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Storia della Scienza vol. 1 - Paolo Rossi - Lettura (18d)


//: t 1.0

Blocco 1: Storia della Scienza: Metodi, Scelte e Istituzioni

Un'indagine sui metodi storiografici e le scelte editoriali nella ricostruzione dello sviluppo scientifico, con particolare attenzione alle istituzioni accademiche.

Il sommario discute i dibattiti metodologici nella storiografia scientifica, tra trattazione settoriale e unitaria, storia interna ed esterna, e le loro rispettive limitazioni. Viene proposta una presa di distanza dalle dicotomie rigide, sottolineando come "le contrapposizioni rigide, le coppie opposizionali, il ‘pensare per dicotomie’ e per alternative radicali si sono rivelati strumenti insufficienti e parziali". L'opera adotta scelte precise: delimitazione cronologica dall'età di Copernico alla scienza occidentale moderna, esclusione delle scienze umane per focalizzarsi su "matematica, fisica, astronomia-cosmologia, biologia, chimica", rinuncia a capitoli dedicati a singoli scienziati (eccetto sei figure simboliche) per seguire "il movimento e l’articolazione dei problemi, delle teorie, degli esperimenti". Viene evidenziato il ruolo delle università, descritte come strutture piramidali dove "l’insegnamento della filosofia non solo occupava nella vita accademica un posto di maggior rilievo, ma era anche collocato in una posizione più alta nella gerarchia del sapere", e il loro rapporto con le accademie scientifiche nascenti.


//: t 2.1

Blocco 2: Istituzioni scientifiche e università nell'Europa moderna

L'evoluzione delle istituzioni accademiche e la nascita delle società scientifiche tra Cinque e Settecento.

Sommario

Le università europee tra Cinque e Seicento erano dominate dalle facoltà di legge, medicina e teologia, con un'organizzazione didattica rigida e una presenza marginale delle scienze matematiche e sperimentali. "Delle tre grandi Facoltà, quella di legge era la più importante sia in termini di prestigio e di remunerazione dei docenti, sia in termini di numero di studenti" (397), mentre la teologia, pur con pochi docenti, esercitava "un'influenza notevolissima" (398). I curricula medici prevedevano un quinquennio diviso tra logica, filosofia naturale e studio simultaneo di teoria e pratica medica basata su Ippocrate, Galeno e Avicenna (400-402). Discipline come anatomia, chirurgia e botanica tendevano a rendersi autonome (404-405), ma "L'insegnamento della matematica occupava, nel curriculum universitario, un posto secondario" (412), coprendo anche astronomia, ottica e geografia (416). La situazione finanziaria e organizzativa variava tra atenei: "Bologna aveva una media di 22 insegnanti di medicina" (413), mentre "per ogni dozzina di medici insegnasse, nelle maggiori Università, un solo matematico" (415).

Critiche alle università provennero da pensatori come Bacone e Cartesio, e in Inghilterra dai puritani, che attaccavano "l'insufficienza dei contenuti dell'insegnamento e l'arretratezza dei metodi di trasmissione del sapere" (427). Tentativi di riforma miravano a introdurre "nuove scienze" per favorire "applicazioni pratiche e le 'invenzioni'" (428). Nei Paesi Bassi, la tolleranza religiosa e politiche educative progressive favorirono atenei come Leida, con "alti stipendi" per professori stranieri (438) e un'affluenza di "4.100 studenti di lingua inglese" in medicina tra 1575 e 1635 (439). Tuttavia, anche qui "le Università non erano la sede della scienza" (441), con figure come Huygens e Leeuwenhoek che operavano al di fuori di esse.

Il Seicento vide la nascita di accademie scientifiche come alternative alle università, luoghi dove "venivano scambiate informazioni, discusse ipotesi, analizzati e realizzati in comune esperimenti" (459). L'Accademia dei Lincei (1603) mirava a "leggere questo grande, veridico et universal libro del mondo" e "sperimentare per alterarle et variarle" (477), evitando "ogni controversia fuor che naturale e matematica" (483). L'Accademia del Cimento (1657-1667) si caratterizzò per un rigido sperimentalismo, mentre l'Accademia degli Investiganti di Napoli (1663-1670) legava scienza a riforme sociali, auspicando che gli esperimenti servissero "a spiare le ragioni de' naturali avvenimenti" (516). In Francia, l'Académie Royale des Sciences (1666) fu finanziata dallo Stato e perseguì "lavorare alla storia naturale secondo il piano tracciato da Bacone" (536). La Royal Society (1662) mantenne indipendenza statale, dedicandosi a compilare "storie" di meccanica, astronomia e arti (565) e configurandosi come "banca universale e il libero porto del mondo" (569).

Nel Settecento, l'istituzionalizzazione della scienza proseguì con accademie a Berlino, Bologna, Pietroburgo e nelle Americhe, mentre l'Encyclopédie di Diderot unificava scienza e tecnologia, criticando la "contrapposizione fra le arti liberali e le arti meccaniche" (649). In Francia, la Rivoluzione abolì le accademie nel 1793, ma creò nuove strutture come l'École Polytechnique, dove la ricerca divenne "una professione o come un impiego a tempo pieno e retribuito" (677). Differenze tra tradizioni scientifiche persistevano: "il centro delle scienze 'matematiche' fu l'Europa, il centro delle scienze 'baconiane' l'Inghilterra" (717), con la Royal Society aperta a dilettanti e l'Académie des Sciences più strutturata.


//: t 3.2

Blocco 3: La rinascita della magia e del pensiero ermetico nel Rinascimento

La diffusione e l'influenza dei testi ermetici nella cultura europea tra Quattrocento e Seicento, con le loro connessioni con magia, astrologia e alchimia.

