri individuali ed il caso hanno assai maggiore influenza".


13. La natura e lo scopo del combattimento

L'essenza del combattimento come azione bellica primaria e la rivendicazione del principio della distruzione delle forze nemiche.

Il sommario delinea la definizione del combattimento come "l’azione di guerra per eccellenza", una lotta il cui scopo elementare è "la distruzione e l’atterramento dell'avversario". Viene spiegato come, nonostante le guerre moderne si compongano di molteplici azioni parziali ciascuna con un obiettivo specifico, lo scopo ultimo rimane la distruzione della forza armata nemica, poiché "la distruzione totale o parziale dell'avversario [è] solo scopo di ogni combattimento". Il testo avverte che considerare la distruzione solo un mezzo e non il fine, come hanno fatto "sistemi frammentari" del passato, è un'idea "vera solo in apparenza" e conduce a "idee errate". Viene quindi rivendicata con forza la preminenza del "principio di distruzione", affermando che "il concetto della distruzione diretta delle forze armate nemiche deve primeggiare da per tutto". Viene infine menzionata la distinzione tra la precipitazione, che si verifica "quando non si lascia all’atto di distruzione il tempo o lo spazio sufficienti", e il ritardo, che avviene "quando per deficienza di coraggio... si neglige una decisione giunta a maturità".

Riferimenti minori

Paragrafi: 127, 150, 151, 218, 219.


14. La Vittoria e la Distruzione delle Forze Nemiche

La definizione e il significato della vittoria nel combattimento, con particolare attenzione al bilancio delle perdite materiali e morali.

Sommario

Il blocco analizza la natura della vittoria, definita come "una diminuzione di queste forze [nemiche], relativamente maggiore di quella che noi stessi risentiamo". Viene stabilito che "solo il vantaggio immediato che abbiamo ottenuto nell’atto reciproco di distruzione, dev’essere considerato come scopo", poiché è un beneficio assoluto che influisce sul computo totale della campagna. Un tema minore è l'importanza delle forze morali, poiché "sono principalmente queste forze morali che decidono della vittoria: e sono esse sole che l'hanno decisa, quando il vincitore ha sofferto nel combattimento perdite equivalenti a quelle del vinto". La perdita morale si manifesta attraverso indicatori come "la perdita del terreno sul quale si è combattuto e la superiorità delle riserve nemiche". Questo squilibrio morale, sebbene non permanente, "può anzi aver peso così rilevante da trascinare tutto con forza irresistibile". La distruzione fisica rimane lo scopo ultimo, ma è la disintegrazione morale che la rende possibile, specialmente durante la ritirata, quando "le perdite più decisive da parte del vinto cominciano con la ritirata". I veri trofei della vittoria sono quindi "le bocche da fuoco ed i prigionieri", poiché "costituiscono l'indice chiaro della nostra debolezza ed insufficienza" e sono "un pegno innegabile della sua ampiezza". La vittoria si compone di tre elementi: "1. le maggiori perdite materiali dell'avversario; 2. le sue maggiori perdite morali; 3. la confessione di questi svantaggi, manifestata con l’abbandono del primitivo progetto operativo". L'abbandono del campo, che ha un "lato umiliante", è spesso l'unica prova tangibile della vittoria e "influisce sull’opinione pubblica all’infuori dell’esercito, sulle nazioni e sui governi belligeranti". Viene infine distinta la sconfitta dalla disfatta, quest'ultima caratterizzata da un crollo morale tale per cui "la ritirata si cambia in rotta, in fuga".


15. Gli effetti della vittoria e della sconfitta

Analisi delle conseguenze materiali e, soprattutto, morali derivanti dall'esito di un grande combattimento, con particolare attenzione alle ripercussioni sul vinto.

