Lucrezio - Della Natura - Lettura (16d)
//: 2025-10-19 19:02:02 +0200
//: t 1.0
La natura solida ed eterna dei principi primi
La duplice natura di materia e vuoto e l'eternità dei corpi solidi indivisibili.
Sommario
Il testo stabilisce anzitutto l'esistenza di due nature dissimili, la materia solida e lo spazio vuoto, affermando che "ognuna delle due esiste per sé e scevra di mescolanza". I corpi primi sono definiti solidi e senza vuoto, il che li rende eterni, poiché "la materia, che consta di corpo solido, può essere eterna, mentre tutto il resto si dissolve". Il vuoto è necessario perché senza di esso "nessuna cosa può essere schiacciata, né infranta, né scissa in due parti con un taglio", e "quanto più ogni cosa in sé racchiude vuoto, tanto più da queste cose a fondo attaccata vacilla". L'eternità della materia è giustificata dal fatto che, se non lo fosse, "tutte le cose sarebbero tornate interamente al nulla, e dal nulla sarebbero rinate tutte quelle cose che noi vediamo", ma poiché "nulla si può creare dal nulla e ciò che fu generato non può essere ridotto al nulla, di corpo immortale devono essere i primi principi".
Viene inoltre fissato un limite allo spezzarsi delle cose, poiché "per le cose è secondo le specie fissato un termine di crescita e di conservazione della vita", e "ciò che la lunga durata dei giorni, l'infinita durata di tutto il tempo già trascorso, avrebbe fino ad ora spezzato, sconvolgendolo e dissolvendolo, non potrebbe mai essere rinnovato nel tempo che resta". I principi primi, di solida semplicità, sono immutabili, altrimenti "sarebbe incerto anche che cosa possa nascere, che cosa non possa, infine in qual modo ciascuna cosa abbia un potere finito e un termine, profondamente confitto". Il testo critica la teoria eraclitea del fuoco come unico principio, osservando che "nulla, in verità, gioverebbe che il caldo fuoco si condensasse o si rarefacesse, se le parti del fuoco avessero la medesima natura che ha anche il fuoco intero", e che "tanta varietà di cose può provenire da fuochi densi e radi" solo ammettendo la presenza del vuoto.
//: t 2.1
L'infinità dell'universo e la natura dei corpi
Sull'assenza di confini esterni e il moto perpetuo della materia
Il testo tratta dell'infinità dell'universo e del moto incessante dei principi primi. "Nessuna requie è data ai corpi dei primi principi" poiché non esiste "un ultimo fondo, ove possano quasi confluire e porre le loro sedi". La natura costringe "la materia a essere limitata dal vuoto, e quanto è vuoto a essere limitato dalla materia", rendendo infinito il tutto attraverso la loro alternanza. Viene confutata la teoria del centro universale: "non può esserci un centro, perché l'universo è infinito". Il pericolo della dissoluzione è presente se "ha cessato di rifornirle la materia", poiché "tutte le cose devono dissolversi" senza questo afflusso costante.
Viene analizzata la formazione spontanea dell'universo attraverso urti casuali: i principi "non secondo un deliberato proposito si collocarono ciascuno al suo posto", ma "sperimentando ogni genere di movimenti e aggregazioni pervengono finalmente a tali disposizioni". Si evidenzia come "molti atomi affluiscano" necessariamente dall'infinito per mantenere l'equilibrio cosmico. La confutazione della teoria del centro include l'osservazione che "tutta l'estensione e lo spazio, che chiamiamo vuoto, per il centro come fuori dal centro, deve ugualmente lasciare il passo ai corpi pesanti". Il testo si conclude con l'immagine della conoscenza che si autoillumina: "da una cosa un'altra cosa si chiarirà" fino a "vedere gli ultimi confini della natura".
//: t 3.2
La declinazione degli atomi e la volontà libera
La necessità della deviazione atomica per spiegare la creazione e la libertà umana, in opposizione a un determinismo assoluto.
