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Vincenzo De Risi - IISF - Dettagli | 14d


1. Presentazione e introduzione del professor Vincenzo De Risi

Un ringraziamento per l'invito e l'apertura di un ciclo di lezioni su Leibniz e la geometria non euclidea, tracciando i legami con la storia dell'istituto.

Il blocco costituisce l'introduzione formale al ciclo di lezioni del professor Vincenzo De Risi. Viene presentato il relatore come studioso di "Leibniz, della geometria non euclidea, filosofo della scienza e storico della scienza", le cui pubblicazioni vertono sulla "Monadologia e su scritti, credo inediti, di Leibniz". Si evidenziano i suoi trascorsi come "borsista del Croce" e il suo forte "collegamento con una delle figure principali dell'istituto cioè Imretot", definito "un punto di riferimento per gli studi non solo di matematica, di geometria". Viene inoltre ricordata la figura della "Choa" per il suo libro "sull'essere ebrei oggi", citato come punto di riferimento "purtroppo per polemiche anche fresche, recenti". L'incrocio di queste personalità e interessi è ritenuto "oltremodo interessante per i giovani, i meno giovani". Il professor De Risi ringrazia per l'invito, esprimendo di essere "veramente felice di essere di nuovo a Napoli, di essere di nuovo all'istituto". Infine, accenna all'organizzazione del corso, spiegando che "aveva preparato, come sapete, tre lezioni e poi una è stata tagliata a causa dello sciopero di ieri", preannunciando così "un corso un pochino complesso".


Titolo 2: L'origine e la rilevanza del metodo assiomatico

Un'indagine sull'emergenza storica del metodo assiomatico in Euclide e sulla sua non ovvietà per la pratica matematica.

Sommario

Il blocco di testo delinea il programma di due lezioni, una focalizzata sull'analisi dei principi in Euclide, "l'inizio del metodo assiomatico", e l'altra su un excursus storico del concetto di assioma fino a Kant. Viene sottolineato che "c'è ancora moltissimo lavoro da fare" su questo tema, poco affrontato dalla storiografia. La questione dei principi euclidei è presentata come fondamentale in quanto origine di un ideale scientifico che "si è costituito e poi si è imposto nella storia del pensiero", al punto che "noi ancora oggi riteniamo che una scienza perfetta debba cominciare da una serie di principi primi". Tuttavia, si osserva che questa struttura non è scontata, poiché "non è per niente ovvio che una scienza si debba organizzare secondo il metodo assiomatico". L'idea di fondare una scienza su principi primi "viene dalla matematica" ed è stata poi ripresa e rielaborata dai filosofi. Ciononostante, si afferma che "in sé stessa la matematica non necessita di un metodo assiomatico", potendo procedere per secoli dimostrando teoremi a partire da "fatti già noti o già dimostrati" senza risalire a fondamenti ultimi, in un processo dove ci si ferma a "una serie di ipotesi ragionevoli che si dà per scontato".


Origini e sviluppo del metodo assiomatico 3

La nascita problematica dell'assiomatizzazione nella matematica greca.

Il testo esamina le origini del metodo assiomatico, partendo dalla constatazione che molte culture matematiche avanzate, come quella babilonese, indiana e cinese, si svilupparono senza porre assiomi o principi primi, dimostrando che "è completamente possibile fare matematica" senza una base assiomatica. Questo fatto solleva la questione del perché la matematica greca sia stata assiomatizzata. L'analisi si concentra poi sulle testimonianze precedenti a Euclide, come i frammenti di Ippocrate di Chio, che contengono dimostrazioni di "cose difficili" come il calcolo dell'area di figure fatte a forma di luna, ma che non mostrano "nessuna indicazione... che ci fossero dei principi riconosciuti come primi". Viene discussa l'evoluzione dell'idea attraverso Platone, il quale, nei suoi dialoghi, presenta un'idea della matematica "ancora fondamentalmente non assiomatica" e critica quei matematici della sua epoca che "avevano cominciato a ritenere che queste ipotesi non potessero essere dimostrate", cosa che Platone riteneva un "grave errore". La trattazione prosegue con l'identificazione del matematico Eudosso come il possibile iniziatore di questo cambiamento, e si conclude con il suo allievo Aristotele, il quale, al contrario di Platone, sostiene negli Analitici secondi che "la scienza deve fondarsi su principi primi non dimostrati e anzi indimostrabili", argomentando che senza di essi le dimostrazioni "andrebbero indietro all'infinito".


Blocco 4: La genesi degli Elementi di Euclide e il metodo assiomatico

La trasmissione e l'elaborazione del sapere geometrico tra Aristotele e Euclide.