Sommario

Il blocco esamina gli effetti di una vittoria, distinguendo l'effetto sugli strumenti della lotta, sugli Stati interessati e "il risultato propriamente detto che la vittoria produce sull'andamento ulteriore della guerra". Viene subito evidenziato come, nonostante la differenza materiale sul campo tra vinto e vincitore sia spesso insignificante, le conseguenze siano sproporzionate e "appaino spesso inconcepibili". La spiegazione risiede negli effetti morali, che "merita dunque una speciale attenzione". Tali effetti agiscono in senso inverso: "come mina le forze del vinto, così accresce le energie e l’attività del vincitore". L'analisi si concentra principalmente sul vinto, poiché "il vinto si deprime assai più, al disotto della linea iniziale d'equilibrio, di quanto il vincitore non si innalzi al disopra di essa". Questo effetto è più marcato nelle grandi battaglie, le quali costituiscono "un atto grandioso, saliente, all'infuori delle attività normali", dove "il destino è innanzi a noi e sta per pronunciare la sua terribile sentenza". L'effetto morale è ancor più considerevole nelle battaglie moderne, poiché risultando "da un vero esaurimento graduale delle forze, la somma di queste forze, sia fisiche sia morali, ha importanza ben maggiore" di disposizioni tattiche o del caso, e "la sentenza che la vittoria ha portata su questa somma appare di ben maggiore importanza per l’avvenire".

Viene quindi descritto minuziosamente il quadro di una sconfitta, a partire dalla "liquefazione delle masse", passando per la perdita del terreno, il "perturbamento dell'ordine iniziale" e i pericoli della ritirata. In questo contesto, "la sensazione amara di esser vinti" si diffonde in tutto l'esercito, accompagnata dalla "sfiducia che si desta verso il Comando" e dalla "verità palpabile: il nemico è più forte di noi". Queste impressioni, sebbene diverse dal "terror panico", indeboliscono enormemente l'esercito come strumento di guerra, rendendo difficile "fargli riparare il rovescio con nuovi sforzi". L'equilibrio preesistente è perduto e, senza "nuove condizioni esterne" o un "eccellente generale ed un esercito temprato", è difficile arginare "lo slancio dovuto alla vittoria". L'analisi si estende infine all'effetto della sconfitta "al di fuori dell’esercito, nella Nazione e nel Governo", dove "tutte le speranze più baldanzose crollano d'un colpo" e subentra una paralizzante paura. L'influsso della vittoria sugli eventi successivi dipende infine dal carattere del condottiero vittorioso e dalle circostanze, poiché se il condottiero "non è audace e intraprendente, anche la vittoria più splendida non produrrà grandiose conseguenze".


16. Ordine di Battaglia e Schieramento Strategico

L'evoluzione dell'ordine di battaglia e la sua interazione con la strategia, con particolare riferimento alla ripartizione delle forze, al raggruppamento delle armi e allo schieramento generale dell'esercito.

Sommario

Il blocco analizza l'evoluzione dell'ordine di battaglia, che da "complesso non frazionabile" è divenuto "smembrabile e snodato", permettendo alle singole aliquote di operare autonomamente per poi essere reinquadrate senza modificare lo schieramento generale. Questo sviluppo, sebbene originato dalla tattica, ha preparato il terreno alla strategia, poiché "l’ordine di battaglia appartiene piuttosto alla tattica che alla strategia". L'importanza della strategia cresce con l'aumentare degli eserciti e della loro distribuzione su spazi estesi, creando un rapporto di azione e reazione tra tattica e strategia nei momenti in cui la ripartizione generale delle forze si trasforma nei dispositivi speciali per il combattimento.

La ripartizione strategica delle forze è esaminata in dettaglio, sostenendo che non ci si dovrebbe chiedere la forza di una divisione, ma "quale debba essere il numero di corpi d'armata o di divisioni di un esercito". Un esercito suddiviso in sole tre, o peggio due parti, neutralizza quasi del tutto l'influenza del comandante in capo. Viene argomentato che un complesso, anche minimo, richiede almeno tre aliquote per poterne spingere una in avanti e tenerne una indietro, con quattro come numero più comodo e otto come il più opportuno per un esercito, considerando la necessità di un'avanguardia, una massa principale (destra, centro, sinistra), sostegni e distaccamenti laterali. Un numero troppo scarso di membra rende l'esercito poco snodato, mentre un numero eccessivo indebolisce il potere della volontà superiore. Ogni nuovo gradino gerarchico indebolisce ulteriormente l'energia del comando. Si conclude che il numero di aliquote affiancanti deve essere il maggiore possibile, limitato dalla capacità di comando: "nelle armate non si possono guidare comodamente più di 8-10 aliquote in sottordine, e nelle unità meno elevate non più di 4-6".

