Vincenzo De Risi - IISF - Lettura (18m)
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1. L’ideale assiomatico tra continuità storica e mutamenti concettuali
Dall’elogio del metodo ai suoi paradossi: come un principio antico plasmi ancora la scienza moderna
Il blocco traccia l’avvio di una riflessione sul metodo assiomatico come „sommo ideale di sapere scientifico“, un modello che „ha strutturato [...] il più alto ideale del metodo scientifico durante tutto il pensiero occidentale“. L’esposizione parte da un ringraziamento informale („mille grazie davvero [...] sono veramente felice di essere di nuovo a Napoli“) per poi delineare il tema centrale: la storia dell’assiomatica, intesa non come un costrutto statico, ma come una pratica che „è cambiata molte volte nel corso dei secoli“. Nonostante questa evoluzione, emerge una „straordinaria continuità“ nei principi fondanti, esemplificata dall’assioma euclideo „per due punti passano una linea retta“, ancora presente „nelle assiomatizzazioni della geometria contemporanea“ come quella di Hilbert. Tuttavia, tale continuità genera „forti anacronismi“, poiché si tende a interpretare „il pensiero assiomatico [...] come se fosse il nostro concetto di assioma“.
Il discorso si articola tra due tensioni: da un lato, l’universalità apparente del metodo („dai principi primi e poi una serie di conseguenze“), applicato non solo in matematica („teoria degli insiemi, probabilità“), ma anche in fisica („meccanica quantistica“), diritto, linguistica e filosofia („l’etica di Spinoza“); dall’altro, la mancanza di una storia critica che ne analizzi le „varie concezioni degli assiomi“. Si evidenzia così un paradosso: pur essendo „l’ideale scientifico“ per eccellenza, il metodo assiomatico non è „necessario“ alla matematica stessa, che „si è svolta per moltissimi secoli [...] senza ricondurre [i teoremi] ai principi primi“. La lezione proposta si concentra quindi su Euclide come origine („la questione dell’origine del metodo assiomatico“) e su un percorso storico da „Euclide fino a Kant“, per mostrare come „il concetto di assioma [...] sia cambiato“, nonostante la persistenza della sua forma.
//: t 2.1
2. Il metodo assiomatico tra Aristotele ed Euclide: fondamenti, eredità e convergenze storiche
Un percorso tra epistemologia e geometria che definisce i pilastri della scienza occidentale.
Didascalia
Dall’impossibilità di un regresso infinito alle definizioni, assiomi e postulati che strutturano gli Elementi: come un modello condiviso plasmò la teoria aristotelica e la pratica euclidea, fondando un paradigma duraturo.
Sommario
Il blocco delinea la genesi e l’affermarsi del metodo assiomatico come cardine della conoscenza scientifica, a partire dalla sua formulazione teorica in Aristotele e dalla sua attuazione sistematica in Euclide. Aristotele, nei suoi „Analitici secondi“, argomenta che „la scienza deve fondarsi su principi primi non dimostrati e anzi indimostrabili“, poiché „se non ci fossero principi primi, le dimostrazioni andrebbero indietro all’infinito“ o „si avvolgerebbero in un cerchio“; „entrambi questi casi sono impossibili“, dunque „è necessario fermarsi a un certo punto“. La trattazione si sposta poi su Euclide, la cui opera „gli Elementi“ – „13 libri diversi“ raccolti e uniformati „un paio di generazioni dopo Aristotele“ – incarna „quegli stessi trattati che Platone e Aristotele avevano sotto gli occhi“ quando ne discutevano la portata. Sebbene „non sia necessario immaginare che Euclide leggesse gli Analitici secondi“ (anzi, „sembra molto improbabile“, data la „perdita delle opere aristoteliche“ dopo la sua morte), il testo suggerisce „un modello comune“ da cui entrambi attinsero, consolidando „la teoria“ (Aristotele) „e il paradigma“ (Euclide).
L’influenza congiunta di queste due autorità – „la massima autorità filosofica“ e „la massima autorità matematica“ – determinò „lo sviluppo dell’ideale del metodo assiomatico“ in Occidente. Gli „Elementi“, „tradotti in tutte le lingue, pubblicati in migliaia di volumi e commentati“ per secoli, divennero „l’esempio“ pratico di ciò che Aristotele aveva „proposto“ a livello teorico. I commentatori successivi „associarono sempre“ i due autori, citando „Euclide“ nei testi su Aristotele e viceversa, fino a „fondare“ una tradizione scientifica e filosofica che „terrorizzava“ (Platone) e „uniformava“ (Euclide) la conoscenza. Il blocco accenna anche a temi minori: il ruolo di predecessori come „Eudosso, Archita Pitagorico o Teeto“ nella stesura dei trattati euclidei, e il „dibattito“ storiografico sull’„intervento“ effettivo di Euclide nella redazione degli „Elementi“.
//: t 3.2
3. L’enigma dei postulati euclidei: tra silenzio storico e divergenze concettuali
Un’analisi delle origini oscure e del ruolo atipico dei principi geometrici greci, tra dialettica antica e fratture con la modernità.
