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Hannah Arendt - Origine del Totalitarismo - Sintesi


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Argomento 1: La comprensione delle forze distruttive del XX secolo e le origini dell'antisemitismo

Esaminare e sopportare consapevolmente il peso che il nostro secolo ha posto su di noi

Il sommario affronta la necessità di comprendere, senza negare o sottomettersi passivamente, i fenomeni distruttivi emersi nel XX secolo. Viene esplorata la convinzione che "deve essere possibile affrontare e comprendere il fatto oltraggioso che un fenomeno così piccolo (e, nella politica mondiale, così poco importante) come la questione ebraica e l'antisemitismo potesse diventare l'agente catalizzatore" per eventi di portata catastrofica. L'argomento delinea la "curiosa contraddizione tra il dichiarato cinico 'realismo' dei movimenti totalitari e il loro evidente disprezzo per l'intera trama della realtà", nonché "la fastidiosa incompatibilità tra il potere effettivo dell'uomo moderno [...] e l'impotenza degli uomini moderni di vivere e comprendere il senso di un mondo che la loro stessa forza ha stabilito". Si sostiene che "il tentativo totalitario di conquista globale e di dominio totale è stata la via distruttiva d'uscita da tutti i vicoli ciechi", la cui vittoria "può coincidere con la distruzione dell'umanità". Tuttavia, si osserva che "senza il fittizio mondo dei movimenti totalitari, in cui con chiarezza senza pari sono state enunciate le incertezze essenziali del nostro tempo, avremmo potuto essere spinti verso la nostra rovina senza mai renderci conto di ciò che stava accadendo".

L'analisi si estende alle origini storiche dell'antisemitismo, distinguendolo dall'odio religioso per gli ebrei e identificandolo come "un'ideologia secolare del diciannovesimo secolo". Viene sfatata "l'idea di una continuità ininterrotta di persecuzioni, espulsioni e massacri dalla fine dell'Impero Romano al Medioevo, all'era moderna, e giù fino al nostro tempo", evidenziando invece "l'iato tra il tardo Medioevo e l'età moderna per quanto riguarda le questioni ebraiche". Viene descritto un cambiamento cruciale in cui "gli ebrei, senza alcuna interferenza esterna, cominciarono a pensare 'che la differenza tra l'ebraismo e le nazioni non fosse fondamentalmente una di credo e fede, ma una di natura interiore'", un passaggio che divenne "la condizione sine qua non per la nascita dell'antisemitismo". La storiografia sia ebraica che non ebraica viene criticata per aver isolato "gli elementi ostili nelle fonti cristiane ed ebraiche", creando un'illusione ottica che ha oscurato il fatto che "la dissociazione ebraica dal mondo gentile [...] è stata di maggiore rilevanza per la storia ebraica dell'inverso, per l'ovvia ragione che la stessa sopravvivenza del popolo come entità identificabile dipendeva da una tale separazione volontaria". L'argomento conclude affermando che "i sviluppi politici del ventesimo secolo hanno spinto il popolo ebraico nel centro della tempesta degli eventi", rendendo la questione ebraica e l'antisemitismo un "agente catalizzatore" per eventi mondiali, richiedendo non solo "lamento e denuncia, ma comprensione".


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Argomento 2: Totalitarismo e detotalitarizzazione in Russia e Cina

Analisi comparativa delle strutture di governo totalitario e dei processi di detotalitarizzazione, con particolare attenzione alla Russia post-Stalin e alla Cina maoista, evidenziando le differenze nell'applicazione del terrore, nella gestione del potere e nella disponibilità di fonti documentarie.

Il sommario esamina il processo di detotalitarizzazione seguito alla morte di Stalin, definito come "un autentico, sebbene mai inequivocabile, processo di detotalitarizzazione". Viene analizzato il periodo centrale del totalitarismo staliniano dal 1929 al 1953, caratterizzato dalla "sospensione temporanea del dominio totale" durante la guerra in contrasto con la Germania nazista. L'analisi evidenzia la carenza cronica di fonti attendibili, dimostrata dall'Archivio di Smolensk che, nonostante 200.000 pagine di documenti, presenta "lacune veramente sorprendenti" e dati statistici "disperatamente contraddittori". Per quanto riguarda la Cina, si rilevano differenze sostanziali: assenza di "processi spettacolari" e "categorie di 'nemici oggettivi'", sostituiti da procedure di "rettifica del pensiero" e "autocritica". Il pensiero di Mao non seguiva "le linee tracciate da Stalin", riconoscendo "contraddizioni non antagoniste tra il popolo e il governo". Viene discussa la distinzione fondamentale tra governo totalitario e dittature, sottolineando che "il dominio totale è l'unica forma di governo con cui la coesistenza non è possibile". Il processo di detotalitarizzazione in Russia viene documentato attraverso lo smantellamento dell'"impero della polizia", la dissoluzione dei campi di concentramento e l'ascesa dell'esercito, con particolare attenzione al fallimento della legge di Khrushchev contro i "parassiti sociali". La rinascita delle arti e la circolazione di letteratura clandestina vengono citate come prova che "in realtà tutto è cambiato", nonostante la persistente negazione delle libertà politiche.


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Argomento 3: Gli ebrei e la formazione dello stato nazionale

Il ruolo finanziario e politico degli ebrei nell'evoluzione dello stato assoluto e nella transizione verso lo stato nazionale, tra privilegi, servizi e conflitti sociali.

Il sommario inizia con la ricerca da parte delle monarchie assolute di "una classe sulla quale fare affidamento in modo sicuro come la monarchia feudale aveva fatto con la nobiltà" (518), ricerca che fallisce poiché "nessuno degli stati o delle classi nei vari paesi era disposto o in grado di diventare la nuova classe dirigente" (526). Questo fallimento porta allo sviluppo dello stato nazionale, che si presenta come "al di sopra di tutte le classi, completamente indipendente dalla società e dai suoi interessi particolari" (526). Lo stato, non trovando alleati, sceglie di stabilirsi come "una tremenda impresa commerciale" (529), dando vita a una "sfera speciale degli affari di stato" (530). In questo contesto, "gli ebrei erano l'unica parte della popolazione disposta a finanziare gli inizi dello stato e a legare i propri destini al suo ulteriore sviluppo" (532). Il loro ruolo si basa sul "loro credito e le connessioni internazionali" (533), che li pongono in una posizione eccellente per aiutare lo stato nazionale. Il prezzo di questi servizi sono grandi privilegi, il più grande dei quali è l'uguaglianza (534). Tuttavia, emerge che "almeno gli ebrei non pensavano in termini di pari diritti ma di privilegi e libertà speciali" (535), e gli ebrei già privilegiati erano riluttanti ad accettare per tutti questo dono di una libertà che essi stessi possedevano come prezzo per servizi resi (536). La loro posizione unica inizia a declinare verso la metà del XIX secolo, quando alcuni stati "avevano guadagnato abbastanza fiducia per cavarsela senza il sostegno e il finanziamento ebraico dei prestiti governativi" (540). Tuttavia, gli ebrei mantengono una posizione prominente grazie al loro status intereuropeo, che rimane di grande importanza nazionale in tempi di conflitti e guerre (544). L'ascesa degli ebrei a significato politico ed economico fu "improvvisa e inaspettata per loro stessi così come per i loro vicini" (545), dopo che nel tardo Medioevo "il prestatore di denaro ebreo aveva perso tutta la sua precedente importanza" (546). La svolta avvenne nel XVII secolo, quando, durante la Guerra dei Trent'anni, "proprio a causa della loro dispersione questi piccoli, insignificanti prestatori di denaro potevano garantire i necessari approvvigionamenti agli eserciti mercenari" (546). Inizialmente, i "cortigiani ebrei" servivano piccoli signori feudali e "erano i servitori di un solo gruppo nella società" (549), ma quando "la funzione del signore feudale cambiò, quando si sviluppò in un principe o re, cambiò anche la funzione del suo cortigiano ebreo" (552).


