Vasco Ronchi - Storia della Luce - Lettura (18d)
1. Storia della Luce: Edizioni e Riscoperte Storiche
Una nuova edizione aggiornata e accresciuta, che affronta l'ostracismo storico contro le lenti e rivaluta le origini dell'ottica moderna.
Il sommario tratta delle diverse edizioni del testo, evidenziando come quella italiana sia la più recente e ampliata. Viene segnalato lo sviluppo di due argomenti principali. Il primo concerne "l’annosa storia della invenzione delle lenti e degli occhiali", esaminando le cause di un "ostracismo ufficiale che più assoluto e più completo non avrebbe potuto essere" da parte dell'ambiente colto, che le considerava "ordigni fallaci e indegni di studio". Questo pregiudizio, sostenuto da un "dogma infallibile", ritardò per secoli il loro utilizzo ottico, nonostante l'evidenza che "le lenti venivano usate correntemente e il pubblico le acquistava nei negozi". La documentazione, assente nei testi scientifici, è stata ritrovata in fonti inaspettate come una commedia di Aristofane e il carteggio degli Sforza, rivelando notizie che "cambia profondamente la storia delle lenti". Il secondo argomento riguarda una rivalutazione storica delle origini dell'ottica moderna, dove "l’opera del Keplero" viene ricondotta "al suo valore reale, sempre importante, ma solo come sviluppo di quella di un predecessore di almeno mezzo secolo, cioè di Francesco Maurolico da Messina". Si accenna inoltre alla possibilità di futuri perfezionamenti e a una prossima revisione delle "influenze filosofiche" giudicate "eccessivamente faziose". La parte conclusiva si concentra sul significato fondamentale della luce, citando la Genesi: "Dixitque Deus: Fiat lux. Et facta est lux" ("E Dio disse: Sia la luce. E la luce fu"). Viene sottolineata la "precedenza assoluta" della luce nella creazione, definita "qualche cosa di basilare, di vitale, che caratterizza il principio della vita e dell’ordine".
Riferimenti
Citazioni dalla Genesi
"In principio creavit Deus coelum et terram." "Terra autem erat inanis et vacua, et tenebrae erant super faciem abyssi: et spiritus Dei ferebatur super aquas." "Et vidit Deus lucem, quod esset bona: Et divisit lucem a tenebris."
2. Il mezzo per annullare la citazione e il disinteresse della scienza antica per le lenti
Un dialogo di Aristofane sulle lenti ustorie e il successivo silenzio della scienza antica.
Il blocco si apre con il dialogo tratto da Le Nuvole di Aristofane, in cui Strepsiade espone a Socrate il suo "mezzo molto abile" per distruggere una citazione giudiziaria utilizzando una "pietra bella, limpida, trasparente" per concentrare i raggi solari e fondere la tavoletta di cera. L'analisi moderna identifica senza dubbio questo strumento, acquistabile "nelle mesticherie" e "nei negozi aperti al pubblico", con la lente ustoria, concludendo che nel V secolo a.C. le lenti convergenti erano "largamente usate come mezzi per accendere il fuoco". Viene tuttavia evidenziato un paradosso: nonostante la familiarità con l'oggetto, "non si trova mai neppure il più piccolo accenno all’esistenza « nei negozi al pubblico » delle lenti per accendere il fuoco" nei testi scientifici e filosofici dell'epoca, segno che "la scienza e la filosofia se ne sono disinteressate completamente". Questo comportamento, definito "incredibile", è dimostrato dal fatto che autori come Euclide e Teone Alessandrino descrivono l'uso di "specchi concavi opposti al Sole" per accendere il fuoco, ma "sulle lenti, silenzio assoluto". La giustificazione proposta è che i matematici, padroni del funzionamento degli specchi, erano "disarmati" di fronte alle lenti e, per evitare di "dimostrare la propria incompetenza", sceglievano di ignorarle.
3. La Teoria della Visione di Alhazen
La soluzione al problema fondamentale della percezione delle forme e la geniale struttura teorica che ha superato gli scogli delle dottrine antiche.
