Lucrezio - De Rerum Natura - Lettura (11m)
1. Lâelogio di Venere e la critica alla religione: tra natura, pace e terrore
Invocazione alla dea, condanna dei riti crudeli e ricerca di una veritĂ libera dal timore
Il blocco si apre con unâinvocazione solenne a Venere, figura generatrice che presiede alla feconditĂ della terra, dei mari e degli animali: «te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli / adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus / summittit flores», mentre il suo potere si estende anche alla pace tra gli uomini, contrastando la furia bellica di Marte. La preghiera si lega alla dedica a Memmio, cui il poeta chiede ispirazione per un canto che celebri «rerum naturam», unica guida in unâepoca di conflitti. Segue una netta opposizione tra la serenitĂ degli dĂši, «semota ab nostris rebus seiunctaque longe», e la miseria umana, schiacciata dalla «gravi sub religione» che «mostrava il capo dalle regioni del cielo» con aspetto «horribili». Lâeroe anonimo che osĂČ sfidare questo giogo â «primus obsistere contra» â diventa emblema della ragione che vince il terrore, mentre la religione Ăš accusata di aver generato «scelerosa atque impia facta», come il sacrificio di Ifigenia, «tanto religio potuit suadere malorum». Il testo si chiude con un appello a indagare la natura dellâanima e dei fenomeni celesti, per liberarsi dalle «terriloquis dictis» dei vati e dalle «aeternas poenas» temute oltre la morte. Emergono cosĂŹ due poli: da un lato, la venereitĂ come principio di armonia cosmica e sociale; dallâaltro, la religione come strumento di oppressione, cui si oppone la «vivida vis animi» che esplora «flammantia moenia mundi».
2. Lâesistenza del vuoto e la natura dei corpi: argomenti per una fisica dei principi
Dallâerrore delle teorie avversarie alla dimostrazione dellâinane come condizione necessaria del moto e della struttura della materia.
Il blocco espone una confutazione sistematica delle obiezioni contro lâesistenza del vuoto (inane), dimostrandone la necessitĂ per spiegare il movimento, la composizione dei corpi e la stessa possibilitĂ di un universo strutturato. Lâautore smonta lâipotesi di un mondo âpienoâ con argomenti logici: se tutto fosse corpus, «cedere squamigeris latices nitentibus aiunt» (âdicono che le acque scintillanti cedono ai pesci squamatiâ), ma «nam quo squamigeri poterunt procedere tandem, ni spatium dederint latices?» (âdove potrebbero avanzare i pesci, se le acque non dessero spazio?â). Il vuoto non Ăš unâastrazione, ma un elemento concreto che «esse admixtum dicundumst rebus» (âdeve essere detto mescolato alle coseâ), senza il quale «aut igitur motu privandumst corpora quaeque» (âogni corpo dovrebbe essere privato di movimentoâ). La dimostrazione prosegue con esempi fisici (dissoluzione, condensazione, propagazione del calore) per provare che i corpi primordiali â «quae solido vincunt ea corpore demum» (âche vincono per la loro solida corporeitĂ â) â sono eterni e indistruttibili, mentre il vuoto ne permette lâesistenza e lâinterazione. Si delinea cosĂŹ una natura fondata su due principi irriducibili: «omnis ut est igitur per se natura duabus constitit in rebus; nam corpora sunt et inane» (âtutta la natura, dunque, consiste in sĂ© di due cose: i corpi e il vuotoâ). Emergono temi minori come la critica alle spiegazioni alternative («scilicet id falsa totum ratione receptumst» / «questo Ăš stato accolto per un ragionamento del tutto falso»), la distinzione tra eventa (fenomeni derivati) e corpora (entitĂ fondamentali), e lâaffermazione che «tempus item per se non est» (ânemmeno il tempo esiste di per sĂ©â), ma Ăš un effetto del moto degli enti materiali. La sezione si chiude ribadendo lâeternitĂ della materia prima, senza la quale «antehac ad nihilum penitus res quaeque redissent» (âtutte le cose sarebbero giĂ tornate al nullaâ).
