Vincenzo De Risi - IISF - Dettagli | 14m
1. Introduzione alle lezioni di Vincenzo De Risi: tra geometria, storia della scienza e memoria dell’Istituto
Un incontro tra passato e presente, tra studi specialistici e dialogo culturale.
Il blocco traccia l’avvio di un ciclo di lezioni tenute da Vincenzo De Risi, figura poliedrica legata all’Istituto per precedenti esperienze accademiche e per il suo ruolo di «borsista del Croce», elemento che ne sottolinea il legame con la tradizione napoletana. La presentazione ne delinea il profilo intellettuale: «studioso di Libnit [Lobachevskij] della geometria non euclidea, filosofo della scienza e storico della scienza», con pubblicazioni «sulla monadologia e su scritti inediti di Lobit [Lobachevskij]» e un curriculum talmente ampio da rendere «difficile circoscrivere l’area dei suoi studi». Emerge un collegamento con Imretot [Imre Toth], figura chiave dell’Istituto, citato come «punto di riferimento per gli studi non solo di matematica, di geometria, ma di mille altre cose» e autore di un «libro sull’essere ebrei oggi» ancora oggetto di dibattito. L’incrocio di queste personalità e interessi «rende oltremodo interessante» il corso, rivolto a «giovani e meno giovani», mentre l’atmosfera informale si evince da scambi come «Mille grazie» e «sono veramente felice di essere di nuovo a Napoli, di nuovo all’istituto». La struttura delle lezioni subisce un aggiustamento per «lo sciopero di ieri», riducendo il programma da tre a due incontri, con un accenno a un «corso un pochino complesso».
Note
Il nome «Libnit» viene corretto in Lobachevskij (matematico russo, pioniere della geometria non euclidea); «Libit» è assimilato allo stesso riferimento. «Choa» e «Bretot» sono interpretati rispettivamente come Chasidismo (o possibile refuso per Cabala) e Imre Toth (filosofo e matematico ungherese). Le frasi in dialetto o colloquiali («eh», «insomma») sono mantenute per fedeltà al tono originale.
2. L’ideale assiomatico tra origine e contingenza: Euclide come caso paradigmatico e i suoi limiti storici
Un’analisi del metodo assiomatico come modello fondativo della scienza, tra genesi euclidea, adozione filosofica e prassi matematica concreta.
Sommario
Il blocco delinea un percorso critico sull’emergere del metodo assiomatico, centrato sulla figura di Euclide come „l’inizio del metodo assiomatico“ e sulla sua eredità problematica. L’autore annuncia una „lezione intensiva“ dedicata ai „principi di Euclide“ (31), sottolineando come questi rappresentino „l’origine“ di un „ideale scientifico“ che „si è costituito e poi si è imposto“ (35), ma la cui necessità non è „per niente ovvia“ (37). La „questione dei principi“ (35) viene presentata come un paradosso storico: sebbene oggi si dia per scontato che „una scienza perfetta debba cominciare da principi primi“ (36), la matematica „non necessita di un metodo assiomatico“ (38) e per secoli ha operato „senza ricondur[re]“ le dimostrazioni „ai principi primi“, ma a „fatti già noti o già dati per buoni“ (43). L’assiomatica emerge così come una „idea“ (38) mutuata dalla matematica e „lavorata“ dai filosofi (39), più che come una prassi intrinseca: „è del tutto possibile dimostrare il teorema di Pitagora“ (40) partendo da „ipotesi ragionevoli“ (41) senza pretese di fondazione ultima.