Sommario
Il blocco tratta della teoria della visione elaborata da Alhazen, che risolve il problema di come la luce indichi le forme e la struttura dell'oggetto all'organo sensibile. La sua idea fondamentale è che "ad ogni punto dell’oggetto osservato corrisponda un punto impressionato nell’occhio", superando così la visione promiscua di luci e colori. Questo concetto, sebbene elaborato con nozioni di rifrazione ancora modeste, viene considerato "addirittura geniale e quasi profetico". Alhazen supera le teorie precedenti sminuendo l'oggetto visibile in elementi puntiformi e penetrando minuziosamente nell'occhio, utilizzando il contributo di Galeno. La sua costruzione teorica evita il problema dell'inversione dell'immagine facendo avvenire l'impressione sulla prima superficie del cristallino, prima che l'ordine si inverta, un'"acrobazia teorica" necessaria poiché sulla retina le cose "andrebbero a rovescio". Nonostante errori e difficoltà, come la necessità di un solo raggio per punto dell'oggetto e la spiegazione della visione periferica tramite la rifrazione, la sua opera è riconosciuta come fondamentale: "non esitiamo a riconoscere in Alhazen il vero fondatore di quella che oggi si chiama « ottica fisiologica »". Vengono infine accennate le sue idee sulla luce, descritta come qualcosa che "si propaga secondo traiettorie rettilinee" e che ha la proprietà di riflettersi e rifrangersi, dimostrata attraverso un esperimento di camera oscura.
Blocco 4: La rinascita medievale e le correnti filosofiche sulla luce
Un'analisi del contesto culturale e del dibattito tra le scuole fisiche e filosofiche sulla natura della luce e della visione nel Medioevo.
Sommario
Il blocco descrive il periodo storico in cui "la cultura in Occidente riprendeva quota", caratterizzato da un ambiente conservatore dove "la « tradizione » e « l’autorità dei maestri » erano argomenti superiori ad ogni altro". In questo contesto, gli sperimentatori erano considerati "una specie di rivoluzionarii" e venivano boicottati. La discussione si concentra poi sulla contrapposizione tra le idee di Avicenna e quelle dei fisici come Alhazen. Avicenna, "contro il materialismo", "minimizza del tutto la parte fisico-fisiologica" della visione, concentrandosi sull'attività psichica, mentre Alhazen riconosceva "che la prima fase era fisica". Le idee di Avicenna "trovarono in Occidente un’accoglienza ben più favorevole" e il suo indirizzo incontrava "una vera risonanza" nella mentalità filosofica occidentale. In opposizione ad Avicenna, Averroé "prese una posizione contraria a quella del predecessore", pur restando sul piano filosofico. La situazione si sintetizza in una divisione tra gli ambienti matematico, fisico e filosofico, con una contesa per il primato tra i fisici e i filosofi. Questa divisione portò a una distinzione terminologica: i fisici adottarono il termine lumen per l'agente esterno, mentre i filosofi avicenniani adottarono il termine lux per la rappresentazione psichica. Ne derivò una "metafisica della luce", i cui esponenti, come Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, scrissero opere di perspectiva, una scienza della visione distinta dalla prospettiva moderna. Per fedeltà alle fonti, si utilizza la terminologia originale di lume e luce.
5. L'invenzione degli occhiali e la diffidenza della scienza
Una scoperta artigiana tra innovazione pratica e l'ostracismo del sapere accademico.
Sommario
Il blocco descrive l'invenzione degli occhiali tra il 1280 e il 1285 come una "novità sensazionale" e "il germe di un rivolgimento profondo", sebbene il suo impatto sullo sviluppo della scienza ottica sia stato inizialmente sottovalutato. Questa applicazione delle lenti alla correzione della presbiopia, e successivamente della miopia, fu un'iniziativa prettamente artigianale, nata forse quando un utente anziano di lenti ustorie "ci ha guardato attraverso, o per caso" e scoprì che "riguardava, anche assai vicini agli occhi, tenendo una lente davanti agli occhi stessi, rivedeva gli oggetti nettamente come quando era giovane". L'ambiente scientifico, invece, mantenne un atteggiamento di diffidenza e ostracismo, definendo le lenti come "fallaci" e "il più grosso imbroglio che fosse mai stato costruito", ritenendole indegne di entrare "nella torre d'avorio della scienza". Questo perché, secondo la regola generale dell'alta filosofia, "il senso della vista era il più infido di tutti i sensi e che si poteva credere a ciò che si vedeva soltanto quando era confermato dal tatto". Le lenti, mostrando figure "ingrandite, impiccolite, capovolte, deformate", alteravano la percezione della verità. La "congiura del silenzio" fu così unanime che per secoli non si trovano citazioni nei testi scientifici, mentre la documentazione sulla loro esistenza e uso proviene da carteggi privati, come le lettere degli Sforza che richiedevano lenti per miopi a Firenze nel 1462. Il comportamento della classe colta è giustificato come un "tacito riconoscimento della propria ignoranza in materia", come ammesso da Giovan Battista Della Porta, il quale scriveva che a proposito delle lenti nessuno aveva sviscerato ancora, "né questi effetti né le ragioni". Il blocco si chiude anticipando i radicali innovamenti del XVI secolo.