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Argomento 4: L'ascesa dell'antisemitismo politico e il ruolo degli ebrei nello stato moderno

L'evoluzione dell'antisemitismo da discriminazione sociale a strumento politico nell'Europa del XIX secolo, attraverso l'analisi del caso Rothschild e delle dinamiche statali prussiane.

Il sommario traccia il percorso attraverso cui l'antisemitismo si trasformò da fenomeno sociale diffuso in "quasi tutti gli strati sociali in quasi tutti i paesi europei" a argomento politico unificante. Emerge la legge per cui "ogni classe della società che entrava in conflitto con lo stato come tale diventava antisemita perché l'unico gruppo sociale che sembrava rappresentare lo stato erano gli ebrei". Il caso dei Rothschild illustra questa dinamica: la loro ascesa come banchieri internazionali che "servivano simultaneamente e concorrentemente i governi in Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Austria" li rese simbolo del presunto dominio ebraico. La famiglia divenne "il tesoriere capo della Santa Alleanza", creando l'immagine di un "governo mondiale ebraico" dove "i governi visibili [diventavano] semplici facciate". In Prussia, le riforme del 1807 scatenarono la reazione aristocratica che denunciò la "trasformazione della vecchia maestosa monarchia prussiana in un nuovo stato ebraico". I conservatori svilupparono una doppia strategia: proteggere i banchieri ebrei utili allo stato mentre "cercavano di chiudere le università agli ebrei escludendoli dai servizi civili". I radicali liberal-conservatori coniarono le frasi "stato dentro lo stato" e "nazione dentro la nazione", mentre i marxisti rimasero immuni all'antisemitismo poiché "assorbiti nella lotta di classe" e non in conflitto diretto con lo stato.


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Argomento 5: L'assimilazione ebraica e la figura di Disraeli

L'ambigua posizione sociale degli ebrei assimilati nell'Europa del XIX secolo e la trasformazione dell'identità ebraica in una questione psicologica.

Il sommario esamina la condizione degli ebrei assimilati, caratterizzata da "un'ambigua situazione" che generava "simultaneamente il rimpianto del paria per non essere diventato un parvenu e la cattiva coscienza del parvenu per aver tradito il suo popolo". L'identità ebraica si trasformò da definizione nazionale o religiosa in "un gruppo sociale i cui membri condividevano certi attributi e reazioni psicologiche", dove "il giudaismo divenne una qualità psicologica". Questo produsse "modelli di comportamento degli ebrei assimilati, determinati da questo continuo sforzo concentrato per distinguersi" che crearono "un tipo ebraico riconoscibile ovunque". La società non incoraggiava la risoluzione di questa ambiguità, poiché "era proprio questa ambiguità di situazione e carattere che rendeva attraente il rapporto con gli ebrei". La maggioranza così "visse in un crepuscolo di favore e sfortuna" dove "sia il successo che il fallimento erano indissolubilmente connessi al fatto che erano ebrei". Benjamin Disraeli rappresentò l'esempio estremo di questa dinamica, colui che "scoprì il segreto di come preservare la fortuna" attraverso l'accentuazione della sua diversità. La sua "innocenza di mente e immaginazione" gli permise di trasformare l'essere ebreo da handicap a opportunità, sviluppando dottrine razziali che affermavano come "tutto è razza" e che i semiti "rappresentano tutto ciò che è spirituale nella nostra natura". La secolarizzazione dell'identità ebraica separò "il concetto di elezione dalla speranza messianica", producendo sia "quella fantastica illusione... che gli ebrei sono per natura più intelligenti, migliori, più sani" sia "quel paradossale... chauvinismo ebraico molto reale" in cui "l'individuo è lui stesso la cosa da adorare".


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Argomento 6: La trasformazione sociale del crimine in vizio e il ruolo degli ebrei e degli invertiti

L'emancipazione della società dalle preoccupazioni pubbliche e la fascinazione per il vizio come riflesso sociale della criminalità.

Il sommario tratta della vittoria dei valori borghesi sul senso di responsabilità del cittadino, che portò alla "scomposizione delle questioni politiche nei loro riflessi abbaglianti e affascinanti nella società". Marcel Proust viene presentato come il testimone di una società che assimilava il crimine trasformandolo in vizio, negando così ogni responsabilità e stabilendo "un mondo di fatalità in cui gli uomini si ritrovano intrappolati". L'argomento esplora come l'omosessualità e l'ebraismo, considerati crimini, siano stati riconsiderati come vizi affascinanti, con la società che "non dubitava che gli omosessuali fossero 'criminali' o che gli ebrei fossero 'traditori'; hanno solo rivisto il loro atteggiamento verso il crimine e il tradimento". Viene descritta l'ammissione sociale degli invertiti e degli ebrei non per una revisione dei pregiudizi, ma per una attrazione verso ciò che era giudicato un vizio, creando una situazione equivoca in cui "l'ebraismo era per il singolo ebreo allo stesso tempo una macchia fisica e un misterioso privilegio personale". L'analisi si estende al ruolo dei saloni del Faubourg Saint-Germain come insieme di cricche, dove ogni gruppo rappresentava un modello di comportamento estremo, e al modo in cui l'antisemitismo dell'Affare Dreyfus inizialmente aprì le porte della società agli ebrei, mentre la scoperta dell'innocenza di Dreyfus pose fine al loro splendore sociale. L'argomento conclude con la pericolosa trasformazione del "crimine" dell'ebraismo nel "vizio" dell'ebraicità, da cui non c'era via di fuga, poiché "un crimine, inoltre, è affrontato con la punizione; un vizio può solo essere sterminato".


