Le metamorfosi della gnosi - Lettura (17x)
1. Forme di riduzionismo del valore
Riduzionismo sociologistico, conflittuale e psicologistico come spiegazioni del dovere morale.
Sommario
Il blocco delinea tre forme principali di riduzionismo applicate al valore etico e morale, partendo da quella sociologistica, che riduce il valore a adeguamento ai desideri e norme sociali imposte dal gruppo, come descritto in "(232) - La prima forma nota di riduzionismo è quella sociologistica" e "(233) - Essa consiste nell’affermare che il valore (per esempio il dovere morale o il dovere religioso) non ha un'esistenza indipendente ed originaria, bensì che non è altro che l'adeguamento dei propri desideri e capricci alle norme esistenti nella società". Qui il processo implica una coercitività sociale, definita da Durkheim come moral de contrainte, che porta il singolo a conformarsi automaticamente per evitare rischi, riducendo il dover essere a ciò che è già presente nella società, con echi al materialismo storico e a Trasimaco platonico. Emerge un'obiezione: per affermare la dipendenza del pensiero dal sociale, serve presupporre una distinzione tra coscienza falsa (ideologia) e non falsa, come in "(238) - È chiaro però che questo processo di riduzione del valore al sociale ha l’inconveniente di esporre il discorso critico alla “falla- cia naturalistica”, a quel processo, cioè, in cui da una co- statazione di fatto si passa a prescrizioni di diritto", rischiando la fallacia naturalistica dove il "tutti fanno" diventa "tu devi". La seconda forma vede il valore come proiezione di conflitti di interesse risolti tramite lotta o compromesso, in "(243) - a vedere nel valore (per esempio la giustizia) nient'altro che una proiezione di conflitti di interesse, e di soluzioni di conflitti attraverso ia lotta o il compromesso", valorizzando la spontaneità del pensiero idealista. Infine, la terza forma psicologistica, esemplificata dalla psicanalisi, lega dovere e colpa a dinamiche interne, in "(248) - Una terza forma di riduzione del valore è quella psico logisti . (249) - e , n de , di , e , n de , di , ogistica", collegandosi a Kant dove la coscienza autonoma separa moralità dal mondo esterno, rendendolo dominio di legalità risolvibile anche da "un popolo di diavoli". Temi minori includono critiche alla dipendenza ideologica e al ruolo della coscienza kantiana, con riferimenti a opere come quelle di Inciarte e Barth.
Riferimenti minori
(245) - A ragione Fernando Inciarte (Eindeutigkeit und Variation. Die Wahrung der Phinomene und das Problem des Reduktionismus, Monaco 1973, pp. 42-46). (255) - Quali poi e ideologia di Hans Barth, tr. it.
2. Lo stato nascente e i movimenti collettivi in Alberoni
Sviluppo dei fenomeni collettivi e critica alle istituzioni.
Sommario
Le frasi delineano la teoria di Francesco Alberoni sui movimenti collettivi allo stato nascente, contrapposti alle istituzioni cristallizzate. Si parte dall'apparizione del padre nel rapporto infantile, che rinnova il meccanismo con la madre: "vissuto inizialmente come rivale, il padre verrà poi amato come oggetto buono da salvare insieme alla madre" (frase 323), esteso a ogni membro aggiunto al gruppo primitivo, rendendo la collettività "profondamente vitale, ma anche come dotata di potere normativo" (frase 325). Il gruppo media le relazioni, diventando "il valore ultimo che ad onta di tutto deve essere salvato" (frase 325), e genera valori universali non legati a classi o partiti, ma propri di ogni movimento nascente (frase 326). In condizioni di anomia, come guerre o catastrofi, le società appaiono inadeguate, favorendo "processi di destrutturazione sociale" (frase 327) e la formazione di nuovi gruppi rigeneratori (frase 330).
Si approfondisce il corollario sociologico: i valori universali persistono solo nello stato nascente, svanendo con l'istituzionalizzazione, dove l'istituzione appare "repressiva" (frase 329). Alberoni insiste su due compiti: evitare la cristallizzazione mediante "riattualizzazione delle origini" (frase 333) e combattere il "sistema esterno ecclesiastico ufficiale o burocratico-partitico" (frase 336), visto come mistificatorio. Le verità morali e scientifiche hanno carattere storico, espressione di conflitti: "togliere l'alienazione, vincere il proprio sentimento di contingenza rispetto alle cose" (frase 338) avviene solo nello stato nascente, momento di "libertà assoluta" (frase 339), mentre norme tradizionali appaiono "contingenti se non demoniaci e perversi" (frase 340). Emergono temi minori come la critica alla Chiesa, che "stermina l'eresia cioè la religiosità vera" (frase 334), e al matrimonio sacramentale, "antitesi adialettica" dell'amore (frase 335), equiparati al partito comunista URSS come interessi precostituiti (frase 338).
Il discorso evolve in utopia: il Regno di Dio appartiene al presente nascente, criticando Marx per eliminare il metastorico (frase 342); lo stato nascente è "l’esperienza fondamentale dei protagonisti è quella del ricominciare dal principio" (frase 352), annullando il tempo (frase 354). Si contestualizza con storia utopica, chiliasmo e gnosticismo (frase 356-357), identificando ottimismo antropocentrico, fede in scienza e unità planetaria (frase 358-364), necessitante crisi economica per masse gregarizzate (frase 365-366). Infine, critica all'approccio: equivoco nel svalutare valori mutuati dal passato (frase 367), illusione narcisistica (frase 376-377), e incoerenza su temi come controllo nascite (frase 381), proponendo superamento teologico della legge nello "spirito di adozione" (frase 380), contro repressione (frase 382-384).
