Harvard Case Histories in Experimental Science I - Lettura (23d)
1. Finalità e Metodo delle Harvard Case Histories in Experimental Science
Presentazione della serie editoriale dedicata a illustrare la natura e i metodi della scienza sperimentale attraverso lo studio di esperimenti storici fondamentali.
Sommario
Il blocco delinea gli obiettivi e la struttura delle Harvard Case Histories in Experimental Science, concepite per colmare una lacuna di comprensione nel lettore non specialista. La serie mira a fornire una comprensione dei metodi della scienza, poiché "un cittadino, per quanto colto e intelligente, senza esperienza di ricerca si trova in difficoltà quando deve valutare il lavoro degli scienziati", non per mancanza di conoscenze tecniche, ma per una "fondamentale ignoranza di ciò che la scienza può o non può realizzare". L'approccio scelto è quello della storia narrativa di grandi esperimenti, che forniscono "quella 'sensibilità' per 'le tattiche e le strategie della scienza'" altrimenti assente. Lo studio di questi casi, originariamente preparati per studenti di discipline umanistiche e sociali, è offerto a un pubblico più ampio nella convinzione che "una conoscenza dettagliata di alcuni progressi scientifici epocali fornirà una chiave per una migliore comprensione del mondo moderno". Il testo accenna anche alla difficoltà di comprendere la scienza contemporanea direttamente, proponendo invece un'analisi storica che permetta di osservare la scienza nelle sue fasi pionieristiche, quando "la conoscenza pertinente del passato può essere riassunta in un ambito relativamente breve".
2. Concetti scientifici e progresso nelle arti pratiche
L'avanzamento della scienza e il progresso nelle arti pratiche
Il testo esamina la natura dei concetti scientifici e la complessa relazione tra scienza pura e applicata. Vengono presentati i nuovi concetti, "spesso importanti quanto i vasti schemi concettivi", e si afferma che, al tempo in cui furono avanzate, "erano nuove come lo sono ai nostri tempi le idee dei neutrini e dei mesoni nel campo della fisica nucleare". Viene analizzato il legame tra scienza e arti pratiche, definito "più complicato di quanto non appaia a prima vista". Per molte generazioni, "l'impatto diretto della scienza sulle arti pratiche fu quasi trascurabile", un fatto attribuito non a mancanza di interesse ma alla "natura frammentaria della conoscenza" acquisita e "all'inadeguatezza degli schemi concettivi" elaborati. Si introduce il concetto di "grado di empirismo", definendo la scienza applicata come "ricerca finalizzata a ridurre il grado di empirismo o ad aumentare la componente teorica in un'arte pratica". Oggi, "la scienza è strettamente connessa con la tecnologia perché la teoria e le arti pratiche sono diventate strettamente intrecciate". Il testo si conclude con la speranza che la sua analisi possa portare il profano "a una migliore comprensione sia della scienza moderna che della tecnologia moderna".
Blocco 3: Gli Esperimenti di Boyle e le Origini della Pressione Atmosferica
Un'indagine sugli esperimenti pneumatici del XVII secolo, dalle fondamenta di Torricelli alla pompa a vuoto di Boyle.
Sommario
Il blocco delinea lo sviluppo storico degli esperimenti sulla pressione atmosferica e sul vuoto, partendo dal lavoro di Evangelista Torricelli. Viene descritto in dettaglio il suo esperimento del 1643, in cui un tubo di vetro riempito di mercurio, una volta invertito in una bacinella, formava una colonna sostenuta dalla pressione dell'aria, creando uno spazio vuoto soprastante noto come "vuoto torricelliano". Questo esperimento fu la base per la nuova "idea che la terra è circondata da un mare d'aria che esercita una pressione", un "nuovo schema concettuale" che necessitava di verifica. La pubblicazione di antichi trattati, come quello di Hero, accrebbe l'interesse per la pneumatica. Il testo spiega come i principi dell'idrostatica, noti a Torricelli grazie a studiosi come Simon Stevin, fornirono gli strumenti concettuali, come la nozione di "pressione, che è forza per unità di superficie", per formulare l'ipotesi del "mare d'aria". Viene citato l'esperimento di Pascal, condotto dal cognato Perier sul Puy-de-Dôme nel 1648, che confermò la deduzione per cui "l'altezza del mercurio in un esperimento torricelliano eseguito in alto sulla montagna dovrebbe essere considerevolmente minore" che a valle, se l'ipotesi fosse stata corretta. Robert Boyle, a conoscenza di questi esperimenti e di quelli dell'Accademia del Cimento, nonché della pompa di von Guericke, vide l'importanza di "avere un metodo più conveniente per rimuovere l'aria" e costruì la sua "macchina pneumatica". La sua pompa migliorata rese possibile "l'esplorazione di un ampio campo di studio" e gli permise di testare deduzioni specifiche, come il fatto che "se l'aria viene rimossa dal serbatoio di mercurio di un barometro, la colonna di mercurio cadrà". Il testo analizza il metodo di Boyle, caratterizzato dall'uso di "ipotesi di lavoro limitate", del tipo "se... allora", collegate a schemi concettuali più ampi. Vengono menzionati i suoi esperimenti sulla trasmissione del suono e la sua ricerca, infruttuosa, di un "fluido sottile". Il blocco si conclude descrivendo i tre modelli della pompa di Boyle, sottolineando i miglioramenti apportati da Robert Hooke e Denis Papin, che resero gli esperimenti più ambiziosi e meno difficoltosi.