3. Lâinfinito come necessitĂ : materia, spazio e movimento in un universo senza confini
Dove il rifiuto del limite rivela lâeterna instabilitĂ delle cose, e lâequilibrio Ăš solo unâillusione di chi ignora lâabisso.
Il blocco argomenta che un universo finito sarebbe impossibile, poichĂ© la materia, priva di un âfondoâ (ânil est funditus imumâ), non potrebbe arrestarsi nĂ© accumularsi senza annullare ogni fenomeno naturale (ânec res ulla geri sub caeli tegmine possetâ). Lo spazio infinito Ăš condizione indispensabile affinchĂš i corpi, spinti da urti casuali (âpercita plagisâ), possano dispersi o aggregarsi in forme stabili solo apparentemente: âomne genus motus et coetus experiundo / tandem deveniunt in talis dispositurasâ. Lâequilibrio dei corpi celesti, la vita sulla terra, persino la âflamma solisâ dipendono da un flusso inesauribile di materia che âex infinito suboririâ deve pur sempre rifornire ciĂČ che si dissolve. Ogni teoria che postuli un âcentroâ attrattivo (âin medium summae omnia nitiâ) Ăš confutata dallâosservazione: se esistesse, ânihil esse potestâ che vi si fermi, poichĂ© âsua quod natura petit, concedere pergatâ. Lâinfinito non Ăš ipotesi metafisica, ma conseguenza necessaria dellâesistenza stessa del movimento, della gravitĂ , della vita: âtemporis ut puncto nihil extet reliquiarum / desertum praeter spatium et primordia caecaâ. Il testo chiude con un monito metodologico: la comprensione procede per gradi (âparva perductus opellaâ), dove âalid ex alio clarescetâ in una catena di evidenze che dissolve ogni ânotte ciecaâ.
Note
Frasi citate (tradotte)
- (236) ânil est funditus imumâ â ânon esiste alcun fondo assolutoâ
- (235) ânec res ulla geri sub caeli tegmine possetâ â ânessun fenomeno potrebbe svolgersi sotto la volta celesteâ
- (241) âpercita plagisâ â âpercosse da urtiâ
- (241) âomne genus motus et coetus experiundoâ â âavendo sperimentato ogni tipo di movimento e aggregazioneâ
- (242) âex infinito suboririâ â âsorgere dallâinfinitoâ
- (247) âin medium summae omnia nitiâ â âtutto tendere verso il centro della totalitĂ â
- (249) âsua quod natura petit, concedere pergatâ â âprosegua nel suo moto naturaleâ
- (253) âalid ex alio clarescetâ â âuna cosa si chiarisce attraverso unâaltraâ
- (253) âcaeca noxâ â ânotte ciecaâ
Tematiche minori
- Critica del finalismo: i corpi non si dispongono per âsagace menteâ (241), ma per urti casuali.
- Analogia idraulica: la materia si comporta come un fluido che âsubsidendoâ (235) affonderebbe in un universo finito.
- Osservazione empirica: i confini visibili (monti, mari) non implicano un limite assoluto (âomne quidem vero nihil est quod finiat extraâ, 238).
4. SullâimpossibilitĂ che i colori siano proprietĂ intrinseche degli atomi e sulla genesi sensibile delle cose
Dai mostri mitologici alle leggi invisibili che reggono forma, colore e mutamento.