La Magia Naturalis di Della Porta: i tre elementi del Libro XVII (6)
La diffusione di un'opera non scientifica e le sue inattese conseguenze per l'ottica.
Sommario
Il blocco analizza tre punti salienti del XVII Libro della Magia Naturalis di Giovan Battista Della Porta, evidenziandone la portata storica. Il primo elemento è la descrizione della camera oscura con lente, dove l'autore paragona esplicitamente il dispositivo all'occhio umano, affermando che "il simulacro entra per la pupilla, come attraverso il foro della camera oscura, e la lente sferica in mezzo all’occhio tiene il posto dello schermo". Sebbene non si tratti di una scoperta originale, la vasta diffusione dell'opera divulgò queste conoscenze universalmente, attribuendo erroneamente al Porta l'invenzione e attirando l'attenzione degli scienziati sulla questione. Il secondo punto riguarda l'uso delle lenti, con il Porta che accusa la scienza del tempo di non aver saputo dar ragione del loro funzionamento, sostenendo che "nessuno ha sviscerato ancora né questi effetti né le regioni". Quest'accusa, lanciata in un'opera a larga diffusione, ebbe effetti immediati. Il terzo brano, spesso interpretato come una ricetta per il cannocchiale, viene qui considerato una descrizione di occhiali per "comodità della vista", in cui si afferma che "se saprai comporre giustamente le une e le altre [lenti concave e convesse], vedrai ingrandite e chiare e le cose lontane e quelle vicine". L'insieme di questi elementi ruppe la "congiura del silenzio" sulle lenti. In risposta, il Porta pubblicò il De Refractione, primo tentativo di una teoria delle lenti, che, pur fallendo nel suo intento di spiegare i nuovi dispositivi con le concezioni ottiche classiche, ne dimostrò l'inadeguatezza.
7. La Rivoluzione del Cannocchiale e la Nascita dell'Ottica Moderna
Un cambiamento radicale nell'ottica, innescato dal cannocchiale e dalle scoperte di Galileo, che portò al superamento delle teorie classiche.
Il blocco descrive la transizione dall'ottica antica, dominata dalle teorie aristoteliche delle "specie" e "simulacri", a una nuova ottica geometrica. Nonostante i "Paralipomena" di Keplero del 1604 segnino una svolta, il loro impatto iniziale fu modesto a causa della resistenza dell'ambiente accademico. L'opera presentava una grave lacuna: "delle lenti non se ne fa alcuna teoria". L'avvento del cannocchiale incontrò inizialmente una "unanime disapprovazione" poiché, non comprendendo il funzionamento delle lenti, gli accademici lo ritenevano uno strumento fallace che "inganna e non fa conoscere la verità". La situazione cambiò con Galileo Galilei, la cui mente "non era ottenebrata dalla campagna di sfiducia" contro gli artifici ottici. Egli costruì cannocchiali "esquisiti" e, per primo nella cultura filosofica, concluse "che si doveva credere in ciò che si vedeva nel cannocchiale". Le sue scoperte celesti, rese pubbliche nel "Sidereus Nuncius", suscitarono una reazione violenta, ma la successiva conferma di Keplero, che riconobbe ufficialmente che "Galileo ha ragione", sancì la vittoria. Questa affermazione provocò una "catastrofe" così profonda che "l'ottica classica ne rimase definitivamente schiantata". L'analisi si estende poi al contributo di Francesco Maurolico, le cui idee, come l'introduzione del "raggio luminoso, geometrico", sono considerate la "data di nascita" di questo concetto fondamentale. Vengono evidenziate forti affinità con le proposizioni di Keplero, portando a chiedersi perché quest'ultimo non citò mai Maurolico, pur elogiando eccessivamente Giovanni Battista Della Porta, definendolo "eccellente sacerdote di culti segreti della natura". La pubblicazione postuma delle opere di Maurolico nel 1611, con note di Cristoforo Clavio, mirava a salvaguardarne il lavoro dal plagio, complicando ulteriormente la ricostruzione storica dei debiti intellettuali.