4. L'Esperimento di Boyle sulla Pompa d'Aria e il Barometro Torricelliano
L'esperimento cruciale sul comportamento di un barometro nel vuoto e il metodo scientifico.
Sommario
Il blocco descrive l'esperimento fondamentale di Boyle con la pompa d'aria, volto a verificare la teoria della pressione atmosferica. L'esperimento è presentato come un caso esemplare del metodo scientifico, in cui "da un nuovo concetto o schema concettuale si possono dedurre" conseguenze verificabili sperimentalmente. Viene dettagliatamente riportata la procedura di Boyle: un tubo di vetro riempito di mercurio, sigillato ermeticamente, viene posto all'interno di un recipiente da cui l'aria viene pompata via. L'osservazione che "il mercurio nel tubo, secondo le aspettative, scese" confermò l'ipotesi che la colonna di mercurio fosse sostenuta dalla pressione dell'aria e non da un orrore del vuoto. Il testo riporta anche le difficoltà incontrate, come le perdite d'aria attraverso le guarnizioni di "diachylon", che portarono Boyle a sospettare che "forse una ragione per cui non possiamo pompare perfettamente l'aria, possa essere, che quando il recipiente è quasi vuoto, alcune delle parti più sottili dell'aria esterna possano, per la pressione dell'atmosfera, essere filtrate attraverso il corpo stesso del diachylon". Vengono inoltre discussi aspetti quantitativi, come la relazione tra il volume del recipiente e l'efficacia della pompa, e viene notato che Boyle, pur non riuscendo a "ridurre le sue osservazioni qualitative a una base quantitativa", gettò le basi per l'uso del mercurio come unità di misura della pressione.
Blocco 5: L'Etere e il Dibattito sul Vuoto
Dalle ipotesi sull'etere luminifero alle controversie seicentesche tra Vacuisti e Plenisti, attraverso gli esperimenti di Boyle con il vuoto e l'ago magnetico.
Il blocco tratta l'evoluzione del concetto di etere come mezzo per la propagazione della luce e delle forze magnetiche, partendo dalle speculazioni di Boyle per arrivare alle teorie del XIX secolo. Viene descritto il dibattito filosofico e scientifico sulla possibilità del vuoto, con i Plenisti che sostenevano che "il mondo era pieno, per definizione; un vuoto era impensabile". Viene presentato l'esperimento di Boyle con l'ago magnetico che, anche in un recipiente evacuato, "appare che l'ermeticità del nostro recipiente non impedisce di ammettere gli effluvi della calamita", dimostrando l'indipendenza di questi effluvi dall'aria. L'analisi si estende all'esperimento di Torricelli, di cui Boyle segnala le difficoltà pratiche, come la presenza di "una moltitudine di piccole bolle" all'interno del tubo, che potevano inficiare i risultati. Viene infine citato l'esperimento con la miccia lenta, dove Boyle vide una visualizzazione del modo in cui "la materia sottile" come l'aria si espande per riempire uno spazio.
6. Esperimenti di Boyle sul Vuoto e la Propagazione del Suono
Indagine sperimentale sulla natura del vuoto e sul ruolo dell'aria nella propagazione del suono.
Il blocco descrive una serie di esperimenti condotti da Robert Boyle utilizzando una pompa pneumatica per studiare gli effetti dell'assenza d'aria. Vengono esaminati i metodi per ottenere un vuoto più efficace in un tubo di Torricelli, eliminando le bolle d'aria residue. Si procede poi a indagare il ruolo dell'aria come mezzo di trasmissione del suono, sospendendo un orologio e successivamente un campanello all'interno di un recipiente evacuato e osservando la scomparsa del suono. I risultati suggeriscono che l'aria è il principale mezzo per i suoni, poiché "né noi, né alcuni estranei, che capitavano allora nella stanza, potevamo, applicando le nostre orecchie ai lati stessi, sentire alcun rumore dall'interno". Viene inoltre documentato un tentativo, tramite l'uso di mantici e siringhe in un recipiente evacuato, di rilevare la presenza di un mezzo più sottile dell'aria, come l'etere cartesiano. Questi esperimenti, come quello in cui il movimento di un mantice "non soffiò affatto la piuma", non forniscono prove sensibili dell'esistenza di un tale mezzo.