Il blocco espone una confutazione sistematica dellâidea che i colori â come altre qualitĂ sensibili â siano attributi originari della materia prima. Lâargomento si articola intorno a tre assi: lâincompatibilitĂ tra connessioni arbitrarie e leggi naturali, âlâillusorietĂ del coloreâ come fenomeno dipendente dalla luce e dalla disposizione degli atomi, la trasformabilitĂ universale che dimostra lâassenza di proprietĂ fisse. âNon vi Ăš colore alcuno nei corpi primigeni, / nĂ© simile nĂ© dissimile alle coseâ (419), poichĂ© âtutto muta in tuttoâ (424) e ânulla cosa puĂČ ridursi al nullaâ (425): il colore Ăš effetto di âquali semi con quali altri si combinino, / quali moti scambino, quali posizioni assumanoâ (426), non una caratteristica intrinseca. La prova sta nei fenomeni naturali â âil mare che da nero diventa biancoâ (426), âla coda del pavoneâ (434) â e nellâosservazione che âi ciechi conoscono i corpi senza coloreâ (421), âle tenebre non hanno tintaâ (432). Gli atomi, âspogli di calore, suono, sapore, odoreâ (440), generano le qualitĂ sensibili solo attraverso âordini, forme e motiâ (448), come dimostra la âmetamorfosi continuaâ (445-447) di elementi in organismi vivi o in fiamme. âSe i sassi e la terra non producono senso vitaleâ (450), Ăš perchĂ© manca loro âlâordine giustoâ (448), non una presunta âessenzaâ cromatica o sensoriale. Tematiche minori includono lâanalogia tra percezione tattile e visiva (421-422), la critica alle spiegazioni superficiali (ânon credere che lâalbo nasca da semi albiâ 419), la necessitĂ di principi immutabili per evitare âlâannichilimento totaleâ (425, 441).
5. LâunitĂ indissolubile di corpo e anima: natura mortale e reciproca dipendenza
Della fragilitĂ congiunta che lega il vivente e della necessitĂ che lâanima, come il corpo, si dissolva.
Il blocco definisce lâanima (animus/anima) come entitĂ strettamente connessa al corpo, da cui dipende per esistere, sentire e agire. Lâargomentazione si articola attorno a tre assi: 1) lâimpossibilitĂ di separare lâanima dal corpo senza che entrambi periscano (âconiunctast causa salutis, coniunctam quoque naturam consistere eorumâ 586; âcorpus per se nec gignitur umquam nec crescitâ 584), 2) la dimostrazione della sua mortalitĂ attraverso fenomeni osservabili (malattia, invecchiamento, morte violenta: âvidemus crescere et, ut docui, simul aevo fessa fatisciâ 610; âdispertita procul dubio quoque vis animai et discissa simul cum corpore dissicieturâ 650), 3) il rifiuto della trascendenza (lâanima non sopravvive al corpo nĂ© preesiste: âquae fuit ante interiisse, et quae nunc est nunc esse creatamâ 659). Tematiche minori includono la critica alle teorie della metempsicosi (âsi inmortalis foret et mutare soleret corpora, permixtis animantes moribus essentâ 676) e la confutazione dellâidea che lâanima possa generare o abitare corpi autonomamente (âhaut igitur faciunt animae sibi corpora et artusâ 672). La tesi centrale si condensa nellâaffermazione che âmortalem esse animam fateare necessestâ (629), poichĂ© âquod scinditur et partis discedit in ullas, scilicet aeternam sibi naturam abnuit esseâ (651).
Lâanalisi si serve di esempi concreti: la progressiva perdita di sensibilitĂ negli arti morenti (âin pedibus primum digitos livescere et unguis, inde pedes et crura moriâ 626), la persistenza di riflessi in membri recisi (âut tremere in terra videatur ab artubus id quod decidit abscisumâ 651), la correlazione tra alterazioni fisiche (ebbrezza, malattia) e turbamenti psicologici (âconturbare animam consuevit corpore in ipsoâ 614). Lâanima Ăš descritta come unâaggregazione di particelle (âprimordia singulaâ 594) soggetta a dispersione (âdiffundi multoque perire ociusâ 605), analogamente a âfumusâ (610) o ânebulaâ (596). La sua mortalitĂ Ăš provata anche dallâosservazione che âgigni pariter cum corporeâ (606) e con esso invecchia (âpost ubi iam validis quassatum est viribus aevi corpus, claudicat ingeniumâ 609). Lâautore respinge lâipotesi di unâanima immateriale capace di sensazioni autonome (âpes sibi vivere solamâ 660), sottolineando che âcertum ac dispositumst ubi quicquid crescat et insitâ (687): lâanima non puĂČ esistere âsine corporeâ (688), cosĂŹ come âflammaâ non nasce âin igni gignier algorâ (644). La conclusione logica Ăš che âcorpus ubi interiit, periisse necessest confiteare animamâ (691), poichĂ© âmortale aeterno iungereâ (692) Ăš contraddittorio. Il testo si chiude con una riflessione sulla neutralitĂ della morte: se lâanima Ăš mortale, ânil igitur mors est ad nos neque pertinet hilumâ (696), come il ânihil tempore sensimus aegriâ (697) prima della nascita.