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Argomento 7: L'Affare Dreyfus e le sue implicazioni politiche nella Terza Repubblica francese

L'Affare Dreyfus: un errore giudiziario che divise la Francia e anticipò i conflitti del XX secolo

Il sommario tratta dell'Affare Dreyfus, iniziato nel 1894 con l'ingiusta condanna per spionaggio del capitano ebreo Alfred Dreyfus, "deportato a vita all'Isola del Diavolo". L'evento scatenò un "corteo senza fine di processi e nuovi processi", rivelando un profondo conflitto politico e sociale. L'Affare mise in luce l'antisemitismo come forza politica organizzata, dove "l'odio per gli ebrei" e "il sospetto della repubblica stessa" divennero elementi centrali. La vicenda giudiziaria si intrecciò con lo scandalo di Panama, che "rese visibile l'invisibile" mostrando la corruzione parlamentare con intermediari ebrei come Jacques Reinach. La persistenza delle divisioni è dimostrata dal fatto che "il termine Anti-Dreyfusardo può ancora servire come nome riconosciuto per tutto ciò che è antirepubblicano, antidemocratico e antisemita". L'Affare sopravvisse alle guerre mondiali come "preludio al nazismo", rivelando "lo stesso carattere disumano, preservando in mezzo al tumulto di passioni sfrenate e alle fiamme dell'odio un cuore incredibilmente freddo e insensibile".


[//]: # (t 8.7)

Argomento 8: L'Affaire Dreyfus e la Crisi della Terza Repubblica Francese

L'ascesa politica del clero cattolico, l'antisemitismo organizzato e la mobilitazione della piazza nello scontro tra esercito, istituzioni civili e minoranze.

Il sommario tratta del tentativo del clero cattolico di recuperare il proprio potere politico in paesi come Spagna, Austria-Ungheria e Francia, dove l'autorità secolare era in declino. In Francia, l'esercito, lasciato in un vuoto politico dalla Terza Repubblica, accettò la guida del clero, che offriva una leadership civile. La Chiesa cattolica doveva la sua popolarità a uno scetticismo diffuso che vedeva nella repubblica e nella democrazia la perdita di ogni ordine e sicurezza; per molti, il sistema gerarchico della Chiesa sembrava l'unica via di fuga dal caos. I sostenitori più fermi della Chiesa erano esponenti di un cattolicesimo "cerebrale", "cattolici senza fede", che chiedevano più potere per le istituzioni autoritarie senza credere nella base ultraterrena. I Gesuiti, che rappresentavano meglio la scuola antisemita del clero cattolico, influenzarono le politiche reazionarie della Chiesa in Francia, Austria e Spagna, nonché il suo sostegno alle tendenze antisemite. L'ammissione degli ebrei nell'alta società fu relativamente pacifica, ma quando cercarono l'uguaglianza nell'esercito, incontrarono l'opposizione determinata dei Gesuiti e dello spirito di casta militare. Il processo a Dreyfus fu preceduto da incidenti che mostrano quanto fosse comune l'ostilità verso gli ufficiali ebrei; l'arresto e la condanna di Dreyfus scatenarono l'odio antiebraico anche prima del verdetto. L'Affare rivelò che gli ebrei, incluso lo stesso Dreyfus, non vedevano coinvolta una lotta organizzata contro di loro su un fronte politico e resistettero alla cooperazione di chi era pronto a raccogliere la sfida su questa base.

L'organizzazione della piazza da parte dello Stato Maggiore fu notevole, con la Libre Parole che mobilitò studenti, monarchici e gangster, scatenando disordini e il grido "Morte agli ebrei" in tutta la Francia. La piazza divenne l'agente diretto del nazionalismo "concreto" di Barrès, Maurras e Daudet, che identificarono la piazza con il popolo e ne convertirono i leader in eroi nazionali. La lotta per Dreyfus fu condotta principalmente al di fuori del Parlamento, con la minoranza che ricorse alla stampa e ai tribunali, mentre la piazza usava le strade. Clemenceau, basandosi su idee "astratte" come giustizia, libertà e virtù civili, riuscì alla fine a convincere Jaurès che una violazione dei diritti di un uomo era una violazione dei diritti di tutti, ma solo perché i trasgressori erano i nemici inveterati del popolo, cioè l'aristocrazia e il clero. Il perdito di Dreyfus e la liquidazione dell'Affare furono motivati dalla paura di un boicottaggio dell'Esposizione di Parigi del 1900, portando a una riconciliazione generale a spese dei dreyfusardi. La separazione tra Chiesa e Stato e il divieto di educazione parrocchiale posero fine all'influenza politica del cattolicesimo in Francia, mentre l'episodio diede origine al movimento sionista come unica risposta politica degli ebrei all'antisemitismo.


[//]: # (t 9.8)

Argomento 9: Imperialismo e le sue contraddizioni

La natura dell'imperialismo come espansione del potere distinta dalla costruzione di un impero e il conflitto tra amministratori coloniali e istituzioni nazionali.

Il sommario tratta la definizione di imperialismo come espansione fine a se stessa, non come costruzione di un impero, poiché "l'imperialismo non è costruzione di un impero e l'espansione non è conquista". Esplora la "superiorità fondamentale, e non solo temporanea, dell'uomo sull'uomo, delle 'razze superiori' su quelle 'inferiori'" che ha rafforzato la coscienza imperialista, esacerbando la lotta per la libertà dei popoli soggetti. Viene analizzato il conflitto tra gli amministratori coloniali, che non credevano i nativi "capaci di governarsi da soli senza supervisione", e le istituzioni nazionali, il "fattore imperiale" che fungeva da freno, sebbene gli imperialisti considerassero il controllo della nazione un "insopportabile fardello e una minaccia al dominio". Viene citato il caso di Clemenceau, che "diventò 'imperialista'" sperando che la manodopera coloniale proteggesse i cittadini francesi. L'argomento include anche il ruolo dell'esportazione di capitale, che "aveva innescato l'espansione imperialista", e la successiva esportazione del potere statale, poiché "solo l'accumulazione illimitata di potere poteva realizzare l'accumulazione illimitata di capitale". Viene menzionata la transizione dai finanzieri ebrei, inizialmente coinvolti nel collocamento di capitale, alla borghesia nativa, come dimostra la carriera di Cecil Rhodes, che soppiantò i "potentissimi finanzieri ebrei".


[//]: # (t 10.9)

Argomento 10: La genesi dell'imperialismo dalle forze superflue

L'alleanza tra capitale e uomini eccedenti e la sua trasformazione in programma politico nazionale.