7. La confutazione sperimentale di Boyle dell'ipotesi del Funiculus di Linus e la relazione tra pressione e volume
La dimostrazione sperimentale della capacità della molla dell'aria di controbilanciare una colonna di mercurio superiore a 29 pollici, rendendo superflua l'ipotesi del Funiculus di Linus.
Sommario
Boyle confuta l'ipotesi del Funiculus di Linus, dimostrando sperimentalmente che "la molla dell'aria è capace di fare molto più di quanto non sia necessario ascrivere ad essa" per spiegare i fenomeni dell'esperimento torricelliano. Descrive un esperimento con un tubo a J, dove l'aria intrappolata nel braccio corto viene compressa dal mercurio versato nel braccio lungo. Quando il volume dell'aria compressa "è ridotto circa alla metà", Boyle nota "non senza diletto e soddisfazione" che la pressione è raddoppiata. In un caso estremo, con il volume ridotto a un quarto, la pressione totale raggiunge "117 pollici-di-mercurio", circa quattro volte quella originale, dimostrando che la molla dell'aria può resistere a un peso di "oltre un centinaio di pollici... di mercurio, e ciò senza l'assistenza del suo Funiculus". Un ulteriore esperimento, in cui si succhia all'orifizio del tubo, fa salire "notevolmente" il mercurio, un fenomeno che il Funiculus, per ammissione dello stesso Linus, non può spiegare se la colonna è superiore a 29 pollici. Boyle conclude quindi che l'ipotesi avversaria è "superflua". Il blocco tratta anche della relazione numerica tra pressione e volume, riconoscendo il contributo di Townley e Hooke, e della natura della molla dell'aria, esplorando due possibili spiegazioni corpuscolari senza dichiararsi perentoriamente per nessuna delle due.
Blocco di Testo 8
L'interazione tra scienza pura e arti pratiche nel campo della pneumatica, dalle origini al ventesimo secolo.
Sommario
Il blocco esamina il rapporto tra la ricerca scientifica in pneumatica e le arti pratiche, come il pompaggio dell'acqua, evidenziando come l'interesse scientifico sia spesso nato dall'osservazione di problemi pratici. Galileo, ad esempio, riportò per la prima volta in un'opera scientifica un fatto noto ai manovali: "che l'acqua non salirà in una pompa aspirante al di sopra di circa 34 piedi". Tuttavia, gli avanzamenti scientifici del Seicento, come le pompe a vuoto di Boyle, ebbero scarso impatto pratico immediato; si osserva che "non ci sono prove, infatti, che 'qualsiasi lavoro di Boyle avesse conseguenze immediate di valore pratico'". Le sue pompe erano "costose e difficili da operare", e le tecniche per la manipolazione dei gas da lui sviluppate furono poco utilizzate fino al Novecento.
Nonostante questa separazione, gli scienziati e gli inventori condividevano gli stessi concetti fondamentali, come lo schema concettuale di Torricelli e l'idea dell'aria come fluido elastico. Invenzioni come il motore atmosferico di Newcomen e il digestore di Papin, collegato agli studi di Boyle, mostrano connessioni, sebbene indirette, tra scienza e applicazione. Il testo conclude tracciando un'evoluzione temporale: nel Seicento e Settecento scienza e arti pratiche erano "due attività parallele"; solo nell'Ottocento la scienza divenne importante per l'industria, e "solo nel ventesimo secolo le due attività... sono diventate intimamente associate in quasi ogni attività industriale". Viene infine accennato allo stato disorganizzato delle comunicazioni scientifiche all'epoca di Boyle.
Il rovesciamento della teoria del flogisto: caso 9
La persistenza e il declino di un paradigma scientifico dominante nel XVIII secolo, attraverso le voci di Priestley, Lavoisier e le lezioni del Professor Williams.
Sommario
Il blocco delinea la teoria del flogisto come un "ampio schema concettuale" in grado di spiegare la maggior parte dei fenomeni chimici della metà del Settecento, incluso il processo di preparazione dei metalli dai loro minerali. Si afferma che "tutto si incastrava molto bene" e che la teoria fosse "quasi universalmente accettata" all'epoca della Rivoluzione Americana, come dimostrano le note delle lezioni del Professor Samuel Williams ad Harvard, il quale insegnava che "per Flogisto non intendiamo niente di più che il principio di Infiammabilità". Tuttavia, le osservazioni quantitative, come "l'aumento di peso dei metalli durante la calcinazione", presentavano grandi difficoltà. La risposta arrivò con il lavoro di Lavoisier, il quale, dopo aver scoperto che lo zolfo e il fosforo, bruciando, "acquisiscono peso", formulò un'ipotesi di lavoro audace: qualcosa veniva assorbito dall'atmosfera durante la combustione, un'idea "esattamente opposta... alla dottrina del flogisto". La scoperta cruciale fu l'ossigeno, con una cronologia che include gli esperimenti di Priestley sull'ossido rosso di mercurio e la successiva comunicazione di Lavoisier all'Accademia francese. Il testo descrive anche il "test dell'aria nitrosa" di Priestley, utilizzato per misurare la "bontà" dell'aria, e come questo test inizialmente trasse in inganno sia Priestley che Lavoisier riguardo alla vera natura dell'ossigeno, illustrando "quanto sia più complicato l'avanzamento della scienza" della semplice raccolta di fatti. Vengono infine menzionate le due versioni del "Memoir di Pasqua" del 1775 di Lavoisier, sottolineando le revisioni apportate prima della pubblicazione definitiva.