Sommario
Il testo affronta il principio della declinazione degli atomi, essenziale per evitare che "tutti cadrebbero verso il basso, come gocce di pioggia, per il vuoto profondo, né sarebbe nata collisione, né urto si sarebbe prodotto tra i primi principi: così la natura non avrebbe creato mai nulla". Si confuta l'idea che i corpi più pesanti, cadendo più velocemente, possano generare gli urti necessari, poiché nel vuoto "tutte le cose devono muoversi con eguale velocità, quantunque siano di pesi non eguali". La declinazione, seppur minima e non osservabile direttamente – "chi c'è che possa scorgerlo?" –, è presentata come la causa che rompe la catena causale infinita, permettendo di spiegare "da dove proviene ai viventi sulla terra questa libera volontà, donde deriva, dico, questa volontà strappata ai fati". Viene illustrato come l'inizio dell'azione umana parta dalla volontà: "in ognuno dà principio a tali azioni la sua propria volontà, e di qui i movimenti si diramano per le membra", a differenza di un movimento causato da una forza esterna contro la nostra volontà. Si conclude che "anche negli atomi occorre che tu ammetta la stessa cosa, cioè che, oltre agli urti e ai pesi, c'è un'altra causa dei movimenti, donde proviene a noi questo innato potere", identificata proprio in "un'esigua declinazione dei primi principi, in un punto non determinato dello spazio e in un tempo non determinato". Viene infine ribadita l'immutabilità della somma totale della materia e dei suoi movimenti, nonostante l'apparente quiete dell'insieme, poiché i movimenti atomici sono "al di sotto della loro portata" dei nostri sensi, come illustrato dall'esempio delle pecore sul colle il cui movimento appare confuso da lontano.
//: t 4.3
Natura e varietà limitata degli atomi
La relazione tra le forme atomiche e le percezioni sensoriali, con la dimostrazione della limitata varietà delle figure dei principi primi.
Sommario
Il testo stabilisce che le diverse sensazioni provocate dagli oggetti derivano dalla forma degli atomi che li compongono: "ogni forma che accarezza i sensi, non è stata prodotta senza qualche levigatezza di primi principi", mentre le sensazioni spiacevoli nascono da atomi ruvidi. Vengono forniti esempi concreti: i diamanti e il ferro, "tenute strette in profonda compattezza", contrastano con i liquidi come l'acqua, fatti di atomi "lisci e rotondi" che "non si trattengono a vicenda". Si precisa che alcune sostanze, come l'acqua di mare, uniscono atomi lisci e scabri, che "possono insieme e rotolare e ledere i sensi". Viene poi dimostrato che le forme atomiche non sono infinite, poiché "un limite certo assegnato alle cose ne racchiude la somma", altrimenti "allora di nuovo alcuni atomi dovrebbero avere corpo di grandezza infinita". Questo principio è esteso alla materia in generale, dove "tutti i gradi di calore e di freddo e di temperati tepori sono nel mezzo di questi estremi". Tuttavia, per ogni tipo di forma limitata, il numero di atomi simili è infinito, essendo "necessario che quelle che sono simili siano infinite", altrimenti, in un "vasto mare di materia", non potrebbero incontrarsi per formare le cose. Questo equilibrio tra forze generative e distruttive mantiene il ciclo vitale, dove "al pianto funebre si mescola il vagito" in una perpetua "guerra dei primi principi".
//: t 5.4
Leggi atomiche e natura dei principi primi
Limiti nella composizione atomica e dimostrazione dell'assenza di qualità sensibili nei principi primi materiali
Sommario
Il testo stabilisce che gli atomi non possono aggregarsi in modo casuale, poiché ciò produrrebbe mostri, ma seguono invece una legge determinata che garantisce la conservazione delle specie. Viene affermato che "da tutti i cibi si diffondono, dentro, nelle parti del corpo, gli atomi propri a ognuna, e connessi producono movimenti concordanti", mentre gli elementi estranei vengono rigettati. Questa regola non si applica solo agli esseri viventi, ma delimita tutte le cose, poiché ciascuna consta di "primi principi di figura dissimile" con differenti "intervalli, le vie, le connessioni, i pesi, gli urti, gl'incontri, i movimenti" che distinguono e separano tutti i corpi.
Viene poi dimostrata l'assoluta mancanza di colore nei principi primi, poiché "i corpi della materia non hanno assolutamente colore". Si argomenta che il colore è mutevole e richiede luce, mentre i principi primi sono eterni ed emergono nelle tenebre: "quale colore potrà esserci nelle cieche tenebre?". La percezione del colore dipende dalla forma degli atomi e dalla loro disposizione, non da un colore intrinseco, come dimostra il mutare dei colori nelle piume di colomba o nella coda del pavone al variare della luce. Viene inoltre osservato che sminuzzando un oggetto colorato, come la porpora, "il colore purpureo e lo scarlatto, di gran lunga il più lucente, quando è stato sminuzzolato a filo a filo, tutto si distrugge", provando che le particelle perdono il colore prima di ridursi ad atomi.