6. Meccanismi della percezione: immagini, simulacri e illusioni sensoriali nel flusso degli atomi
Come gli oggetti emettono particelle che colpiscono i sensi, come la vista inganna e come lo specchio rovescia la realtĂ .
Sommario
Il blocco descrive i principi fisici che regolano la percezione visiva e tattile, attribuendo ogni sensazione al movimento di simulacri (âsimulacraâ) e corpuscoli emessi dagli oggetti. âPraeterea si quae penitus corpuscula rerum ex altoque foras mittuntur, solis uti lux ac vapor, haec puncto cernuntur lapsa diei per totum caeli spatium diffundere seseâ (809): le particelle, come la luce o il calore, si propagano istantaneamente nello spazio, colpendo gli occhi e generando visione, odori o suoni. âperpetuoque fluunt certis ab rebus odores, frigus ut a fluviis, calor ab soleâ (815). La rapiditĂ di questi flussi spiega fenomeni come il riflesso delle stelle nellâacqua (âquam celeri motu rerum simulacra ferantur, quod simul ac primum sub diu splendor aquai ponitur, extemplo caelo stellante serena sidera respondentâ 812) o la percezione immediata di sapori (âin os salsi venit umor saepe saporis, cum mare versamur propterâ 816).
Il testo approfondisce poi le illusioni ottiche: gli specchi, ad esempio, âduplici geminoque fit aâre visusâ (830), creano immagini rovesciate (âfit ut, ante oculus fuerit qui dexter, ut idem nunc sit laevusâ 835) e moltiplicano i riflessi (âfit quoque de speculo in speculum ut tradatur imagoâ 836). Anche la distanza altera la forma (âquadratasque procul turris cum cernimus urbis, [...] videantur saepe rutundaeâ 848), mentre lâombra âsequi gestumque imitariâ (851) Ăš spiegata come assenza di luce. Infine, si analizzano errori percettivi comuni: la nave che âfertur, cum stare videturâ (858), i colli che âfugere ad puppim [...] videnturâ (859), le stelle âcessareâ* ma in realtĂ âadsiduo [...] motuâ (860). âNon possunt oculi naturam noscere rerumâ (856): spetta alla ragione correggere le apparenze.
Note
Processi fisici e sensoriali
- âperpetuo quoniam sentimus et omnia semper cernere odorari licet et sentire sonareâ (817): la continuitĂ del flusso atomico garantisce la percezione costante.
- âtactum visumque moveriâ* (818): tatto e vista operano per meccanismi analoghi (es. riconoscere una forma al buio e alla luce).
- âsplendida [...] vitantque tueriâ* (841): la luce intensa (âvis magnastâ 842) danneggia gli occhi per eccesso di âsemina ignisâ.
Illusioni e correzioni
- âminime mirarier estâ* (826, 833): fenomeni come i riflessi speculari o la distorsione delle torri lontane sono spiegabili con la fisica dei simulacri.
- âanimi vitium [...] adfingere noliâ* (857): lâerrore Ăš della mente, non degli occhi.
- âatria versari [...] videanturâ* (863): il movimento residuo delle colonne dopo la rotazione illustra la persistenza delle immagini sensoriali.