Il discorso si estende alla storicità del concetto di assioma, evidenziando come la sua evoluzione – „da Euclide fino a Kant“ (32) – sia un campo „poco affrontato“ dagli storici (33) e richieda un’analisi „che si possono fare sui testi“ (34) per tracciare „quanti cambiamenti sono occorsi“ (32) nel significato di „principio primo“ e „fondamento della scienza“ (32). Si suggerisce che l’assiomatica sia un costrutto teorico piuttosto che una necessità operativa: „non è necessario [...] andare fino ai fondamenti ultimi“ (41), e la matematica ha „continuato a svolgere[si]“ (42) anche dopo Euclide secondo logiche pragmatiche. Il blocco oscilla così tra la celebrazione dell’assioma come modello e la sua contestualizzazione come fenomeno storico-contingente, lasciando aperta la domanda su „perché a un certo punto“ (35) esso si sia imposto come paradigma.
3. L’assiomatizzazione come svolta: tra prassi matematica antica e la nascita di un metodo
Dall’assenza di principi primi alle prime tracce di un sistema deduttivo: come la matematica greca si discosta dalle altre tradizioni
Il blocco delinea un confronto tra la matematica come prassi empirica e la sua trasformazione in sistema assiomatico, evidenziando come quest’ultimo non sia né universale né scontato. Le culture matematiche non greche — „la matematica babilonese”, “la matematica indiana e la matematica cinese” — „non presentano principi primi”, sviluppandosi „senza sostanzialmente” basi assiomatiche anche dopo l’incontro con la tradizione occidentale. La „matematica cinese”, „molto avanzata” ancora nel Settecento, dimostra che „è completamente possibile fare matematica senza” un impianto deduttivo formale, sollevando la domanda: „Ma perché a un certo punto la matematica greca è stata assiomatizzata?”.
L’analisi si sofferma sulla Grecia pre-euclidea, dove „la matematica era sviluppata in maniera significativa” (esemplificata dai „frammenti matematici estremamente ricchi” di Ippocrate di Chio, dedicati a „figure fatte a forma di luna”) senza „indicazione” di „principi riconosciuti come primi o indimostrabili”. Le testimonianze platoniche descrivono una „matematica ancora fondamentalmente non assiomatica”, in cui le „ipotesi” sono strumenti provvisori: „i matematici pongono alla base delle loro deduzioni [ipotesi] che possono a loro volta essere messe in discussione”. Platone critica chi, come „alcuni matematici della sua epoca”, inizia a considerare queste ipotesi „come se non si potesse ulteriormente dimostrare” — un „grave errore” che segna l’embrione del metodo assiomatico. Aristotele, allievo di Eudosso (probabile „candidato” promotore dei principi primi), rovescia la posizione del maestro: nei suoi „Analitici secondi” sostiene che „la scienza deve fondarsi su principi primi non dimostrati e anzi indimostrabili”, argomentando contro la regressione infinita o la circolarità delle dimostrazioni.
Note
Fonti implicite citate
„Ipprate di Ki” (44.51) → Ippocrate di Chio. „i consigli annucoli” (44.61) → Probabile corruzione di „i cerchi annulari” (riferimento alle lunule, figure studiate da Ippocrate). „odosso” (44.64) → Eudosso di Cnido.
Temi minori
- Prassi vs. teoria: „come funziona questo spazio, come funziona quest’altro spazio” (44.45) come metodo euristico alternativo all’assiomatizzazione.
- Critica platonica: „di qualsiasi cosa si può chiedere ‘Ma perché?’” (44.61) come rifiuto dell’arbitrarietà dei principi.
- Transizione epistemologica: il passaggio da „working mathematician” (44.59) a sistema chiuso in Aristotele.
4. Gli Elementi di Euclide: eredità collettiva, metodo assiomatico e il dibattito sulle fonti
Un trattato composito tra attribuzioni incerte e radici platonico-aristoteliche.
Sommario
Il blocco delinea la genesi degli Elementi come opera non ascrivibile esclusivamente a Euclide, bensì come „raccolta di 13 libri [...] uniformati e molto ragionevolmente editi“ (68), frutto di contributi precedenti: da Eudosso ad Archita, fino a Teeto, figura citata nei dialoghi platonici. L’incertezza storica emerge sia sulle date di Euclide – collocato „un paio di generazioni dopo Aristotele“ (67) – sia sul suo effettivo ruolo, oggetto di „dibattito“ (68) tra gli storici. Le fonti antiche segnalano già „indicazioni“ (69) su paternità alternative, mentre il metodo assiomatico ivi esposto viene ricondotto a un „modello comune“ (74) che precede sia gli Elementi sia gli Analitici secondi di Aristotele, escludendo un’influenza diretta („non è necessario immaginare che Euclide leggesse gli analitici secondi“ (71)).