L'assenza di colore si estende a tutte le altre qualità sensibili: i principi primi sono "mancanti di tepore e di freddo e di fervido calore, e si aggirano sterili di suono e digiuni di sapore, né spandono dal corpo alcun proprio odore". Questa privazione è necessaria per garantire l'immortalità dei principi primi, poiché qualità come calore, suono o sapore sono "mortali, di corpo molle le flessibili, di friabile le fragili, di rado le porose" e, se attribuite ai principi, causerebbero che "tutte le cose ti si ridurranno appieno al nulla". Infine, si afferma che il sensibile nasce dall'insensibile, come dimostra la generazione di vermi dallo sterco putrefatto o di pulcini dalle uova, poiché "molto importa in quale ordine tutti i primi principi siano collocati e con quali altri siano commisti quando imprimono e ricevono movimenti". Attribuire sensibilità ai principi primi li renderebbe mortali e simili ad esseri animati, il che è incoerente con la loro funzione di fondamento immutabile di tutte le cose.
//: t 6.5
La natura dei simulacri e la visione
L'emissione di simulacri dalle cose e il loro ruolo nei fenomeni visivi, inclusi riflessi, distanze e inganni percettivi.
Il blocco spiega che "con mirabile rapidità sono emessi dalle cose corpi che feriscono gli occhi e provocano il vedere", descrivendo come da tutte le cose emanazioni fluiscono e si diffondono continuamente, stimolando i sensi. Viene stabilito che "la causa del vedere sta nelle immagini e che senza di esse non può essere veduta cosa alcuna", poiché i simulacri procedono da ogni parte e colpiscono gli occhi con forma e colore. Si analizza la percezione della distanza: "quanto ogni cosa sia da noi distante, è l'immagine che ce lo fa vedere", poiché l'immagine, emessa, spinge l'aria interposta, che "scorre tutta nel nostro sguardo e quasi asterge le pupille", permettendo di valutare la lontananza in base alla quantità d'aria agitata. Vengono trattati temi minori come la visione attraverso specchi e porte, dove "da duplice aria è prodotta la cosa", e l'inversione destra-sinistra negli specchi, poiché l'immagine "è rovesciata dritta" come una maschera sbattuta contro un pilastro. Si discute anche di inganni percettivi, come torri quadrate che appaiono rotonde da lontano perché "ogni angolo si vede ottuso", e l'ombra che sembra seguire i movimenti, spiegata come aria privata di luce che si spoglia e riempie di luce successivamente. Infine, si distingue tra il compito degli occhi, che è "vedere in quale luogo sia la luce e in quale l'ombra", e quello della mente, che deve discernere se "sia o non sia la stessa luce", evitando di attribuire agli occhi "questo errore della mente".
//: t 7.6
La propagazione della voce e la percezione del sapore
La voce si articola e si diffonde, generando echi e illusioni, mentre il sapore si rivela attraverso un processo meccanico di spremitura e contatto.
Il testo spiega il processo fisico di articolazione e propagazione della voce: "la mobile lingua, artefice di parole, e le foggia per parte sua la conformazione delle labbra". La voce si distingue chiaramente a brevi distanze poiché "conserva la disposizione e conserva la forma", ma su spazi ampi si confonde, facendo percepire il suono senza comprenderne il senso. Viene descritto come "un'unica parola, emessa dalla bocca di un banditore, spesso in un'assemblea percuote le orecchie di tutti i presenti", mentre le parti di voce che non colpiscono le orecchie "si perdono, diffusa invano per l'aria" o generano echi quando "urtando contro luoghi occupati da cose compatte, è rimandata indietro". Questi fenomeni acustici spiegano come "le rocce rimandino uguali le forme delle parole" nei luoghi montani, dove "i colli stessi, ai colli rinviando le parole, rinnovavano l'eco", fenomeno che le popolazioni locali attribuiscono a presenze divine come "i capripedi Satiri e le Ninfe" e ai "Fauni", credenze nate perché "tutto il genere umano è troppo avido di orecchie intente". La voce, a differenza delle immagini, "può passare incolume per i sinuosi meati" anche attraverso ostacoli come porte chiuse, propagandosi "in tutte le direzioni perché le voci nascono le une dalle altre", sebbene si attenui attraversando i muri diventando "un suono piuttosto che parole". Parallelamente, il testo tratta la percezione del sapore: "sentiamo il sapore in bocca, quando spremiamo il cibo masticando", dove gli atomi lisci del succo "soavemente toccano e soavemente titillano tutte le umide volte che s'inarcano sulla lingua", mentre quelli asperi "pungono il senso e con l'assalto lo lacerano". Il piacere del sapore rimane confinato al palato, poiché "quando giù per le fauci è precipitato, non v'è alcun piacere".