Il sommario tratta della formazione dell'imperialismo come risultato della convergenza di due elementi superflui generati dalla produzione capitalistica: il "capitale superfluo", i cui proprietari, esclusi dal normale processo produttivo nazionale, volevano "profitti senza adempiere a una vera funzione sociale", e il "potere lavorativo superfluo", la "feccia umana" permanentemente inattiva. Queste due forze si unirono, poiché "i proprietari della ricchezza superflua erano gli unici uomini che potevano usare gli uomini superflui", e insieme lasciarono il paese. L'espansione imperialista, concepita come illimitata, offriva "una cura permanente per un male permanente", fungendo da "salvavita" che poteva "fornire un interesse comune per la nazione nel suo insieme" e proteggere la borghesia dal rimanere "completamente superflua e parassitaria". Questo spiega la "complicità di tutti i partiti parlamentari nei programmi imperialisti" e la "curiosa debolezza dell'opposizione popolare all'imperialismo", poiché in una società di interessi contrastanti, l'espansione appariva come un possibile interesse comune. Il caso del Sudafrica, divenuto "il letto di cultura dell'Imperialismo" dopo la scoperta di diamanti e miniere d'oro, illustra questa convergenza. In teoria, esiste un "abisso tra nazionalismo e imperialismo", ma in pratica fu colmato dal "nazionalismo tribale e dal razzismo vero e proprio", con gli imperialisti che si professavano "al di sopra dei partiti".


[//]: # (t 11.10)

Argomento 11: Origini e sviluppo del pensiero razziale prima del razzismo

La genesi del pensiero razziale come arma politica e ideologica nelle società occidentali.

Sommario

Il pensiero razziale affonda le radici nel XVIII secolo ed emerse simultaneamente in tutti i paesi occidentali durante il XIX secolo, diventando "la potente ideologia delle politiche imperialistiche". Inizialmente si presentava come una tra le molte opinioni liberali in competizione, ma si trasformò in ideologia a pieno titolo quando "pretese di possedere la chiave della storia". Due ideologie principali emersero da questa lotta competitiva: "quella che interpreta la storia come una lotta economica di classi, e l'altra che interpreta la storia come una naturale lotta di razze". La loro forza persuasiva risiedeva nell'appello a "esperienze o desideri" e "bisogni politici immediati", non in fatti scientifici. In Francia, il pensiero razziale nacque come arma per la guerra civile, con il conte de Boulainvilliers che inventò "due diversi popoli all'interno della Francia" per contrastare la nuova idea nazionale, basando i diritti dei nobili sul "diritto di conquista". Queste tendenze antinazionali furono poi assorbite da dottrine razziali. In Germania, invece, il pensiero razziale nacque dallo "sforzo di unire il popolo contro il dominio straniero" dopo la sconfitta prussiana, sviluppandosi come dottrina organica della storia in cui "ogni razza è un tutto separato e completo" per sostituire una mancata unità politica. In Inghilterra, il concetto di "diritti degli inglesi" come "eredità trasmessa" creò una base ideologica per il sentimento razziale, con il darwinismo sociale che fornì le armi ideologiche "per il dominio sia della razza che della classe". La figura di Gobineau segnò una svolta cruciale, unendo questi elementi in un sistema che attribuiva "la caduta delle civiltà a una degenerazione della razza" e promuoveva la formazione di una nuova "aristocrazia naturale", completando la trasformazione del pensiero razziale in un'ideologia distruttiva per le nazioni.


[//]: # (t 12.11)

Argomento 12: Razza e burocrazia nell'era dell'imperialismo

La genesi di due principi di dominio nell'epoca della spartizione dell'Africa e il loro impatto sulla distruzione degli standard politici occidentali.

Il sommario tratta della scoperta della razza e della burocrazia come nuovi principi di organizzazione politica e dominio straniero durante i primi decenni dell'imperialismo. La razza servì da "spiegazione d'emergenza" per giustificare il dominio su popoli incomprensibili, mentre la burocrazia divenne "l'organizzazione del grande gioco dell'espansione". Sebbene sviluppati indipendentemente, questi due dispositivi si rivelarono in seguito interconnessi. L'argomento esplora come la razza, emersa come ideologia per spiegare "la mostruosità travolgente dell'Africa", abbia portato a massacri terribili e all'introduzione di mezzi di pacificazione nella politica estera. Parallelamente, la burocrazia, inizialmente incarnata dall'amministratore che governava con "onesti, seri ideali giovanili di un moderno cavaliere in armatura splendente", si trasformò in uno strumento per un'espansione senza fine. Viene inoltre analizzato il contesto specifico del Continente Nero, dove entrambe le scoperte furono effettuate, e il ruolo della corsa all'oro in Sudafrica, che attirò "gli scarti di questo sistema" – uomini e capitali superflui – creando un ambiente dove "il gentiluomo perfetto e il perfetto mascalzone" finirono per comprendersi profondamente.


[//]: # (t 13.12)

Argomento 13: Origini e sviluppo della società razziale in Sudafrica

La genesi di una società basata sulla supremazia bianca e sul lavoro servile in Sudafrica.

Il testo descrive la trasformazione dei coloni olandesi in Boeri, che instaurarono un dominio parassitario sulle popolazioni native, considerate "l'unica 'materia prima' che l'Africa forniva in abbondanza". I neri divennero "l'unica parte della popolazione che effettivamente lavorava", mentre i Boeri svilupparono un "disprezzo per il lavoro e la produttività" vivendo "dei nativi esattamente come i nativi avevano vissuto di una natura non preparata e immutata". Questo sistema produsse "lavoro appena sufficiente a mantenere in vita i loro padroni" e impedì lo sviluppo della civiltà. Il concetto di razza acquisì un "significato distintamente economico" attraverso questa "dipendenza assoluta dal lavoro altrui". I Boeri, "pigri e improduttivi", si adattarono a "vegetare essenzialmente allo stesso livello in cui le tribù nere avevano vegetato per migliaia di anni", rifiutando la dottrina cristiana dell'origine comune dell'umanità e proclamandosi "popolo eletto" scelto per "la pigra dominazione su un'altra specie". L'arrivo dei britannici, con i loro tentativi di abolire la schiavitù e imporre confini, provocò le reazioni violente dei Boeri, che abbandonavano le proprietà piuttosto che accettare limitazioni, dimostrando una "mancanza di radici caratteristica di tutte le organizzazioni razziali". Il testo cita anche i "bianchi poveri" che nel 1923 formavano "il 10 per cento della popolazione bianca totale" come esempio di questa degenerazione.