Sommario
Il blocco indaga la natura elusiva e il significato controverso dei postulati euclidei, evidenziando due aspetti centrali: la loro “origine dialettica” (139) e il “ruolo inferenziale” (139) distinto da quello degli assiomi moderni. Le frasi sottolineano una discontinuità radicale tra la concezione greca e quella contemporanea, sia in matematica che in scienca: “i principi della matematica per Euclide [...] erano molto molto molto diversi da come li intendiamo noi” (140), con ricadute sull’“ideale generale di scienza” (141) come sistema assiomatico. Emerge un paradosso storiografico: Nonostante i postulati siano “i veri principi della matematica di Euclide” (143), “nessuno ne parla” (144) né prima né dopo Euclide, tranne “un’unica fonte” (147) tarda e indiretta (Simplicio, VI secolo, tramandata da un matematico arabo). Le ipotesi includono un’inserzione postuma da parte di Euclide stesso (144) e tentativi forzati di “accordo fra Euclide e Aristotele” (146) da parte dei commentatori, che leggono nei Secondi Analitici tracci di somiglianza. Il silenzio delle fonti — “come se si trattasse di principi di qualche rilevanza” (145) — suggerisce una marginalità originaria o un cambiamento di paradigma non documentato.
La fragilità delle testimonianze (148) e la distanza cronologica (“900 anni dopo Euclide”) accentuano l’opacità del tema, mentre la differenziazione dal modello assiomatico attuale (139, 141) diventa il filo conduttore: i postulati non sarebbero “principi” nel senso moderno, ma strumenti funzionali a un contesto argomentativo (139) oggi perduto. Le frasi accennano anche a un confronto implicito con le “nozioni comuni” (143) — descritte come “semplici regole logiche” — e al ruolo secondario assegnato loro rispetto ai postulati, pur nella scarsità di discussioni antiche.
//: t 4.3
4. Simplicio e le tracce perdute della matematica preeuclidea: tra manoscritti, obiezioni e fonti indirette
Un erudito al crocevia tra antichità tarda e tradizione testuale, tra scetticismo metodologico e frammenti salvati dall’oblio.
Il ruolo di Simplicio come tramite di conoscenze matematiche antiche
Il blocco delinea la figura di Simplicio come testimone indiretto ma attendibile di una fase cruciale della storia della matematica, pur in un contesto segnato da «molta cautela, se non addirittura scetticismo» (149). La sua autorità deriva dall’accesso a «manoscritti antichi» (149) e «più moderni» (150) degli Elementi di Euclide, nonché dalla lettura di opere perdute come la «storia della matematica» (152) di Eudemo, «discepolo di Aristotele» (152), che «per noi sarebbe veramente la storia di tutto quello che è successo prima di Euclide» (153). I frammenti superstiti, «grazie a lui e grazie a Proclo» (154), offrono spunti su dibattiti preeuclidei, incluse «obiezioni alle costruzioni ammesse tramite i postulati» (157): tracciare linee, prolungarle o disegnare cerchi. Tali contestazioni, «chiaramente legate all’origine dei postulati» (158), suggeriscono che gli enunciati euclidei — «anche troppo evidenti» (159) — fossero formulati esplicitamente solo in risposta a «controesempi» (159) o dissensi teorici. Simplicio emerge così come una fonte secondaria ma preziosa, capace di «trovare altri testi [...] legati ai postulati» (156) e di preservare eco di polemiche che «nessuno metterebbe lì in maniera esplicita» (159) senza una ragione controversa.
Temi minori e implicazioni
Affiorano due filoni collaterali: la materialità dei supporti scritti, con la distinzione tra «manoscritti più antichi» e «più moderni» (150) che riflette stratificazioni testuali; la natura aporetica dei postulati, la cui formulazione pare rispondere a «qualcuno che dica "No, le cose non possono stare così"» (159). La perdita dell’opera di Eudemo — «andata perduta» (153) — sottolinea il carattere frammentario della tradizione, mentre l’interesse di Simplicio per «tutto quello che è successo prima di Euclide» (153) ne fa un anello tra epoche, pur «senza più contatto con l’antichità classica» (151). Le «tracce» (156) da lui seguite rivelano una rete di testi e obiezioni che, seppur indiretta, «non è del tutto sbagliato» (155) esplorare per ricostruire il substrato teorico dei postulati.
//: t 5.4
5. Limiti geometrici e obiezioni ai postulati euclidei: lo spazio finito come ostacolo alle costruzioni
Fragilità delle linee rette e delle costruzioni in un cosmo delimitato. Critiche antiche ai postulati di Euclide per vincoli fisici e concettuali: dal fiume che interrompe la tracciabilità al cielo che nega l’infinito, dalle stelle fisse che bloccano le parallele al muro che impedisce la perpendicolare.