Il raggruppamento delle varie armi (fanteria, cavalleria, artiglieria) è considerato strategicamente importante solo per quelle aliquote che spesso devono assumere uno schieramento autonomo. La strategia richiederebbe il raggruppamento permanente delle armi principalmente per i corpi d'armata o, in loro assenza, per le divisioni, mentre per le unità minori dovrebbe essere occasionale. Viene sottolineata l'importanza di non dover distaccare truppe sotto l'impero dell'urgenza, assegnando alla fanteria un'aliquota di cavalleria proveniente da lontano, poiché ciò dimostrerebbe "di non possedere alcuna esperienza di guerra".

Lo schieramento strategico è distinto da quello tattico. Mentre lo schieramento tattico si riferisce esclusivamente alla battaglia, lo schieramento strategico è determinato dalle condizioni del momento e dalle sue componenti razionali non rientrano nel concetto di "ordine di battaglia". L'ordine di battaglia è definito come "la ripartizione e lo schieramento del medesimo in una massa bene ordinata per dare battaglia", divenendo la base di un "salutare metodismo" che regola lo strumento bellico. Viene poi introdotto il concetto di "Schieramento generale dell'esercito", che copre il periodo dalla prima radunata delle forze fino alla decisione matura. Questo schieramento è influenzato da esigenze di esistenza e sicurezza, come la facilità di vettovagliamento, il ricovero delle truppe, la protezione del tergo, una zona libera davanti a sé, la posizione in terreno rotto, i punti strategici d'appoggio e una ripartizione opportuna. Lo schieramento frazionato in quattro o cinque aliquote autonome (avanguardia, ali, riserva) è presentato come naturale per l'osservazione, la sicurezza e il reciproco appoggio, sebbene non significhi l'intenzione di attuare combattimenti separati. Il miglior criterio di valore è che "il frazionamento debba considerarsi soltanto come un male necessario, e che lo scopo dello schieramento stesso sia il dar battaglia con forze riunite".


17. La Base, le Linee di Comunicazione e l'Influenza del Terreno

La relazione vitale tra un esercito, la sua base di operazioni e l'ambiente in cui agisce, con particolare attenzione alle linee di comunicazione e alle caratteristiche del terreno.

Il sommario inizia con la metafora dell'esercito come albero, che "trae le sue energie vitali dal suolo nel quale cresce", sottolineando come l'influenza della base sia proporzionale all'entità dell'esercito stesso. Viene distinto tra l'approvvigionamento, cruciale per i bisogni immediati, e l'integrazione, essenziale per il mantenimento a lungo termine, poiché "alla seconda si può soddisfare solo mediante fonti determinate". Sebbene questa influenza sia grande, i suoi effetti sono lenti e "raramente il valore della base d'operazione deciderà in precedenza circa la natura dell’operazione". Il blocco si concentra poi sulle linee di comunicazione, definite come "arterie vitali" che collegano l'esercito alla sua base, sia per l'alimentazione che come vie di ritirata, quest'ultima considerata "il midollo spinale strategico dell'esercito". Viene analizzata la differenza fondamentale per un esercito che opera in territorio amico, dove "ovunque, [è] in casa propria", e uno in territorio avversario, che può contare solo sulle strade utilizzate nell'avanzata e che, tentando di usarne altre, rischia di vedere il proprio personale trattato "come nemico". Questa limitazione rende il cambiamento di linee di comunicazione molto più difficile e rende l'esercito "molto meno facile di effettuare quell’operazione... che consiste nel cambiamento di linee di comunicazione". La scelta di queste linee è vincolata dalla geografia e dalla presenza di centri abitati e piazzeforti. La superiorità nelle linee di comunicazione rispetto al nemico è presentata come condizione per un aggiramento efficace, sebbene venga sminuita l'utilità delle operazioni di fianco isolate, che "oggi appaiono di praticità ancor minore". L'ultima parte è dedicata all'influenza del terreno sull'attività bellica, che si manifesta come "ostacolo alla percorribilità, ostacolo alla vista, mezzo di copertura". Vengono esaminate tre tipologie principali: il terreno boscoso, dove predomina l'ostacolo alla vista; quello montuoso, caratterizzato dall'ostacolo alla percorribilità e dal "dominio" di un punto sugli altri che favorisce il frazionamento; e le zone molto coltivate. L'effetto complessivo di un terreno rotto è di indebolire il controllo del condottiero e di accentuare l'importanza delle qualità individuali del soldato, poiché "quanto maggiore è il frazionamento, tanto minore è la possibilità di visione dell’insieme". Ne consegue che in tali condizioni, forze come gli eserciti popolari, con alto "spirito guerriero individuale", possono trovare vantaggio. Al contrario, gli eserciti che traggono forza dalla massa concentrata cercheranno di agire in questo modo nonostante il terreno, sopportando altri inconvenienti, poiché "lo svantaggio di rinunziare completamente alle proprie preferenze di metodo sarebbe molto maggiore".