Il Corpus Hermeticum, tradotto da Marsilio Ficino tra il 1463 e il 1464, "ebbe vastissima diffusione manoscritta" e sedici edizioni stampate fra il 1471 e la fine del Cinquecento. Quei testi, attribuiti al leggendario Ermete Trismegisto, sono alla base della "grande rinascita della magia del tardo Quattrocento e del Cinquecento" e continuarono a operare "fondamente nella cultura europea fino alla metà del Seicento". Attraverso questi scritti, "tutta la grande eredità magico-astrologica del pensiero antico e medievale veniva inserita in un vasto e organico quadro platonico-ermetico" dominato dalla tendenza a cogliere l'Unità sottesa alle differenze e dall'aspirazione a una "totale pacificazione nell'Uno-Tutto".

Magia, astrologia e alchimia appaiono strettamente interconnesse in questo sistema di pensiero, dove "la natura, pensata dalla cultura magica, non è solo materia continua e omogenea che riempie lo spazio, è un Tutto-vivente che ha in sé un'anima". Questo universo è caratterizzato da corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo: "fra il grande mondo o macrocrosmo e il microcosmo o mondo in piccolo (e tale è l'uomo) esistono puntuali corrispondenze". Il mago è colui che sa penetrare questa realtà complessa, conoscendo "le catene di corrispondenze che discendono dall'alto" e costruendo "una ininterrotta catena di anelli ascendenti" mediante invocazioni, numeri e talismani. L'astrologia viene definita come "una religione astrale in sembianze scientifiche", mentre l'alchimia presenta un linguaggio ricco di "scambi semantici, slittamenti di significati, analogie, metafore" su un terreno iniziatico e religioso. Figure come Agrippa, Della Porta, Cardano e Campanella sviluppano queste concezioni, presentando la magia naturale come un'attività che "contempla la forza di tutte le cose naturali e celesti" e che produce effetti mirabili non contro natura, ma provenienti da essa.


//: t 4.3

Blocco 4: La segretezza nella tradizione magica e alchemica e la critica baconiana

La polemica contro la magia e l'immagine moderna della scienza

Il sommario tratta della centralità del tema della segretezza nella tradizione magica e alchemica, come emerge dalle frasi fornite. "La magia fu celata dai filosofi" (1037) e "Essi non la rivelarono agli uomini e parlarono con parole oscure" (1038) illustrano la natura riservata di questa conoscenza. La giustificazione di tale occultamento è legata alla protezione della verità da coloro che non ne sono degni: "se questa scienza fosse stata resa accessibile, essi avrebbero sconvolto l'universo" (1039). La comunicazione dei segreti è quindi riservata a iniziati, mentre "la 'preziosa gemma' dell'alchimia andrà occultata agli indotti e ai fanciulli" (1042). L'immutabilità delle formule e la ripetizione di citazioni ed esempi attraverso i secoli caratterizzano questa letteratura, come evidenziato da "Ciò che colpisce, di fronte al tema della segretezza, non è la varietà, ma la immutabilità delle formule" (1048). Figure come Paracelso, Agrippa e Robert Fludd incarnano l'ideale del sapiente come eletto, la cui conoscenza deriva da un destino eccezionale. Tuttavia, Francis Bacon contesta radicalmente questa tradizione, definendo la magia naturale come "raccoglie credule e superstiziose nozioni e osservazioni di simpatie e antipatie e proprietà occulte ed esperimenti futili" (1099). Bacon propone un sapere fondato su metodo, collaborazione e utilità, rifiutando "l'iniquo e fallace connubio" tra indagine naturale e discorso mistico-religioso (1103) e affermando che "il metodo della scienza da lui progettato non lasciava gran parte al genio singolo ed eguagliava in qualche modo le intelligenze" (1122).


//: t 5.4

Blocco 5: La risoluzione delle equazioni algebriche nel Rinascimento e le controversie tra matematici

La scoperta e lo sviluppo di metodi per risolvere equazioni di terzo e quarto grado, le dispute sulla paternità delle soluzioni e l'evoluzione del pensiero algebrico nel XVI secolo.

Il sommario tratta della scoperta della formula risolutiva per le equazioni di terzo grado, inizialmente celata da Tartaglia "nelle sue rime" e successivamente pubblicata da Cardano nell'"Ars magna" dopo aver appreso che la regola "era stata trovata molto tempo prima da Scipione" del Ferro. Viene descritto il metodo della "risolvente" dell'equazione di terzo grado, cioè l'equazione di secondo grado "t³+qt=p³/27" ottenibile eliminando la u dal sistema, che permetteva di determinare "facilmente la v stessa, quindi la u, e infine l'incognita x". L'opera di Cardano segnò "una nuova epoca" nella matematica, con il "definitivo superamento dell'algebra medioevale". Viene menzionato il contributo di Ferrari per le equazioni di quarto grado, che le riconduceva a una "risolvente di terzo grado", e la successiva disputa tra Tartaglia e Ferrari, dove i "sei cartelli e le altrettante risposte che allora intercorsero rappresentano uno dei documenti più straordinari della storia della matematica". L'argomento include anche i sviluppi successivi con Bombelli, che introdusse i numeri immaginari per trattare "il caso irriducibile" delle equazioni cubiche, definendo l'unità immaginaria come "più di meno" e "meno di meno", e mostrando come la formula di Scipione del Ferro consentisse di determinare "una radice reale, anche nel caso irriducibile". Viene infine accennato al lavoro di Viète, che trovò una soluzione trigonometrica per il caso irriducibile "senza ricorrere agli immaginari", e alla sua concezione dell'"arte analitica" come alternativa al termine "algebra".


//: t 6.5

Blocco 6: Leonardo da Vinci e la scienza moderna

La ricerca di Leonardo, ricca di intuizioni ma priva di sistematicità, non fonda il metodo sperimentale moderno. I suoi progetti, spesso destinati a scopi effimeri, oscillano tra esperimento e annotazione, senza formare un corpus di conoscenze trasmesso ad altri.