Il blocco espone le obiezioni storiche alla geometria euclidea fondate sull’impossibilità pratica di applicarne i postulati in un universo considerato finito. Le critiche vertono su tre assi principali: l’ostacolo materiale („non potete tracciare la linea perché c’è il fiume in mezzo“, „il muro vi impedisce di tracciare la perpendicolare“), il limite cosmologico („non si può tracciare una linea infinita perché [...] si arriva al limite del cielo“, „il diametro dell’universo passa [...] attraverso il centro dei cerchi“) e l’incompatibilità con i postulati („il postulato è falso perché [...] finisce lo spazio“, „se AB è il diametro del cosmo, il triangolo [...] finisce fuori“). Gli autori citati (Alessandro di Afrodisio, Proclo, Erone, Porfirio) propongono costruzioni alternative per ovviare alla „mancanza di spazio“, spostando cerchi, rette o punti all’interno delle figure („costruisce i punti DE interni al triangolo“) o adattando le dimostrazioni a contesti pratici („geometria pratica“). Le obiezioni rivelano una tensione tra astrattezza matematica e concretezza fisica, dove il „cosmo finito“ e gli „antipodi del firmamento“ diventano confini inviolabili per linee e prolungamenti, rendendo „impossibile“ operazioni come „estendere una linea illimitatamente“ o „costruire un triangolo equilatero“ su un diametro universale. Le soluzioni alternative, spesso attribuite a tradizioni pre-euclidee, mirano a preservare la validità delle proposizioni senza ricorrere a estensioni oltre lo „spazio assegnato“.
//: t 6.5
6. Euclide tra matematica e pressioni filosofiche: i postulati come confine disciplinare
Un matematico tra le scuole ateniesi e la necessità di fondare la geometria.
Il blocco definisce il ruolo di Euclide come figura ibrida, collocata tra la “pura” matematica dei successori (come Archimede e Apollonio, descritti come “tecnici” disinteressati alla filosofia) e un contesto intellettuale ateniese in cui “parlava tutti i giorni con Epicuro o con Arcesilao”. L’attenzione si concentra sui postulati degli “Elementi”, presentati come “quattro o cinque richieste” che Euclide impone ai lettori senza giustificarle filosoficamente: “Voi mi dovete concedere queste cose qui per fare la matematica, senza che io mi metta a dimostrarvi perché”. La sua posizione è pragmatica: “Io come matematico vi dico, se mi fate fare queste cose, vi dimostro il teorema di Pitagora”, ma rivela una tensione implicita con le correnti filosofiche del tempo, platoniche o aristoteliche che “si occupino loro di filosofia”. Emerge inoltre una “pressione” culturale che spingerebbe i matematici a dichiarare i presupposti della geometria per evitarne lo svuotamento teorico, come suggerito dalla citazione indiretta di Epicuro: “la geometria non è scienza, non esiste proprio” se privata di fondamenti condivisi. Il tema minore riguarda la geografia intellettuale dell’epoca, con Euclide ateniese contrapposto a figure periferiche come Archimede “di Siracusa” o Apollonio “dell’Asia Minore”, e l’incertezza storiografica sulle sue vicende biografiche: “non sappiamo, appunto, esattamente quando e come sia vissuto”.
//: t 7.6
7. La costruzione ausiliaria e il ruolo dei postulati: tra geometria e ostacoli pratici
Quando la dimostrazione incontra il fiume: strumenti, limiti e verità indipendenti
Il blocco illustra il funzionamento delle "lineere" e delle "costruzioni ausiliarie" («catasway», dal greco) come elementi indispensabili per condurre dimostrazioni geometriche, prendendo a esempio la prova euclidea sull’uguaglianza degli «angoli alla base in un triangolo isoscele». La costruzione ausiliaria — ottenuta estendendo linee o tracciandone di nuove tramite i postulati — «serve a fare [...] quella che in termine tecnico greco si chiama la catasway», generando figure aggiuntive «che nell’originale triangolo di social non ci sono». Senza queste operazioni, «senza quelle lineere questi ragionamenti non li può fare», e la dimostrazione si arresta, ma non per questo la proprietà geometrica cessa di valere: «la presenza di un fiume lì non fa sì che gli angoli alla base di un triangolo iscele siano diversi fra loro perché è semplicemente un fiume».
Emergono due temi minori: l’indipendenza delle verità geometriche dagli ostacoli fisici («non stiamo cambiando [...] la geometria, stiamo cambiando la geografia»), e la natura strumentale dei postulati euclidei, distinti dagli assiomi moderni. I postulati «non stanno dicendo come è fatta la geometria», né «esprimono verità geometriche prime», ma sono «strumenti per la dimostrazione» che «consentiranno di fare quella dimostrazione». Anche se «tutti i suoi tentativi fossero bloccati», l’uguaglianza degli angoli «resterebbe il fatto», poiché «non c’è niente che possa impedire [...] questo fatto». La riflessione si chiude sulla differenza tra il significato attribuito oggi agli assiomi — «verità prime sulla geometria» — e il ruolo operativo che Euclide assegnava ai postulati.