18. I procedimenti della difesa strategica

Ritirata nell'interno e logoramento del nemico come mezzi per ribaltare l'equilibrio di forze.

Sommario

Il blocco analizza la quarta gradazione della difesa, che consiste nell'arretrare strategicamente verso l'interno del paese. Lo scopo di questa ritirata è "di provocare e di attendere nell’avversario un indebolimento tale che egli debba o cessar di avanzare". Questo indebolimento dell'offensiva avversaria avviene per diverse cause: l'assoluto logoramento delle forze, la necessità di frazionarle, l'occupazione di territorio e, non da ultimo, "il tempo guadagnato che deve considerarsi vantaggio notevole". L'azione combinata di questi fattori, come le piazzeforti che costringono l'attaccante ad assedi o blocchi, "riduca le forze dell'attaccante e possa fornire al difensore l’occasione di attaccarlo con forze superiori in un punto determinato". Viene sottolineato come "la risolutezza del nemico è messa a nuova prova" e che spesso, a causa dell'aumentato pericolo e delle forze non più fresche, all'attaccante "potrà forse venirgli ugualmente a mancare la risolutezza necessaria". Il testo afferma che questa forma di difesa, sebbene comporti sacrifici come la temporanea occupazione del territorio nazionale, "aumenta tanto più di potenza quanto più si allontana dalla offensiva". La soluzione definitiva, la "decisione", può scaturire non solo da una battaglia campale, ma anche dalla "dispersione di energie causata dall’avanzata" nemica, preparando così il terreno per una reazione efficace del difensore.


19. Funzioni e criteri di ubicazione delle piazzeforti

Ruolo delle piazzeforti nella difesa del territorio e principi per la loro collocazione strategica.

Sommario

Il blocco analizza le funzioni delle piazzeforti e i criteri per la loro ubicazione. Le fortezze sono presentate come punti centrali per una resistenza attiva, capaci di "imporre taluni limiti alle scorrerie avversarie mediante la propria efficacia attiva" (4921). La loro utilità si estrinseca maggiormente quando fungono da supporto per nuclei più piccoli, diventando "il luogo di rifugio di feriti, la sede degli organi dirigenti, la camera del tesoro" (4928) e il fulcro della resistenza durante un assedio. Viene sottolineata la loro particolare efficacia in contesti specifici, come "a difesa di corsi d'acqua e di monti" (4930), dove dominano le vie di comunicazione e sono considerate "veri pilastri del sistema difensivo" (4936).

La delimitazione esplicita del blocco comprende le frasi dall'identificativo 4921 all'identificativo 4992.


20. Posizioni forti e campi trincerati

Un'analisi delle caratteristiche, dello scopo e del valore strategico delle posizioni fortificate e dei campi trincerati.

Il blocco esamina la natura delle posizioni difensive rese inattaccabili da arte e natura, definite "posizioni forti" o "campi trincerati". Viene distinto il loro scopo: proteggere direttamente una zona o proteggere le forze in essa schierate. L'analisi procede valutando tre specifici mezzi di difesa: le linee fortificate, le posizioni forti e i campi trincerati presso piazzeforti. Per le linee, si sostiene che "sono la peggiore forma di guerra a cordone" e che "costituiscono un mezzo mal concepito, contro un nemico intraprendente", citando come esempio le linee in Alsazia. Per le posizioni forti, si indagano le condizioni per il loro utilizzo, come la necessità di "essere inattaccabili" e di avere "dotazioni sufficienti per un certo tempo", facendo riferimento a esempi storici come Pirna e Torres-Vedras. Vengono esplorate le opzioni dell'attaccante, come la possibilità di "sfilare davanti alla posizione" o di "investirla tutt’all’intorno", e le relative contromisure del difensore. L'efficacia di una posizione è subordinata alla sua capacità di minacciare il "fianco strategico dell'avversario". Infine, i campi trincerati presso piazzeforti sono considerati un tutto inscindibile con la piazzaforte, dalla quale "acquistano forza intrinseca molto maggiore".