Sommario

La valutazione di Leonardo come precursore della scienza moderna è problematica. La sua ricerca, "straordinariamente ricca di balenanti intuizioni e di geniali vedute, non oltrepassa mai il piano degli esperimenti a riprova per giungere a quella sistematicità che è una delle caratteristiche fondamentali della scienza e della tecnica moderne". I suoi appunti appaiono "frantumati e polverizzati in una serie di brevi note, di osservazioni sparse, di appunti scritti per sé medesimo in una simbologia spesso oscura e volutamente non trasmissibile". Le macchine progettate da Leonardo "appaiono costruite, più che come strumenti per alleviare la fatica degli uomini e accrescere il loro potere sul mondo, in vista di scopi fuggitivi: feste, divertimenti, sorprese meccaniche". Tuttavia, nei suoi frammenti si ritrovano affermazioni che torneranno nella cultura moderna, come "l'idea di un necessario congiungimento fra la matematica e l'esperienza" e "l'immagine di una natura 'che non rompe sue leggi', che è una catena mirabile e inesorabile di cause". L'immagine di una "infanzia della scienza" di cui Leonardo sarebbe espressione è da rifiutare, così come l'insistenza sui "precorrimenti" e sul "miracolo" Leonardo richiede spiegazioni. I disegni di Leonardo non sono solo strumenti di ricerca scientifica, ma essi stessi "atti di conoscenza scientifica, ossia indagine critica sulla realtà naturale". I suoi fogli consentono di affacciarsi a un'epoca in cui "quell'avvicinamento, quella compenetrazione (per noi impossibile e illusoria) fra scienza e arte apparvero possibili, si configurarono come reali".


//: t 7.6

Blocco 7: La rivoluzione scientifica e l'esplorazione di nuovi mondi

L'espansione della conoscenza attraverso strumenti ottici e scoperte geografiche nel XVI e XVII secolo.

Il sommario tratta della trasformazione nella rappresentazione della natura e dell'universo, segnata dall'uso del cannocchiale e del microscopio. Galileo Galilei, "sperimenta centomila volte e in centomila altri oggetti", rivoluziona l'astronomia osservando la Luna, "disuguale, scabra, ripiena di cavità e di sporgenze", e scoprendo i satelliti di Giove, sfidando il sistema aristotelico-tolemaico. Le sue scoperte, paragonate alle imprese di Colombo e Magellano, suscitano entusiasmi e polemiche, come quelle del Cremonini che critica "quegli occhiali che imbalordiscono la testa". Parallelamente, il microscopio, definito da Johannes Faber, apre un "mondo nuovo e inaspettato" di microorganismi e strutture biologiche. Robert Hooke, con la Micrographia, descrive dettagli come l'occhio della mosca, introduce il termine "cellula" e sottolinea come i nuovi strumenti rivelino "una varietà di creature così grande come quelle che prima avremmo potuto contare nell'intero universo". Antony van Leeuwenhoek osserva protozoi e batteri, descrivendo "animaletti presenti in una goccia d'acqua" come "la più meravigliosa di tutte le meraviglie". L'esplorazione del Nuovo Mondo, con piante e animali sconosciuti, solleva questioni sulla narrazione biblica e l'origine dell'uomo, mettendo in crisi l'idea della superiorità degli antichi e ampliando i confini della realtà umana.


//: t 8.7

Blocco 8: Metodi geometrici e indivisibili nel XVII secolo

Sviluppo di tecniche geometriche per quadrature e baricentri tra Cinque e Seicento, con particolare attenzione al superamento dei metodi archimedei e all’introduzione degli indivisibili.

Ricerche di statica e prospettiva in Italia e Oltralpe

Verso la fine del Cinquecento, le ricerche di statica geometrica erano di grandissima attualità in Italia e oltralpe. Nei Paesi Bassi, Stevin conduceva ricerche sulla caduta dei gravi e sul piano inclinato, sebbene queste non fossero note a Galileo, Guidobaldo o Valerio. Pubblicate in fiammingo nel 1586, le scoperte di Stevin dovevano diventare largamente note solo postume nel 1614 nella versione francese di Girard. Stevin ottenne risultati indipendenti nell’ambito della prospettiva, risolvendo, seppure in casi particolari, il problema inverso della prospettiva: “date due figure nel piano, in una posizione qualunque, che sono l’una la prospettiva dell’altra, determinare la loro posizione nello spazio e la posizione del centro di proiezione”. Attento alle applicazioni pratiche della matematica, Stevin si affrancava dalla rigida tradizione archimedea, sostituendo metodi più flessibili ai rigorosi argomenti dimostrativi del Siracusano.

Il contributo di Luca Valerio e il metodo del “perpendiculum”

Luca Valerio, definito da Galileo “il nuovo Archimede dell’età nostra”, sviluppò metodi originali per la quadratura di figure curvilinee. In un primo scritto, il Subtilium indagationum, fece ricorso al filo a piombo (“perpendiculum”), ritenendo che “se la costruzione geometrica è sicura, questa che si esegue al perpendiculum che non chiamerei strumento meccanico ma anzi naturale, deve sembrare la più sicura di tutte”. Successivamente, Valerio abbandonò questa convinzione, affermando invece che “la generalità e la purezza della geometria non può affidarsi ad uno strumento meccanico come il filo a piombo”. Il metodo da lui adottato per quadrare le figure e trovare il baricentro di solidi “senza niente lasciare indietro” si basava su due proposizioni fondamentali. La prima affermava che “se A, B e C, D sono quattro grandezze e si possono assegnare due altre grandezze H e K, sempre maggiori (o minori) di A e B rispettivamente e da queste differenti per un eccesso (o un difetto) più piccolo di ogni grandezza assegnabile, e tali inoltre che H:K = C:D, allora sarà A:B = C:D”. La seconda proposizione, usata in luogo dell’esaustione archimedea, stabiliva che “ad ogni figura area diametrum in alteram partem deficienti si può iscrivere una figura qualunque composta di parallelogrammi di uguale altezza e circoscrivere un’altra analoga, in modo tale che la figura circoscritta superi quella iscritta di uno spazio minore di una grandezza qualunque assegnata”. Questo strumento gli permise di quadrare una vasta classe di figure, di cui il segmento parabolico di Archimede rappresenta solo un caso particolare.