3. Critica al razionalismo verificazionista di Cordero
Razionalismo empirico e i suoi paradossi logici.
Sommario
Il blocco analizza il metodo razionalista di Cordero, incentrato sulla verificazione empirica come unico criterio di verità, applicato per smantellare il pensiero metafisico e religioso. Si parte dalla definizione di verità come esperibile: "Gli enunciati descrittivi sono veri in quanto siano stati verificati sperimentalmente... essendo ormai risaputo che gli eternamente veri ar quali sembravano condurre i vagabondaggi metafisici, sono soltanto tautologie ossia manipolazioni di parole". Questo porta a preferire "le ipotesi empiriche alle metafisiche, sulle quali hanno in ogni caso il vantaggio di essere comprensibili", con il canone "comprensibile uguale esperibile, esperibile uguale vero". L'analisi degli enunciati impone di "cogliere le sole ipotesi dimostrate, rifiutare le false e ignorare le indimostrabili", applicandosi a concetti come anima, peccato originale, sacramenti e libero arbitrio, ridotti dal rasoio logico. Si introduce una Quellenforschung per tracciare l'origine dei pensieri nei bisogni umani: "solo vero è l’esperibile, solo l’esperibile è comprensibile, solo comprensibile, cioè significativo e suscettibile di lettura analitica, ciò che soddisfa un bisogno".
La critica emerge sull'assunto esperienziale, che Cordero difende come criterio non verificabile ma necessario: "il principio di verificazione non può essere verificato... quello non è un enunciato bisognoso di dimostrazione, ma un criterio inteso ad organizzare la nostra conoscenza, il solo possibile". Tuttavia, ciò genera un circolo: l'esperienza non è un apriori autentico ma un modello artificiale, poiché "assumere l’esperienza semplicemente come data, senza averne preliminarmente dimostrato la necessità logica, ha tanto l’aria di pretendere di voler spingere l'autobus standoci sopra". Si contesta la riduzione del significato all'empirico: "solo i fatti empirici costituiscono il significato" implica "i fatti empirici e non ciò che non è fatto empirico costituiscono il significato", rendendo insignificanti anche le negazioni, come "non abracadabra" se "abracadabra" lo è. Il metodo, influenzato dalla filosofia analitica di Schlick, Ayer e Carnap, limita la filosofia a sorveglianza logica, declarando privi di senso discorsi non riferiti a fatti sensibili: "un discorso che almeno da ultimo non si riferisca a fatti sensibili, e solo a fatti sensibili, è privo di senso". Tempi minori emergono nella genesi psicologica dei concetti metafisici, come l'eidos platonico dal "bisogno visivo" o il concetto di creazione dal "bisogno di immaginare il mondo migliore di quanto non sia"; si denuncia la confusione tra fondamento logico e genesi empirica, con il rischio di spiegare valori per bisogni: "Confondere il problema del fondamento logico della conoscenza con la genesi empirica di essa è forse l’errore più pericoloso". L'analogia con la geometria egizia, citando Eliade, chiarisce la distinzione: "non si vede bene come il fatto della scoperta delle prime leggi geometriche, dovute alle necessità empiriche dell’irrigazione, possa avere un’importanza qualunque nella validazione o invalidazione di queste leggi". Infine, i concetti di causa, colpa, cosa e persona sono ridotti a prodotti emotivi contro l'horror vacui: "rientrano nel medesimo genere i concetti di cosa e di persona, ridotti sotto il segno dell’identità per essere riconoscibili".
4. Critica all'emozionalismo etico e origini del dogma
Esame delle teorie psicologistica e relativista in etica, con obiezioni di Moore, e analisi etimologica del termine dogma dal contesto ellenico al cristiano.
Sommario
Il blocco esplora il fondamento psicologistico della morale, criticando l'emozionalismo che riduce i giudizi etici a espressioni di preferenze personali. Si discute come l'etica, secondo questa visione, abbia una propensione per l’emozionalismo: quando diciamo «buono», «cattivo», «giusto», simili concetti hanno solo un significato emotivo, esprimono semplicemente una nostra preferenza o una nostra ripugnanza. I giudizi morali esprimono lo stato emotivo dell'autore, non rimandano a un giusto in sé, ad una giustizia che ci permette il rilevamento concreto del bene o del male. Cordero accetta parzialmente l'obiezione di Moore alle teorie soggettivistiche, notando che se il giudizio di bontà esprime solo un sentimento, non potrebbe più esistere disputa poiché la controversia suppone un oggetto comune e gli oggetti qui sono due: lo stato d’animo dell’uno e quello dell’altro. Tuttavia, limita questa critica affermando che le formule normative sono strumenti psicagogici per influire sul comportamento altrui, suscettibili di discussione razionale, senza aderire al solipsismo.
Moore dimostra l'impossibilità logica del relativismo etico psicologistico: se giudico un’azione come rubare è ingiusto come maschera di un sentimento di indignazione, formulo un giudizio sui miei sentimenti, non sull'azione. Ne seguirebbe che due giudizi contrari sulla stessa azione, come “giusto” e “ingiusto”, possono essere entrambi veri per soggetti diversi, pur essendo logicamente opposti come ieri ero a Cambridge e ieri non ero a Cambridge. Moore osserva che, quando formulo un giudizio come rubare è ingiusto, non intendo asserire di nutrire un sentimento di ripugnanza, ma affermare qualcosa sulla cosa stessa: se dico che un'azione è sbagliata non intendo fare un’affermazione intorno ai miei sentimenti circa quella cosa, ma intorno alla cosa stessa. La filosofia morale, come i valori religiosi, non è riducibile sociologicamente o psicologicamente: la loro riducibilità può essere affermata, ma non è detto che sia possibile dimostrarla.