La discussione si sofferma sulla circolazione delle opere aristoteliche, „perdute per un certo periodo“ (73) dopo la sua morte, il che rende „improbabile“ (72) un accesso da parte di Euclide; si ipotizza invece una tradizione condivisa, dove i principi primi degli Elementi riflettono „quelli stessi trattati che Platone e Aristotele avevano sotto gli occhi“ (70). Il tema minore della trasmissione testuale affiora nella menzione delle „fonti antiche“ (69) e nella „necessità di fermarsi“ (66) dinanzi ai limiti documentari, sottolineando l’impossibilità di ricomporre con certezza la stratificazione dell’opera.
5. Limiti geometrici e obiezioni cosmologiche: il dibattito sui postulati euclidei nello spazio finito
Il problema della validità dei postulati di Euclide in un universo delimitato dalle "stelle fisse" e le critiche antiche alla loro applicabilità pratica.
Il sommario evidenzia un confronto tra la teoria geometrica euclidea e le sue implicazioni in un contesto cosmologico finito. Vengono messi in discussione il postulato delle rette parallele — „se voi prolungate queste due rette [...] finisce lo spazio perché toccate le stelle fisse, queste non si incontrano“ (185) — e il postulato della costruzione del cerchio, invalidato quando „il segmento sul quale occorre costruire il triangolo equilatero fosse il diametro del cosmo [...] è impossibile [...] perché non c'è nulla [fuori dal cosmo]“ (187-188). Alessandro di Afrodisia viene citato come esempio di autore antico che „produce esattamente le stesse obiezioni“ (186), sostenendo che „il triangolo, nonché i cerchi, finiscono fuori [dal cosmo] e quindi non c'è spazio per fare questa costruzione“ (195). La procedura euclidea standard — „traccia un cerchio con qualsiasi centro e qualsiasi raggio“ (192) — risulta così inapplicabile in scala cosmica, dove „il diametro dell'universo passa [...] attraverso il centro dei cerchi“ (189) ma „il terzo postulato qui non funziona, il primo postulato qui non funziona“ (196). Il riferimento a Proclo (198) suggerisce una tradizione di commento sistematico a queste aporie.
Note
Frasi in dialetto o informali (es. „Mh“ [197]) sono omesse. Le citazioni da Alessandro di Afrodisia (187, 195) e la menzione di Proclo (198) indicano fonti secondarie rilevanti. Il termine „Diafodisia“ (195) è corretto in „di Afrodisia“.
6. Limiti fisici e idealizzazione: le obiezioni alla geometria euclidea e la risposta dei postulati
Quando lo spazio manca e i teoremi si scontrano con il mondo
Sommario
Il blocco delinea un conflitto tra la geometria teorica e i vincoli materiali che ne ostacolano l’applicazione concreta. Le frasi evidenziano obiezioni ricorrenti alla possibilità di tracciare linee, costruire figure o estendere segmenti quando lo spazio fisico è insufficiente: „il muro vi impedisce di tracciare la perpendicolare“ (205), „non c’è spazio sotto la base“ (211), „c’è un fiume in mezzo“ (218). Tali critiche, attribuite a contestatori „filosofici, materialistici, scettici“ (221), riguardano sia costruzioni pratiche (come „la perpendicolare“ in „geometria pratica“ – 214) sia dimostrazioni astratte, dove „non ha bisogno di sbattere contro il muro“ (215). Le soluzioni alternative proposte da „Seguaci di Erone e Porfirio“ (209) o da „Proc lo“ (213) mirano a evitare il problema „della mancanza di spazio“ (213), ad esempio tracciando „una parallela all’interno“ del triangolo invece che all’esterno (212) o modificando „la costruzione“ per renderla „interna“ (208).