L'ipotesi di appropriazione intellettuale in ottica: Keplero e Maurolico 8
La controversia sull'utilizzo delle idee di Francesco Maurolico da parte di Giovanni Keplero e la successiva eclissi dei Paralipomena.
Il testo esamina la possibilità che Keplero si sia appropriato delle idee ottiche fondamentali di Maurolico senza attribuirgliene il merito. Si sostiene che i Photismi del Maurolico, pubblicati nel 1575, fossero disponibili e che "se ne deve tener conto nel giudicare l’intervento degli scienziati del XVI e del XVII secolo". Viene notato che "Il Porta non ne parla affatto, e ciò potrebbe significare che non ne conosceva l’opera", a differenza di Keplero che, giovane e in cerca di affermazione, "potrebbe anche aver architettato un piano ricco di risorse: tacere completamente ciò che riguardava il Maurolico, pur prendendone le idee nuove fondamentali". La differenza di religione tra il "luterano" Keplero e il cattolico Maurolico è suggerita come una possibile giustificazione per un tale comportamento. L'ipotesi è che questo piano abbia portato Keplero a presentare le sue scoperte come totalmente originali, ottenendo il credito per una "teoria affascinante « de modo visionis »", mentre l'opera di Maurolico veniva dimenticata. Viene citata "l’opinione... molto diffusa nell’ambiente scientifico del XVII e anche del XVIII secolo" che vedeva l'opera di Keplero come una "prosecuzione e sviluppo di quella dello scienziato messinese". Un caso specifico discusso è la teoria delle immagini negli specchi piani, dove Keplero affermava di essere il primo a dare una "« vera demonstratio »", introducendo il concetto di figura "« intentionalis »", cioè soggettiva. Il testo osserva che "l’ottica di oggi è positivista, e non vuol considerare niente di soggettivo", il che spiega forse la dimenticanza di questo contributo. La "catastrofe dell’ottica antica" nel 1610, con la polemica sui satelliti di Giove, cambiò radicalmente l'atteggiamento verso l'ottica, portando alla luce nuove concezioni sul "« lumen »" e sulla propagazione della luce, basate sulle idee dei Photismi.
Riferimenti minori
- La pubblicazione dei Photismi a Venezia (1575), Napoli (1611), Messina e Lione (1613) e la loro ristampa nel 1691.
- L'uscita dei Paralipomena di Keplero nel 1604 e il loro oblio successivo.
- L'edizione della Magia Naturalis del Porta del 1589.
La Dimostrazione del Principio di Fermat 9
La storia della scoperta e della dimostrazione del principio del minimo tempo nella rifrazione della luce, narrata da Pierre Fermat in una lettera.
Sommario
Il blocco di testo presenta la traduzione e il commento di una lettera di Pierre Fermat, nella quale il matematico racconta la genesi del suo principio secondo cui "la natura agisce sempre per le vie più brevi". Fermat descrive il suo iniziale scetticismo verso la dimostrazione di Descartes sulla rifrazione, da lui giudicata un "vero paralogismo", e la successiva, lunga elaborazione della propria teoria. Nonostante le obiezioni iniziali e le conferme sperimentali a favore di Descartes, Fermat, spinto dalle insistenze di De la Chambre, sviluppa una propria analisi. Con suo stupore, questa conduce alla stessa legge della rifrazione di Descartes, ma partendo dal postulato opposto sulla velocità della luce. Egli scrive: "supponevo proprio il contrario" riguardo alla resistenza nei mezzi, concludendo che "l’opinione del Sign. Descartes sulla legge della rifrazione era giustissima, l’altra che la dimostrazione era molto falsa". La lettera documenta anche la controversia con i cartesiani, che inizialmente respinsero la dimostrazione, e la loro riluttante accettazione di lasciare il giudizio ai posteri. Vengono infine analizzati i presupposti fisici "non espressi nitidamente" del ragionamento di Fermat, come il legame tra resistenza e tempo di percorrenza, e la datazione della lettera, probabilmente scritta poco prima della sua morte nel 1665.