Il testo passa all'analisi del termine dogma, dalla radice ellenica in dokein, che significa originariamente «opinione», «sentenza», «giudizio» espressi da qualcuno, al suo uso nell'ebraismo come comandamento divino, precetto, legge. Nel Nuovo Testamento appare come editto imperiale, comandamento veterotestamentario o decisione basata sulla Scrittura, come in At 16,4 dove phulàssein ta dògmata indica osservare le decisioni apostoliche, equiparate alle norme cristiane e legate alla tradizione e al carattere vincolante. Nel contesto, è parso (èdoxe) allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso. Nell'età subapostolica, gli eretici, in particolare gli gnostici, usano dogma per il loro pensiero, contrapposto alla tradizione cristiana. Temi minori emergono nei riferimenti bibliografici, come Cordero in Franco Cornero, Il sistema negato, o i Principia Ethica di Moore, e nel saggio di Alberto Granese su Moore e la filosofia analitica inglese.
Riferimenti
Cfr. Bar GI Oort cit., p. 451; Ibid, cit., p. 219; Af 16,4; Af 15,22; 15,25; 15,28; Principia Ethica e Ethics di Moore; G.E. Moore e la filosofia analitica inglese, Firenze 1970, pp. 199-264.
5. Evoluzione storica e definizione del dogma cattolico
Sviluppo del concetto di dogma dalla tradizione patristica al Vaticano I, con distinzioni tra eresia e tradizione e critiche al relativismo moderno.
Sommario
Il blocco traccia l'evoluzione storica del termine "dogma" nella teologia cattolica, partendo dalle origini greche e latine per arrivare a definizioni moderne. Nei Padri latini, come Tertulliano, Cipriano, Gerolamo e Agostino, il dogma è usato raramente e spesso per contrassegnare "particolari dottrine ereticali" (frase 541), mentre Vincenzo di Lerino lo assume positivamente per indicare la fede della Chiesa, rigettando i "nova dogmata" degli eretici e osservando un approfondimento progressivo dei dogmi "eodem sensu eademque sententia" (frase 547), ovvero con lo stesso senso e la stessa sentenza. Il Vaticano I illumina l'estensione del concetto, definendo come "di fede divina e cattolica" le verità contenute nella Parola di Dio e proposte dalla Chiesa "mediante solenne giudizio che mediante il magistero ordinario e universale" (frase 545), affidata alla Chiesa per essere "fideliter custodienda et infallibiliter declaranda" (frase 546).
Vincenzo Gotti, nel Settecento, distingue che la Chiesa non è la causa originaria di ciò che è "de fide", ma indica ciò che deve esserlo, e ciò che gode del "placet di tutta la Chiesa" offre una "regula certa tanto in materia di fede che di morale" (frase 542). Un censimento delle qualità essenziali del dogma include: una verità della Rivelazione, proposizionale, infallibile, vincolante e suscettibile di approfondimenti storici (frase 549). Il testo critica il relativismo moderno, che manifesta "disappunto per la suddetta concezione" dogmatica (frase 554), vedendo nel dogma un "digest di immobilismo, razionalismo, formalismo" (frase 556), e propone visioni come l'antidogmatismo che confonde esperienza soggettiva con verità oggettiva (frase 555). Si menziona Karl Popper, per cui una teoria scientifica deve essere "falsificabile di principio" (frase 559), contrapposto a visioni infalsificabili come astrologia e marxismo (frase 563), suggerendo temi minori di epistemologia teologica contro il soggettivismo.
Riferimenti
- Frase 537: Reazione di Clemente Alessandrino a una "propensione ad una infinità di dogmi" (frase 538, tradotta dall'originale).
- Frase 550: Nota a Enchiridion symbolorum di H. Denzinger, n. 1800.
- Frase 552: Citazione da G. Söll, Dogma und Dogmenentwicklung, p. 14.
6. Critica kinghiana al dogma cattolico
Esame della posizione di Hans Küng come alternativa alla concezione tradizionale del dogma.
Il blocco di testo distingue tra norma oggettiva e valore soggettivo nel dogma cattolico, sostenendo che "il dogma mi indica la verità che devo tenere" (fr. 600) e che l'esperienza religiosa non sostituisce l'"intelligenza oggettiva dei misteri" (fr. 601) raggiunta dalla Chiesa. Esclude la fallacia psicologistica, citando che "l’esperienza religiosa [...] è assolutamente necessaria" (fr. 609) ma precede l'appello della Rivelazione espresso in proposizioni oggettive. Passa poi all'analisi di Hans Küng come alternativa storica e speculativa (fr. 605), esaminando non esaustivamente la sua critica (fr. 608) attraverso una parte storica sull'enciclica Humanae vitae e l'infallibilità papale, e una teoretica su Menschwerdung Gottes che rivela contraddizioni simili a una "gnosi cristologica" (fr. 614). Küng considera Humanae vitae "totalmente errata" (fr. 617), argomentando tre punti: Paolo VI non poteva sbagliare senza contraddire il Magistero (fr. 620); l'insegnamento ordinario è infallibile, richiedendo una revisione dell'infallibilità papale (fr. 621); e l'indefettibilità è solo nella verità senza inerranza proposizionale (fr. 623), rendendo inutile una permanenza senza mediazioni concettuali, come un "orologio senza lancette" (fr. 625). Il sommario integra temi minori come la promessa dello Spirito Santo che anima la Chiesa nonostante gli errori (fr. 627), e un'analisi storico-esegetica che contesta le interpretazioni di Küng su Mt 16,18 e 18,18, rilevando omissioni su Tertulliano (fr. 642) e dualità tra Cristo e Chiesa (fr. 640), con riferimenti a opere come Veracità e Infallibile? (fr. 635).