Il sommario delinea l'impossibilità di procedere all'infinito, che rende necessario "fermarsi a un certo punto". Viene collocata la figura di Euclide, vissuto "un paio di generazioni dopo Aristotele", a cui è attribuito il trattato degli Elementi. Si evidenzia come la paternità di alcuni dei tredici libri fosse già nell'antichità attribuita ad altri pensatori, come Eudosso o Teeto. Si sostiene che i trattati raccolti da Euclide fossero probabilmente "quegli stessi trattati che Platone e Aristotele avevano sotto gli occhi" quando discutevano il metodo assiomatico. Viene esclusa l'ipotesi che Euclide abbia letto direttamente le opere di Aristotele, considerata "improbabile" a causa della temporanea perdita delle sue opere dopo la morte. L'interpretazione proposta è che entrambi, Euclide e Aristotele, attinsero da "un modello comune" per sviluppare, rispettivamente, gli Elementi e la teoria degli Analitici Secondi.


Blocco di Testo 5

Osservazioni e obiezioni antiche ai postulati euclidei.

Il blocco presenta una serie di obiezioni storiche alla validità universale dei postulati di Euclide, sollevate da commentatori antichi. Viene contestata l'applicabilità delle costruzioni geometriche in uno spazio finito, come quello del cosmo concepito dagli antichi. Si argomenta che, se le linee rette fossero prolungate fino al limite delle "stelle fisse", esse "non si incontrano e quindi il postulato è falso". Viene citato Alessandro di Afrodisia, il quale sostiene che "la costruzione del primo teorema degli elementi di Euclide che spiega come costruire un triangolo equilatero non si può fare" se il segmento di base fosse il diametro del cosmo, poiché i cerchi necessari per la costruzione finirebbero "fuori dal cosmo". In questo scenario, sia il postulato che permette di tracciare cerchi con qualsiasi centro e raggio, sia quello che consente di congiungere due punti con una retta, non funzionerebbero. Il blocco si conclude menzionando l'esistenza di un commentario completo di Proclo al primo libro degli Elementi di Euclide.


Origine dialettica dei postulati euclidei 6

Obiezioni sulla mancanza di spazio e la risposta di Euclide.

Il testo affronta le obiezioni sollevate contro le costruzioni geometriche euclidee a causa di limiti spaziali o ostacoli fisici. Viene citato il caso in cui "il muro vi impedisce di tracciare la perpendicolare" e l'esempio di Elementi I, 15, dove "magari lì non c'è spazio" per la costruzione. Per ovviare a questo, sono state sviluppate dimostrazioni alternative, come quelle attribuite a "Erone e Porfirio", che evitano il problema tracciando linee "interni al triangolo anziché sotto" o "una parallela all'interno". Simplicio afferma che "Euclide ha introdotto i suoi postulati per rispondere a queste obiezioni", come quando qualcuno obiettava "No, non lo puoi fare, c'è un fiume in mezzo". La risposta di Euclide è stata di postulare la libertà di azione, chiedendo di concedere che "io possa tracciare una linea retta da qualsiasi punto a qualsiasi punto" e di "Dimenticatevi dei fiumi". Questo definisce l'ipotesi di un'"origine dialettica dei postulati di Euclide", nati per rispondere a obiezioni sulla possibilità stessa della geometria. L'idealizzazione necessaria è un tema riscontrabile anche in "Platone e Aristotele", le cui testimonianze "insistono precisamente sull'idealità o l'idealizzazione necessaria per la matematica".


Il contesto filosofico della geometria euclidea 7

Un'indagine sulle origini del metodo assiomatico nella specifica contingenza culturale ateniese.

Sommario

Il blocco di testo colloca la figura di Euclide nel contesto filosofico ateniese di fine IV - inizio III secolo a.C., caratterizzato dall'emergere di obiezioni materialiste e scettiche alla geometria. Viene ipotizzato che Euclide, potenzialmente contemporaneo di Epicuro, sentisse la necessità di rispondere a tali critiche. Si sostiene che i postulati iniziali degli Elementi non riflettano un'adesione a una specifica scuola filosofica, ma piuttosto una necessità pratica: “Voi mi dovete concedere queste cose qui per fare la matematica, senza che io mi metta a dimostrarvi perché queste cose me le dovete concedere”. Questa impostazione viene presentata come una reazione a precise obiezioni, come quelle epicuree secondo cui “le linee sono fatte di atomi, quindi non sono infinitamente divisibili” e che “non esistono enti astratti, esistono solo atomi e vuoto e quindi non si può fare geometria come dicono i geometri”. La genesi del pensiero assiomatico è quindi interpretata non come uno sviluppo necessario, ma come il prodotto di una “specifica contingenza della vita culturale ateniese”. Viene inoltre chiarito che la geometria euclidea non è una geometria dello spazio, poiché “questo concetto di spazio matematico semplicemente non c'è in Grecia”. Questo solleva il problema filosofico della collocazione degli oggetti geometrici, ai quali Aristotele rispondeva affermando che “gli oggetti matematici astraggono dal luogo, non sono da nessuna parte”. L'eccezionale successo degli Elementi avrebbe poi glorificato questo metodo, mentre altri matematici greci, come Archimede, operando in contesti culturali diversi, “non hanno postulati perché probabilmente già solo un secolo dopo Euclide a Siracusa [...] nessuno andava ad Archimede e gli diceva non puoi tracciare le linee”.