//: t 8.7
8. L’intreccio instabile: matematica e filosofia nel mondo greco tra convergenze e distanze
Un rapporto complesso, fatto di scambi fecondi e rotture improvvise, dove geometria e metafisica si influenzano, si respingono o si ignorano a seconda delle epoche, dei luoghi e delle scuole di pensiero.
Sommario
Il blocco delinea un «rapporto complesso» tra matematica e filosofia nella Grecia antica, caratterizzato da «un’interazione molto forte» in alcune fasi — come ai tempi di «Platone» e «Aristotele» — e da «momenti di allontanamento» in altre, esemplificati da figure come «Archimede e Apollonio», che «non sembrano interessarsi quasi per nulla di filosofia», o dagli «Epicurei», che «criticano la matematica». La dinamica non è lineare né univoca: non si tratta di una «risposta sì o no» sulla loro reciproca influenza, ma di una «storia di 7 8 9 secoli» in cui «sono successe molte cose e molte cose diverse», con esiti variabili a seconda dei contesti geografici («quello che succedeva a Siracusa era diverso da quello che succedeva ad Atene») e delle correnti intellettuali. La riflessione storica deve quindi accogliere «questa ricchezza e questa varietà», riconoscendo tanto i «contatti» fecondi — dove «entrambe [le discipline] hanno preso dall’altra» — quanto i periodi di «effettiva distanza o disinteresse».
Emergono temi minori come il ruolo dei «commentatori aristotelici» e «neoplatonici» (ad esempio «Proclo» con il suo commento agli «Elementi di Euclide»), che segnalano un «riavvicinamento», e il problema filosofico dei «principi primi indimostrabili», citato in riferimento a tentativi di dimostrazione «atipici» (quali quello dell’«Eencos»), dove la validità di un fondamento si argomenta attraverso la «autocontraddittorietà» della sua negazione. La discussione si chiude con un accenno alla ricezione contemporanea di tali temi, filtrata attraverso la lente di un «dottor in filosofia» che ne apprezza la chiarezza espositiva pur non essendo esperto della materia.
//: t 9.8
9. Assenza di obiezioni aleatiche e trattamenti indiretti del movimento nella matematica greca antica
Tra paradossi irrisolti e silenzi teorici: come Euclide e i geometri greci eludono le critiche eleatiche, tra generazione dinamica delle figure e sovrapposizioni statiche.
Sommario
Il blocco delinea un vuoto argomentativo nelle fonti antiche riguardo alle obiezioni di stampo eleatico, in particolare quelle legate al postulato delle parallele e ai paradossi di Zenone: „non troviamo nessuna obiezione ai postulati legata agli argomenti aleatici“ (437), e l’unico accenno indiretto rintracciabile è una „dimostrazione sofistica“ che nega l’incontro di due linee convergenti „perché serve un tempo infinito“ (438), „l’unica traccia“ (439) di un possibile riferimento. Le congetture moderne, come quella di Sabò, tentano di colmare questa lacuna ipotizzando una risposta euclidea a Zenone, ma restano „estremamente congetturali“ (440) e „un po’ povere“ (441), data l’assenza di prove testuali.
Il movimento, quando trattato, viene circoscritto a due ambiti tecnici: la „generazione degli oggetti geometrici“ (443) tramite „flusso“ (rusis) di punti — distinto dal „movimento locale“ aristotelico in quanto „non richiede topos“ (447-448) — e la „sovrapposizione di figure“ (445), operazione descritta senza riferimento a spostamenti fisici („si sovrapponga“ anziché „si muova“ (450)). La terminologia euclidea evita esplicitamente la „chinesis“ (movimento), preferendo metafore statiche o processuali („accrescimento e diminuzione“ (447)), a conferma di una geometria che „non avviene attraverso il movimento“ (449) ma attraverso relazioni astratte tra enti immutabili. Emergono così due temi minori: l’uso di „termini alternativi“ (448) per eludere il problema filosofico del movimento, e la distinzione tra „cambiamento“ geometrico (flusso) e „movimento“ fisico (spostamento locale).
Note
Riferimenti lessicali
- Rusis (ρῦσις): „flusso“ (448), termine tecnico per la generazione dinamica di enti geometrici senza implicazione spaziale.
- Chinesis (κίνησις) / phora (φορά): „movimento“ (448), esplicitamente evitati nei contesti matematici.
- „Si sovrapponga“ (450): formula euclidea per la coincidenza di figure, priva di connotati cinetici.
Fonti citate
- Simplicio e commentatori: menzionano „obiezioni fisiche e materialistiche“ (437) ai paradossi, ma trascurano gli aspetti aleatici.
- Sabò: ipotesi „congetturale“ (440) su una risposta euclidea a Zenone, basata su „principi“ (441) antimatematici presunti.
//: t 10.9
10. L’immobilità euclidea e il movimento nelle dimostrazioni geometriche arabe
Dalla staticità delle figure in Euclide all’innovazione dinamica della matematica medievale araba: sovrapposizioni, luoghi e tecniche dimostrative.