Kepler e la manipolazione di infiniti e infinitesimi

Johannes Kepler, nella Stereometria doliorum, rivelò una maggiore fantasia matematica e spregiudicatezza di metodi nel maneggiare infiniti e infinitesimi. Considerava la circonferenza divisa in infinite parti, “tante quante sono i suoi punti (partes habet totidem, quot puncta, puta infinitas)”, ognuna delle quali era pensata come base di un triangolo infinitesimo con il vertice nel centro del cerchio. Concludeva quindi che “un solo triangolo con altezza pari al raggio e base uguale alla lunghezza della circonferenza consterà di tanti infiniti triangoli quantitessimi quanti ne ha il cerchio, e dunque la sua area sarà uguale a quella del cerchio”. Kepler affrontò anche problemi di massimo e minimo, osservando che “in presenza di un massimo (o di un minimo) le variazioni sono insensibili (circum maximum vero undique circumstantes decrementa habent initio insensibilia)”. La Stereometria rappresentò una fonte di ispirazione per i matematici dell’epoca, a cominciare da Galileo.

Galileo e la composizione del continuo in infiniti indivisibili

Galileo, nei Discorsi, esplorò la natura del continuo, degli infiniti e degli indivisibili. Affermava che “discorrere intorno a gl’infiniti è cosa che ad ogni passo porta con se il rischio d’imbattersi in maraviglie e paradossi”. Per spiegare il paradosso dei due cerchi concentrici, ricorse all’idea che “le semplici linee, sia le superfici e i corpi solidi vanno considerati composti di infiniti atomi non quanti”, in modo da concepire “tali componenti distratti in spazio immenso senza l’interposizione di spazi quanti vacui, ma solamente di vacui infiniti non quanti”. Galileo riteneva che “gli attributi di eguale, maggiore e minore non hanno luogo ne gl’infiniti, ma solo nelle quantità terminate”, illustrando il concetto con l’esempio dei numeri e dei loro quadrati: “se si considerano i numeri interi 1, 2, 3,… e i quadrati perfetti 1, 4, 9,… non c’è dubbio che non tutti i numeri sono quadrati perfetti e d’altra parte questi ultimi sono tanti quanti le loro radici”. Concluse che il continuo è risolto “in infiniti indivisibili”, concependo “tutta la infinità in un tratto solo”.

Cavalieri e il metodo degli indivisibili

Bonaventura Cavalieri sviluppò il metodo degli indivisibili, basato sul principio che “per trovare quale rapporto abbiano tra di loro due figure piane o solide, sarà per noi sufficiente trovare, nelle figure piane, quale rapporto abbiano tra di loro tutte le linee di esse e, nelle figure solide, tutti i piani di esse, presi rispetto a un riferimento qualunque”. Questo approccio, da lui definito “primo metodo degli indivisibili”, gli permise di calcolare aree e volumi senza ricorrere all’esaustione archimedea. Cavalieri precisò che “assolutamente io non mi dichiaro di comporre il continuo d’indivisibili, ma solo mostro che i continui hanno la proporzione degli aggregati di questi indivisibili”. Nel settimo libro della Geometria introdusse un “secondo metodo degli indivisibili”, affermando che “figure piane quali si vogliano collocate tra le medesime parallele, nelle quali – condotte linee rette qualunque equidistanti alle parallele in questione – le porzioni intercette di una qualsivoglia di dette rette sono uguali, sono del pari uguali tra loro”. Sebbene il metodo suscitasse perplessità, come quelle di Galileo, Cavalieri lo considerava uno strumento valido per la scoperta di nuovi teoremi.

Torricelli e gli indivisibili curvi

Evangelista Torricelli applicò il metodo degli indivisibili in modo originale, introducendo gli indivisibili curvi, “che nelle figure piane sono le periferie dei circoli, e nelle figure solide, sono superfici sferiche, cilindriche e coniche”. Con questo approccio, calcolò il volume del “solido iperbolico acutissimo”, dimostrando che “il solido acuto iperbolico infinitamente lungo, tagliato con un piano perpendicolare all’asse, insieme con il cilindro della sua base, è uguale ad un cilindro retto, la cui base sia il lato verso, ovvero l’asse della iperbola, e la cui altezza sia eguale al semidiametro della base del solido acuto”. Torricelli difese l’uso degli indivisibili, ritenendo che “questa geometria degli indivisibili sia una invenzione del tutto nuova” e che “la dottrina degli indivisibili [sia] la vena e la miniera inesausta delle speculazioni belle e delle dimostrazioni a priori”. Tuttavia, per soddisfare i critici, ripeté le dimostrazioni anche con i metodi degli antichi.


//: t 9.8

Blocco 9: La rivoluzione astronomica e il sistema copernicano

La transizione dal modello geocentrico aristotelico-tolemaico all'eliocentrismo attraverso il contributo di Copernico, le obiezioni tradizionali e le implicazioni cosmologiche.