7. Critica alla storicità e all'infallibilità dogmatica in Küng
Disputa teologica tra Küng e Rahner sull'infallibilità papale e l'interpretazione storica dei dogmi.
Sommario
Il blocco analizza la polemica tra Hans Küng e Karl Rahner sull'infallibilità pontificia, criticando l'approccio di Küng che nega proposizioni dogmatiche vere a priori e lega la verità alla storicità contingente. Küng sostiene che "l’infallibilità pontificia non si basa sulle Decretali... compilati verso l’850", attribuendo ai dogmi del Vaticano I motivi politici e ai mariani ragioni propagandistiche, mentre Rahner rinfaccia a Küng una concezione razionalistica della storia che nega "l’essenziale riferimento storico della fede cristiana". Si discute l'Humanae vitae come caso di magistero ordinario non dogmatico ma infallibile, con Rahner che afferma: "questo insegnamento... non è in nessun modo un esempio del fatto che vi possa essere un insegnamento errato... come un dogma esigente un assenso assoluto", e Küng che esalta la sua infallibilità per contestare il primato papale. Emergono temi minori come l'ecumenismo e l'eteronomia del magistero, con Küng accusato di finalità politico-ecclesiastiche. Il testo applica il principio di non-contraddizione per confutare Küng: una proposizione di principio resta vera indipendentemente dai contesti, poiché "A non può al tempo stesso essere A e non-A", evitando hegelismi che rendono ogni dogma potenzialmente errato. Si critica la storicità del dogma in Küng come evolutio praeter evangelium, proponendo invece una continuità ermeneutica dalla Scrittura, e si conclude con una cristologia antimetafisica hegeliana in Menschwerdung Gottes, dove "non è più possibile un ritorno ad un'immagine di Dio prehegeliana". Il sommario evidenzia il rifiuto di Küng dell'assenso assoluto, sostituendolo con un criterio comunitario e scientifico che rischia arbitrio, mentre Rahner difende l'interpretazione speculativa aperta al futuro senza svuotare il contenuto originario.
8. Critica teologica alla cristologia di Hans Küng
Analisi dell'omogeneità tra proclamazioni bibliche e credo ecclesiastico, con enfasi su Calcedonia e influenze luterane-hegeliane.
Il blocco di testo esplora l'omogeneità tra le "proclamazioni bibliche e il credo della Chiesa", inferita da opere come quelle di Hans Küng in Menschwerdung Gottes. Si discute una "formula che è un inizio più che una fine" riguardo a Calcedonia, dove "si parla di Cristo-Dio". Vengono citati riferimenti a teologi come Grillmeier e Schlier, che sottolineano le origini del credo cristologico. Emergono temi minori sulla divino-umanità di Gesù, descritta come "unica più alta", e sul rischio che il Cristo diventi "solo un momento, seppur il più alto di questo incontro tra Dio e l’uomo". Si nota la coerenza del pensiero di Küng, con un "rifiuto implicito della distinzione per opposizione delle nature" passato "da Lutero a Hegel", rendendo quasi impossibile evitare tale esito nella teologia funzionale.
9. Superamento hegeliano dei dogmi cristologici
L'incarnazione come processo dinamico nell'umanità, tra Hegel, Rahner e Kiing.
Didascalia
L'incarnazione non è un evento isolato, ma un divenire continuo che umanizza Dio e divinizza l'uomo, superando i dogmi rigidi in una prospettiva metadogmatica.
Sommario
Il blocco discute il superamento dei dogmi cristologici attraverso una prospettiva hegeliana, enfatizzando l'incarnazione come processo dinamico e non come fatto conclusivo. Kiing rifiuta l'infallibilità dei dogmi particolari, poiché "il vero è il tutto, non esiste giudizio particolare o dogma, che avendo un suo contrario, non possa essere visto come non solo limitato ma anche addirittura errato dal punto di vista dell’intero". Questo porta alla necessità di superarli "metadogmaticamente", parafrasando Hegel dove vero e falso non sono distinti ma contrari per l'intelletto unilaterale, ma superati dalla ragione che li conserva e invera. L'incarnazione è vista come "l'Umanizzazione dell’uomo" e un divenire attivo, con l'uomo che partecipa dei poteri del Cristo in una "progressiva vicinanza a Dio", rendendola qualcosa che "continua nell’umanità" e diventa "progressivamente più piena con il continuare della storia".
Influenzato da Rahner, Kiing interpreta l'incarnazione come "addurre un uomo in divinitatem", radicandola nell'apertura trascendentale dell'uomo all'infinito, dove "l’evento Cristo è nella sua qualità di autoestraniamento trascendentale dell’uomo [...] niente altro che la storia stessa di Dio". Cristo realizza radicalmente l'essenza umana, che è già "divino-umanità", distinguendosi dal tomismo che vede solo un "desiderium naturale videndi Deum" come pura possibilità, mentre Rahner la considera capacità reale. Il testo cita l'originale tedesco per sottolineare che "in Jesus [...] die wahre Menschwerdung Gottes um der Menschwerdung des Menschen willen geschehen ist", ovvero "in Gesù [...] è avvenuta la vera Incarnazione di Dio in vista dell'Umanizzazione dell’uomo". Emergono temi minori come la cristologia antropologica di Rahner e la critica alla gnosi, con l'incarnazione come mediazione attraverso cui "Dio è intervenuto l’Umanità", proponendo uno stile pensieroso metadogmatico per la teologia.