Sommario
Il blocco descrive un contrasto metodologico tra la geometria euclidea e quella araba medievale, incentrato sul ruolo del movimento nelle dimostrazioni. In Euclide, le figure sono fisse: „non c’è mai nessun verbo che sembra indicare una qualsiasi forma di movimento“, e le sovrapposizioni avvengono solo tra entità distinte („tu hai un pentagono, poi hai un altro pentagono che non ha nessuna relazione col primo“), mai all’interno della stessa figura. La „tecnica“ euclidea esclude lo spostamento di parti („se tu hai un pentagono e vuoi sovrapporre un triangolo [...] quello si deve muovere, cioè non lo puoi prendere sovrapporre, devi spostarlo“), operazione che „Euclide non lo fa mai“.
La svolta arriva con i matematici arabi (X-XI secolo), che „cominciano a muovere le figure“ e introducono la „sovrapposizione tramite movimento“: „un pezzo di una figura viene sovrapposto ad un altro pezzo della stessa figura attraverso un effettivo movimento delle linee“. Questo approccio, legato alla „tematizzazione del concetto di luogo“, „arricchisce di molto le tecniche dimostrative“, permettendo di „dimostrare cose“ che Euclide „non poteva dimostrare“. Il passaggio segna una „cosa importante di storia della matematica“, dove la „manniera diversa di intendere il movimento“ delle figure diventa strumento di innovazione teorica. Il blocco accenna anche a un dialogo interrotto („Se ci sono altre domande“), senza approfondire ulteriori implicazioni.
//: t 11.10
11. L’evoluzione instabile delle nozioni comuni: da Euclide all’alto Medioevo tra assiomi, aggiunte e scomparsa
Dalla sistematicità euclidea alla frammentazione medievale: espansione, ibridazione e oblio dei principi geometrici.
L’eterogeneità dei fondamenti tra antichità e Medioevo
Il blocco descrive un “regime ibrido” in cui le “proposizioni vengono aggiunte come assiomi o come principi” agli Elementi di Euclide, mentre altri matematici ne forniscono “dimostrazioni” per evitare “principi primi non dimostrati e semplicemente assunti”. L’analisi copre un arco temporale che va “dai tempi di Euclide” (IV sec. a.C.) “fino all’alto Medioevo, fino al X secolo”, evidenziando una “crescita” progressiva delle “nozioni comuni”: da “tre” nella versione originale a “cinque” (350-370 d.C.) e poi “nove nei manoscritti bizantini”. Molte di queste aggiunte “non sono principi logici, così come erano intesi da Euclide ed Aristotele”, segnando una devianza rispetto alla tradizione iniziale.
La seconda parte delinea una “visione non unitaria” dell’epistemologia assiomatica, con “vari fenomeni” che si sviluppano “in varie direzioni” tra “Galeno, Boezio, [e] altri autori della tarda antichità”. Il testo sottolinea poi la “scomparsa” degli Elementi “dall’Occidente” nell’alto Medioevo, pur persistendo “nel mondo arabo”, mentre “si perde traccia” anche delle opere di Aristotele “salvo pochissimo”. La transizione è marcata da un “lungo periodo” di assenza, preceduto da una fase di “stabilità” (le “tre nozioni comuni”) e seguito da un’“espansione” disomogenea, documentata da “citazioni qua e là” e schemi cronologici.
//: t 12.11
12. Gli assiomi come lumi autoevidenti: metafore della conoscenza tra teologia, logica e significato dei termini
Metafore ottiche e fondamenti logici si intrecciano in una teoria che spiega l’evidenza degli assiomi come verità intrinseche, indipendenti da giustificazioni esterne. Il blocco esplora l’idea che gli assiomi „sono come lumi“ (514), capaci di illuminare sé stessi e i teoremi che ne derivano, e che la loro verità risieda nel significato stesso dei termini che li compongono. Emergono due filoni principali: da un lato, la metafora della luce divina (511: ==„quella luce sarebbe l’illuminazione divina”) e l’autoilluminazione degli assiomi come principi primi; dall’altro, la tesi che la loro verità sia „conosciuta immediatamente appena i loro termini sono conosciuti” (542), senza necessità di verifica empirica. Il testo mostra come questa teoria, sviluppata da Grossatesta e ripresa da Kilwardby, venga poi sistematizzata da Tommaso d’Aquino nella nozione di „giudizi analitici” (539), dove il predicato è già contenuto nel soggetto (546: „l’uomo è razionale […] è come se dicessi l’animale razionale è razionale”).
Il blocco include anche riferimenti a errori traduttivi (524, 543) che hanno influenzato l’interpretazione aristotelica, e accenna alla circolazione di queste idee nel XIII secolo (539: „fu accettata da Roger Bacon, da Alberto Magno”). Le metafore ottiche („gli assiomi sono come torce” – 512; „le cose colorate” raggiunte dalla luce – 510) servono a spiegare come gli assiomi „abbiano in se stessi il criterio della verità” (514), mentre esempi concreti („il cavallo bianco di Napoleone è bianco” – 530; „Luca, che è scapolo, non ha una moglie” – 531) illustrano verità „che derivano semplicemente dal significato interno dei termini” (532). La discussione si chiude con la distinzione tra termini (parole) e proposizioni (giudizi veri o falsi), sottolineando che gli assiomi, pur non essendo dimostrabili, „sono all’inizio di qualsiasi dimostrazione” (538).