La risposta di Euclide a queste obiezioni viene ricondotta all’introduzione dei postulati, interpretati come „concessioni“ ideali per superare ostacoli reali: „Dimenticatevi dei fiumi, dimenticatevi del fatto che il cosmo può essere finito“ (220). L’ipotesi „dialettica“ (221) suggerisce che i postulati nascano proprio per „rispondere a obiezioni scettiche sulla possibilità della geometria“ (221), in un contesto dove „l’idealizzazione“ (222) è necessaria per „l’esatto opposto“ della pratica concreta, come nota Platone (223). Il tema sfocia in una riflessione „filosofica“ (216) sul rapporto tra matematica e realtà, dove „il mare degli ostacoli fisici“ (216) impone una „idealità“ (222) che solo l’astrazione può garantire. Le fonti citate – da „elementi 15“ (207) a „Simplicio“ (217) – collocano la discussione in un dibattito antico, dove „i filosofi dell’epoca di Euclide“ (222) come „Platone o Aristotele“ (222) sottolineano la „necessaria idealizzazione“ (222) della disciplina.
7. Euclide tra matematica e contesto filosofico: la nascita dei postulati come risposta a una disputa culturale
Un contesto intellettuale in fermento, tra scetticismo, materialismo e obiezioni radicali alla geometria.
Il blocco delinea la genesi dei postulati euclidei come strumento di difesa contro le critiche filosofiche del IV–III secolo a.C., in un ambiente dove „la geometria non si può fare, non puoi prolungare le linee, ci sono i fiumi, c’è il cosmo finito, ci sono gli atomi“. Euclide, immerso in un dibattito che opponeva epicurei („le lineere sono fatte di atomi, quindi non sono infinitamente divisibili“), scettici platonici e materialisti come Zenone di Cizio, avrebbe formulato i principi primi non per adesione a una scuola, ma per „dire: voi mi dovete concedere questo […] se mi concedete questo io vi faccio vedere che è vero il teorema di Pitagora“. L’assenza di un “colore filosofico” esplicito in Euclide non esclude che la pressione degli „intellettuali ateniesi“ abbia reso necessario „specificare quali erano le [sue] richieste per poter fare la geometria“, trasformando una contingenza storica in un metodo poi glorificato come „il metodo della scienza“.
Emergono temi minori: la distinzione tra il contesto ateniese – dove „probabilmente già solo un secolo dopo […] nessuno andava ad Archimede e gli diceva ‘non puoi tracciare le linee perché c’è un fiume’“ – e l’assenza greca di un „concetto di spazio matematico“ („non c’è in Euclide, non c’è in Aristotele“), che rendeva urgente la questione „dove stanno gli oggetti geometrici“. Le risposte filosofiche („nell’iperuranio […] oppure sono astratti“) riflettono una tensione che i moderni, abituati a „figure geometriche [che] sono nello spazio“, non percepiscono più. La „straordinaria” fortuna degli Elementi avrebbe poi universalizzato un approccio nato da „circostanze di disputa“ locali, assente in tradizioni come quella indiana o cinese, dove „gli assiomi non sono mai stati formulati“ per mancanza di analoghe „contingenze“.
Note
Identificativi delle frasi citate (in ordine di apparizione):
(241) – (240) – (242) – (248) – (251) – (241) – (252) – (254) – (255) – (257) – (258) – (259) – (265) – (267) – (269).
8. Strumenti e postulati: tra sezionare conigli e negare le parallele
La geometria come pratica, non come dogma: un confronto tra metodi antichi e interpretazioni moderne.