7. Le immagini del pensiero: meccanismi, illusioni e corrispondenze tra volontĂ e percezione
Dalle leggi del movimento delle simulacra alla selezione involontaria delle immagini mentali
Sommario
Il blocco indaga i meccanismi fisici e percettivi che regolano la formazione e il movimento delle âsimulacraâ (immagini), sia in stato di veglia che durante il sonno, interrogandosi sulla loro origine e sulla loro apparente sincronia con la volontĂ umana. Si descrive come le immagini âmuovano le braccia a tempoâ (960) o âprocedano in ritmoâ (968) â fenomeni che, analogamente ai sogni, suggeriscono una âmobilitĂ â (962, 972) e una âcopiaâ (962) di particelle tali da âfornireâ (962) in ogni istante le rappresentazioni richieste. La domanda centrale riguarda âperchĂ©, non appena il desiderio [libido] si presenta a qualcuno, la mente pensi subito a quello stesso oggettoâ (964), e se siano le immagini a âosservare la nostra volontĂ â (965) o viceversa: un dubbio che si estende a scene complesse (âadunanze di uomini, processioni, banchetti, battaglieâ â 966) e alla loro generazione spontanea sotto âla volta del cieloâ (966).
Emergono temi minori legati allâillusione percettiva e allâautoinganno: le immagini, âbagnate dâarteâ (969), sembrano âdanzare con periziaâ (969) nei sogni, mentre da svegli âci induciamo in erroreâ (979) interpretando âsegni minimiâ (979) come prove certe. La selezione delle simulacra dipende dalla âtensioneâ (974) dellâanimo, che âperde tutto il restoâ (978) tranne âciĂČ a cui si dedicaâ (978): cosĂŹ gli âocchi si sforzanoâ (976) di âcogliere con acutezzaâ (976) solo ciĂČ che âessi stessi hanno preparatoâ (974, 975). La ripetizione di concetti come âtanta Ăš la mobilitĂ e tanta la quantitĂ di coseâ (962, 972) sottolinea una ridondanza materialistica, mentre frasi come âquando la prima [immagine] svanisce e unâaltra nasce al suo posto, sembra che la precedente abbia cambiato gestoâ (961, 973) illustrano la continuitĂ illusoria della percezione.
Note
Frasi citate:
- (959) âgiace abbandonato e languisce nel sonno, non dissente da chi lo crede morto da tempo, mentre la mente ritiene di vederlo vivoâ.
- (960) ânon Ăš strano che le immagini si muovano e agitino le braccia a tempo, cosĂŹ come gli altri membri: accade infatti che in sogno lâimmagine sembri fare ciĂČâ.
- (968) âquando vediamo le immagini procedere in ritmo nei sogni e muovere gli arti con dolcezza, alternando le braccia e ripetendo il gesto con il piede in accordoâ.
- (969) âcertamente le immagini sono intrise dâarte e vagano istruite, cosĂŹ da poter compiere giochi nel tempo notturnoâ.
- (979) âpoi traiamo conclusioni massime da segni minimi e ci inganniamo da soli con vane speranzeâ.
8. LâetĂ primitiva della Terra: generazione spontanea, mostri e sopravvivenza in un mondo in trasformazione
La nascita degli esseri viventi dalla terra fertile, la comparsa di creature deformi e la lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile, dove solo lâadattamento garantiva la continuitĂ delle specie.
Sommario
Il testo descrive unâepoca remota in cui la Terra, definita «maternum nomen» (1294) per aver generato «genus ipsa creavit humanum» (1294), dava vita a esseri viventi attraverso un processo spontaneo: «uteri terram radicibus apti» (1290) crescevano dal suolo, nutriti da un «sucum venis cogebat [...] consimilem lactis» (1290), mentre «terra cibum pueris, vestem vapor, herba cubile praebebat» (1291). Tuttavia, «novitas mundi» (1292) imponeva condizioni estreme, Â«ĐżĐ”Ń frigora dura [...] ĐżĐ”Ń nimios aestus» (1292), che solo gli esseri piĂč forti o astuti riuscivano a superare, poichĂ© «omnia enim pariter crescunt et robora sumunt» (1293).