L'argomento include temi minori come la corsa all'oro e ai diamanti, che attirò "una folla dai quattro angoli della terra" e "migliaia di nativi" come "forza lavoro a basso costo apparentemente inesauribile", consolidando l'emancipazione dal lavoro per gli europei. I finanzieri, in particolare ebrei, organizzarono gli investimenti, diventando "l'immagine di un principio diabolico introdotto nel mondo normale di 'neri' e 'bianchi'". L'antisemitismo emerse come "una sfida e rivale" alla pretesa di elezione dei Boeri. Il testo nota come "il razzismo come strumento di governo fu usato in questa società di bianchi e neri prima che l'imperialismo lo sfruttasse come una grande idea politica". Nonostante la sconfitta nella guerra anglo-boera, i Boeri ottennero il consenso alla "illegalità di una società razziale", dove "ogni volta che politiche lavorative e produttive razionali venivano in conflitto con considerazioni razziali, queste ultime vincevano". Il testo conclude che "l'impatto completo dell'esperienza africana fu realizzato per primi dai leader della folla", influenzando lo sviluppo dell'elite nazista.


[//]: # (t 14.13)

Argomento 14: Il doppio ruolo del protettore e la nascita del governo imperiale senza precedenti

L'evoluzione del servizio coloniale britannico da un ruolo di protezione a un meccanismo di governo impersonale e senza nome.

Il sommario inizia con la figura di Chinn, un sottoposto dell'esercito che per una tribù indiana è "l'uccisore della bestia del suo antenato" affinché la gente possa essere vaccinata senza timore. La sua esistenza è doppia e onirica, poiché i servizi superiori "sanno a malapena qualcosa dei suoi strani doveri". Egli è "semplicemente a casa in due mondi, separati da pareti impermeabili all'acqua e alle chiacchiere". Questi protettori "dietro le quinte del dominio britannico ufficiale" non erano tanto un prodotto dell'immaginazione di un popolo primitivo, ma di "sogni che contenevano il meglio delle tradizioni europee e cristiane". L'imperialismo per loro era "nient'altro che un'opportunità accidentale per fuggire da una società in cui un uomo doveva dimenticare la sua giovinezza se voleva crescere". La carriera di Lord Cromer incarna il punto di svolta verso i servizi imperialisti, caratterizzati da un "governo senza nome e senza precedenti". Egli teorizzò un governo di burocrati, un'"esperta minoranza" che doveva resistere alla "maggioranza inesperta", governando attraverso l'"influenza personale" e il segreto, poiché "meno si parla dei funzionari britannici, meglio è". Cecil Rhodes, sebbene diverso, arrivò all'idea simile di un governo attraverso una società segreta per l'espansione della "razze nordica". Entrambi consideravano i paesi non come fini desiderabili, ma come "mezzi per uno scopo presumibilmente più alto", un'espansione illimitata. In questo processo, l'uomo obbediva alle "leggi del processo" e si considerava una "semplice funzione". L'integrità e il distacco dell'amministrazione britannica crearono una "divisione assoluta degli interessi", un atteggiamento più pericoloso della despotismo, poiché lo sfruttamento e l'oppressione "appaiono come salvaguardie della dignità umana" in quanto presupponevano un mondo condiviso, che il distacco distrusse.


[//]: # (t 15.14)

Argomento 15: Pan-movimenti e nazionalismo tribale

L'eredità ideologica dei movimenti pangermanico e panslavo e la loro trasformazione in un nazionalismo tribale, precursore dei totalitarismi.

Il sommario tratta l'ascesa dei pan-movimenti nell'Europa centro-orientale come fenomeno distinto dall'imperialismo d'oltremare. "Nonostante la loro mancanza di successo, con il suo proverbiale appello alla plebe, i pan-movimenti esercitarono fin dall'inizio un'attrazione molto più forte dell'imperialismo d'oltremare" (2875). Il loro fascino popolare resistette a fallimenti tangibili e a cambiamenti programmatici costanti, prefigurando gruppi totalitari successivi. Ciò che teneva uniti i membri era "molto più un umore generale che un obiettivo chiaramente definito" (2877), generando "un umore onnicomprensivo di predominio totale, di toccare e abbracciare tutte le questioni umane" (2880). L'iniziativa in queste formazioni "giaceva sempre esclusivamente nella plebe" (2881), che seppe organizzarsi utilizzando concetti razziali a fini organizzativi. I movimenti ereditarono "un'aura di santità" (2885) invocando passati mitici come "la Santa Russia" o "il Sacro Romano Impero", dando vita a un nuovo tipo di sentimento nazionale la cui violenza si rivelò un eccellente motore per mettere in moto le masse plebee.

Questo "nazionalismo tribale" differiva sostanzialmente dal nazionalismo occidentale e dal sciovinismo. "Il sciovinismo... non sosteneva che uomini di origine francese, nati e cresciuti in un altro paese, senza alcuna conoscenza della lingua o della cultura francese, sarebbero stati 'francesi nati' grazie a qualche misteriosa qualità del corpo o dell'anima" (2888). Al contrario, il tribalismo sviluppò "quella peculiare identificazione della nazionalità con la propria anima" (2889), un orgoglio introverso che pervadeva ogni fase della vita privata. Politicamente, "il nazionalismo tribale insiste sempre sul fatto che il proprio popolo è circondato da 'un mondo di nemici'" (2892) e "nega teoricamente la stessa possibilità di un'umanità comune" (2893). Il tribalismo emerse come il nazionalismo di quei popoli che "non avevano partecipato all'emancipazione nazionale e non avevano raggiunto la sovranità di uno stato-nazione" (2894), trovando terreno fertile in Austria-Ungheria e Russia. Un aspetto fondamentale della modernità dei pan-movimenti fu la loro posizione completamente nuova sull'antisemitismo, dove "l'odio per gli ebrei fu, per la prima volta, separato da ogni esperienza reale riguardante il popolo ebraico... e seguì solo la peculiare logica di un'ideologia" (2902).


[//]: # (t 16.15)

Argomento 16: I movimenti pangermanista e panslavista e il loro antisemitismo

L'ascesa dei movimenti pan-nazionalisti nell'Europa centrale e orientale e la loro convergenza ideologica sull'antisemitismo.

Il sommario tratta delle condizioni politiche che favorirono i movimenti pan-nazionalisti, in particolare in Austria, dove "solo in Austria l'impeto rivoluzionario trovò il suo sbocco naturale nei movimenti pan-". Viene esaminata l'ostilità di questi movimenti verso lo stato, poiché "l'ostilità verso lo stato come istituzione attraversa le teorie di tutti i movimenti pan-", con i panslavisti che consideravano i russi un "popolo senza stato" e i pangermanisti che insistevano sulla "priorità dell'interesse nazionale su quello statale". L'argomento segue lo sviluppo dell'antisemitismo come "strumento per forzare la direzione della politica estera e disgregare... la struttura interna dello stato", notando che la "coscienza tribale ampliata" era già sviluppata prima che l'antisemitismo diventasse la questione centrale. Viene esplorata l'"affinità intrinseca tra le teorie dei movimenti pan- sui popoli e l'esistenza senza radici del popolo ebraico", dove gli ebrei furono visti come il "modello che i movimenti pan- si sforzavano di emulare". La conclusione riguarda la fusione dell'antisemitismo con il "nazionalismo tribale dell'Europa orientale" e come la "pretesa di elezione" dei movimenti pan- potesse "scontrarsi seriamente solo con la pretesa ebraica", portando a un odio che "si era emancipato da tutti i specifici atti e misfatti ebraici".