21. La difesa del territorio: montagne, fiumi e altri ostacoli naturali

Analisi degli ostacoli naturali nel contesto della difesa strategica e tattica, con particolare riferimento alla loro efficacia relativa e ai rischi di un loro impiego errato.

Sommario

Il blocco analizza il valore degli ostacoli naturali, principalmente montagne e fiumi, nella difesa militare. Si afferma che "la montagna, tanto in tattica quanto in strategia, è in massima sfavorevole alla difensiva" decisiva, poiché limita il campo visivo, ostacola i movimenti e "costringe alla passività". La montagna è invece considerata "un vero posto di rifugio per il debole", utile per compiti secondari. Per quanto riguarda i fiumi, si distingue tra difesa diretta, per impedire il passaggio, e difesa indiretta, che sfrutta l'ostacolo per combinazioni migliori. La difesa diretta di un grande fiume, in condizioni favorevoli, può procurare "grande guadagno di tempo", ma è un'impresa rischiosa se le forze sono troppo deboli o se l'estensione è eccessiva, degenerando in un "sistema a cordone". Viene inoltre esaminata la difesa di paludi e inondazioni, considerate ostacoli formidabili ma che richiedono una difesa locale e passiva. Il testo mette in guardia dall'errata sopravvalutazione di questi ostacoli, che può condurre a disposizioni errate, come la difesa a cordone, definita "un errore" quando impiegata col grosso dell'esercito. Infine, si smitizza il concetto di "chiave del territorio", considerato spesso "completamente fantastico" nelle sue applicazioni teoriche eccessive.


Difesa 22: Scelta della Posizione e Reazione all'Aggiramento

Analisi delle opzioni difensive quando l'attaccante ignora la posizione scelta e dei mezzi per costringerlo alla battaglia, con particolare riferimento alla superiorità dell'attacco sul fianco.

Il sommario tratta dell'incertezza del difensore riguardo alla direzione d'attacco principale del nemico, un caso che si presenta più facilmente quando la difesa si basa su provvedimenti che esigono tempo. Viene esaminata la possibilità che l'attaccante, non incontrando una battaglia offensiva immediata, modifichi la sua direzione d'avanzata lasciandosi la posizione del difensore sul fianco, poiché "nell'Europa civilizzata non mancano mai strade sulla destra o sulla sinistra, atte a consentire di lasciarsi sul fianco la posizione avversaria". Tuttavia, la scelta della direzione d'attacco è spesso determinata da "obbiettivi e punti contro i quali un attacco può assumere maggiore efficacia", il che riduce il pericolo per il difensore di errare nella scelta della posizione. Vengono quindi elencati i mezzi a disposizione del difensore se il nemico avanza senza curarsi di lui: frazionamento preventivo delle forze, spostamento rapido per porsi davanti all'avversario, attacco sul fianco, azione sulle linee di comunicazione nemiche o un contrattacco nel territorio avversario. Di questi, il terzo mezzo, l'attacco sul fianco con tutte le forze riunite, riceve "l'assoluta preferenza" poiché, costringendo l'attaccante a dar battaglia con cambiamento di fronte, lo priva dei vantaggi iniziali e lo sorprende in condizioni svantaggiose: "ogni attaccante che voglia lasciarsi l'avversario sul fianco e procedere oltre, s’impiglia in due tendenze contrarie". Gli altri mezzi sono giudicati meno efficaci: il frazionamento rischia di condurre a una "guerra di posti staccati" e causa depressione morale, mentre lo spostamento laterale per porsi davanti al nemico espone al pericolo di arrivare troppo tardi e di operare con precipitazione. L'azione sulle linee di comunicazione è raramente risolutiva. L'analisi è corroborata da un esempio storico, la campagna prussiana del 1806, dove l'irrisolutezza nel non aver sfruttato appieno la posizione sulla Saale per un attacco di fianco portò alla sconfitta. Si conclude che solo la risoluzione di attaccare sul fianco permette al difensore di evitare i pericoli del frazionamento e di una marcia precipitosa, mantenendo i vantaggi della difensiva come "calma, sicurezza, unità e semplicità".


23. Attacchi a posizioni difensive, campi trincerati e zone montane

Analisi delle condizioni e delle difficoltà operative nell'attaccare diverse forme di difesa predisposta.