Il sommario descrive la struttura concettuale del sistema aristotelico-tolemaico, basato sulla distinzione tra "mondo celeste e mondo terrestre", dove il primo è caratterizzato da moti circolari perfetti dell'etere mentre il secondo da moti rettilinei e violenti. Viene evidenziato come "il movimento è, in genere, ogni passaggio dell'essere in potenza all'essere in atto" e come "il cielo è invece inalterabile e perenne". L'analisi prosegue con la descrizione del sistema copernicano, dove "tutti i moti che appaiono nel firmamento non derivano da moti del firmamento, ma dal moto della Terra" e dove "il moto della sola Terra è sufficiente a spiegare tutte le disuguaglianze che appaiono nel cielo". Vengono citati i presupposti da abbattere, tra cui "la distinzione di principio tra una fisica del Cielo e una fisica terrestre" e "il presupposto dell'immobilità della Terra e della sua centralità". Emergono temi minori come la funzione degli epicicli, degli eccentrici e degli equanti nel modello tolemaico, e le conseguenze filosofiche della nuova cosmologia, tra cui "una valutazione nuova della natura e del posto dell'uomo nella natura".


//: t 10.9

Blocco 10: La diffusione e le reazioni al copernicanesimo nel XVI e XVII secolo

La ricezione e le controversie suscitate dal sistema eliocentrico di Copernico, con le sue implicazioni scientifiche, teologiche e filosofiche.

Il sommario tratta della diffusione e delle reazioni al sistema copernicano, evidenziando le resistenze teologiche e filosofiche iniziali. "Lutero, in uno dei Discorsi a tavola fa riferimento ad 'un astronomo da quattro soldi' che afferma il moto della Terra, che intende sovvertire tutta l'astronomia, che si pone in contrasto con la Scrittura" e "Filippo Melantone, negli Initia doctrinae physicae, ribadisce che coloro i quali credono che l'ottava sfera e il Sole non si muovano attorno alla Terra sostengono argomenti empi e pericolosi contrari all'onestà e alla decenza" mostrano le opposizioni religiose. Vengono menzionati i tentativi di conciliazione come il sistema ticonico, dove "la Terra è immobile al centro di un universo racchiuso da una sfera stellare" mentre "al centro delle orbite degli altri cinque pianeti sta invece il Sole". L'analisi include le adesioni caute, gli entusiasmi e le incertezze, con riferimenti a figure come Keplero e Galileo, e accenna alle implicazioni filosofiche e alle controversie sulle sfere celesti.


//: t 11.10

Blocco 11: Il conflitto tra Galileo Galilei e la Chiesa sulle teorie copernicane e l'interpretazione delle Scritture

La disputa scientifica e teologica di Galileo Galilei a sostegno del sistema copernicano e la reazione delle autorità ecclesiastiche.

Il sommario tratta del confronto tra Galileo Galilei e la Chiesa cattolica riguardo all'accettazione del sistema copernicano. Viene descritto come Galileo, "oscilla fra un eccesso di sicurezza e una non mai spenta disposizione alla requisitoria polemica" (3334), impegnandosi in dispute di cui "finisce per smarrire il senso e la portata reali" (3335). Le frasi evidenziano gli avvertimenti ricevuti da Paolo Gudio, che gli consigliava: "pensi dunque bene, prima che pubblichi questa sua opinione per vera, perché molte cose si possono dire per modo di disputa, che non è bene asserirarle per vere" (3338). Si menzionano eventi come la predica di Niccolò Lorini che "aveva accusato di eresia i copernicani" (3339) e la difesa di Benedetto Castelli della "dottrina della mobilità della Terra" (3340), spingendo Galileo a un intervento diretto per timore di "perdere il favore della famiglia dei Medici" (3341). Viene citata la Lettera a Castelli, che "affronta esplicitamente il problema dei rapporti fra la verità delle Scritture e la verità della scienza" (3342), e gli interventi censori, come la sostituzione di "divina Bontà" con "propizi venti" (3344-3345) e l'eliminazione di riferimenti alla Scrittura sulla corruttibilità dei cieli, dove Galileo aveva scritto che l'opinione opposta era "erronea e repugnante alle indubitabili verità delle Sacre lettere" (3346), ma i revisori "non ci vogliono questo in modo alcuno" (3347). Si accenna alla posizione di Galileo sul linguaggio della Scrittura, "accomodato all'intendimento degli uomini", mentre la Natura è "inesorabile e immutabile" (3354), e che "nelle discussioni che hanno per oggetto la Natura, la Scrittura dovrebbe esser riserbata nell'ultimo luogo" (3355). Viene menzionata la denuncia di Lorini, che coglieva punti come l'affermazione che "la Scrittura tenga l'ultimo luogo" nelle controversie naturali (3377), e la reazione del Cardinale Bellarmino, che insisteva sul divieto di esporre le Scritture "contro il commune consenso de' Santi Padri" (3378). Si descrivono i tentativi di Galileo di trovare conferma nella Scrittura, come nell'interpretazione del passo di Giosuè e del Salmo 18, dove avanzava tesi "tipicamente neoplatoniche e ficiniane" (3385), sostenendo che il Sole è "un concorso nel centro del mondo del calore delle stelle" (3389) e che "il salmista usa del sistema eliocentrico" (3392). Si nota l'ambiguità della posizione di Galileo, che rischiava di compromettere la distinzione tra scienza e fede (3394), pur rimanendo consapevole che "queste cose per me sariano dormite sempre, parlo dell'entrare nelle Scritture Sacre nelle quali non è mai entrato astronomo nessuno né filosofo naturale" (3397). Si accenna alla condanna di autori come Francesco Patrizi, Giordano Bruno e Tommaso Campanella (3402-3403), e alla reazione di Bellarmino, che invitava Galileo e Foscarini a "prudentemente accontentarsi di muoversi sul piano delle ipotesi" (3409), affermando che dichiarare vera la mobilità della Terra era "cosa pericolosa non solo d'irritar tutti i filosofi e teologi scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede" (3410). Si descrive la condanna del Sant'Uffizio del 1616, che dichiarò "stolta et assurda in filosofia e formalmente eretica" la proposizione sul Sole come centro del mondo (3428), e l'ammonizione a Galileo di "abbandonare completamente detta opinione" (3434). Si menziona il decreto che sospese i libri di Copernico e condannò l'opera di Foscarini (3438-3439), e la dichiarazione di Bellarmino che Galileo non aveva abiurato, ma gli era stata notificata la contrarietà della dottrina copernicana alle Scritture (3444).