10. La riduzione del mercurius calcinatus per se e la scoperta di un'aria "più respirabile"
Esperimenti di riduzione di un calce metallico e analisi dei gas prodotti.
Sommario
L'autore descrive in dettaglio due esperimenti di riduzione del mercurius calcinatus per se. Nel primo, l'aggiunta di carbone vegetale come fonte di flogisto porta alla produzione di 64 pollici cubi di un gas identificato come "aria fissa", poiché "precipitava l'acqua di calce" ed era "soffocante per gli animali". Nel secondo esperimento, la riduzione del calce senza additivi produce 78 pollici cubi di un gas con proprietà opposte: "non solo le candele e i corpi combustibili non vi si spegnevano, ma la fiamma aumentava in maniera molto notevole" e sembrava "più adatta a sostenere la respirazione". L'autore conclude che questo gas è "aria comune ma... più pura", definendolo "più respirabile, più combustibile". Viene sottolineato che il principio che si combina con i metalli durante la calcinazione è "la parte più pura dell'aria stessa che ci circonda". Viene menzionato il lavoro di Bayen, che erroneamente identificò lo stesso gas come aria fissa, e l'importanza della verifica sperimentale. Il sommario accenna anche alla discussione sull'aria fissa come possibile combinazione di aria comune e flogisto, sebbene l'autore esprima scetticismo. Viene infine notato il metodo quantitativo utilizzato, basato sul principio del bilancio di massa, dove il peso del gas prodotto è dedotto dalla differenza tra il calce iniziale e il mercurio recuperato.
11. La controversia scientifica e la scoperta dell'ossigeno
Un confronto tra i metodi di Priestley e Lavoisier sull'identificazione di un nuovo gas e la natura dell'aria.
Il blocco delinea il percorso sperimentale e le controversie tra Joseph Priestley e Antoine Lavoisier riguardo alla scoperta e all'identificazione dell'ossigeno. Viene descritta l'evoluzione delle pratiche scientifiche nel citare il lavoro altrui, passando da una mancanza di obblighi nel XVII secolo a una maggiore scrupolosità a partire dalla metà del XIX. Il nucleo del testo è la dettagliata narrazione degli esperimenti di Priestley con il "mercurius calcinatus" (ossido di mercurio rosso), inizialmente interpretati erroneamente come la produzione di "aria nitrosa flogisticata" (protossido di azoto). Viene evidenziato il ruolo cruciale del "test dell'aria nitrosa" e di esperimenti fortuiti, come l'osservazione della combustione di una candela nell'aria residua dopo la reazione, che portarono Priestley a riconoscere la natura superiore del nuovo gas rispetto all'aria comune. Il testo confronta l'approccio di Priestley, caratterizzato da "più è dovuto a ciò che chiamiamo caso" e da una forte aderenza alla teoria del flogisto, con quello più sistematico di Lavoisier. Vengono inoltre discusse le difficoltà sperimentali, come l'eterogeneità dei materiali, che influenzarono le interpretazioni. Infine, il blocco si conclude con la spiegazione di Lavoisier sulla composizione dell'atmosfera, dimostrata attraverso l'analisi e la sintesi, utilizzando l'esperimento della calcinazione del mercurio.
12. L'evoluzione del termometro e la standardizzazione della misurazione della temperatura
Dai primi termoscopi ai sistemi di calibrazione standardizzati.
Sommario
Il testo descrive l'evoluzione dello strumento per misurare la temperatura, partendo dal termoscopio di Galileo, dove "l'aria era la sostanza indicatrice della temperatura, e la sua espansione fungeva da proprietà indicatrice della temperatura". Viene poi illustrato il passaggio ai termoscopi a espansione di liquido, come quello di Jean Key, che "usava per misurare la temperatura dei pazienti", e quelli dell'Accademia del Cimento, "meraviglie di soffiatura del vetro". Un tema centrale è la ricerca di scale affidabili, affrontando il problema di trovare "temperature per determinare i punti fissi che potessero essere riprodotti sperimentalmente con precisione". Vengono presentati diversi metodi di calibrazione: a un punto fisso, proposto da Boyle, Hooke e Huygens, e a due punti fissi, utilizzato dai termometri fiorentini, dove "lo spazio tra due segni fissi è diviso in un numero di parti uguali, o 'gradi'". Quest'ultimo metodo ha reso possibile "una misura della temperatura universalmente confrontabile". L'evoluzione prosegue con l'introduzione del termometro ad aria di Amontons e la standardizzazione di sistemi come quello Fahrenheit, in cui "i valori 32°F e 212°F sono assegnati rispettivamente al punto del ghiaccio e del vapore", e quello centigrado. Il sommario si conclude accennando alla successiva adozione di standard internazionali, a causa del fatto che "i termometri costruiti con sostanze diverse non sono esattamente concordi tra loro a temperature diverse dai punti fissi".