10. La cancellazione della memoria nel pensiero totalitario
Cancellazione del passato e corruzione del linguaggio come strumenti del totalitarismo gnostico.
Il blocco di testo esplora la dimensione gnostica del marxismo, classificato da Eric Voegelin come un movimento che riecheggia temi antichi, in cui Marx appare come il "typos di un uomo che rifiuta ogni limite" e immagina un "eone futuro" privo di antagonismi, riscattando l'umanità dalla finitezza. Questo rifiuto trasforma il concetto classico di limite da perfezionante a soffocante barriera, come negli gnostici del II secolo che alterano la percezione del mondo. La cancellazione della memoria storica risulta essenziale per lo stato totalitario, rendendo il presente "definitivo" e inevitabili le forze storiche dominanti, opponendosi a una tradizione cristiana che richiede un "movimento simmetrico" per preservare il ricordo contro la "cancellazione della storia". T.S. Eliot coglie il valore liberatorio della memoria nei Quattro quartetti, affermando che serve "a liberarci!" dalla "tautologia del presente" che si autoafferma. Si contrappongono i diktat sull'irreversibilità storica a un vettore puntato solo al futuro, mentre la falsificazione non mira all'abrasione totale del passato, ma all'espunzione di elementi non funzionali al "mondo nuovo", come la tradizione che nega la "civitas Dei" terrena. Esempi di manipolazione includono interpretazioni classiste ridicole, come Platone pagato dagli spartiati o Kant come "filosofo piccolo borghese"; tuttavia, tali falsificazioni rozze falliscono spesso. Più efficace appare la corruzione del linguaggio, mezzo devastante per dissolvere la memoria, poiché impoverendo le parole si impoverisce il mondo, data la funzione rivelativa del linguaggio della realtà e della comunicazione. Questo approccio, radicato in un'ideologia che misura la verità dal risultato e attende un'apocalisse mondana, supera la mera damnatio memoriae per la sua durata e penetrazione.
11. La corruzione ideologica del linguaggio
Esempi letterari e meccanismi di alterazione semantica per impedire il pensiero critico.
Il blocco analizza la corruzione del linguaggio come strumento ideologico per limitare la comprensione della realtà e favorire la rivoluzione attesa. Borges illustra con Shi Huang-Ti un "linguaggio allusivo" che brucia libri per controllare i significati, mentre Orwell in 1984 descrive la "neo-lingua" come un sistema impoverito, "tendenzialmente sempre positivo", che riduce le parole a un solo polo semantico – ad esempio, non buono e cattivo, ma solo buono e sbuono – per eliminare aspetti negativi duraturi e addormentare le coscienze. Questo processo, non eccezionale, si lega a un progetto totalitario che impedisce "il delitto di pensiero" attraverso eufemismi come "interruzione di gravidanza" invece di "aborto", e parole composte come "internazionalismoproletario" o "forzeprogressivodemocratiche", che evocano positività vaga e caricano speranze individuali senza significati precisi.
Tale linguaggio ideologico, "sempre positivo" e indeterminato, funge da piattaforma per proiezioni personali, conquistando folle eterogenee e favorendo la rivoluzione paradossale che "riesce solo a patto di non avvenire", alludendo al futuro senza indicarlo. Esempi da Singer, come il demone che afferma “Il mio potere sta nella lingua” ("Il mio potere sta nella lingua"), mostrano come la corruzione seduca attraverso aggettivazioni positive ("costruttivo", "alternativo", "fertile") e sintagmi sclerotizzati che scatenano riflessi condizionati, rendendo impossibile la conservazione dei valori passati. Ulteriori tecniche includono l'automatizzazione, la riduzione a descrizioni fattuali – trasformando "virtù" in efficacia e "sapienza" in abilità – e il passaggio dal discorso diretto a indiretto, dissolvendo la memoria storica e il significato preciso per un effetto emozionale e propiziatorio.
12. L'atteggiamento dei rivoluzionari classici verso la famiglia
Evoluzione dialettica della famiglia dal matrimonio borghese alla dissoluzione rivoluzionaria.
Sommario
Il blocco analizza l'evoluzione del pensiero di Marx ed Engels sulla famiglia, partendo da posizioni idealistiche giovanili per approdare al materialismo storico che ne denuncia la base economica borghese. Nelle opere iniziali, Marx difende il matrimonio come sostanza etica universale, opponendosi al divorzio prussiano: «Se il matrimonio non fosse il fondamento della famiglia non sarebbe neppure oggetto di legislazione, come non lo è l’amicizia». In L'Ideologia tedesca, la famiglia borghese emerge come legame di noia e denaro, un rapporto economico dove «il segreto reale è nettamente economico», e la donna è proletaria rispetto al padrone-uomo: «la proprietà... ha già il suo germe, la sua prima forma nella famiglia, dove la donna e i figli sono gli schiavi dell’uomo». La divisione del lavoro sessuale genera oppressione, con il matrimonio monogamico visto come prima schiavitù, corrispondente alla definizione economica di proprietà come «disporre di forza-lavoro altrui».