Il bisturi e il pentagono: un’analogia tra strumenti e postulati
Il blocco delinea una distinzione netta tra il ruolo degli strumenti — siano essi fisici come “il bisturi” o concettuali come “le linee” tracciate per “sezionare il pentagono” — e il significato attribuito loro nelle discipline. Le frasi evidenziano come “il trattato di zoologia descrive com’è fatto un coniglio, non [...] come io seziono un coniglio”, paragonando questa operatività alla funzione dei postulati in Euclide: non “verità prime” bensì “azioni che servono per le inferenze”. L’analogia si estende alla geometria non euclidea, dove “negare il postulato delle parallele” non implica “inventare una nuova geometria”, ma semplicemente “non poter fare certe costruzioni”, limitando “il potere deduttivo” senza alterare la natura dei fatti geometrici (“la somma degli angoli interni è 180°”). Emerge così un contrasto tra la visione moderna degli “assiomi semantici” e quella euclidea, dove i postulati sono strumenti pragmatici, non enunciati ontologici.
Il tema minore riguarda la domanda storica sulle “geometrie non euclidee nell’antichità classica”, accennata ma non approfondita, e la critica alla “concezione moderna” che trasforma i postulati in “verità prime”, lontana dall’approccio operativo di Euclide. La metafora del “bisturi” — “serve solo a preparare le cose affinché noi possiamo studiare quel determinato oggetto” — sintetizza la tesi: i postulati, come lo strumento, “non esprimono verità” ma abilitano l’analisi.
9. Assenza di obiezioni eleatiche e uso ambiguo del movimento nella matematica antica
Tra congetture storiografiche e tracce labili di un dibattito mai esplicitato.
Il blocco esamina l’assenza di critiche dirette agli argomenti aleatici — in particolare ai paradossi di Zenone — nelle fonti antiche, nonostante la centralità di questioni come il movimento e l’infinito. Si evidenzia come le obiezioni registrate da autori come Simplicio siano «fisiche e materialistiche», mentre manchi qualsiasi contestazione «ai postulati legata agli argomenti aleatici». L’unico accenno indiretto, definito «sofistico», riguarda il postulato delle parallele: due linee che «devono prima aumentare di un pochino, poi di un altro pochino» e mai incontrarsi perché richiederebbero «un tempo infinito». Tale riferimento, isolato e dubbio, viene liquidato come «l’unica traccia» di un possibile collegamento con le tesi eleatiche, smentendo ipotesi come quella di Sabò, giudicata «estremamente congetturale» e «un po’ povera» per aver accostato obiezioni «antimatematiche» a presunte risposte di Euclide a Zenone.
Il discorso si sposta poi sull’uso problematico del movimento nella matematica greca, descritto come «estremamente complicato» e articolato in due pratiche: la generazione di figure («faccio ruotare un segmento su uno dei suoi estremi» per tracciare un cerchio) e la sovrapposizione («prendo un triangolo, un altro triangolo, gli metto uno sopra l’altro»). Queste operazioni, pur implicando dinamismo, restano prive di una teorizzazione esplicita, lasciando aperte domande sulla loro compatibilità con i paradossi eleatici e sulla natura stessa della dimostrazione geometrica antica.
10. Movimento e spazio nella geometria: dal flusso greco alla mobilità araba
Dall’assenza di *topos alla manipolazione dinamica delle figure: come il concetto di movimento trasforma le dimostrazioni geometriche.*
Sommario
Il blocco delinea una cesura concettuale tra la geometria greca e quella araba medievale, incentrata sul ruolo del movimento e dello spazio. Nella tradizione euclidea, la generazione di figure non implica un “movimento locale” ma un “accrescimento e diminuzione” («non richiede topos»), dove il punto «crea il proprio luogo» attraverso un «flusso» (rusis), termine che sostituisce la «chinesis» aristotelica. La sovrapposizione, in Euclide, è statica: «si sovrapponga i due triangoli» senza verbi di moto, e «non succede mai» che parti della stessa figura vengano spostate, poiché «se tu hai un pentagono e vuoi sovrapporre un triangolo [...] quello si deve muovere», operazione che «Euclide non lo fa mai». Al contrario, la matematica araba (X-XI secolo) introduce «il concetto di luogo» come categoria operativa, abilitando «sovrapposizione tramite movimento» e «un effettivo movimento delle linee». Questo shift permette «dimostrare cose» prima irrealizzabili, poiché «serve questa maniera diversa di intendere il movimento delle figure», segnando un «arricchimento delle tecniche dimostrative» e una «cosa importante di storia della matematica».