//: t 8.7
Natura e percezione dei simulacri
I simulacri e la loro influenza sui sensi e sulla mente
Il testo tratta della natura dei simulacri, immagini sottili che si muovono nell'aria e influenzano la percezione sensoriale e mentale. "Molti simulacri di cose in molti modi vagano da ogni parte in tutte le direzioni, e son sottili, e facilmente si congiungono tra loro nell'aria" spiega la loro diffusione e capacità di combinarsi. Questi simulacri, più tenui di quelli che colpiscono gli occhi, "penetrano per i pori del corpo e dentro destano la sottile natura dell'animo", provocando sensazioni e visioni mentali, come "Centauri e membra di Scille e canine facce di Cerberi", che nascono dall'incontro casuale di immagini diverse, poiché "quando le immagini d'un cavallo e d'un uomo per caso s'incontrano, sùbito facilmente aderiscono". La mente, essendo "tenue e mirabilmente mobile", è facilmente commossa da questi simulacri, il che giustifica fenomeni come i sogni, dove "crediamo di vedere colui che, lasciata la vita, è ormai preda della morte", a causa dell'inattività dei sensi e della memoria durante il sonno. Il testo affronta anche domande sul perché la mente pensi immediatamente a certe cose, suggerendo che "in qualsiasi momento simulacri d'ogni tipo siano a disposizione e pronti", permettendo rapide associazioni.
//: t 9.8
L'amore e i suoi tormenti
Una riflessione sulla natura insidiosa della passione amorosa e sui rimedi per evitarne le conseguenze distruttive
Il testo analizza l'amore come fonte di sofferenza e follia, proponendo strategie per evitarne i danni. "La piaga s'inacerbisce e incancrenisce, a nutrirla, e di giorno in giorno la follia aumenta" evidenzia come l'amore non corrisposto o ossessivo degeneri in malattia. Viene raccomandato di "fuggire quelle immagini e respingere via da sé ciò che alimenta l'amore", suggerendo come distogliere la mente e "spandere in altri corpi l'umore raccolto" per prevenire l'ossessione. La natura ingannevole del desiderio è paragonata a "quando in sogno un assetato cerca di bere e non gli è data bevanda", mostrando come Venere "con simulacri illude gli amanti" attraverso immagini che non appagano realmente.
Vengono descritti gli effetti corrosivi dell'amore infelice sulla vita pratica e materiale. I beni si dileguano convertendosi in "profumi babilonesi" e "smeraldi con la verde luce incastonati nell'oro", mentre "i beni ben guadagnati dai padri diventano bende, diademi". Anche nell'amore corrisposto "di mezzo alla fonte delle delizie sorge qualcosa di amaro", come gelosie e sospetti quando "lei ha lanciato una parola che confitta nel cuore appassionato divampa come fuoco". Il testo conclude che "è meglio stare all'erta e guardarsi dall'essere adescati" poiché "evitare di cadere nei lacci d'amore non è così difficile come districarsi", sottolineando come gli amanti "attribuiscono alle amate pregi ch'esse non posseggono davvero" accecati dalla passione.
//: t 10.9
I moti celesti e l'alternarsi delle stagioni
Spiegazioni cosmologiche sul movimento degli astri e la ciclicità dei fenomeni naturali
Il testo esamina le cause del moto apparente del sole, della luna e degli astri, attribuendolo a correnti d'aria opposte che li spingono attraverso le orbite celesti. "Può anche avvenire che da regioni del mondo che attraversano il corso del sole fluiscano a turno due correnti d'aria, ciascuna in una stagione determinata" spiega il mutare delle posizioni solari. L'alternarsi di giorno e notte viene analizzato attraverso diverse ipotesi: l'esaurimento dei fuochi solari dopo il lungo corso, o "che la stessa forza che ha portato il suo giro sopra la terra" costringa il sole a volgere sotto la terra. Viene descritto il sorgere dell'aurora, sia come ritorno del sole sia come convergenza di "molti semi di calore" che "a un'ora fissa" rinnovano lo splendore solare, analogamente ai fuochi che "dalle alte cime dell'Ida" si uniscono formando il disco solare.