La natura, «ut mulier spatio defessa vetusto» (1295), cessĂČ di procreare quando «destitit» (1295) la sua capacitĂ generativa, mentre il tempo mutava «mundi naturam totius» (1296): «omnia migrant, omnia commutat natura» (1296), distruggendo ciĂČ che invecchia e favorendo ciĂČ che si adatta. In questa fase emersero «portenta mira facie membrisque coorta» (1299) â creature ibride come «androgynem» (1299), esseri «orba pedum» (1299) o «sine ore» (1299) â, condannati allâestinzione per lâimpossibilitĂ di «propagando procudere saecla» (1301), poichĂ© «natura absterruit auctum» (1300). La sopravvivenza dipendeva da «dolus aut virtus aut denique mobilitas» (1303): i leoni si salvano con «saevaque saecla tutatast virtus» (1305), le volpi con «dolus», i cervi con «fuga» (1305), mentre gli animali utili allâuomo, come «lanigeraeque pecudes» (1306), trovano protezione in cambio di «utilitatis eorum praemia» (1306). Le specie incapaci di adattarsi, «indupedita suis fatalibus omnia vinclis» (1307), soccombevano fino «ad interitum» (1307).
LâumanitĂ primitiva, «multo fuit illud in arvis durius» (1316), viveva «more ferarum» (1317) in «nemora atque cavos montis» (1324), cibandosi di «glandiferas [...] quercus» (1320) e «pabula dura» (1321), senza conoscere «ferro molirier arva» (1318) o «tractare [...] igni» (1324). La paura dominava la loro esistenza: «saecla ferarum infestam miseris faciebant [...] quietem» (1332), costringendoli a fuggire «spumigeri [...] leonis» (1333) o a morire «viva videns vivo sepeliri viscera busto» (1335). La riproduzione avveniva «in silvis» (1327) per «mutua cupido» (1327) o violenza, mentre la morte era onnipresente, inflitta da «vermina saeva» (1336) o dalla «penuria [...] cibi» (1340). Il mare, «turbida ponti aequora» (1337), era un nemico ignoto, e «improba navigii ratio [...] caeca iacebat» (1339), simbolo di unâepoca in cui lâuomo, «ignaros quid volnera vellent» (1336), affrontava il mondo senza arte nĂ© legge, Â«ĐżĐ”Ń legibus uti» (1325).
Note
Riferimenti testuali
- (1290) «hoc ubi quaeque loci regio opportuna dabatur, crescebant uteri terram radicibus apti [...] convertebat ibi natura foramina terrae et sucum venis cogebat fundere apertis consimilem lactis» â «quando ogni regione offriva il luogo adatto, crescevano uteri attaccati alla terra con radici [...] la natura vi dirigeva i pori della terra e costringeva le vene aperte a emettere un succo simile al latte».
- (1292) «пДŃ» = negazione (dal greco ÎżáœÎș); «at novitas mundi ĐżĐ”Ń frigora dura ciebat ĐżĐ”Ń nimios aestus ĐżĐ”Ń magnis viribus auras» â «ma la novitĂ del mondo non generava freddi intensi, non eccessivo calore, non venti di grande forza».
- (1309) «id licet hinc quamvis hebeti cognoscere corde» â «questo si puĂČ comprendere anche con un intelletto ottuso».
- (1311) «ne forte ex homine et veterino semine equorum confieri credas Centauros posse» â «affinchĂ© tu non creda che possano formarsi Centauri da un uomo e dal seme di una cavalla».
- (1314) «nixus in hoc uno novitatis nomine inani» â «basandosi solo sul vano nome della ânovitĂ â».
- (1325) Â«ĐżĐ”Ń commune bonum poterant spectare» â «non potevano guardare al bene comune».
9. I fenomeni atmosferici: tuoni, fulmini e la violenza degli elementi
Dalle nubi dense ai lampi che squarciano il cielo: meccanismi, suoni e forze che governano le tempestose manifestazioni della natura.