[//]: # (t 17.16)

Argomento 17: Crisi del sistema dei partiti e ascesa dei movimenti totalitari in Europa

La fragilità del sistema partitico europeo di fronte all'avanzata dei movimenti rivoluzionari

Il sommario tratta del fallimento dei partiti politici tradizionali nell'Europa del primo Novecento nel comprendere e gestire l'ascesa di movimenti di massa estremisti. I partiti consolidati, "nessuno dei vecchi partiti era preparato a ricevere queste masse", sottovalutarono la minaccia rivoluzionaria confidando nell'apparato statale, ritenendo che "lo stato sarebbe rimasto per sempre il padrone indiscusso di tutti gli strumenti di violenza". Questo errore di valutazione fu aggravato dalla loro distanza dalle masse e dall'illusione di uno "stato al di sopra dei partiti". La crisi si manifestò con l'incapacità dell'esercito di fungere da baluardo contro i sommovimenti, poiché "l'esercito aveva da tempo cessato di essere un baluardo affidabile contro il tumulto rivoluzionario", e la sua neutralità lasciò lo Stato in una posizione di "mediazione tra gli interessi partitici organizzati". Il crollo divenne evidente con l'ascesa al potere di Hitler, quando "la maggior parte dei paesi europei aveva già adottato una qualche forma di dittatura" attraverso cambiamenti di governo spesso privi di "sconvolgimenti rivoluzionari" reali, dove "l'azione rivoluzionaria era molto spesso una concessione teatrale".

L'analisi prosegue esaminando la disintegrazione interna dei partiti, dove "ogni partito, da destra a sinistra, si divise internamente" su questioni cruciali come la guerra con la Germania, con ciascuno che "ospitava una fazione pacifista e una fazione della guerra". Contro questa frammentazione, "l'unità netta dei movimenti fascista e comunista" si dimostrò efficace, capaci di "contare sulla lealtà di membri e dirigenti che non sarebbero stati turbati da un improvviso cambiamento di politica", come dimostrato dal patto di non aggressione tedesco-russo. Il caso tedesco pre-hitleriano illustra ulteriormente il collasso, con le elezioni presidenziali del 1932 dove i partiti tradizionali si unirono attorno a Hindenburg come simbolo dello "stato al di sopra dei partiti", mentre i movimenti estremisti competevano per diventare "il vero simbolo del popolo". La propaganda elettorale si basava sulla paura, con l'elettorato che andava alle urne "perché era spaventato", e "in questa paura generale tutte le divisioni di classe scomparvero dalla scena politica". Il declino del sistema partitico fu rapido, avendo regnato "come istituzione indiscussa nella politica nazionale a malapena quattro decenni", soppiantato da movimenti che si posizionavano "al di sopra dello stato" e infine "pronti a sacrificare entrambi per la propria ideologia", lasciando i movimenti distruttivi come gli unici "partiti" che funzionavano correttamente dopo la guerra.


[//]: # (t 18.17)

Argomento 18: Le minoranze e gli apolidi nell'Europa del dopoguerra

La disintegrazione del sistema degli Stati nazionali e l'emergere di popolazioni senza protezione legale.

Il sommario tratta della crisi degli Stati nazionali dopo la prima guerra mondiale, causata dalla creazione di minoranze attraverso i Trattati di Pace e dalla crescita del movimento dei rifugiati. I Trattati delle Minoranze, firmati sotto protesta dai nuovi Stati, "non riconosciuti come legge", istituzionalizzarono gruppi senza piena protezione legale. Ciò introdusse "un elemento completamente nuovo di disintegrazione" in Europa, poiché i senza Stato e le minoranze divennero "cugini germani" privi di governo rappresentativo. La denazionalizzazione divenne "una potente arma della politica totalitaria", dimostrando l'incapacità costituzionale degli Stati nazionali di garantire i diritti umani a chi aveva perso i diritti nazionalmente garantiti. Le frasi descrivono come "la frase stessa 'diritti umani' divenne la prova di un idealismo senza speranza" per tutte le parti coinvolte. L'argomento include anche il fallimento dei rimedi di rimpatrio e naturalizzazione, la trasformazione dei campi di internamento in soluzione di routine e l'aumento dell'autorità della polizia su persone al di fuori della protezione legale.


[//]: # (t 19.18)

Argomento 19: La perdita dei diritti umani e la condizione degli apolidi

La crisi dei diritti umani di fronte all’apolidia e alla perdita di protezione politica nel XX secolo.

Il sommario tratta della constatazione che la perdita dei diritti nazionali ha comportato la perdita dei diritti umani per milioni di persone, poiché “i senza-stato erano convinti, al pari delle minoranze, che la perdita dei diritti nazionali fosse identica alla perdita dei diritti umani”. Questa condizione è emersa quando individui e gruppi, come rifugiati e persone sfollate, sono stati espulsi dalle loro comunità politiche, scoprendo che i diritti umani, proclamati come “inalienabili”, si sono rivelati “inesigibili” una volta che le persone non erano più cittadini di alcuno stato sovrano. Il fallimento degli organismi internazionali e delle società per la protezione dei diritti umani è evidente, in quanto “nessuno statista, nessuna figura politica di qualsiasi importanza poteva prenderle seriamente”. Le vittime stesse, condividendo “il disprezzo e l’indifferenza dei poteri costituiti”, non hanno invocato questi diritti, preferendo invece aggrapparsi disperatamente alla propria nazionalità come unico legame riconosciuto con l’umanità.

L’argomento esplora anche la perdita fondamentale della casa e della protezione governativa, sottolineando che “la prima perdita che i senza-diritti subirono fu la perdita della casa”, seguita dalla perdita dello status legale in tutti i paesi. Ciò ha creato una situazione in cui “non esisteva più un posto sulla terra dove i migranti potessero andare senza le restrizioni più severe”, rendendo impossibile trovare una nuova comunità. La privazione dei diritti umani non consiste principalmente nella perdita di libertà o giustizia, ma nel fatto che “non appartengono più a nessuna comunità”, vivendo in una condizione di “completa mancanza di diritti” in cui “nessuna legge esiste per loro”. Viene introdotto il concetto di “diritto ad avere diritti”, che implica “vivere in un quadro in cui si è giudicati per le proprie azioni e opinioni” e appartenere a una comunità organizzata. La riflessione si conclude osservando che “solo in un’umanità completamente organizzata la perdita della casa e dello status politico potrebbe diventare identica all’espulsione dall’umanità nel suo insieme”, evidenziando i pericoli insiti in una civiltà globalizzata che produce “barbari dal proprio interno”.