//: t 12.11

Blocco 12: Contributi matematici di Fermat e sviluppi correlati nel XVII secolo

L'ultimo teorema di Fermat e le sue scoperte in teoria dei numeri, con i tentativi di dimostrazione e le sfide lanciate ai contemporanei.

Sommario

Fermat enunciò risultati come l’“ultimo teorema”, che afferma l’impossibilità di scomporre un cubo nella somma di due cubi o, in generale, una potenza n-esima in due potenze dello stesso esponente per n>2. Matematici come Euler, Dirichlet e Kummer riuscirono a verificare l’enunciato solo per determinati valori di n, ma una dimostrazione per n qualunque “resiste ancora oggi agli sforzi dei matematici”. Fermat annotò anche teoremi sui numeri primi, come quello per cui “un numero primo della forma 4n+1 è solo una volta ipotenusa di un triangolo rettangolo, il suo quadrato lo è due volte, il suo cubo tre, il suo biquadrato quattro ecc.”, e affermò che ogni numero “è un numero triangolare o è la somma di 2 o 3 numeri triangolari; o è un quadrato o è la somma di 2, 3 o 4 quadrati”, sebbene non fornisse dimostrazioni, ritenendo che dipendessero “da molti e reconditi misteri dei numeri”. Comunicò i suoi risultati in lettere a interlocutori come Marin Mersenne e Bernhard Frénicle de Bessy, e utilizzò il metodo della “discesa infinita o indefinita” per dimostrare l’impossibilità di certi risultati, come l’assenza di “triangoli rettangoli in numeri la cui superficie sia un numero quadrato”. Lanciò sfide ai matematici, come trovare “un cubo che sommato ai suoi divisori dia luogo a un quadrato” o soluzioni intere dell’equazione (x^2 + 2 = y^3), alle quali risposero Frénicle e altri. Le sue idee influenzarono discussioni sulle tangenti e sulla geometria analitica, con polemiche con Descartes e contributi di Roberval e Pascal.


//: t 13.12

Blocco 13: L'universo infinito e i mondi abitati nel pensiero di Bruno, Keplero, Galilei e Huygens

La controversia cosmologica tra universo finito e infinito, e la questione della pluralità dei mondi abitati.

Il sommario tratta del confronto tra la visione bruniana di un universo infinito, privo di centro e popolato da innumerevoli mondi non coordinati, e le posizioni di astronomi come Keplero e Galilei, che mantengono l'idea di un cosmo finito e ordinato. Viene esaminato il rifiuto kepleriano dell'infinità, fondato su argomenti geometrici e sulla centralità dell'uomo, in opposizione a Bruno, per il quale l'universo è "uniforme e senza forma" e "non è né armonico né ordinato". Campanella distingue la pluralità di mondi disordinati di Democrito ed Epicuro dai "molti sistemi minori in seno ad uno massimo ordinato" di Galileo. Viene citato l'antropocentrismo di Keplero, per il quale la Terra è "la sede della creatura contemplatrice in grazia della quale fu creato l'universo", e la cautela di Galilei, che considera la questione dell'infinità "inesplicabile da i discorsi umani". Descartes preferisce definire l'estensione del mondo "indefinita piuttosto che infinita". Il tema minore della pluralità dei mondi abitati emerge in testi come il Somnium di Keplero e il Cosmotheoros di Huygens, il quale, contro Keplero, afferma che "il Sole e le stelle hanno una stessa natura" e che è verosimile che "ciascuna di queste stelle o Soli abbia dei pianeti attorno a sé".


//: t 14.13

Blocco 14: Le origini della chimica moderna

La transizione dall'alchimia alla chimica nel XVI e XVII secolo attraverso l'opera di Paracelso e dei paracelsiani, con particolare attenzione alla filosofia chimica, alle controversie dottrinali e allo sviluppo della chimica farmaceutica e analitica.

Sommario

La tradizione alchemica lasciò "una ricca eredità di esperienze e di strumenti all'indagine chimica", ma la nuova chimica si inserì in "quadri concettuali molto diversi" poiché l'alchimia costituiva "il patrimonio esclusivo di pochi iniziati" mentre le ricerche chimiche dovevano "contribuire al progresso generale della conoscenza della materia". A partire dal Cinquecento le teorie chimiche emersero da "diverse radici, da diversi e spesso contraddittori campi di ricerca" che includevano "ricerche mediche, farmacologiche, mineralogiche, filosofiche, botaniche, alchemiche e nelle pratiche degli ingegneri". Il chimico moderno trova i suoi progenitori in "una eterogenea popolazione costituita da maghi, alchimisti, paracelsiani, peripatetici, iatrochimici e da altri personaggi stravaganti", e sebbene questo possa "essere fonte di imbarazzo avere simili antenati, è indubbio che le origini della chimica moderna vanno ricercate proprio nei loro scritti".

La filosofia chimica si sviluppò principalmente attraverso l'opera di Paracelso, il cui sistema filosofico, sebbene inizialmente osteggiato, mise in moto "un processo rivoluzionario destinato a mutare il quadro della medicina e delle scienze naturali". Gli studi sull'ermetismo rinascimentale hanno delineato "un quadro assai più complesso delle origini della scienza moderna", dimostrando che "la tematizzazione di una nuova filosofia della natura in opposizione alla cultura ufficiale delle scuole non è presente solo nelle classiche opere di Bacone, Galilei, Gassendi, Descartes ma anche nei testi appartenenti alla tradizione ermetico-paracelsiana". Questa tradizione ebbe "un'influenza limitata nel caso della fisica e dell'astronomia, ma costituì uno stimolo essenziale per l'elaborazione delle metodologie osservative usate dalle scienze empiriche". Nella scienza del Seicento è presente "una filosofia chimica di origine ermetica che trovò la sua matrice teorica nelle opere di Paracelso", le quali costituirono contemporaneamente "la struttura teorica della filosofia chimica", "una visione chimica unitaria dell'intero Cosmo" e "la base per uno sviluppo delle indagini chimiche".