13. Confutazione dell'Ipotesi del Peso e Scoperta della Capacità Termica
L'esperimento di Fahrenheit sulla mescolanza di mercurio e acqua e la successiva analisi di Black.
Il blocco confuta l'ipotesi che il calore necessario per riscaldare un corpo sia proporzionale solo al suo peso o volume, introducendo invece il concetto di "capacità termica" specifica per ogni sostanza. Viene descritto l'esperimento di Fahrenheit in cui "quando il mercurio caldo è usato al posto dell'acqua calda, la temperatura della miscela risulta essere solo di 120°F, invece di 125°F". Questo risultato, in disaccordo con le previsioni, dimostra che "la stessa quantità di calore ha più effetto nel riscaldare il mercurio che nel riscaldare un uguale volume d'acqua". Black percepì che "le quantità di calore che diversi tipi di materia devono ricevere per aumentare le loro temperature di un uguale numero di gradi... sono in proporzioni ampiamente diverse" dalla quantità di materia. L'esperimento di Martine, che osservò come "il mercurio si riscaldava quasi due volte più velocemente dell'acqua", confermò ulteriormente questa scoperta. Viene menzionato il metodo delle miscele sviluppato da Black per misurare queste capacità termiche, culminando nella formulazione algebrica H = swΔt, dove il fattore 's', poi chiamato "calore specifico", è diverso per ogni sostanza. Viene anche introdotta l'unità di misura British thermal unit (Btu), definita in base all'acqua.
14. Confutazione della teoria di Musschenbroeck e nuova teoria del calore latente
Una critica alle teorie contemporanee sulla natura essenziale della liquidità dell'acqua e l'introduzione di un nuovo principio fisico che regola i cambiamenti di stato.
Sommario
Il blocco confuta l'opinione, sostenuta dal Professor Musschenbroeck, secondo cui la liquidità dell'acqua sarebbe una qualità essenziale e il suo congelamento dipenderebbe "dall'introduzione di qualche materia estranea e sottile". Viene dimostrato che gli argomenti a sostegno di questa tesi sono infondati, poiché basati su osservazioni imprecise e sull'uso di "termometri difettosi" o sulla "mancanza di abilità per usarli correttamente". L'autore afferma che, al contrario, "l'ingresso e l'assorbimento di calore nel ghiaccio che si scioglie" è un fenomeno reale e misurabile. Viene quindi introdotta una nuova teoria generale della liquefazione e della solidificazione, in opposizione all'opinione universale dell'epoca. Secondo questa nuova teoria, quando un corpo fonde "riceve una quantità di calore molto maggiore di quella che è percepibile immediatamente dopo con il termometro". Questo "grande quantitativo di calore" viene assorbito senza aumentare la temperatura ed è "la causa principale e più immediata della liquefazione indotta". Allo stesso modo, durante il congelamento, "una quantità molto grande di calore ne esce". La lentezza con cui si sciolgono grandi masse di ghiaccio o neve viene portata come prova a sostegno di questa teoria, poiché se fosse necessario solo un piccolo apporto di calore, lo scioglimento sarebbe improvviso e "le conseguenze sarebbero spaventose in molti casi".
15. Determinazione sperimentale del calore latente
Un resoconto dei metodi e dei risultati sperimentali relativi alla fusione del ghiaccio e alla vaporizzazione dell'acqua, con l'introduzione del concetto di calore latente.
Sommario
Il blocco descrive gli esperimenti condotti per misurare il calore assorbito durante la fusione del ghiaccio e quello rilasciato durante la solidificazione, dimostrando l'uguaglianza tra le due quantità. Viene dettagliato il metodo di calcolo: "il metodo per trovare la quantità di calore assorbita dal ghiaccio nello sciogliersi sarà di calcolare il calore perso dall'acqua calda e dal vetro caldo nel raffreddarsi" e si assume che "il calore si conservi nel processo di miscelazione". Il risultato per il calore di fusione del ghiaccio è di "143 Btu/lb". Viene inoltre presentato il fenomeno del sottoraffreddamento, dove l'acqua "può essere raffreddata di 6, 7 o 8 gradi sotto quel punto senza congelarsi", offrendo "un esempio lampante del 'calore latente' evolto quando un solido si congela". La trattazione si estende poi alla vaporizzazione, osservando che "per quanto a lungo e violentemente facciamo bollire un liquido, non possiamo renderlo nel minimo più caldo di quando ha iniziato a bollire". Viene introdotto il concetto di calore di vaporizzazione, definito come "la quantità di calore richiesta per vaporizzare il peso unitario di un liquido senza che avvenga alcun cambiamento di temperatura". Gli esperimenti quantitativi sulla vaporizzazione dell'acqua forniscono un valore medio di "circa 810 [Btu/lb]" per il calore assorbito e reso latente, confermando l'ipotesi che "il calore assorbito non riscalda i corpi circostanti, ma converte l'acqua in vapore".