La regolarità dei fenomeni celesti viene paragonata alla ciclicità dei processi terrestri, poiché "vediamo molti fenomeni che avvengono a data fissa in tutte le cose". "Fioriscono a data fissa gli alberi e a data fissa fanno cadere il fiore" così come "il tempo ingiunge che cadano i denti" dimostrano l'universalità dei ritmi naturali. Le variazioni stagionali della luce solare vengono spiegate con l'orbita diseguale del sole che "spartisce le plaghe dell'etere e divide la sua orbita in parti ineguali". Il testo esplora inoltre le teorie sul moto lunare, sia come riflesso della luce solare sia come corpo dotato di luce propria, menzionando la dottrina babilonese che immagina la luna come "sfera d'una palla cosparsa per metà di candida luce". L'alternarsi delle stagioni viene infine personificato attraverso le divinità che le accompagnano: "Viene primavera e Venere", seguito dal "calore arido" di Cerere, dall'autunno di Bacco e dai venti stagionali.
//: t 11.10
La gioventù della terra e la selezione delle specie
La terra madre e il tempo che trasforma ogni cosa, tra creature mostruose e sopravvivenza dei più adatti.
Il testo descrive la terra come madre del genere umano e di ogni animale, che "a un momento stabilito, partorì ogni animale". Tuttavia, il suo partorire ebbe un termine, poiché "il tempo muta la natura di tutto il mondo". La terra tentò di creare portenti come "l'androgino, che sta tra i due sessi" e creature con membra strane, ma invano, poiché "la natura ne impedì la crescita". Molte stirpi soccombettero perché non potevano generare; sopravvissero solo quelle protette da "astuzia o la forza o almeno la velocità". Altre, come cani e bestie da soma, furono affidate alla tutela degli uomini in cambio di utilità. Viene negata l'esistenza di esseri ibridi come Centauri o Chimere, poiché le loro membra "discordanti fra loro" non avrebbero permesso di "fiorire" né di avere "abitudini uniformi".
La seconda parte tratta della stirpe umana primitiva, "molto più dura, ché la dura terra l'aveva creata", con corpi resistenti a caldo, freddo e cibo inconsueto. Vivevano "a guisa di fiere vagabonde", nutrendosi di ghiande, corbezzole e altri alimenti naturali, bevendo ai fiumi e abitando "boschi e caverne montane". Non conoscevano il fuoco, le pelli, le leggi o il bene comune; "ciascuno se lo prendeva, avvezzo a usare la forza". L'unione avveniva per desiderio, forza o mercede come "ghiande e corbezzole". Cacciavano con sassi e clave, ma erano spesso preda di fiere, morendo atterriti e "ignari delle cure che le ferite reclamavano".
//: t 12.11
Origine e progresso delle arti umane
Dalle necessità primitive all'evoluzione delle tecniche e dei costumi
Il testo descrive la graduale scoperta e il perfezionamento delle arti e delle tecniche da parte dell'umanità, partendo dalle necessità fondamentali. Si afferma che "il tessuto viene dopo il ferro, perché col ferro s'appresta il telaio", evidenziando come lo sviluppo di un'arte dipenda da strumenti precedenti. L'assegnazione dei ruoli, come il lavoro della lana affidato alle donne dopo che "i severi contadini fecero di ciò una colpa", mostra l'evoluzione sociale. L'agricoltura nacque per imitazione della natura, poiché "le bacche e le ghiande cadute dagli alberi facevano a piè di questi pullulare nella giusta stagione sciami di polloni", e progredì con la cura dei frutti selvatici che "si ammansivano nel terreno per effetto di premurosa attenzione". Parallelamente, la musica ebbe origine dall'imitazione dei suoni naturali, come "i sibili dello zefiro per le cavità delle canne", che insegnarono a suonare le zampogne, e i "dolci lamenti che effonde il flauto" scoperto nei boschi. Queste arti arricchivano la vita durante i momenti di riposo, quando "tutto è caro al cuore", e favorivano espressioni di gioia collettiva, come danze e corone di fiori.