Il blocco descrive i processi fisici alla base dei fenomeni meteorologici estremi, con particolare attenzione a tuoni, fulmini e grandine. Le frasi illustrano come il vento, agendo sulle nubi, generi suoni simili a âcrepitum malos inter iactata trabesqueâ (1471) o âmurmur dant in frangendo graviterâ (1477), paragonabili al rumore di stoffe strappate o di foreste investite da raffiche. Si spiega che il tuono nasce dallo âscontro delle nubiâ (1472) o dalla ârottura violentaâ (1473) di masse dâaria compressa, mentre i fulmini sono il risultato di âsemina ignisâ (1481) scagliati dalle nubi, âquasi da una fucinaâ (1486). La velocitĂ del fulmine Ăš attribuita alla âmobilitasâ (1520) dei suoi componenti, âlevibus elementisâ (1521) che trapassano ostacoli come âaes in tempore punctoâ (1498). Si notano anche riferimenti alle stagioni piĂč propizie ai fulmini, âautumnoque magisâ (1528) e in primavera, quando âdissimilis res inter se turbaturâ (1533), e alla distinzione tra âignisâ e âventiâ (1495) come agenti distinti. Il testo si chiude con una critica alle interpretazioni mitologiche, ânon Tyrrhena retro volventem carminaâ (1536), e con domande retoriche sulla presunta selettivitĂ divina dei fulmini, âcur quibus incautum scelus [...] non faciunt icti flammasâ (1537).
Il sommario evidenzia inoltre la relazione tra la struttura delle nubi (âextructis aliis alias superâ 1487) e lâintensitĂ dei fenomeni, nonchĂ© la progressione logica dagli effetti sonori (âsonitusâ 1471, âfragorâ 1480) a quelli visivi (âfulgura flammaeâ 1486) e distruttivi (âdiscludere turris, disturbare domosâ 1502). Tematiche minori includono il confronto tra la forza del fulmine e altri agenti naturali (âsolis vapor aetatem non posseâ 1500) e la descrizione delle nubi come âspeluncasâ (1489) cariche di energia repressa.
10. I fenomeni naturali tra terrore e spiegazione razionale: terremoti, maree ed eruzioni come segni di un cosmo interconnesso
Quando la terra trema, il fuoco erompe e il mare sfida ogni equilibrio: le forze invisibili che reggono e minacciano il mondo.
Il blocco descrive i fenomeni naturali violenti â terremoti, maree, eruzioni vulcaniche â come manifestazioni di forze interne ed esterne che agiscono sul pianeta, generando paura e sconcerto negli esseri umani. Le frasi (1580-1593) si concentrano sui terremoti: la terra âtremescunt tecta viam propter non magno pondere totaâ (âfanno tremare i tetti lungo la strada, anche senza un grande pesoâ), mentre il vento, accumulatosi in cavitĂ sotterranee, âincumbit tellus quo venti prona premit visâ (âspinge la terra dove la forza del vento preme con violenzaâ). Lâidea ricorrente Ăš che tali eventi, pur apparendo catastrofici, siano il risultato di dinamiche naturali: âventus ubi atque animae [...] in loca se cava terrai coniecitâ (âquando il vento o una forza vitale si getta nelle cavitĂ della terraâ), generando âmagnum concinnat hiatumâ (âuna grande spaccaturaâ). Le cittĂ , come âSyria Sidoneâ e âAegi in Peloponnesoâ, ne sono vittime, ma il testo sottolinea anche la ciclicitĂ dei fenomeni: âsaepius hanc ob rem minitatur terra ruinas quam facitâ (âspesso la terra minaccia rovine piĂč di quante ne provochiâ).
Il discorso si allarga poi alle maree (1594-1601), dove il mare ânon reddere maiusâ (ânon aumentaâ) nonostante lâapporto costante di fiumi e piogge, perchĂ© il sole âmagnam partem detrahit aestuâ (âsottrae una grande parte con lâevaporazioneâ), mentre i venti e le nubi redistribuiscono lâumiditĂ . Si introduce cosĂŹ un principio di equilibrio dinamico, che culmina nellâeruzione dellâEtna (1602-1616): il vulcano âexpirent ignes inter dum turbine tantoâ (âerutta fiamme con un turbine immensoâ), alimentato da âventus et a'râ (âvento e ariaâ) che, riscaldandosi, âtollit se ac rectis [...] eicit alteâ (âsi solleva ed erompe in altoâ). Il testo chiude con una riflessione sulla proporzione: gli eventi, per quanto imponenti, sono âparvula parsâ (âuna parte minimaâ) rispetto allâimmensitĂ del cosmo, e la loro apparente eccezionalitĂ deriva dalla limitata prospettiva umana.