16. La natura del calore: teorie e obiezioni
Un'indagine sulle ipotesi riguardanti la causa e l'essenza del calore, dai primi tentativi fino alle teorie del fluido sottile.
Il sommario esamina le principali teorie sulla natura del calore, a partire dalla conclusione di Lord Verulam che "il calore è moto", fondata sull'osservazione che il calore "viene prodotto o fatto apparire improvvisamente in corpi che non l'hanno ricevuto nel modo consueto della comunicazione da altri, l'unica causa della sua produzione essendo una forza o impulso meccanico, o una violenza meccanica". Viene poi discussa l'ipotesi di un "fluido sottile, altamente elastico e penetrante" le cui particelle si respingono fortemente tra loro ma sono attratte dalla materia ordinaria, considerata "la più probabile" sebbene del tutto ipotetica. Vengono sollevate obiezioni cruciali a entrambe le visioni, incluso il fatto che "i corpi più densi dovrebbero avere i calori specifici più grandi, mentre in molti casi ciò non è vero" e che "non è stato provato da alcun esperimento che il peso dei corpi sia aumentato dal loro essere riscaldati". L'autore conclude che le nozioni sulle combinazioni sono "tutte ipotetiche" e che tali speculazioni, sebbene ingegnose, "non fanno avanzare la nostra conoscenza", preferendo concentrarsi sullo studio delle "leggi generali delle operazioni chimiche".
17. Un'indagine sul peso attribuito al calore
Un resoconto sperimentale sulla presunta influenza del calore sul peso dei corpi, con particolare riferimento al congelamento dell'acqua.
Sommario
Il blocco descrive una serie di esperimenti condotti per determinare se il calore abbia un effetto sul peso dei corpi. L'autore, inizialmente scettico, riporta che "un corpo non acquista alcun peso addizionale riscaldandosi" o, piuttosto, che "il calore non ha alcun effetto sui pesi dei corpi". Viene dettagliatamente descritta un'indagine sulla presunta acquisizione di peso dell'acqua quando congela, ispirata dai lavori del Dottor Fordyce. Un esperimento iniziale, utilizzando due bottiglie identiche contenenti acqua e spirito di vino, sembrò mostrare che "la bottiglia A aveva aumentato il suo peso di 1/35,904 parte del suo intero peso" dopo il congelamento. Tuttavia, l'autore sottolinea "quanto sia pericoloso nelle indagini filosofiche trarre conclusioni da esperimenti singoli". Successivi esperimenti, che includevano il test della bilancia con globi di ottone e l'uso di bottiglie con termometri incorporati per garantire l'uguaglianza delle temperature, non mostrarono alcuna variazione di peso. L'autore conclude che "l'acqua in nessun caso sembrò guadagnare, o perdere, il minimo peso congelandosi o scongelandosi". Viene menzionata la difficoltà di eliminare cause di errore come le correnti di convezione e la condensa superficiale. Il testo si chiude con la convinzione che "TUTTI I TENTATIVI DI SCOPRIRE QUALSIASI EFFETTO DEL CALORE SUI PESI APPARENTI DEI CORPI SARANNO INFruttuosi", discutendo se il calore sia una sostanza o un movimento vibratorio.
18. L'Esperimento del Cannone e la Teoria del Calorico
Un'indagine sperimentale sull'origine del calore generato per attrito, con particolare riferimento alla dottrina del calorico.
Sommario
Il blocco descrive gli esperimenti condotti da Rumford per determinare se il calore prodotto durante la foratura di un cannone derivi dalle scaglie di metallo rimosse, come avrebbe previsto la teoria del "calorico" allora moderna. L'indagine si concentra sul confronto tra i calori specifici del metallo in massa e delle scaglie. Rumford spiega che, se il calore fosse fornito dalle scaglie, "il calore specifico delle parti del metallo, così ridotte in scaglie, non solo dovrebbe essere cambiato, ma il cambiamento subito da esse dovrebbe essere sufficientemente grande per rendere conto di tutto il calore prodotto". Utilizzando il metodo delle miscele, egli condusse esperimenti ripetuti, immergendo pesi uguali di lamelle e di scaglie in uguali quantità di acqua e rilevando che la temperatura di equilibrio era la stessa in entrambi i casi, concludendo che "i calori specifici sb e sc sono uguali". Viene menzionata l'obiezione di un sostenitore della teoria del calorico, il quale sostenne che il calore poteva provenire non dalle scaglie, ma "dallo strato di metallo in massa a contatto con la punta", a causa della compressione. Il testo accenna anche al concetto di "calore latente" e alla distinzione tra test qualitativi e quantitativi per una teoria, osservando che un'ipotesi può essere "ammissibile qualitativamente, ma non quantitativamente".