Note
Riferimenti testuali
- Le citazioni in corsivo tra virgolette sono tratte dalle frasi elencate, tradotte in italiano dove necessario.
- Gli identificativi numerici tra parentesi indicano la frase di origine (es. 514).
- Le metafore ottiche (luce, torce, colori) e gli esempi logici (scapolo, cavallo bianco) ricorrono come elementi unificanti del blocco.
Tematiche minori
- Errore traduttivo: influisce sull’interpretazione aristotelica (524, 527, 543).
- Ricezione storica: circolazione della teoria nel XIII secolo (539).
- Confronto con filosofie successive: accenni a Cartesio e Spinoza (520).
//: t 13.12
13. La necessità logica degli assiomi e i limiti della scienza umana
Tra definizioni, contraddizioni e l’ideale di una conoscenza senza presupposti
Sommario
Il blocco delinea un sistema in cui gli assiomi sono proposizioni analitiche, ovvero enunciati nei quali «il predicato è contenuto nel soggetto» (554, 566), rendendoli «del tutto innegabili» (568) e tali che «negare un assioma vuol dire produrre immediatamente una contraddizione» (556). L’esempio ricorrente è l’uguaglianza degli angoli retti: una volta chiariti i termini, «immediatamente risulta che tutti gli angoli retti sono uguali» (553), mentre «uno può avere qualche dubbio perché non sa che cosa significa esattamente angolo retto» (551). Questo principio si estende alla matematica euclidea, dove «tutta quanta la matematica è necessariamente logica e necessariamente vera» (557), e a «tutte le altre scienze perfette fondate su principi», dall’«etica» alla «filosofia naturale» (557), purché basate su assiomi analitici.
Tuttavia, il testo segnalava due tensioni: la difficoltà pratica di dimostrare che «nel caso del postulato delle parallele il predicato è contenuto nel soggetto» (560) — problema che i matematici del tempo «stavano provando [...] a dimostrare [...] senza riuscirci» (561) — e la distinzione tomistica tra scienze umane e teologia. Mentre le prime si fondano su «proposizioni analitiche» (566) e «non ci sono assunzioni gratuite» (565), la seconda «si fonda su principi primi [...] dati per rivelazione» (570). Nonostante questa frattura, «le dimostrazioni della teologia funzionano esattamente come le dimostrazioni di qualsiasi altra scienza» (571), mantenendo un «ideale scientifico» (561) ereditato da «Aristotele [e] Euclide» (562): «di tutto si può offrire ragione, tutto si può spiegare» (564).
//: t 14.13
14. L’adozione e la persistenza della teoria dell’analiticità degli assiomi nel pensiero medievale e oltre
Un errore traduttivo diventa fondamento: come una teoria attribuita ad Aristotele e sostenuta da Tommaso d’Aquino resiste alle correzioni umanistiche.
Sommario
Il blocco descrive l’adozione pressoché unanime, tra XIII e XVII secolo, di una teoria epistemologica attribuita ad Aristotele e promossa da Tommaso d’Aquino, secondo cui gli assiomi scientifici sono “proposizioni note in sé stesse” e la scienza si configura come “conoscenza suprema priva di assunzioni”. La teoria, accolta “da tutti senza esclusioni” — domenicani, francescani, tomisti, scotisti e persino nominalisti come “Okam” — si radica nel sistema scolastico grazie al prestigio delle “due massime autorità medievali” (Aristotele e Tommaso), pur rivelandosi frutto di un “errore di traduzione” emerso solo con le versioni umanistiche del XV secolo. Nonostante le critiche di autori come “Agostino Nifo” (1523), che smaschera il “pronome relativo” mal interpretato, gli scolastici mantengono la teoria perché “troppo bella, troppo giusta, troppo valida”, privilegiando l’autorità di Tommaso su quella dello stesso Aristotele. Anche manuali tardi come il Cursus Conimbricensis (fine XVI secolo), studiato da “Cartesia”, riprendono la versione corretta del testo aristotelico, ma ne derivano comunque la definizione di “proposizione nota in se stessa”, dimostrando la persistenza di un paradigma ormai consolidato. Il tema minore della resistenza al cambiamento emerge nella scelta di “andare oltre” le evidenze filologiche per preservare un modello epistemologico funzionale al sistema.
//: t 15.14
15. L’eccezione tedesca: Wolf, Kant e Lambert tra assiomi analitici e sintesi a priori
La persistenza della tradizione volfiana in Germania e le risposte critiche di Kant e Lambert alla teoria degli assiomi.