10. La natura della luce e la sua propagazione secondo padre Grimaldi
Indagine sperimentale e teorica sulla sostanzialità della luce, i pori della materia e la confutazione della propagazione per azioni sferiche secondarie.
Sommario
Il blocco tratta della concezione di padre Grimaldi sulla natura della luce, da lui considerata una sostanza corporea, sottile e fluida, diffusa con "celeri ac valido impetu". Viene affrontato il problema dei pori nella materia, che, non potendo essere vuoti, sono ipotizzati pieni di "purus aether" o di luce stessa, immobile e invisibile, che diviene mobile all'arrivo di nuova luce. Si discute un'ipotesi sull'origine della luce solare, con Grimaldi che controbatte l'idea di una contrazione del Sole dovuta all'emissione continua di luce sostanziale, citando Keplero e concludendo che il Sole "dovrebbe essere diminuito al massimo di un minuto primo" e che "durerà fino al Giudizio Universale". Una parte significativa è dedicata alla confutazione della propagazione della luce per "azioni sferiche secondarie", un principio simile a quello poi attribuito a Huyghens. Grimaldi si oppone a questa idea perché, se i punti raggiunti diventassero a loro volta sorgenti luminose irradianti "sfericamente", ciò sarebbe "contrario alla esperienza della propagazione rettilinea della luce". Egli ritiene assurdo questo meccanismo nonostante citi esempi a suo favore, come l'incendio che si propaga attraverso scintille o la fusione di un pezzo di ghiaccio colpito da un fascio di luce, dove "prima si fonde la parte colpita; poi via via le parti circostanti, anche non illuminate". La sua posizione si riassume nell'affermazione che la luce procede "per solam rectam lineam, et non habere vim diffundendi, seu propagandi se quoquoversus", come dimostrerebbe l'osservazione di un raggio che passa attraverso un foro in una stanza buia. La concezione finale è espressa con la convinzione che non sia "al di sopra delle forze della Divina Onnipotenza" l'esistenza di una "sostanza corporea porosa" e di una "sostanza pure corporea, così sottile, fluida, e irradiata". Viene infine accennato il tema della riflessione, dove si sostiene che il meccanismo sia evidente per una luce materiale, mentre sarebbe difficile da spiegare per una luce accidentale.
11. Le esperienze e le preoccupazioni di Newton sulla diffrazione
Analisi delle osservazioni newtoniane sui fenomeni di diffrazione e delle difficoltà incontrate nella loro spiegazione teorica.
Sommario
Il blocco descrive le esperienze di diffrazione condotte da Newton, come l'osservazione di "frange iperboliche" e della "striscia nera che si forma nel mezzo del fascio" dopo una fessura. Viene notato che le misure dimostrano che "le frange stesse non appartengono a dei piani tangenti all’ostacolo, ma a superficie curve", fatto che, insieme al comportamento variabile della striscia nera, viene identificato come "fonte di serie preoccupazioni" per lo scienziato. Si evidenzia come Newton spieghi il fenomeno con un modello di "inflessione" della luce da parte degli orli, descrivendo le esperienze "col linguaggio stesso della spiegazione, quasi per indurre il lettore a vederle senz’altro in quella data luce". Viene riportata la sua descrizione di come il raggio "si divise in due parti e lasciò un’ombra fra queste due parti", un'ombra talmente nera che "tutta quanta la luce trasmessa tra i coltelli sembrava inflessa". Tuttavia, il testo sottolinea le contraddizioni interne a questo modello, come il fatto che "allontanando lo schermo dalla fessura, al posto della linea nera ci veniva piena luce" e la conseguenza "inevitabile" che "l’azione di attrazione o di repulsione degli spigoli dell’oggetto diffrangente doveva continuare anche quando i corpuscoli ne erano lontani!", fatto giudicato "veramente troppo!". Si osserva che Newton, consapevole delle difficoltà, "abbozza un principio di spiegazione" ma alla fine si ritira, affidando ad altri il compito di continuare gli studi, come attestano le sue parole: "non possum id nunc in animum meum inducere, ut ad studia haec intermissa iterum me referam".