La chiusura del blocco segna il passaggio a un contesto dialogico esterno («Grazie», «Se ci sono altre domande»), senza approfondimenti ulteriori sul tema.
11. L’evoluzione frammentaria delle nozioni comuni: da Euclide all’Alto Medioevo tra perdite e riscoperta
Tra discontinuità storiche e accumulazioni testuali: come le "nozioni comuni" euclidee si trasformano, scompaiono e riappaiono tra tarda antichità e X secolo.
Sommario
Il blocco descrive un processo di “crescita” e “scomparsa” dei principi fondanti della geometria euclidea, segnalando una “visione non unitaria” che attraversa secoli di trasmissioni alterate. Inizialmente stabili in numero di “tre” secondo “Aristotele” e “Euclide”, le “nozioni comuni” subiscono un “aumento” progressivo: “cinque” intorno al “350-370 d.C.”, poi “nove” nei “manoscritti bizantini”, spesso con aggiunte “non [più] principi logici” come li intendevano gli autori originali. Il testo evidenzia una cesura nell’“Alto Medioevo”, quando “gli *Elementi scompaiono” dall’Occidente (pur sopravvivendo nel “mondo arabo”) insieme alle “opere di Aristotele”, “salvo pochissimo”. La “riscoperta” avverrà solo nel “X secolo”, quando gli studiosi europei si troveranno di fronte a un “trattato così modificato”, carico di “tanti assiomi” privi di “giustificazione” nei riferimenti aristotelici allora disponibili (come gli “Analitici secondi”). Emergono temi minori: il ruolo di “Galeno” e “Boezio” come “passaggi importanti” nella tarda antichità; la “traduzione dall’arabo” degli *Elementi e il recupero “dal greco” di Aristotele; il “problema” sollevato dai “maestri del X secolo” di fronte a un’“assiomatica” ormai opaca.
Note
Identificativi delle frasi citate
(486), (487), (489), (490), (492), (493), (494), (495), (496), (497), (498).
12. Metafore della luce e autofondazione degli assiomi: tra Grossatesta e Guglielmo di Alvernia
Quando la verità si rivela da sé, come luce che non ha bisogno di sorgenti esterne.
Sommario
Il blocco delinea un confronto tra le metafore luminose usate da Grossatesta e Guglielmo di Alvernia per spiegare la natura degli assiomi, intesi come entità che «hanno in se stessi il criterio della verità» e «illuminano se stessi» insieme ai «teoremi» che ne derivano. Le immagini ricorrenti descrivono gli assiomi come «cose colorate» che «diventano visibili» solo quando «raggiunte dalla luce» — identificata con «l’illuminazione divina» — o come «torce» che «fanno luce» su ciò che le circonda. L’autofondazione degli assiomi emerge come tema centrale: essi «non richiedono nessuna ragione esterna» perché la loro verità scaturisce dall«identità della sostanza del soggetto e del predicato», un principio che evoca, in controluce, concetti successivi come «Dio è causa di sé». Le argomentazioni non si limitano a una «teoria teologizzata dell’evidenza», ma cercano in Aristotele una giustificazione intrinseca, dove «gli assiomi stessi hanno la ragione della loro verità semplicemente in se stessi», anticipando dibattiti moderni su «ragioni prime» e autodeterminazione.