Sommario

Il blocco esamina le difficoltà e le condizioni per attaccare posizioni difensive, campi trincerati e zone montane. Riguardo alle posizioni difensive, si afferma che "non tutte le posizioni difensive sono realmente di tal natura" (6905) e che l'attaccante deve valutare se "invece di attaccarle, [possa] manovrare per costringere il difensore ad abbandonarle" (6906). L'attacco a una posizione forte è definito "una decisione preoccupante" (6910), con esiti generalmente sfavorevoli per l'attaccante, come dimostrato dal fatto che condottieri risoluti sono stati "costretti a togliersi il cappello davanti a posizioni del genere" (6911). Per i campi trincerati, si sostiene che "un trinceramento ben organizzato, ben presidiato e ben difeso è da considerarsi, di massima, come un posto inespugnabile" (6922), rendendo il suo attacco "un compito molto difficile, e forse inattuabile" (6923), se non quando i trinceramenti sono frettolosi o incompleti. Nell'attacco a una zona montana, la situazione varia a seconda che si tratti di un combattimento secondario, dove l'attacco è "un male necessario" (6932), o di una battaglia principale, dove "i vantaggi sono dalla parte dell'attaccante" (6932). Tuttavia, si osserva che spesso un esercito avanzante ha considerato "fortuna inaudita il fatto che il nemico non avesse presidiato i monti intermedi" (6935), sottolineando la complessità di tali operazioni.


Blocco 24: Attacco in Montagna e contro Linee a Cordone

Considerazioni strategiche e tattiche sull'attacco in territori montani e contro schieramenti difensivi estesi.

Sommario

Il blocco analizza le peculiarità dell'attacco in zona montana, dove "non si può uscir dalla strada" e l'avanzata deve effettuarsi "su una fronte alquanto larga" per evitare ingorghi. Contro una difesa molto estesa, l'attacco si effettua con forze concentrate, cercando di "sfasciare la linea avversaria" piuttosto che avvolgere, puntando rapidamente verso "la linea di ritirata dell'avversario". Al contrario, se il nemico è schierato in modo concentrato, gli aggiramenti diventano essenziali e devono mirare a "tagliar veramente fuori il nemico", sfruttando la "preoccupazione che viene ispirata, nel nemico, di perdere la sua ritirata". Viene poi affrontato l'attacco contro le linee a cordone, la cui "eccessiva estensione" fornisce un vantaggio all'attaccante in una battaglia decisiva, come dimostra l'esempio delle linee di Eugenio a Denain, la cui perdita "equivalse a una battaglia perduta". Tuttavia, se l'attaccante non ha mezzi per una battaglia decisiva, queste linee vengono rispettate, mentre se sono presidiate debolmente, la resistenza "non è molto salda" ma il risultato "non sarà molto considerevole". Il testo accenna infine al concetto di "manovrare", definito come un "gioco di forze equilibrantisi" per provocare un'occasione favorevole.


25. Principi e Obiettivi dell'Attacco Strategico

Un'analisi dei principi tattici offensivi e degli obiettivi limitati in assenza di una decisione maggiore.

Il testo delinea i principi fondamentali per condurre un attacco strategico, enfatizzando la concentrazione delle forze e la gestione del frazionamento. Vengono poi esaminati gli obiettivi di un'offensiva che non mira a una grande decisione, come la conquista di territorio, depositi o piazzeforti, e i mezzi per conseguirli senza ingaggiare combattimenti decisivi. Viene infine discusso l'attacco alle piazzeforti, distinguendo tra assedi condotti durante una crisi e quelli in campagne a obiettivo limitato, e sono elencati i criteri per la scelta di una piazza da assediare.