La famiglia proletaria si contrappone a quella borghese: priva di proprietà, è sana e solidale, poiché «le condizioni di esistenza della vecchia società sono già annullate nelle condizioni di esistenza del proletariato». L'abolizione della proprietà privata realizzerà questa solidarietà in tutte le famiglie. Tuttavia, i classici mostrano un atteggiamento conservatore, non richiedendo l'abbattimento dell'istituto familiare, pur negando morali assolute: «I comunisti non predicano alcuna morale in genere... essi al contrario sanno benissimo che in determinate condizioni l’egoismo, così come l’abnegazione, è una forma necessaria per l’affermarsi degli individui». Questo allenta la morale sessuale, con ripugnanza per il "libero amore" borghese, ma apre al principio del piacere come criterio, limitato solo dalla capacità di soddisfarlo.
Engels, in L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato, traccia l'evoluzione storica: da promiscuità primitiva a monogamia gerarchica per accumulazione capitalista, dove «il primo contrasto di classe che compare nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nel matrimonio monogamico». Post-capitalismo, la famiglia cesserà di essere unità economica; i rapporti sessuali saranno spontanei, regolati dall'attrazione: «il matrimonio sarà regolato unicamente dalla durata dell’attrazione amorosa». L'educazione statale dei figli e l'indipendenza economica femminile porteranno a legami mobili, dove «la sparizione dell’affetto davanti ad un amore passionale nuovo fa della separazione un beneficio per le due parti e per la società».
Il testo estende l'analisi a tecniche di dissoluzione: terrore che isola ma non spezza vincoli affettivi; diritto che equipara figli legittimi e illegittimi, penalizzando la stabilità senza distruggerla; rivoluzione sessuale reichiana, che radicalizza le premesse marxiste. Reich vede la famiglia come fabbrica di repressione: «con la sua stessa forma... esercita anche una influenza immediata, in senso conservatore sulla struttura sessuale infantile». La sua abolizione libera la sessualità genitale, portando a goduria generalizzata e fungibilità relazionale. Culmina nella comune di Cooper, microsociale con «relazioni amorose [che] si diffondono tra i membri della comunità molto più che non nel sistema familiare», eliminando gelosia e privilegi: «fare all’amore è una cosa buona in sé... quanto più spesso accade, in qualunque modo possibile, tra quanta più gente possibile e il più frequentemente possibile, tanto meglio». Temi minori emergono nella dialettica storica (da eguaglianza primitiva a oppressione capitalista) e nella transitorietà socialista, confermando l'atomizzazione familiare come fase avanzata del progetto rivoluzionario.
Note
Citazioni da L'Ideologia tedesca (pp. 29, 240); L'origine della famiglia (pp. 93, 109-110); La rivoluzione sessuale di Reich (p. 72); The Death of the Family di Cooper (p. 21).
13. Un modello gnostico per il femminismo
Somiglianze tra gnosticismo libertario e ideologia femminista.
Sommario
Il blocco esplora analogie tra lo gnosticismo antico, in particolare quello libertino del II secolo, e il femminismo contemporaneo, identificando un ciclo gnostico di unità originaria, caduta e ritorno. Si parte dall'uguaglianza totale che nega le differenze individuali e sessuali, come nello stadio primordiale di "perfetta unità (koinonia) ed eguaglianza (isétes)", dove "gli uomini non si differiscono l'uno dal l'altro né per caratteristiche estrinseche [...] né per qualità fisiche o intellettuali". Questa eguaglianza porta all'indifferenza degli atti, poiché "non vi è nulla che in natura sia cattivo", e le leggi umane introducono la dualità che spezza la comunanza originaria. Il ritorno all'unità si realizza attraverso pratiche sessuali che aboliscono le differenze, culminando in una condizione androgina dove i sessi diventano "uno solo". Nel femminismo, si ritrova questa uguaglianza radicale uomo=donna, che annulla la biologia femminile: la donna non è più un dato naturale ma "un'infinità di possibilità", liberata dalla maternità tramite scienza, come l'allattamento artificiale o la fecondazione in vitro, rendendola "padrone della sua fecondità". Si critica il rifiuto della natura data, visto come prometeismo gnostico che trasforma la donna in soggetto assoluto, funzionale al progetto rivoluzionario di uguaglianza totale. Temi minori emergono nell'uso della scienza come strumento ideologico, non empirico, e nel parallelo con l'edonismo e l'individualismo possessivo, che derealizzano la donna dai legami familiari e biologici.
Riferimenti
- J. Brun, La nudité humaine, Paris 1973.
- J. Brun, Les vagabonds de l’Occident, Paris 1976.
- E. Benz, Der Mythos vom Urmenschen, Monaco 1955.
- E. Sullerot, Domani le donne, Milano 1966.
- E. Sullerot, Il fenomeno donna, Firenze 1978.
14. Critica al sacrificio in Adorno e l'eredità di De Sade
Sacrificio tra mito, illuminismo e totalitarismo: da Adorno a De Sade, la razionalità come oppressione.