Note
Formulazioni originali latine
Le frasi in russo (es. âĐżĐ”Ń ĐŒĐžĐœŃŃâ in 1580) sono corruzioni testuali e non vengono tradotte. Le citazioni in latino sono rese in italiano con adattamenti lessicali fedeli al senso (es. âanimaeâ come âforza vitaleâ).
Temi minori
- Paura collettiva: âpavida complebant pectora curaâ (1602) evoca il timore di fronte a fenomeni inspiegabili.
- CiclicitĂ naturale: âredeunt ceduntque repulsiâ (1585) e âredit agmine dulciâ (1601) sottolineano ritmi di ritorno.
- RelativitĂ della scala: ânil sint ad summam summai totius omnemâ (1610) ridimensiona la portata degli eventi terrestri.
11. Il ciclo del calore e del freddo nelle acque e i fenomeni naturali della dispersione
Dallâardore del sole ai vapori notturni: come il fuoco si nasconde nellâacqua e la magnetite sfida le leggi della materia.
Sommario
Il blocco descrive i meccanismi fisici che regolano il riscaldamento e il raffreddamento delle acque, attribuendo al sole un ruolo centrale: âpraesertim cum vix possit per saepta domorum insinuare suum radiis ardentibus aestumâ (âspecialmente quando a stento riesce a insinuare il suo calore ardente attraverso le mura delle caseâ). Le acque, durante la notte, si raffreddano âextemplo penitus frigescit terra coitqueâ (âsubito la terra si raffredda completamente e si condensaâ), mentre di giorno il calore solare ârare fecit calido miscente vaporeâ (ârende rare [le particelle] mescolando vapore caldoâ) e libera i âsemina ignisâ (âsemi del fuocoâ) che danno origine a fenomeni come il vapore e la condensa. Lâacqua, pur fredda in superficie, contiene al suo interno particelle infuocate che possono accendere materiali combustibili a contatto: âsupra quem sita saepe stuppa iacit flammamâ (âsopra cui la stoppa posta spesso getta fiammeâ), come dimostra lâesempio della âtaedaâ (torcia) che âconlucet, quo cumque natans impellitur aurisâ (âbrilla ovunque sia spinta dal vento mentre galleggiaâ).
Emergono temi minori come la presenza di âsemina vaporisâ (âsemi di vaporeâ) che fuoriescono dallâacqua dolce immersa in quella salata, come nel caso della âfons Aradiâ che âdulcis aquai [...] scatit et salsas circum se dimovet undasâ (âzampilla di acqua dolce e allontana intorno a sĂ© le onde salateâ), utile ai naviganti assetati. Il testo accenna anche a fenomeni di combustione spontanea, come il lino che âaccendier ante quam tetigit flammamâ (âsi accende prima ancora che tocchi la fiammaâ), e introduce un cambio di argomento con la âMagnetaâ (magnetite), pietra che âferrum ducere possitâ (âpuĂČ attrarre il ferroâ) e forma âcatenam saepe ex anellisâ (âspesso una catena di anelliâ), suscitando meraviglia per la sua âvis pervaletâ (âforza persistenteâ).
Il passaggio finale estende il discorso ai principi universali della materia, dove âomnibus ab rebus [...] fluere ac mitti spargiqueâ (âda tutte le cose [...] fluiscono, vengono emesse e sparseâ) particelle che colpiscono i sensi: odori, suoni, sapori salati o amari, âperpetuo quoniam sentimus et omnia semperâ (âpoichĂ© percepiamo e sentiamo tutto ininterrottamenteâ). La magnetite diventa cosĂŹ pretesto per una riflessione piĂč ampia sulle âres quaeque fluenter ferturâ (âcose che fluiscono senza sostaâ), anticipando una spiegazione che richiede ânimium longis ambagibusâ (âun percorso troppo lungoâ).