Blocco 8: La natura strumentale dei postulati in Euclide

Un'analogia tra geometria e zoologia per distinguere gli assiomi moderni dai postulati euclidei.

Il blocco delinea la funzione puramente strumentale e operativa dei postulati nella geometria di Euclide, paragonandoli a un bisturi che seziona una figura per permetterne lo studio, ma senza costituire una verità prima sull'oggetto stesso. Viene sviluppata un'analogia con la zoologia, dove "il trattato di zoologia descrive com'è fatto un coniglio, non descrive le sezioni, non non parla di come io seziono un coniglio". I postulati sono presentati come "azioni che servono per le inferenze" e non come enunciati semantici. Questa concezione ha una conseguenza diretta sulla questione delle geometrie non euclidee: negare un postulato, come quello delle parallele, non significa inventare una nuova geometria in cui "la somma degli angoli interni è minore di 180°", ma significa piuttosto "limitare il potere deduttivo della mia scienza", poiché senza di esso non si possono compiere certe costruzioni. La conclusione è che "la concezione di Euclide dei postulati era proprio completamente diversa dalla concezione moderna degli assiomi che sono invece semantici ed esprimono verità prime".


Blocco 9: Obiezioni fisiche e concetti di movimento nella matematica antica

L'assenza di obiezioni agli argomenti eleatici e le due modalità di utilizzo del movimento nella geometria euclidea.

Il testo analizza la ricezione dei paradossi di Zenone nella matematica greca, rilevando che le fonti antiche, come Simplicio, contengono "tutte queste obiezioni fisiche e materialistiche, ma non troviamo nessuna obiezione ai postulati legata agli argomenti eleatici". Viene citata un'unica, debole traccia di un possibile riferimento ai paradossi, una "dimostrazione sofistica" sul postulato delle parallele dove due linee "devono prima aumentare di un pochino, poi di un altro pochino" e "non si incontreranno mai perché serve un tempo infinito". Viene quindi discussa la complessità del concetto di movimento, distinguendo due modalità principali: "la generazione degli oggetti geometrici a partire dal movimento di altri oggetti geometrici", come generare un cerchio facendo ruotare un segmento, e "la sovrapposizione di figure per confrontarle", ad esempio mettendo un triangolo sopra un altro.


Il movimento delle figure geometriche: dalla filosofia greca alla matematica araba (10)

Differenze concettuali tra movimento locale e generazione di figure, e l'evoluzione delle tecniche dimostrative con l'introduzione del luogo.

Il blocco analizza la distinzione filosofica nel trattamento del movimento delle figure geometriche. Nella tradizione greca, la produzione di oggetti matematici non è considerata un movimento locale, ma piuttosto un "accrescimento e diminuzione", un tipo di cambiamento che "non richiede un luogo nel quale avviene". Questo concetto è associato al termine rusis, che significa "flusso", come nel "flusso del punto", invece che movimento. La geometria euclidea, essendo senza spazio, opera senza movimento: la sovrapposizione di figure non avviene attraverso spostamento, ma con il semplice "esserci di due triangoli uno sopra l'altro". Questo è confermato dalla terminologia di Euclide, che "non dice mai si muova il triangolo sopra l'altro triangolo", e dal fatto che egli "non sovrapponga una parte della figura con un'altra parte della figura", perché ciò richiederebbe uno spostamento.

L'evoluzione si ha con la matematica araba medievale, dove il concetto di luogo viene tematizzato. I matematici arabi "cominciano a muovere le figure, a parlare di sovrapposizione tramite movimento", arrivando a sovrapporre "un pezzo di una figura... ad un altro pezzo" della stessa figura attraverso un "movimento effettivo in un luogo". Questa nuova concezione "arricchisce di molto le tecniche dimostrative", permettendo di dimostrare cose prima impossibili. Viene infine sottolineato che "c'è una cosa importante di storia della matematica dietro" questa transizione concettuale.


Blocco 11: La trasmissione e la trasformazione degli assiomi

La ricezione medievale dei testi scientifici fondamentali e l'evoluzione del concetto di assioma.