[//]: # (t 20.19)

Argomento 20: Origini e natura dei movimenti totalitari nel contesto del crollo del sistema di classe

La formazione delle masse e l'ascesa dei movimenti totalitari in seguito alla disintegrazione della stratificazione sociale.

Il crollo del sistema di classe, definito "uno degli eventi più drammatici nella recente storia tedesca", ha creato le condizioni per l'emergere di una "grande massa non organizzata e senza struttura di individui furiosi". Questo evento non si è limitato alla Germania pre-hitleriana ma si è ripetuto in quasi tutti i paesi europei dopo la seconda guerra mondiale. La disintegrazione della società di classe ha portato all'atomizzazione sociale, dove "l'isolamento e la mancanza di normali relazioni sociali" sono diventati le caratteristiche principali dell'uomo-massa. Questo processo ha prodotto individui che mostravano "una perdita radicale dell'interesse personale" e "l'indifferenza cinica o annoiata di fronte alla morte o ad altre catastrofi personali".

La trasformazione della struttura sociale ha determinato il collasso del sistema partitico, poiché "questi partiti, essendo partiti di interesse, non potevano più rappresentare gli interessi di classe". I partiti tradizionali persero il sostegno delle masse non organizzate che "improvvisamente si liberarono della loro apatia". Le masse così formate differivano dalla plebe perché non ereditavano gli standard della classe dominante ma "riflettevano e in qualche modo pervertivano gli standard e gli atteggiamenti verso gli affari pubblici di tutte le classi". I movimenti totalitari hanno sfruttato questa condizione, dimostrando di essere "i primi veri partiti antiborghesi" capaci di realizzare "lo spegnimento permanente dell'identità individuale". Il caso di Stalin mostra come il totalitarismo richiedesse la creazione artificiale di "quella società atomizzata che era stata preparata per i nazisti in Germania dalle circostanze storiche", attraverso la liquidazione di tutte le strutture sociali esistenti.


[//]: # (t 21.20)

Argomento 21: L'alleanza tra élite e teppismo nell'atmosfera pretotalitaria

La fascinazione dell'élite intellettuale per la distruzione dell'ipocrisia borghese e il suo temporaneo allineamento con la mentalità della teppa.

Il sommario tratta della distinzione tra élite e teppa nell'atmosfera pretotalitaria, dove "è qui, se mai, che si può trovare un criterio valido per distinguere l'élite dalla teppa" (3829). L'élite, che "prendeva sul serio l'anonimato fino al punto di negare seriamente l'esistenza del genio" (3832), si differenziava dalla teppa, affascinata invece dal "radioso potere della fama" (3832). Tuttavia, un'alleanza temporanea si formò, basata sul "genuino diletto con cui la prima guardava la seconda distruggere il rispettabile" (3842). L'élite "non si oppose affatto a pagare un prezzo, la distruzione della civiltà, per il piacere di vedere come coloro che erano stati esclusi ingiustamente in passato si facevano strada in essa" (3836). Questo piacere si estendeva alla manipolazione della storia, poiché l'élite "si era convinta che la storiografia tradizionale fosse un falso in ogni caso, poiché aveva escluso i sottoprivilegiati e gli oppressi dalla memoria dell'umanità" (3838). L'avversione per l'ipocrisia borghese era un tema centrale; la volgarità della teppa, con il suo "cinico rifiuto degli standard rispettati e delle teorie accettate," portava con sé "una franca ammissione del peggio e un disprezzo per tutte le finzioni che furono facilmente scambiate per coraggio e un nuovo stile di vita" (3854). L'effetto di opere come la Dreigroschenoper di Brecht, il cui motivo "Prima viene lo stomaco, poi viene la morale" (3863) fu applaudito da tutti, dimostrò che "la borghesia non poteva più essere scandalizzata; accoglieva con favore l'esposizione della sua filosofia nascosta" (3866). L'attrattiva totalitaria risiedeva anche nella sua pretesa di "aver abolito la separazione tra vita privata e vita pubblica" (3873) e nel suo radicalismo, poiché "ciò che attirava l'élite era il radicalismo in quanto tale" (3882). L'alleanza trovò origine nel fatto che "questi strati erano stati i primi ad essere eliminati dalla struttura dello stato nazionale e dal quadro della società di classe" (3886).


[//]: # (t 22.21)

Argomento 22: Organizzazione e Propaganda Totalitaria

La struttura e i meccanismi di funzionamento dei movimenti totalitari, con particolare attenzione alla loro organizzazione gerarchica e alla creazione di una realtà fittizia attraverso la propaganda.

L'organizzazione totalitaria come strumento per trasformare la finzione ideologica in realtà operativa, attraverso una struttura a strati che isola progressivamente i membri dal mondo esterno e crea un universo parallelo governato da leggi fittizie.

Il sommario descrive come la propaganda totalitaria stabilisca "un mondo adatto a competere con quello reale" attraverso generalizzazioni che sopravvivono "all'esplosione di bugie più specifiche". La coerenza della finzione e la rigidità organizzativa permettono ai movimenti di realizzare le loro dottrine trasformandole da "questioni oggettive, discutibili" in elementi concreti della realtà quotidiana. L'organizzazione totale della vita secondo un'ideologia viene pienamente realizzata solo sotto un regime totalitario, dove mettere in discussione i dogmi diventa "come mettere in discussione l'esistenza del mondo". La struttura gerarchica comprende simpatizzanti, membri ordinari e formazioni d'élite, con i front organization che funzionano come "parete protettiva" e "ponte verso la normalità". Il principio del leader raggiunge il suo carattere totalitario quando "la volontà del Fuehrer" diventa "legge suprema", con il leader che impersona la doppia funzione di difesa magica del movimento e ponte con il mondo esterno. L'organizzazione totalitaria imita le società segrete nel principio che "chiunque non è espressamente incluso è escluso", creando una gerarchia di cinismo e credulità dove i simpatizzanti credono alle dichiarazioni pubbliche mentre i membri più interni "non credono alle affermazioni fatte per il consumo pubblico".