Il progresso tecnologico e culturale portò anche a cambiamenti nei valori e nei desideri. Ciò che inizialmente soddisfaceva, come le ghiande o i giacigli d'erba, fu sostituito da scoperte successive, poiché "ciò che è a disposizione, se non abbiamo conosciuto prima qualche cosa di più dolce, ci piace sopra tutto", ma una nuova invenzione spesso "annienta e muta il nostro sentire riguardo a ogni cosa passata". Questo portò all'abbandono di usi primitivi, come le vesti di pelle, che "suscitò, io credo, tale invidia da cagionare insidie e morte a chi la indossò per primo", e all'emergere di desideri dannosi, come l'oro e la porpora che "tormentano con affannosi desideri la vita degli uomini". Il testo critica l'assenza di limiti nel possesso, osservando che "il genere umano a vuoto e invano si travaglia sempre" perché ignora "quale sia il limite del possesso", spingendo verso conflitti e "grandi tempeste di guerra". Tuttavia, l'osservazione della natura, come il movimento del sole e della luna che "insegnarono agli uomini che le stagioni ruotano", e lo sviluppo di istituzioni—quali leggi, navi e città—guidato dalla "pratica e, insieme, lo sperimentare della mente alacre", permisero all'umanità di avanzare. Il culmine è rappresentato da Atene, che "dispensò un giorno i frutti delle messi ai mortali infelici e rinnovò la vita", simbolo del trionfo della ragione che, "gradatamente il tempo rivela ogni cosa e la ragione la innalza alle plaghe della luce".
//: t 13.12
La natura del fulmine e i fenomeni temporaleschi
La formazione e gli effetti del fulmine spiegati attraverso cause naturali, con un rifiuto delle interpretazioni divine.
Sommario
Il testo descrive la formazione del fulmine all'interno delle nuvole, dove "le cave nuvole contengono in sé moltissimi semi di calore" che si mescolano con i venti, generando un vortice che "aguzza il fulmine" attraverso due modalità di accensione: "per il suo stesso rapido moto si scalda e per il contatto col fuoco". Questo processo culmina quando "il fulmine squarcia subitamente la nuvola, e una fiamma prorompe e vola illuminando ogni luogo con luci corrusche", seguito da un "violento fragore" e scosse che investono la terra. Viene spiegato come "la forza del vento, lanciata senza fuoco, s'infuochi tuttavia nel lungo percorso attraverso lo spazio", paragonandola a una palla di piombo che "si fa rovente nella corsa", e come il fuoco possa essere suscitato dall'urto stesso, simile a quando "battiamo una pietra col ferro, sprizza il fuoco". Il fulmine è caratterizzato da un "rapido moto" e "violento colpo", con elementi "più piccoli e lisci" che gli permettono di "penetrare per gl'interstizi dei pori", attraversando o trafiggendo oggetti a seconda della loro struttura, e fondendo metalli come il bronzo e l'oro perché "facilmente s'insinuano e, insinuatisi, in un istante disciolgono tutti i nodi". Il testo identifica le stagioni di transizione, primavera e autunno, come periodi critici in cui "tutte concorrono le varie cause del fulmine" a causa della "discordia fra gli elementi", con "freddo e caldo" che si frammischiano, portando a "moltissimi fulmini e una tempesta torbida". Infine, rifiuta le spiegazioni soprannaturali, criticando chi cerca "segni dell'occulto volere degli dèi" e mettendo in discussione perché, se fossero divini, i fulmini non colpirebbero solo i malvagi invece di avvolgere "innocente" chi è senza colpa.
//: t 14.13
Fenomeni atmosferici, terrestri e naturali
Un'indagine sulle cause dei fenomeni naturali, dalle tempeste marine ai terremoti, fino ai luoghi letali.
Il testo esamina l'origine di vari fenomeni atmosferici e terrestri. Le nuvole si formano quando "molti corpi, volando in questo spazio di cielo che sta sopra di noi, si sono incontrati d'un tratto" e crescono finché "insorge una tempesta furiosa". La pioggia nasce quando "molti semi d'acqua sorgono insieme con le nuvole stesse da tutte le cose" e le nuvole "gareggiano a rovesciare la pioggia per due cause: difatti la forza del vento le spinge, e per altro la massa stessa dei nembi, addensata in folla più numerosa, urge e preme dall'alto". Viene descritto anche il prester, colonna d'aria che "discenda dal cielo sul mare; e intorno ad essa ribollono i flutti, sollevati dai venti che spirano violenti". I terremoti hanno cause multiple: la terra è "piena di spelonche ventose" e trema "quando di sotto il tempo ha scalzato vaste spelonche", oppure quando "il vento per le caverne sotterranee si raccoglie e da una parte sola si rovescia e sospinge". L'eruzione dell'Etna avviene perché "la natura di tutto il monte è cava di sotto" e il vento, riscaldandosi, "ne ha fatto prorompere un caldo fuoco con fiamme veloci". Vengono analizzati anche fenomeni particolari come le piene del Nilo, causate dagli venti etesii che "soffiando contro la corrente la trattengono", e i luoghi Averni, dove gli uccelli "dimentichi del remeggio delle ali abbassano le vele e cadono a capofitto" per "la natura stessa del luogo".