La posizione di Newton sulla luce: 12
Un'analisi critica del modello corpuscolare e delle sue contraddizioni interne, tra l'abiura non dichiarata e l'opposizione alla teoria ondulatoria.
Sommario
Il blocco delinea la complessa e contraddittoria posizione di Newton riguardo alla natura della luce. L'autore sostiene che Newton, nonostante le apparenze, non abbia mai sostenuto in modo reciso la teoria corpuscolare, ma che anzi il suo lavoro contenga "uno sforzo immane di giungere ad una costruzione teorica di larghissima portata, seguito da un fallimento intimo". Viene descritto il modello corpuscolare newtoniano in dettaglio: la luce è composta da "corpuscoli piccolissimi e velocissimi, detti raggi di luce", che possiedono dimensioni diverse per i diversi colori e una "proprietà oscillante". Tuttavia, il testo evidenzia le profonde incongruenze di questo modello, notando come lo stesso Newton, "costrettovi dai fenomeni di diffrazione, aveva perfino rinunciato alla propagazione rettilinea assoluta dei corpuscoli!". La contraddizione culmina nel fatto che, mentre il modello dimostrava la "necessità di far capo ad un meccanismo ondulatorio", Newton prendeva "posizione netta contro la teoria ondulatoria", arrivando a liquidare l'ipotesi ondulatoria nella Sezione VIII dei Principia con l'affermazione che "la luce infatti, dal momento che si propaga per linee rette, non può consistere in un’azione pura".
13. La teoria ondulatoria della luce di Huyghens e le sue sfide
La costruzione del modello ondulatorio e la spiegazione dei fenomeni ottici fondamentali.
Il blocco delinea lo sviluppo della teoria ondulatoria della luce da parte di Huyghens. Viene descritta la sua scelta di considerare la luce come moto, l'introduzione dell'etere come mezzo di propagazione elastico e durissimo e il principio geniale dell'inviluppo delle onde elementari per spiegare la propagazione rettilinea. Huyghens applica questo meccanismo alla riflessione e alla rifrazione, quest'ultima spiegata ammettendo "una diversa velocità della luce nei due mezzi". Affronta poi la doppia rifrazione dello spato d'Islanda, supponendo che "le velocità di propagazione entro lo spato debbono essere due" e che un'onda sia sferica e l'altra a forma di ellissoide, ottenendo un accordo "veramente mirabile coi dati sperimentali". Tuttavia, la teoria incontra difficoltà concettuali, come la spiegazione della variazione di velocità nei diversi mezzi nonostante l'etere universale, per cui "Huyghens propone tre soluzioni". Emergono anche punti deboli, come la mancata considerazione della diffrazione, poiché "Huyghens non si è voluto occupare della diffrazione", ritenendo trascurabili le onde senza inviluppo, e l'incapacità di spiegare le proprietà dei raggi uscenti da un cristallo di spato, un mistero che seppe "tenere in scacco i sapienti di tanti secoli". La complessità matematica dei moti ondulatori e la mancanza del concetto di interferenza sono identificate come ragioni per cui "il concetto di Huyghens non ebbe seguaci immediati".
Note e riferimenti
(2855) - 35 Scriveva G. W. Leibnitz a Huyghens nel 1690: «...Ma quando ho visto che la supposizione delle onde sferoidali ti serve con la stessa facilità a risolvere i fenomeni della rifrazione diaclastica del cristallo d'Islanda, sono passato dalla stima all'ammirazione». (2820) - 33 «E quindi i raggi della luce possono considerarsi come se fossero del tutto linee rette». (2846) - 34 «Confesso che qui rimane qualche difficoltà...». (2864) - 36 Huyghens, Tractatus de lumine cit., p. 64.