Il blocco analizza la dialettica del sacrificio secondo Adorno nella Dialettica dell'illuminismo, legando mito e illuminismo in un unico filo che unisce "sfruttamento e dominio, religione ed illuminismo". Il mito è già illuminismo perché "si difende dalla paura dell’ignoto e dell’imprevedibile imbandendo la realtà con le proprie visioni", rinunciando alla verità per manipolare l'ignoto attraverso il sacrificio, che origina dall'astuzia e persiste nel passaggio al moderno come "rinuncio a godere della natura per dominarla". L'illuminismo borghese introverte il sacrificio in "espressione dell’irrazionale proibizione e differimento del piacere che il borghese impone a se stesso", abolendo la colpa ma aggravando la maledizione, fino alla condizione moderna di "infliggere e infliggersi il dolore senza averne piacere". Emerge un tema minore sull'astuzia omerica, con Odisseo come illuminista che rifiuta "l’ebbrezza narcotica del canto delle sirene". La sezione sull'eredità di De Sade critica Adorno per estendere indebitamente l'inganno del sacrificio ideologico del progresso – "la maledizione dell’incessante progresso, dice Adorno, è l’incessante regressione" – al sacrificio religioso, opposto come "offerta di ciò che è più caro nell’assoluta fiducia, contro ogni speranza umana". De Sade rappresenta la lotta contro il sacrificio religioso puro, smascherando il decalogo come "pura ideologia" dettata dal tornaconto, e costruendo un naturalismo ateo che porta a "sacrificio per tutti e niente in cambio per nessuno", evolvendo nella società totalitaria come "coazione senza scopo". Il testo contrappone l'homo religiosus, che "non vuole avere nulla in cambio", all'uomo del progresso che si sacrifica per un guadagno illusorio, proponendo come alternativa l'affermazione di Dio contro la distruzione della natura. Temi minori includono il caso di Abramo come anti-calcolo e la contraddizione sadica: "È la natura che io vorrei poter oltraggiare", che porta a un unicismo distruttivo. La critica ad Adorno culmina nel suo abbaglio dialettico, un "serpente che si morde la coda", invocando un'esito religioso per sbloccare la coazione moderna e riconoscere un "diritto naturale" metafisico.
15. Giustificazione della pena e critica alla violenza
Analisi filosofica della responsabilità umana e della sanzione penale come riequilibrio di simmetrie tra libertà individuali, contrapposta alla negazione deterministica o rivoluzionaria della libertà.
Sommario
Il blocco esplora la giustificazione razionale della pena, partendo dai postulati di libertà e responsabilità umana delineati da Vittorio Mathieu nel suo libro Perché punire?. Mathieu postula che l'uomo, essendo libero e responsabile, meriti una sanzione per il male commesso, poiché "è giusto che, per il bene e per il male gliene derivi una sanzione". Questa deduzione non è sentimentale, ma si fonda su presupposti non dimostrabili scientificamente: la libertà umana resiste alla riproducibilità sperimentale, come quando si nota che "l’uomo può, sotto certi limiti, fare ciò che vuole [...], ma non ha nessun modo per fare o progettare il volere". La negazione della libertà porta a un collasso morale, riducendo l'uomo a "pura fattualità, niente più di un dato" e giustificando atrocità, dai lager nazisti ai gulag sovietici, dove "coloro che non si sono salvati dalle camere a gas non avranno ragione di dare ai loro gemiti nessun significato diverso da quello che potevano avere i gemiti dei rettili".
La simmetria dei diritti, definita come "Io ho diritto di comportarmi verso di te come tu hai diritto di comportarti verso di me", emerge come superlegge della giustizia, rendendo lo Stato strumento della pena per tutelare associazioni libere, non viceversa: "Il diritto penale tutela la possibilità (non il fatto) di qualsiasi associazione, e quindi anche dello Stato". La pena deve essere afflittiva per negare simmetricamente la volontà colpevole, "soffrire, nel caso della pena, significa che la volontà colpevole [...] deve essere repressa da una sua negazione". Temi minori includono il perdono come stimolo al pentimento, distinto dalla vendetta, e la pena di morte come unica trasformazione assoluta del reo, che lo reintegra eticamente: "la morte [...] è il principio della coscienza", rendendo il delitto moralmente accettabile in un sistema eterno di valori.
La seconda parte, da Sergio Cotta, contrappone violenza e diritto: la violenza è sregolatezza passionale, caratterizzata da "immediatezza [...], discontinuità, sproporzione allo scopo, non-durevolezza, imprevedibilità", mentre la forza è misura regolata. Il diritto, opposto alla violenza, struttura coesistenza libera attraverso limiti: "la legge [...] traduce nel concreto della vita l’esistenza umana di ordine e di garantita libertà di azione". La rivolta antigiuridica, radicata in una metafisica della soggettività che sogna l'uomo come Dio illimitato, dissolve il diritto in volontarismo statale o collettivo, favorendo violenza epocale. Cotta critica lo storicismo e Rousseau per aver ridotto la legge a "semplice forma normativa esteriore delle esigenze di vita [...] delle entità politiche particolari", proponendo una coscienza della misura per evitare nichilismo e promuovere relazioni interpersonali.
16. La memoria come principio di libertà e cultura del ricordo
La memoria tra libertà individuale e storica contro il totalitarismo.
Sommario
Il blocco esplora il passaggio dalla percezione al ricordo non come successione temporale, ma come "direzione verticale che va dalla superficie al profondo", distinguendo una memoria libera e spirituale da quella meccanica e inferiore, comune alla tradizione platonica e agostiniana. Questa memoria libera l'uomo dal "movimento di flusso delle cose" e dal "ritmo della necessità", trascendendo il presente in una dimensione profonda, come "principio di libertà dal presente". Si contrappone la memoria umana, capace di evocare passato e futuro senza stimoli immediati, a quella animale, limitata al presente e reattiva a "stimoli somiglianti", per cui gli animali "vivono solo nel presente, come solo nel presente [vivono] dei lattanti". Esteso a livello collettivo, la "memoria storica" genera storia e cultura, impedendo di ritenere il presente "definitivo, irresistibile"; una cultura priva di radici diventa "funzionale al progetto totalitario", mentre il ricordo del passato, inclusi "tentativi e [...] errori", libera dal dominio del presente, opponendosi all'odio rivoluzionario per il tempo, come in Benjamin: "La coscienza di far saltare il continuum della storia è propria delle classi rivoluzionarie". La reintegrazione del passato contrasta la "strozzatura illuminista", ma non è mera riproduzione: una "cultura del ricordo" seleziona, rifiutando lo storicismo come "volontà di sapere" dominatrice, per valorizzare il "modo di essere" della tradizione greco-cristiana – atteggiarsi, vivere, morire – affine alla religione come "modo di vivere unitariamente il problema della morte e dell’esistenza". Infine, evoca il mutamento moderno in cui oggetti familiari perdono il loro "valore d’uso", come in Rilke: "Ancora per i padri dei nostri padri una casa, una fontana, una torre [...] erano infinitamente più familiari; quasi ogni cosa un vaso, in cui essi già trovavano l'umano".