I principali esponenti della diffusione del paracelsismo furono Gerard Dorn, Petrus Severinus e Oswald Croll. Dorn definì la filosofia chimica come quella che "insegna ad investigare le forme nascoste delle cose secondo la verità e non l'apparenza delle cose", mentre Croll, nella sua Basilica chimica, ammetteva "la divisione della materia nei tre principi paracelsiani (sale, zolfo, mercurio)" considerandoli "entità spirituali, matrici e ricettacoli di tutte le sostanze del creato". Contro queste dottrine si opposero Thomas Erastus e Andreas Libavius, che attaccarono "il misticismo dei paracelsiani" e "l'accettazione della analogia tra macrocosmo e microcosmo". Nonostante i contrasti, si affermò "la tendenza a conciliare le diverse teorie chimiche che si fronteggiavano e ad inserire perciò parte della filosofia chimica nella struttura della scienza medica accademica".

Lo sviluppo della chimica farmaceutica e analitica vide figure come Johann Rudolph Glauber, che definì l'alchimia come "scienza o arte, nella quale, mediante il fuoco e il sale, i metalli immaturi ed impuri sono distrutti e purgati e, mediante un artificio singolare, le loro parti più pure sono condotte in forma e specie migliori". L'attenzione si concentrò sui sali, poiché "il termine designava non solo il principio paracelsiano ma anche una classe di sostanze diverse che possedevano caratteri comuni (solubilità, forma cristallina, gusto salino)" arrivando a indicare "acidi, alcali e i veri e propri sali". Il riconoscimento ufficiale della chimica come scienza specifica avvenne gradualmente, poiché "il centro della ricerca e dell'insegnamento chimico fu solo in casi rarissimi l'università: il negozio privato del farmacista, le accademie mineralogiche e metallurgiche, gli orti botanici divennero i luoghi deputati per la diffusione della chimica".

L'introduzione della filosofia meccanica in chimica, particolarmente attraverso Robert Boyle, portò a una visione corpuscolare della materia. Boyle dimostrò che "l'interpretazione dei fenomeni chimici sulla base di elementi non era scientificamente fondata" e propose invece che "tutte le sostanze erano costituite da particelle di una medesima materia, erano perciò soggette soltanto a diverse strutturazioni". La chimica cessava così di essere "un'arte pratica (o la ricerca della pietra filosofale)" per diventare "una parte della filosofia naturale". Alla fine del Seicento, Georg Ernst Stahl sviluppò la teoria del flogisto, considerando la chimica come "una scienza autonoma, utile, che doveva essere incoraggiata dai sovrani perché era qualcosa di radicalmente diverso rispetto ai pericolosi ed empi sogni degli alchimisti".


//: t 15.14

Blocco 15: La rivoluzione della fisiologia nel Seicento: Harvey, Descartes e la nascita della biologia moderna

La transizione dalla fisiologia galenica ai modelli meccanicisti e sperimentali nel XVII secolo, con la scoperta della circolazione sanguigna e l’affermazione del metodo scientifico in biologia.

Il sommario tratta del superamento del sistema fisiologico galenico, basato su un modello triadico che individuava nel fegato, nel cuore e nel cervello i centri di produzione del sangue, del calore e degli spiriti animali. Viene descritta l’assenza di una prospettiva di circolazione chiusa del sangue, poiché “il torrente sanguigno aveva infatti una direzione centrifuga: partiva dal fegato e dal cuore per arrestarsi alla periferia del corpo”. La rottura con questo schema millenario si deve a William Harvey, il quale propose “un nuovo modello di funzionamento dell’organismo” che, associato al metodo della dissezione anatomica, “segnava una definitiva frattura con gli schemi dell’antichità”. Harvey, definito “un aristotelico dichiarato”, dimostrò la circolazione sanguigna attraverso prove quantitative e sperimentali, come il calcolo della quantità di sangue spinto dal cuore per unità di tempo, concludendo che “il sangue non può avere altra origine che da se stesso, vale a dire circola in continuazione”. La sua opera, l’Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (1628), unì speculazioni aristoteliche, come l’analogia tra il moto circolare del sangue e la perfezione del cerchio nel macrocosmo, a rigorosi procedimenti sperimentali. Tuttavia, Harvey “restava ancora legato al mondo ideale della scienza aristotelica e galenica” per aspetti come il vitalismo e il finalismo. René Descartes definì invece “una concezione complessiva dei meccanismi di sviluppo e di funzionamento degli organismi viventi” di stampo meccanicista, riducendo le funzioni vitali a processi fisico-meccanici e considerando l’organismo alla stregua di una macchina. Il meccanicismo cartesiano, sebbene privo di contributi positivi diretti, favorì l’integrazione tra fisiologia, anatomia e scienze fisiche, influenzando ricercatori come Giovanni Alfonso Borelli, che applicò modelli geometrico-deduttivi allo studio del movimento animale, e Marcello Malpighi, che utilizzò il microscopio per scoprire la rete capillare, “completando il ciclo storico della scoperta della circolazione sanguigna”. Parallelamente, l’iatrochimica, rappresentata da studiosi come Thomas Willis e John Mayow, esplorò i processi fisiologici, come la respirazione, in termini chimici, sostenendo che “solo una frazione dell’aria atmosferica veniva assorbita dal sangue e serviva effettivamente alla produzione di calore”. In microbiologia, le osservazioni di Athanasius Kircher su “seminaria” e “vermiculi” invisibili negli ammalati e le esperienze di Francesco Redi confutarono la generazione spontanea per gli insetti, affermando che “ogni essere vivente può nascere solo da un altro essere vivente della stessa specie”, mentre le scoperte di Antony van Leeuwenhoek sui protozoi riaccesero il dibattito nel mondo microscopico.