L'attaccante deve avanzare su un fronte che consenta a "tutte le sue forze possano battersi contemporaneamente". Il frazionamento delle forze è generalmente un errore, a meno che non sia il nemico a farlo per primo, offrendo così un vantaggio. In tal caso, l'attaccante può ricorrere a "piccole dimostrazioni" o "fausses attaques" strategici. Anche l'offensiva richiede prudenza per proteggere le linee di comunicazione, un compito che dovrebbe essere assolto "eo ipso per effetto della presenza dell’esercito" per evitare di indebolire la forza d'urto. Quando l'offensiva perde slancio e "l’attaccante viene gradatamente a passare alla difensiva", la protezione delle retrovie diventa cruciale. In campagne senza una "grande decisione", gli obiettivi offensivi possono essere un "tratto di territorio", un "deposito avversario importante" o la "conquista di una piazzaforte". Per ottenere questi obiettivi, l'attaccante può utilizzare mezzi indiretti, come la minaccia alle comunicazioni nemiche, per costringere il difensore a "assumere una posizione più arretrata", rendendo così altri obiettivi vulnerabili. In questo tipo di guerra, la protezione del proprio fianco strategico è importante e l'attaccante gode del vantaggio di poter "valutare, in fatto di intendimenti e di forze, meglio di quanto non possa il difensore". Per quanto riguarda le piazzeforti, durante una crisi, assediare una piazza significa "un forte aumento della crisi stessa". Tuttavia, in campagne a obiettivo limitato, la "presa delle piazze, invece di essere un mezzo, è scopo a se stesso", poiché rappresenta una "piccola conquista a sé stante" che può essere usata come pegno per la pace. I criteri per scegliere quale piazza assediare includono il suo valore come pegno, la disponibilità di mezzi adeguati, la sua forza intrinseca e "la facilità, maggiore o minore, di proteggere l’assedio".


26. Trasformazione della natura della guerra e consolidamento statale in Europa

Dall'evoluzione degli strumenti bellici alla guerra come causa nazionale.

Il blocco analizza la transizione del potere militare dai legami feudali agli eserciti permanenti finanziati dal tesoro statale, descrivendo come "il danaro si sostituì rapidamente alla maggior parte di esse: ai signori feudali succedettero i mercenari". Questo processo è parte del più ampio consolidamento degli Stati europei, che passano da "aggregati di forze con scarsa coesione" a entità unitarie. La guerra, di conseguenza, perde la sua "tendenza all’estremo" e diventa "un vero giuoco, in cui il tempo ed il caso mescolavano le carte", uno strumento limitato della diplomazia il cui scopo era "impadronirsi di qualche pegno provvisorio per trarne partito nelle trattative di pace". La Rivoluzione francese segna una rottura epocale, poiché "improvvisamente la guerra era ridivenuta una causa di popolo". Con la partecipazione della nazione, "i mezzi impiegabili, gli sforzi possibili, non ebbero più un limite conosciuto" e la guerra ritrova la sua energia primordiale, avvicinandosi "alla sua perfezione assoluta" con lo scopo finale di ottenere "l'abbattimento dell'avversario". Viene menzionato il ruolo di condottieri come Gustavo Adolfo, Carlo XII e Federico il Grande, e l'importanza dell'equilibrio politico europeo nel contenere le ambizioni di conquista.


La Guerra come Continuazione della Politica 27

La guerra è lo strumento della politica, che ne determina il carattere e le linee fondamentali, impiegando mezzi diversi ma senza mai interrompere il lavoro politico.

Il blocco di testo afferma che la guerra non è se non "la continuazione del lavoro politico, al quale si frammischiano altri mezzi". La politica non cessa con l'inizio del conflitto, ma continua a svolgersi, con le linee generali della guerra che "non sono che i fili principali della politica". La guerra è definita "una specie di scrittura o di linguaggio nuovo per esprimere il pensiero politico", dotata di una propria grammatica ma non di una logica autonoma. Pertanto, la guerra non può mai essere separata dalla politica senza diventare "una cosa priva di senso e di scopo". Questo legame è reso necessario dalla natura politica di tutti gli elementi fondamentali su cui la guerra si basa. La guerra reale, a differenza del suo concetto assoluto, è "il frammento di un altro complesso, e questo complesso è la politica". La politica utilizza la guerra come "un semplice strumento", evitando le sue conclusioni più rigorose e trasformando la "terribile spada della battaglia" in "una spada leggera e maneggevole". Di conseguenza, il punto di vista militare deve essere subordinato a quello politico, poiché "la politica ha generato la guerra: essa è l'intelligenza, mentre la guerra non è che lo strumento". Il piano di guerra deve quindi essere concepito dal punto di vista politico, che è "il punto di vista supremo per la direzione della guerra". Considerazioni minori includono la critica alla pretesa di una valutazione puramente militare dei piani di guerra e l'analisi storica degli errori politici che portarono alle sconfitte durante le guerre rivoluzionarie francesi, le quali dimostrano "la loro intima connessione".