Sotto le metafore, affiora una tensione tra evidenza immediata e necessità logica: la luce — sia essa divina o immanente — funge da condizione per «vedere» la verità, ma gli assiomi non sono passivi, bensì «intrinsecamente luminosi». Il riferimento ai «famosi dibattiti di Cartesio e poi di Spinoza» suggerisce una continuità storica nel problema della fondazione, dove l’autosufficienza degli assiomi prefigura questioni sulla causalità e l’autoconsistenza del pensiero.
13. Gli assiomi come verità analitiche: definizioni, predicati e conoscenza dei termini
La logica delle proposizioni autoevidenti tra significato, identità e dubbi terminologici
Sommario
Il blocco delinea una teoria degli assiomi come proposizioni la cui verità deriva esclusivamente dal “significato dei termini” (545), senza dipendere dall’esperienza o dalla contingenza del mondo. L’autoevidenza scaturisce dall’“identità” (544) o dall’“inclusione” (547) del predicato nel soggetto: esemplificata dalla frase «l’uomo è razionale», dove «animale razionale» (546) rende la proposizione tautologica e «conosciuta per sé stessa» (547). La comprensione degli assiomi è però subordinata alla conoscenza dei termini: «uno può avere qualche dubbio» (551) se ignora definizioni come «angolo retto» (551) o «uguaglianza degli angoli» (553), ma una «definizione chiara» (552) elimina ogni incertezza, rendendo «immediata» (547) la verità della proposizione.
Emergono temi minori: la distinzione tra complessità apparente («un po’ più complicato» – 549) e semplicità logica, e il ruolo delle definizioni come strumento per dissolvere dubbi («immediatamente risulta» – 553). Le interiezioni («E beh, va bene» – 548) segnalano un dialogo in corso, ma non alterano la struttura argomentativa centrata sulla relazione tra linguaggio, significato e verità necessaria.
14. Assiomi, contraddizioni e l’ideale di una scienza trasparente
Dall’analiticità degli assiomi alla pretesa di una conoscenza senza presupposti: geometria, logica e il rifiuto dell’arbitrario.
Sommario
Il blocco definisce un sistema epistemologico in cui gli assiomi sono proposizioni analitiche — ovvero enunciati nei quali «il predicato è contenuto nel concetto del soggetto» — e la loro negazione genera «immediatamente una contraddizione», come nell’esempio «l’animale razionale non è razionale». Questa struttura vale per la matematica euclidea, dove «negare qualsiasi proposizione degli *Elementi produce [...] una contraddizione», ma si estende a «tutte le altre scienze perfette», dalla filosofia naturale all’etica, purché fondate su principi assiomatici inoppugnabili. L’idea cardine è che «non c’è niente di non giustificato all’interno di una scienza»: ogni assunzione deve essere «completamente trasparente all’intelletto umano», senza «assunti perché è evidente o perché le cose stanno così». Il modello, ereditato da Aristotele ed Euclide, pretende che «di tutto si può offrire ragione» e che «qualunque cosa io assumo sotto forma di assioma [...] è una proposizione analitica», quindi «cose del tutto innegabili». Tuttavia, la difficoltà pratica emerge con il *postulato delle parallele: mentre Tommaso d’Aquino lo considera analitico, «riuscire a mostrare che effettivamente [...] il predicato è contenuto nel soggetto è ben difficile», come dimostrano i falliti tentativi dei matematici suoi contemporanei. Le «geometrie non euclidee» — che negano quel postulato — rappresentano un’eccezione implicita, ma il quadro teorico esclude a priori «miracoli» o conclusioni che violino la deduzione assiomatica, come «un triangolo [...] con la somma degli angoli interni diversa da due angoli retti».
Note
Riferimenti impliciti
- «Scienze perfette»: termine usato per discipline (matematica, etica, filosofia naturale) fondate su assiomi considerati autoevidenti.
- «Miracolo»: metafora per fenomeni o conclusioni che contraddicono i principi deduttivi di una scienza.
- «Postulato delle parallele» (Euclide): enunciato che in geometria non euclidea viene negato, producendo sistemi coerenti ma incompatibili con l’ideale tomista.