14. La teoria corpuscolare della luce: opposizione e declino
La persistente critica e l'assenza di progressi nella teoria corpuscolare newtoniana nel XVIII secolo.
Sommario
Il blocco analizza la fragilità e la mancanza di sviluppo della teoria corpuscolare della luce dopo Newton. Viene sottolineato che "una vera teoria corpuscolare" forse non esistette mai negli ambienti scientifici più elevati, poiché lo stesso Newton, conoscendo fenomeni come "l'interferenza, la diffrazione e la doppia rifrazione, sapeva benissimo che il modello corpuscolare non ci si poteva adattare". L'opposizione fu sia sperimentale, come quella di Hooke, che filosofica, come le critiche di Leibnitz che vedeva nell'uso di termini come "forza" e "attrazione" un "tradire i concetti meccanicistici della filosofia naturale". Anche Eulero, a metà Settecento, si oppose, dimostrando praticamente, attraverso il lavoro di Dollond, che era possibile "acromatizzare gli obbiettivi", colpendo così un'idea già morente. Tuttavia, gli amici della teoria si rivelarono altrettanto pericolosi: l'opera di padre Boscovich, un seguace, è presentata più come una "demolizione delle idee di Newton che a un rafforzamento". Il testo conclude che la teoria "era morta da sé" perché, rimanendo "in quegli stessi limiti, a cui Newton era arrivato", non fu feconda, e il newtonianesimo divenne un "vero e proprio dogma" più duro di quello peripatetico che intendeva sostituire.
Blocco 15: La Distinzione Storica tra Lumen e Lux e la Nascita della Fotometria
La progressiva confusione tra l'agente fisico della luce e la sua percezione soggettiva, e le sue conseguenze per la scienza.
Il testo tratta della chiara distinzione, presente nella scienza prima del XVIII secolo, tra lumen, l'agente fisico esterno, e lux, la sensazione luminosa interna. Questa distinzione, espressa anche nella nomenclatura latina, era ritenuta fondamentale per investigare la natura della luce, poiché "se così non fosse stato... il modello con cui questo veniva ad essere teoretizzato avrebbe dovuto essere luminoso e colorato". La distinzione permise lo sviluppo delle teorie corpuscolari e ondulatorie. Viene analizzato il pensiero di Newton, il quale, pur consapevole della differenza, contribuì a uno "slittamento" linguistico, affermando che i raggi, "se proprie loqui velimus, non sunt colorati" ("se vogliamo parlare propriamente, non sono colorati"), ma usando poi comunque i nomi dei colori per praticità. Col tempo, questa distinzione fu completamente dimenticata, anche a causa dell'uso nelle lingue moderne di un'unica parola per indicare sia lumen che lux. Questo portò alla convinzione, ritenuta errata, che la luce fosse "un qualche cosa di obbiettivo, di fisico, di esterno all’osservatore". È in questo contesto di "allontanamento dalle giuste concezioni del passato" che Pierre Bouguer pose le basi della fotometria, la scienza nata per "misurare la luce", il cui sviluppo iniziale fu ostacolato da "difficoltà straordinarie".
16. Il perfezionamento sperimentale e le scoperte di Fresnel sulla diffrazione
Un incidente sperimentale che ha permesso di osservare direttamente i fasci luminosi, portando a scoperte fondamentali sulle frange di diffrazione.
Il blocco descrive il perfezionamento della tecnica sperimentale di Fresnel, nato da un incidente: l'abbassamento di un vetro smerigliato gli rivelò che "le frange erano visibili molto meglio" senza schermo. Questo "grande passo compiuto con questa variante sperimentale apparentemente così modesta" gli permise di usare una sorgente luminosa microscopica e un micrometro per misurare "al centesimo di mm". Fresnel "aveva messo sotto processo l’inflessione, e la voleva seguire nel suo processo formativo", scoprendo che "le frange « esterne » nascevano tutte insieme proprio sull’orlo dell’ostacolo". Le sue misurazioni mostrarono che "la medesima frangia non si propaga in linea retta, ma secondo un’iperbole", un risultato che Arago giudicò "molto importanti; forse potranno servire a provare la verità del sistema ondulatorio". Tuttavia, Fresnel stesso si rese conto che la sua prima teoria, che mescolava raggi e onde, era insoddisfacente. Un esperimento decisivo con un rasoio, dove le "frange identiche dalle due parti" contraddicevano le previsioni, lo portò a concludere che la sua teoria, sebbene approvata, era "destituita di fondamento".