Didascalia
Un’analisi della specificità culturale tedesca nel Settecento, dove la scuola di Christian Wolff alimenta un dibattito filosofico-matematico assente altrove, culminando nelle alternative epistemologiche di Kant e Johan Lambert: dal rifiuto dell’analiticità degli assiomi alla fondazione di due vie distinte verso il sintetico a priori.
Sommario
Il blocco delinea un contesto storico-filosofico in cui la Germania si distingue per la „produzione di testi scolastici di Wolf“ (676) e dei suoi seguaci, che „fino ai primi anni del [Ottocento]“ (677) espongono studenti all’idea che „gli assiomi possono essere dimostrati“ (679) tramite definizioni. Questa „teoria della analiticità degli assiomi“ (677), „super definitoria“ (681), viene criticata per ridurre la conoscenza a „un grande gioco linguistico“ (682) dove „tutta la conoscenza [...] può essere meramente semantica“ (682). Mentre „in Francia o in Inghilterra nessuno [...] riteneva più che gli assiomi fossero dimostrabili“ (678) per mancanza di una teoria alternativa, in Germania la tradizione volfiana impone una „risposta“ (678), incarnata da „due figure“ (679): Kant e „Johan Lambert, [...] molto bravo“ (680) ma meno noto.
Lambert, „alleato con Kant contro l’analiticità degli assiomi“ (686), propone una via empirista riformulata: la conoscenza „comincia dall’esperienza“ (692), ma i dati sensibili, „considerati in se stessi“ (693), diventano „contenuto a priori“ (694) — come „il colore marrone del tavolo“ (695) isolato e studiato „scollegato causalmente“ (693). „Il concetto del colore [...] può essere considerato come esistente in sé stesso“ (698), anticipando „qualcosa di fortemente fenomenologico“ (699). La sua soluzione, „completamente diversa“ (687) da quella kantiana, inaugura una tradizione che „arriva poi alla fenomenologia husserliana“ (688) attraverso la „riduzione eidetica“ (690). Kant, invece, avvia il „trascendentalismo“ (689) e il „*sintetico *a priori**“ (689), due percorsi che, pur „incontrandosi“ (689), restano distinti: l’uno fondato sulla „costruzione“ (689), l’altro sulla „messa fra parentesi“ (690) dell’esperienza per cogliere „la possibilità [dei concetti] già presente nella semplice rappresentazione“ (702).
Note
(675-678) Il riferimento alla „grande eccezione“ tedesca (675) si giustifica con la „risposta filosofica“ (678) assente altrove, legata alla „teoria scolastica“ (678) ancora insegnata. (698-702) Le citazioni di Lambert („esistente in sé stesso“, „occasione di esserne coscienti“) sottolineano il passaggio da empirismo a fenomenologia, senza usare il termine.
//: t 16.15
16. La riduzione a priori delle rappresentazioni: assiomi, definizioni e scienze pure in Lambert
Dall’esperienza alla struttura: come le rappresentazioni semplici fondano geometria, meccanica e teoria dei colori
Sommario
Il blocco delinea un sistema in cui le rappresentazioni derivate dall’esperienza vengono “ridotte in maniera semplice” (703) a elementi puri e a priori, svincolati dal contesto empirico originario. Questi elementi – “rappresentazioni semplici” (704) – diventano il “fondamento di altrettante scienze puramente a priori” (704), come la geometria, la meccanica o la teoria dei colori, costruite “in maniera puramente a priori” (705) una volta isolate le rappresentazioni pure di spazio, moto o colore. La geometria, ad esempio, nasce dalla “rappresentazione pura del concetto di spazio” (707), trattata “a prescindere di tutti i suoi legami con l’esperienza” (708), mentre gli assiomi non discendono dalle definizioni, ma sono “qualcosa che noi deriviamo immediatamente dall’esperienza” (710) solo dopo essere stati “considerati in maniera pura” (710). Lambert rovescia così la tradizione euclidea: non si parte dalle definizioni per ricavare assiomi, ma “si parte dagli assiomi” (714) – “verità prime” (714) – per “trarre la definizione” (714) di enti come rette o cerchi, ridefinendo il rapporto tra osservazione, astrazione e formalizzazione.
Il tema minore riguarda il ruolo delle definizioni, messi in discussione quando Lambert nota che “gli assiomi non sono analitici” (711) ma “derivano da quello che noi effettivamente cogliamo” (711) nelle rappresentazioni. La “teoria delle parallele” (713) diventa caso esemplare: le proprietà dello spazio non sono dedotte da definizioni preesistenti, bensì “guardando lo spazio” (714) e estraendone assiomi che solo in seguito “menzionano [...] linee rette, cerchi” (714), i cui significati vengono poi formalizzati. Si delinea così un metodo in cui “si rovescia la prospettiva classica” (713), dove la priorità spetta all’intuizione pura e non alla logica deduttiva.
//: t 17.16
17. La rottura kantiana: definizioni, assiomi e la nascita delle geometrie non euclidee
Definizioni come fondamenti, assiomi come costruzioni: la matematica tra sintesi e rivoluzione.