Blocco 19: Indagini Sperimentali sulla Natura del Calore
Esperimenti quantitativi sulla generazione di calore per attrito e la conseguente riflessione filosofica sulla sua natura.
Sommario
Il blocco descrive una serie di esperimenti volti a misurare quantitativamente il calore generato dall'attrito, confrontandolo con quello prodotto dalla combustione. "Il calore generato... dall'attrito... era maggiore di quello prodotto... nella combustione di nove candele di cera". Un calcolo dettagliato mostra che per produrre lo stesso calore dell'attrito in 150 minuti servirebbero più di nove candele, poiché "9 moltiplicato per 245... ammonta a non più di 2205 grani; mentre il peso di cera necessario... era risultato essere di 2300 grani". Viene sottolineato che la forza di un solo cavallo, tramite appositi congegni, potrebbe produrre calore "senza né fuoco, luce, combustione o decomposizione chimica", sebbene questo metodo non sia vantaggioso. Gli esperimenti successivi, condotti in diverse condizioni (con libero accesso dell'aria, senza aria e con l'apparato immerso in acqua), dimostrano che la generazione di calore non viene "sensibilmente diminuita" né "impedita o ritardata" dalla mancanza di aria o dall'acqua circostante. Questi risultati portano all'inevitabile questione filosofica: "che cos'è il calore?". Vengono confutate sistematicamente varie ipotesi materialistiche: il calore non proviene dalle particelle di metallo staccate, né dall'aria, né dall'acqua (che "non poteva... essere... quella che forniva il calore" poiché non si osservava decomposizione chimica), né dalle parti meccaniche dell'apparato. La considerazione cruciale è che "la fonte del calore generato dall'attrito in questi esperimenti sembrava essere inesauribile". Da ciò si conclude che il calore "non può possibilmente essere una sostanza materiale" e che l'unica idea distinta che si possa formare è che sia "MOTO". Viene infine enfatizzato che, se il calore fosse una sostanza che viene "strofinata via" da un oggetto, si dovrebbe raggiungere uno stadio in cui tutto il calore nell'oggetto si esaurisce, cosa che non avviene.
Esperimento 20: Fusione del ghiaccio per attrito e la natura del calore
Un'indagine sperimentale sulla generazione di calore attraverso l'attrito e le sue implicazioni per la teoria del calore come materia.
Sommario
Il blocco descrive una serie di esperimenti, principalmente di Sir Humphry Davy, volti a confutare la teoria del calorico. L'Esperimento II dimostra che lo sfregamento di due parallelepipedi di ghiaccio li converte in acqua, con una temperatura misurata di 35°F. Questo risultato, dove "il ghiaccio per attrito è convertito in acqua", viene utilizzato per contestare le spiegazioni dei caloristi, poiché "l'attrito conseguentemente non diminuisce il calore specifico dei corpi" e l'aumento di temperatura non può essere attribuito all'ossidazione, dato che "il ghiaccio non ha [attrazione chimica] per l'ossigeno". Si conclude quindi che il calore deve essere "una quantità di calore aggiunta a loro, quale calore deve essere attratto dai corpi a contatto". L'esperimento viene paragonato a quello di Rumford sulla perforazione dei cannoni, notando che in quello di Davy "il calore è assorbito, piuttosto che rilasciato, durante la fusione" e che il calore specifico dell'acqua risultante è "due volte più grande" di quello del ghiaccio. Vengono poi sollevate critiche, in particolare da E. N. da C. Andrade, sulla validità quantitativa dell'esperimento di Davy, suggerendo che l'effetto osservato fosse "dovuto quasi interamente alla conduzione di calore dall'ambiente" e che i suoi primi esperimenti "erano acritici e privi di ogni base quantitativa". L'Esperimento III, condotto in un ambiente vicino al vuoto e isolato con il ghiaccio, mira a determinare se il calore "collezionato dall'attrito" provenga da altri oggetti. L'osservazione che la cera si scioglie senza che l'acqua in un canale sul ghiaccio congeli, porta alla conclusione che "il calore, quando prodotto dall'attrito, non può essere collezionato dai corpi a contatto". Poiché gli esperimenti sembrano escludere la diminuzione del calore specifico, l'ossidazione o l'acquisizione di calore dai corpi circostanti, si deduce che "il calorico, o la materia del calore, non esiste". Infine, si osserva che l'attrito causa l'espansione dei solidi, implicando che "le loro particelle devono allontanarsi, o separarsi, l'una dall'altra".
21. Analisi Sperimentale e Concettuale del Calore
Esercizi e questioni sui principi della calorimetria e sul lavoro di Black e Rumford.