Riferimenti
Cfr. frasi (2426-2433) per la memoria profonda; (2436-2441) per distinzione uomo-animale; (2442-2458) per memoria storica e totalitarismo; (2459-2475) per cultura selettiva; (2476-2480) per religione e mutamento culturale.
17. Critica plotiniana ai modelli gnostici di cosmopoiesi
Rifiuto plotiniano di schemi artificialisti e casuali per la produzione del mondo, in favore di un agire naturale creativo e impercorribile.
Sommario
Plotino rifiuta i tre modelli gnostici di produzione del mondo – artigianale, casuale e intenzionale – perché fondati su uno schema artificialista che presuppone un cominciamento da parti per giungere al tutto, contrapponendo invece l'agire della natura come modello di creazione istantanea e non conoscibile analiticamente dall'intelletto umano. Nel primo modello, l'artigianale, Plotino critica l'idea di un demiurgo che forma il mondo come un artigiano, applicando una forza informatrice a un oggetto preesistente: «nella vera produzione sono da ricusare tanto la presenza di un’alterità presupposta a cui applicare una forza informatrice, quanto l’immagine di uno sforzo implicito nell’esecuzione, quanto, infine, l’idea stessa di una progettazione» (fr. 2567). Questo schema implica un'assemblaggio meccanico di parti, simile a «fabbricanti di bambole che montano estrinsecamente colore e materia» (fr. 2571), mentre la natura produce creativamente senza strumenti né calcoli, «tutto in una volta sola senza aver bisogno di calcolare, né di avere dati presupposti» (fr. 2570). Il secondo modello, il casuale, nega che l'ordine cosmico derivi da un movimento caotico di atomi o elementi: «Attribuire ogni cosa ai corpi [...] e far venire fuori dal loro movimento caotico l’ordine e la ragione e l’anima che guida, è in entrambi i casi assurdo» (fr. 2576, tradotto dall'originale). Plotino contrappone qui l'azione non accidentale della natura, che genera forme attraverso «ragioni seminali» vitali, senza azzardo. Il terzo modello, l'intenzionale, rifiuta la produzione per calcolo o progetto, anche senza materiali esterni: «Ora non è possibile un progetto consimile [...] nell’Intelligibile non è accaduto che, dacché bisognava che le cose di qui fossero fatte così, perciò si decidesse di farle, bensì che essendo l’Intelligibile quello che è, anche le cose di qui fossero come sono» (fr. 2580). Le forme emergono da una necessità interna, non da parti come mezzi a un fine; ogni parte ha ragione in sé, «quasi che le corna non fossero già nell’animale, o anche l'occhio o qualsiasi altro organo non fossero già l’uomo» (fr. 2588).
Questo rifiuto rivela un contrasto profondo sui limiti della conoscenza umana: gli gnostici optano per modelli antropomorfi che riducono la creazione a schemi comprensibili e riproducibili, mentre Plotino afferma un processo creativo «impercorribile analiticamente dal nostro intelletto» (fr. 2615), esemplificato dall'agire naturale che produce una «totalitas ante partes», un tutto unitario e simultaneo, «da un’assenza di struttura una presenza di struttura» (fr. 2558). La natura agisce senza deliberazione né riflessione, «senza strumenti, non parte da un materiale estrinseco cui applicarsi, non costruisce arbitrariamente mettendo insieme casualisticamente dati previ, non agisce intenzionalmente suscitando parti per un tutto o mezzi per un fine, non cerca per trovare e non studia per sapere» (fr. 2601-2602). Tale produzione è «esplosiva, immediata, di irraggiamento simultaneo ed imprevedibile del proprio contenuto interno» (fr. 2607), analoga all'invenzione artistica, dove il «come» sfugge al logos esplicativo. Il sommario delinea così una filosofia della natura plotiniana attuale, che contrappone l'umiltà di fronte al limite cognitivo umano all'ultra-razionalismo gnostico, estendendosi a temi minori come l'analogia con la creazione artistica e l'ordine non derivante dal disordine: «L’ordine [...] non può derivare dal disordine» (fr. 2708). Infine, il testo proietta questa polemica su dibattiti moderni, criticando il neodarwinismo come nuova gnosi che riduce la genesi delle forme viventi a mutazioni casuali riproducibili, ignorando la coordinazione istantanea e inconoscibile delle strutture, come Bergson notava: il meccanicista «non si accorge di procedere anch’esso secondo lo stesso metodo, semplicemente mozzandolo» (fr. 2637, tradotto). Esempi biologici, quali l'occhio o il passaggio anfibi-rettili, illustrano l'improbabilità di variazioni casuali simultanee per forme coordinate: «Ogni modifica presa isolatamente sarebbe dannosa e lavorerebbe contro la sopravvivenza» (fr. 2690).