Il testo delinea un periodo di frammentazione epistemologica nella storia della sematica, caratterizzato da "vari fenomeni che accadono in varie direzioni". Viene segnalata la crescita nel numero delle nozioni comuni negli Elementi di Euclide: dalle tre originarie si passa a cinque e poi a nove nei manoscritti bizantini, con l'aggiunta di principi che "non sono principi logici, così come erano intesi da Euclide ed Aristotele". Dopo una scomparsa nell'alto Medioevo in Occidente, sia gli Elementi che le opere di Aristotele vengono riscoperti nel X secolo. Gli studiosi europei si trovano così di fronte a un trattato assiomatico modificato, con "tanti assiomi dentro che loro non sapevano come giustificare", un problema che non trovava soluzione negli Analitici secondi di Aristotele. Questo scenario spinge i maestri del X secolo a porsi il problema della giustificazione degli assiomi.


Blocco 12: La natura autoevidente degli assiomi in Grossatesta e Guglielmo di Alvernia

La giustificazione intrinseca dei primi principi della conoscenza attraverso le metafore della luce.

Il testo analizza le metafore della luce impiegate da Grossatesta e Guglielmo di Alvernia per descrivere la natura autoevidente degli assiomi. Grossatesta paragona gli assiomi a "cose colorate" che, colpite dalla luce divina, "immediatamente diventano visibili", dove "quella luce sarebbe l'illuminazione divina". Guglielmo di Alvernia propone un'immagine diversa, descrivendo gli assiomi come "torce o delle cose che fanno luce" che "illuminano se stessi e illuminano tutto quello che c'è attorno, cioè i teoremi". Sotto queste metafore si cela l'idea condivisa che gli assiomi "abbiano in se stessi il criterio della verità" ed essendo "intrinsecamente luminosi", non necessitano di giustificazioni esterne. Questo concetto è esplicitato da Grossatesta, il quale scrive che "la verità di una proposizione è conosciuta vedendo l'identità della sostanza del soggetto e del predicato", per cui "un assioma non richiede nessuna ragione esterna per far vedere la propria verità". In definitiva, gli assiomi, in quanto "ragioni prime", "hanno la ragione della loro verità semplicemente in se stessi". Il blocco accenna infine a un possibile parallelo con i successivi dibattiti filosofici, suggerendo una somiglianza con l'idea che "Dio è causa di sé" in Cartesio e Spinoza.


La natura degli assiomi e la loro autoevidenza 13

Una declinazione logica degli assiomi basata sul significato dei termini.

Il testo analizza la natura degli assiomi, definiti come proposizioni autoevidenti la cui verità dipende esclusivamente dal significato dei termini coinvolti. Viene spiegato che un assioma si ha "nelle proposizioni nelle quali il predicato è contenuto nella definizione del soggetto", come nell'esempio "l'uomo è razionale", che equivale a dichiarare "l'animale razionale è razionale". Questa proposizione "è vera indipendentemente dal fatto che io conosca uomini o da come è fatto il mondo". Viene inoltre precisato che "qualcuno può non conoscere gli assiomi semplicemente perché può non conoscere i termini", ma che, una volta comprese le definizioni, come "che cos'è un angolo retto" o "l'uguaglianza degli angoli", la verità della proposizione "immediatamente risulta".


Blocco 14: La necessità degli assiomi e l'ideale della scienza dimostrativa

Una prospettiva sugli assiomi come proposizioni analitiche e le sue conseguenze per la struttura epistemologica delle scienze.

Il blocco delinea la concezione per cui una proposizione analitica è definita come quella in cui "è possibile includere in qualche maniera il predicato nel concetto del soggetto". La prima conseguenza di questa visione è che "negare un assioma vuol dire produrre immediatamente una contraddizione", rendendo gli assiomi, come quelli euclidei, necessariamente veri. Si afferma che "tutta quanta la matematica è necessariamente vera" e che lo stesso dovrebbe valere per tutte le scienze perfette, poiché "qualunque cosa io assumo sotto forma di assioma, in realtà è una proposizione analitica". Viene citato il caso specifico del postulato delle parallele, che, in questa struttura, "dovrebbe essere una proposizione nella quale il predicato è contenuto nel soggetto", sebbene riconoscendo la difficoltà pratica nel dimostrarlo. Questo approccio riconduce all'ideale scientifico di Aristotele ed Euclide, con l'idea che "non c'è niente di non giustificato all'interno di una scienza". L'obiettivo è una scienza completamente trasparente, dove "di tutto si può offrire ragione" e non ci sono "assunzioni gratuite", poiché gli assiomi sono considerati "cose del tutto innegabili".