//: t 16.15

Blocco 16: Le origini secentesche della fisica moderna: elettricità, magnetismo, calore e luce

La transizione dalla filosofia naturale alla scienza sperimentale nel XVII secolo, con particolare attenzione ai fenomeni elettrici, magnetici, termici e ottici.


Il sommario tratta lo sviluppo delle conoscenze su elettricità, magnetismo, calore e luce nel Seicento, evidenziando le difficoltà incontrate nella matematizzazione di questi fenomeni rispetto ai progressi in astronomia e meccanica. Keplero tentò di spiegare il moto planetario attraverso “una virtù motrice che regge il moto planetario sia una species immateriale emanata dal Sole, in parte analoga alla luce”, basandosi sulle analogie magnetiche proposte da Gilbert nel De Magnete. Tuttavia, come osservò Galilei, le spiegazioni di Gilbert mancavano di “ragionamento matematico”, riflettendo una disparità tra le teorie astronomiche e quelle sui fenomeni elettrici e magnetici. Cabeo e Lana proseguirono le indagini sugli effluvii elettrici, mentre Guericke sperimentò con sfere di zolfo e il vuoto, scoprendo che “l’azione elettrica era capace di propagarsi lungo un filo”. Per quanto riguarda il calore, Galilei e Magalotti svilupparono strumenti di misura, sebbene “la nozione di temperatura” non fosse ancora separata da quella di quantità di calore. Newton definì il calore come “agitazione di particelle” in un contesto chimico. Nel campo dell’ottica, Keplero e Cartesio elaborarono leggi sulla rifrazione, mentre Grimaldi scoprì la diffrazione, osservando che “la luce è in grado di propagarsi non solo in linea retta… ma anche in modo tale da superare ostacoli”. Huygens propose una teoria ondulatoria della luce, sebbene “lasciasse insoluti i problemi… connessi all’analogia tra luce e suono”. L’insieme di queste ricerche mostrò la complessità dei fenomeni esplorati e la lenta affermazione di metodi quantitativi.


//: t 17.16

Blocco 17: I Principia di Newton e la loro ricezione

La struttura, i contenuti e le controversie suscitate dall'opera di Isaac Newton, con particolare attenzione alle edizioni, alle reazioni intellettuali e alle questioni metodologiche.

Il sommario tratta della struttura dei Principia di Newton, che si articola in regole, fenomeni e proposizioni, come la descrizione dei pianeti che "cingono il Sole con le proprie orbite" e la celebre affermazione che "i pianeti sono mossi lungo ellissi che hanno un fuoco nel centro del Sole, e, con i raggi condotti a quel centro, descrivono aree proporzionali ai tempi". L'opera mira a unificare la scienza galileiana e kepleriana, ricavando "a priori i moti celesti" dai principi stabiliti. Vengono menzionate le difficoltà di comprensione per i lettori contemporanei, come John Locke e Richard Bentley, e l'entusiasmo di Edmond Halley, che vide nei Principia la spiegazione dei "principali fenomeni della natura". Sono affrontate le critiche alla teoria della gravitazione, accusata di ricorrere a "cause occulte" e di contenere "i germi dell'ateismo", nonché la preparazione della seconda edizione del 1713, con la prefazione di Roger Cotes e lo Scolio Generale di Newton. In questo, Newton respinge i vortici cartesiani, afferma che i moti regolari "non hanno origine da cause meccaniche" ma da un disegno divino, e enuncia il celebre Hypotheses non fingo, dichiarando che "qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni, va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi". Viene discusso il ruolo dell'etere, definito come "quello spirito sottilissimo che pervade i grossi corpi", e le lettere a Bentley, in cui Newton nega che la gravità sia "innata, inerente e essenziale alla materia", affermando che "la gravità deve essere causata da un agente che agisca sempre secondo certe leggi". L'argomento include anche i manoscritti inediti, come la Conclusio, che estende le leggi ai "moti minori" delle particelle, e i temi dell'ottica e dell'alchimia, dove Newton indaga sulle "forze delle particelle" e sulle "varie e strane trasformazioni" della natura, sottolineando la presenza di "principi attivi" oltre all'inerzia.


//: t 18.17

Blocco 18: Contributi scientifici e filosofici in età moderna

Elenco di studiosi e riferimenti tematici tra XVI e XVIII secolo

Il sommario presenta una serie di figure intellettuali e scienziati attivi tra il XVI e il XVIII secolo, con i loro ambiti di studio e pubblicazioni. Emergono contributi in "astronomia" (7099, 7106, 7134, 7151, 7170, 7179, 7190, 7195, 7274), "chimica medica" (7099, 7139), "zoologia" (7103), "calcolo differenziale" (7117), "filosofia meccanica" (7140), "algebra" (7142, 7144, 7211, 7224, 7258) e "microscopi" (7149, 7198). Vengono citati studi su "calore" (7115, 7117, 7222), "magnetismo" (7211, 7283), "logaritmi" (7171) e "generazione spontanea" (7211). Figure come "Beeckman" (7097), "Boyle" (7165-7166) e "Copernico" (7274) appaiono in contesti di "fisica" e "cosmologia", mentre "Bruno" (7179) e "Campanella" (7197) sono associati a "astrologia" e "magia". Si segnalano anche riferimenti a strumenti scientifici, come "strumenti ottici per l'ingrandimento" (7232, 7267), e a dibattiti teorici, tra cui "meccanicismo" (7140, 7165-7166) e "indivisibili" (7222, 7225).