Il blocco di testo è composto da una serie di domande e problemi che analizzano gli esperimenti storici sulla natura del calore, con un focus particolare sul lavoro di scienziati come Black, Fahrenheit e Rumford. Vengono esaminati i principi della conservazione del calore, i concetti di calore specifico e calore latente, e i metodi sperimentali impiegati per misurarli. Un tema minore riguarda la distinzione concettuale tra temperatura e calore, dove si nota che Black "usava vari sinonimi esatti per temperatura, come 'grado di calore', 'forza del calore', 'calore di un corpo' e 'intensità del calore'". Viene inoltre esplorata la relazione tra teoria e pratica, come l'asserzione che "Black sviluppò la teoria e le procedure sperimentali delle misurazioni del calore in risposta a una domanda pratica per tale conoscenza nell'ulteriore sviluppo delle macchine a vapore". Il testo si interroga anche sulla validità delle ipotesi di lavoro e su come scoperte fondamentali possano avvenire nonostante l'adesione a teorie poi rivelatesi errate, come la teoria del calorico. Un ulteriore tema minore affronta il ruolo della pubblicazione scientifica, notando che Black "non diede mai alcun resoconto pubblico delle sue scoperte sul calore".
Blocco 22: Discussioni sulla Teoria del Calore e Metodi Sperimentali
Un'indagine sui metodi di attacco alla teoria calorica e sulle implicazioni filosofiche della ricerca scientifica, attraverso le figure di Rumford e Davy.
Sommario
Il blocco analizza la controversia storica sulla natura del calore, focalizzandosi sulle critiche alla teoria del calorico. Viene descritta la conclusione di Rumford, la quale "fu vigorosamente attaccata dai caloristi, ma fu pienamente confermata nel 1799 da Davy". Viene sollevata una domanda sul perché, nonostante le teorie moderne, "la maggior parte delle persone... trovi ancora utile impiegare le idee e la terminologia della teoria materiale" quando il calore si conserva. Il testo esplora poi i metodi di indagine scientifica, citando Michelangelo, il quale affermava: "Critico non trovando difetti ma con una nuova creazione", e J.B. Conant, che sottolinea come "il rovesciamento della teoria del flogisto implicò lo sviluppo di uno schema concettuale superiore". Questi commenti sono discussi in relazione all'efficacia degli attacchi di Rumford e Davy alla teoria del calore e alla possibile influenza delle credenze scientifiche prevalenti sulla loro scelta degli esperimenti. Viene menzionato un ulteriore esperimento di Rumford del 1807, che "indicava che le particelle di un liquido sono in moto anche quando tutte le parti del liquido sono alla stessa temperatura", chiedendo in che modo questo approccio differisse essenzialmente dai precedenti. Il blocco include anche una serie di problemi di calcolo relativi a esperimenti sul calore e una riflessione finale su cosa renda un fenomeno "anomalo", definito come qualcosa che "non siamo in grado di inserire nello schema concettuale che impieghiamo per descrivere altri fenomeni correlati".
23. Confronto tra le teorie atomiche di Dalton e Avogadro e le successive obiezioni
Analisi critica del metodo di Avogadro per la determinazione di pesi atomici e formule molecolari, a confronto con quello di Dalton, e delle principali obiezioni sollevate contro di esso.
Il sommario delinea il confronto tra le teorie atomiche di Dalton e Avogadro, evidenziando come "l'accordo [tra i risultati] è un argomento a favore della nostra ipotesi, che in fondo non è altro che il sistema di Dalton fornito di un nuovo mezzo di precisione". Viene descritto il metodo di Avogadro, che derivava i suoi valori "con l'ausilio della sua doppia ipotesi, dai dati di volume di combinazione e di densità per i gas", mentre le cifre di Dalton erano viste derivare "dai dati dei pesi di combinazione, interpretati con l'ausilio della 'regola della massima semplicità'". Il testo prosegue illustrando le applicazioni specifiche del metodo di Avogadro a composti come il gas nitroso, il protossido di azoto e l'ammoniaca, notando dove i risultati di Dalton, nonostante errori compensativi, si avvicinavano a quelli corretti e dove invece erano "completamente in errore". Viene inoltre affrontato il tentativo di Avogadro di riconciliare la teoria delle proporzioni definite con le idee di Berthollet sulle combinazioni in tutte le proporzioni. La parte conclusiva si concentra sulle "restringenti applicabilità" della proposta di Avogadro, limitata principalmente a sostanze gassose, e sulle "obiezioni più fondamentali" alla sua ipotesi di molecole poliatomiche degli elementi. Queste obiezioni includevano la natura "altamente speculativa" delle sue assunzioni, la mancanza di una spiegazione per la stabilità di tali molecole e la "indeterminazione del numero di atomi che esse contenevano". Viene infine menzionata l'impressione contemporanea della teoria dualistica di Berzelius, che, basandosi sui fenomeni elettrochimici, appariva in netto contrasto con la postulazione di molecole formate da atomi dello stesso elemento, poiché le particelle con carica simile "dovrebbero, quindi, respingersi l'un l'altra".