Definizione e misurazione del colore e scoperta delle radiazioni invisibili - 17
La caratterizzazione fisica del colore e la successiva scoperta di radiazioni oltre lo spettro visibile.
Sommario
Il blocco tratta della definizione fisica del colore, stabilita dalla Commissione internazionale dell'illuminazione attraverso tre parametri: "la brillanza, il tono di colore e la saturazione". Viene spiegato che "ogni colore è stato considerato come la miscela di un colore puro o spettrale, o «saturo», e di una certa dose di «bianco»". Per misurare oggettivamente il colore di un corpo, è necessario stabilizzare i tre fattori che influenzano la percezione: "1) la composizione spettrale della luce illuminante; 2) le proprietà fisiche... del corpo in esame; 3) le proprietà sensitive dell’apparato visivo dell’osservatore". Si conclude, tuttavia, che "si rinuncia a misurare il colore" perché "il colore, come la luce, non è un’entità fisica". La seconda parte descrive la scoperta delle radiazioni invisibili. Herschel, proiettando uno spettro solare su dei termometri, notò che "si riscaldano ancora di più quelli fuori dello spettro visibile, dalla parte del rosso", scoprendo così l'esistenza dei raggi infrarossi, una "luce invisibile". Parallelamente, Ritter e Wollaston osservarono che l'annerimento dei sali d'argento avveniva "anche dove l’occhio non vedeva nessuna radiazione colorata, ma solo dalla parte del violetto", scoprendo l'ultravioletto. Queste "luci nere" furono poi comprese come onde elettromagnetiche con lunghezze d'onda al di fuori dello spettro visibile, gettando le basi per una crisi nella concezione fisica della luce.
Riferimenti
(3625) - (3669)
La Natura della Visione e della Luce 18
Un'indagine sulla distinzione tra il mondo fisico oggettivo e la percezione soggettiva della luce e del colore.
Sommario
Il blocco delinea una teoria della visione che separa nettamente il mondo fisico, descritto come "buio; privo di luce e di colore", dalla percezione psicologica. Il processo visivo è presentato come composto da tre fasi inscindibili: una fisica, in cui i corpi irradiano energia sotto forma di "onde" o "radiazioni" prive di proprietà luminose; una fisiologica, in cui queste radiazioni, se comprese in uno specifico intervallo di lunghezze d'onda, provocano reazioni sulla retina e la trasmissione di "impulsi nervosi" al cervello; e una psicologica, in cui la psiche elabora questi impulsi e "crea un complesso di fantasmi luminosi e colorati". Si afferma esplicitamente che "La luce e il colore esistono soltanto nella fase psicologica" e che sono "entità esclusivamente, assolutamente soggettive", non appartenenti al mondo esterno e quindi non di competenza della fisica.
La trattazione prosegue proponendo una riformulazione terminologica per chiarire questa distinzione fondamentale. Si sostiene la necessità di ripristinare la distinzione medievale tra lumen (l'agente fisico) e lux (la percezione soggettiva). Si propone di utilizzare il termine "radiazione" o "energia raggiante" per indicare il lumen, riservando la parola "luce" al significato di lux, cioè "ciò che è contrario al buio". Viene quindi analizzato il concetto fotometrico di "luce", definendolo come una "manipolazione" della radiazione che non è né radiazione pura né luce percepita, ma piuttosto "radiazione ottica". L'introduzione di una nomenclatura duale, come "luminanza" (grandezza fisica) e "brillanza" (grandezza psichica), è presentata come un passo necessario per distinguere "ciò che c’è, rivelabile mediante strumenti inanimati, e ciò che si vede". La conclusione è che la luce, come entità definita, non esiste nel mondo fisico e non è un flusso tra psiche e fantasma; il suo unico significato residuo è quello di "‘assenza di buio’", poiché "Esservi luce significa soltanto che la psiche non sta inoperosa, e crea i suoi fantasmi".