//: t 15.14
Fenomeni naturali e spiegazioni fisiche
Una fonte che di giorno è fredda e di notte calda, e la pietra che attira il ferro.
Il testo esamina fenomeni naturali apparentemente inspiegabili, proponendo spiegazioni basate su principi fisici. Si descrive il comportamento anomalo di una fonte vicino al tempio di Ammone, "fredda nella luce del giorno e calda durante la notte", attribuendolo non all'azione del sole, ma alla presenza di "molti semi di fuoco vicino al corpo dell'acqua". La terra, raffreddandosi e contraendosi di notte, "sprema nella fonte tutti i semi di fuoco che racchiude", riscaldando l'acqua; di giorno, il sole "disserrato coi raggi la terra e l'ha diradata", fa sì che "tutto il calore dell'acqua si ritrae nella terra", rendendo la fonte fredda. Viene citato anche un altro caso di fonte fredda dove "la stoppa tenuta sospesa prende fuoco d'un tratto", spiegato con l'emissione forzata di "semi di fuoco" dall'acqua che, aggregandosi in superficie, infiammano materiali combustibili.
L'argomento si estende alla proprietà del magnete, "quella pietra che i Greci chiamano magnete", definita "oggetto di meraviglia" per la sua capacità di formare "una catena di anellini che pendon da essa". Per spiegare tali fenomeni, si introduce il principio generale che "da tutte le cose emanazioni d'ogni specie fluendo si distaccano", colpendo continuamente i sensi. Si afferma inoltre la necessità di comprendere che "tutte le cose abbiano corpo poroso" e che "nulla è percepibile che non sia materia mista col vuoto", premesse fondamentali per la spiegazione fisica dei fenomeni descritti.
//: t 16.15
La natura magnetica e i principi dell'attrazione
Spiegazione dei fenomeni magnetici e delle affinità naturali tra i materiali, basata sulla teoria atomica e sulla struttura dei corpi.
Sommario
Il testo espone la causa dell'attrazione magnetica tra la pietra di Magnesia e il ferro, descrivendo come "da questa pietra devono fluire moltissimi semi o una corrente, che con gli urti disperde tutta l'aria che è posta fra la pietra e il ferro". Questo flusso crea un vuoto in cui "gli atomi del ferro corrono in avanti e cadono nel vuoto, congiunti, e avviene che l'anello stesso li segua", spinto anche dall'aria circostante che "sferza le cose che circonda" e "quasi lo cacci da tergo e lo spinga innanzi". La natura compatta del ferro, "più intrecciata nei suoi primi elementi e per stretta coesione più compatta", spiega perché il metallo segue il movimento, mentre altri materiali come l'oro, che "stan ferme in virtù del proprio peso", o il legno, con "corpo poroso, sì che la corrente vi passa a volo intatta", non sono attratti. Viene inoltre illustrato come l'interposizione del bronzo alteri il fenomeno, poiché "l'emanazione del bronzo ha prima raggiunto e occupato gli aperti condotti del ferro", impedendo alla corrente magnetica di agire.
Il blocco estende il discorso ad altre affinità naturali, citando esempi come le pietre che "si legano soltanto con la calce", la colla di toro che unisce il legname "in tal modo che spesso le venature delle tavole si schiantano", e il colore della conchiglia che "si congiunge insieme col corpo della lana, sì che non può esser diviso in alcun modo". Questi casi mostrano che "quei corpi i cui intrecci son capitati in reciproco riscontro, sì che i vuoti di questo corrispondono ai pieni di quello, e i vuoti di quello ai pieni di questo, fanno l'unione migliore", e che certi corpi, come la pietra magnetica e il ferro, si tengono "congiunti fra loro come se fossero intrecciati per mezzo di anellini e di uncini".