Didascalia
Dall’analitico al sintetico a priori: come Kant e Lambert ridefiniscono gli assiomi, aprendo la strada a geometrie inedite e a un dibattito secolare sulla natura dei principi matematici.
Sommario
Il blocco delinea una cesura epistemologica nella concezione degli assiomi matematici, contrapponendo il modello tradizionale — basato su un “procedimento analitico” dove “le definizioni sono i primi principi, i primi concetti indimostrabili”— a una visione “sintetica a priori”, in cui “il passaggio fra la definizione e l’assioma non è [...] analitico, ma [...] di costruzione sintetica”. Al centro sta l’atto dell’“immaginazione trascendentale”, che “traccia la linea retta nell’intuizione pura” e ne svela proprietà “che io non posso dedurre da quella definizione in maniera semplicemente analitica”, ma che emergono “da come è fatta la linea retta nello spazio”. Questa svolta, “cambia lo statuto generale della matematica”: i teoremi non si legano più alle definizioni per “contraddizione”, bensì per “derivazione sintetica”, scardinando la tradizione scolastica e moderna.
La frattura teorica si articola in due filoni — “la biforcazione [...] di Lambert e quella di Kant” — che, pur “insistendo [...] per dare teorie alternative”, generano esiti divergenti: da un lato, “l’opzione Lambert” sfocia in “Bolzano e poi [...] Husserl”; dall’altro, “l’opzione Kant” alimenta “l’idealismo tedesco”, il “neocantismo” e autori come “Nelson”, che “parla delle geometrie non euclidee in prospettiva cantiana”. Nonostante “Kant non riteneva [...] possibili geometrie non euclidee”, la negazione dell’analiticità “apre la possibilità” a “geometrie alternative se la forma dell’intuizione fosse diversa”, come ipotizza “Maimon”. Il dibattito si prolunga nei secoli, influenzando “Hilbert”, “Frege” e “tutte le ulteriori teorie”, mentre “le trasformazioni” dei principi matematici si intrecciano con “lo sviluppo dell’epistemologia, della metafisica”. Il blocco si chiude sottolineando l’irriducibilità delle “differenze” tra “gli assiomi di Euclide” e “quelli di Hilbert”, e l’urgenza di “studiare la storia della statica” per cogliere “cose estremamente importanti”.
//: t 18.17
18. Differenze teoriche tra Lambert e Kant: definizioni, assiomi e il dialogo interrotto sulla geometria
Un confronto tra due approcci filosofico-matematici che, pur nella vicinanza cronologica e intellettuale, divergono su definizioni, assiomatizzazione e fondamenti a priori dello spazio e del tempo.
Sommario
Il blocco esplora la distinzione tra le posizioni di Lambert e Kant riguardo al ruolo delle definizioni e degli assiomi, con particolare attenzione alla ridefinizione lambertiana del loro rapporto: „le definizioni che dipendono [dagli assiomi]“ (771). Mentre Lambert anticipa una struttura in cui gli assiomi precedono le definizioni — un’inversione rispetto alla tradizione —, Kant mantiene una gerarchia in cui „le definizioni ancora hanno una posizione privilegiata“ (772), pur distinguendo tra definizioni nominali („meramente semantiche, alla Wolf“, 773) e definizioni reali („quella vera e propria che viene alla fine“, 774). La definizione nominale, „di partenza non è una vera e propria definizione in senso kantiano“ (775), ma serve da base logica, mentre quella reale „mostra la possibilità [dell’oggetto] nello spazio“ (792) attraverso la costruzione intuitiva, come nel caso del „cerchio come figura tracciata dalla rotazione di un segmento“ (794).
Il dialogo tra i due filosofi, attivo negli anni ’70 del Settecento, si concentra sulla natura a priori di spazio e tempo: Lambert risponde al saggio kantiano del 1770, „*nel quale Kant getta le basi […] della *Critica della ragion pura**“ (782), ma „Kant si chiude nel silenzio“ (784) per dedicarsi alla stesura dell’opera, che avrebbe dovuto essere dedicata a Lambert, morto nel 1777. „Non ci mancano dati per capire […] come Kant leggesse le opere di Lambert“ (786), poiché il „trattato sulle parallele“ (1766, pubblicato postumo nel 1786) — dove Lambert espone la sua teoria — „è del tutto possibile che Kant non l’abbia letto“ (787). La „mancata risposta“ (785) e la „non-incontro“ (788) delle loro teorie, nonostante la corrispondenza, lasciano aperte domande sulla reciproca influenza.
Emergono temi minori: la costruzione geometrica come criterio di realtà delle definizioni („l’atto di costruzione mi porta a conoscere qualcosa in più“, 794), la differenza disciplinare tra scienze empiriche („la definizione arriva alla fine“, 790) e matematica („si comincia dalle definizioni“, 791), e il contesto storico della „corrispondenza“ (781) interrotta dalla morte di Lambert, che priva Kant di un interlocutore chiave.