[//]: # (t 23.22)

L'argomento numero 23: La struttura del potere totalitario

La coesistenza di autorità duplicata e la natura amorfa del governo

Il sommario tratta della duplicazione sistematica degli uffici e della divisione tra autorità reale e apparente nei regimi totalitari nazista e sovietico. "Tutti gli studiosi seri dell'argomento concordano almeno sulla coesistenza (o il conflitto) di un'autorità duale, il partito e lo stato". Questo crea una "mancanza di forma peculiare" del governo totalitario, dove "anche un esperto impazzirebbe se tentasse di dipanare le relazioni tra Partito e Stato" nel Terzo Reich. I nazisti assicurarono con "fantastica accuratezza che ogni funzione dell'amministrazione statale sarebbe stata duplicata da qualche organo del partito", mentre in Russia sovietica si sviluppò "la stessa divisione tra un governo reale e uno apparente". La duplicazione degli uffici si rivelò "solo il segno più evidente di un fenomeno più complicato che è meglio definito come moltiplicazione degli uffici piuttosto che duplicazione", con organizzazioni concorrenti come SA, SS e servizi giovanili che operavano con unità territoriali non corrispondenti. Questo sistema significava che "l'abitante del Terzo Reich di Hitler viveva non solo sotto le autorità simultanee e spesso conflittuali di poteri concorrenti", ma "doveva sviluppare una specie di sesto senso per sapere in un dato momento chi obbedire e chi ignorare". Tecnicamente, "il movimento all'interno dell'apparato del dominio totalitario deriva la sua mobilità dal fatto che la leadership sposta costantemente il centro effettivo del potere", mantenendo il mistero sul vero centro di autorità poiché "il potere reale inizia dove inizia il segreto". La conseguenza fu che "tra il potere supremo (il Führer) e i governati non ci sono livelli intermedi affidabili", creando una dipendenza diretta dal leader che impediva la formazione di cliché stabili. Questi dispositivi garantivano "non solo un monopolio assoluto del potere, ma una certezza senza pari che tutti i comandi saranno sempre eseguiti", sebbene distruggessero "ogni senso di responsabilità e competenza" attraverso la moltiplicazione degli uffici.


[//]: # (t 24.23)

Argomento 24: La polizia segreta e il dominio totalitario

La trasformazione della polizia segreta da strumento di repressione a veicolo esecutivo del potere totalitario.

Il sommario esamina l'evoluzione della polizia segreta nei regimi totalitari, partendo dalla constatazione che "il totalitarismo trae vantaggio e dà supporto consapevole a concezioni erronee non totalitarie". La prima fase, conclusasi "intorno al 1935 in Germania e approssimativamente nel 1930 nella Russia sovietica", mostra un'azione simile ai regimi dittatoriali tradizionali, dove "il vicino diventa gradualmente un nemico più pericoloso" di fronte a "pensieri pericolosi". Il passaggio decisivo avviene con l'introduzione del "nemico oggettivo", definito non da azioni ma dall'ideologia, poiché "nessuno dei governanti totalitari sognò mai condizioni in cui avrebbe dovuto ricorrere alla provocazione". Questo concetto permette la persecuzione di categorie come "gli ebrei nella Germania nazista o i discendenti delle ex classi dominanti nella Russia sovietica", che "non erano realmente sospettati di alcuna azione ostile". La polizia perde la sua autonomia diventando "totalmente soggetta alla volontà del Leader", mentre il sistema sviluppa il "crimine possibile" dove "ogni crimine che i governanti possono concepire deve essere punito, indipendentemente dal fatto che sia stato commesso o meno". La società viene permeata da metodi polizieschi, poiché "la categoria del sospetto abbraccia in condizioni totalitarie l'intera popolazione" e "la delazione diventa un metodo di rapportarsi col prossimo che tutti devono seguire".


[//]: # (t 25.24)

Argomento 25: La natura del dominio totalitario e il ruolo dei campi di concentramento

La trasformazione dei campi di concentramento da strumento coloniale a istituzione centrale del terrore totalitario

Il sommario esamina l'evoluzione dei campi di concentramento come "l'istituzione più consequenziale del dominio totalitario", tracciandone le origini nella guerra anglo-boera e nell'uso coloniale per "elementi indesiderabili". Questi luoghi rappresentano il superamento del principio nichilista che "tutto è permesso" verso il regno in cui "tutto è possibile". La distinzione fondamentale emerge tra il male limitato dell'omicidio, che "lascia un cadavere" e riconosce l'esistenza della vittima, e l'annientamento totalitario che tratta le persone "come se non fossero mai esistite" attraverso la produzione in serie di cadaveri. Il sistema raggiunge la sua forma più compiuta quando la popolazione dei campi è composta principalmente da "persone totalmente innocenti" selezionate arbitrariamente, poiché "nessun uomo meritava questo". Il processo di dominazione totale procede attraverso tre fasi distinte: "l'uccisione della persona giuridica" mediante l'arbitrarietà dell'arresto, "l'omicidio della persona morale" attraverso la distruzione della solidarietà umana, e infine "la distruzione dell'individualità" che riduce gli esseri umani a "burattini spaventosi con volti umani". L'apparente "inutilità" economica dei campi maschera la loro funzione essenziale come "campi di addestramento" per il dominio totale, dove si produce "l'unica forma di società in cui è possibile dominare l'uomo interamente".


[//]: # (t 26.25)

Argomento 26: La legalità totalitaria e il terrore come legge del movimento

La natura del governo totalitario e la sua ridefinizione del concetto di legalità attraverso l'obbedienza a leggi sovrumane.

Il governo totalitario non rappresenta una semplice forma di illegalità o di potere arbitrario, ma costituisce un tipo di governo totalmente diverso che "sfida tutte le leggi positive" e "pretende di obbedire rigorosamente e inequivocabilmente a quelle leggi della Natura o della Storia dalle quali tutte le leggi positive sono sempre state supposte scaturire". La sua legalità si basa sull'identificazione di "uomo e legge", promettendo "di rendere l'umanità stessa l'incarnazione della legge". Questo sistema opera attraverso il terrore totale, che "diventa totale quando diventa indipendente da ogni opposizione" e che "è la realizzazione della legge del movimento". Il terrore esegue le sentenze di forze sovrumane, dove "colpevole è colui che si frappone sul cammino del processo naturale o storico" e dove "colpa e innocenza diventano nozioni prive di senso". In questa visione, "il terrore è legalità, se la legge è la legge del movimento di una qualche forza sovrumana, la Natura o la Storia". Il tema minore delle ideologie che forniscono il quadro per questa legalità è esaminato attraverso il riferimento al darwinismo e al marxismo, dove "sia la legge 'naturale' della sopravvivenza del più adatto [che] la legge di Marx della sopravvivenza della classe più progressista" sono leggi di movimento. Il concetto stesso di legge viene trasformato: "dal'esprimere la struttura di stabilità all'interno della quale le azioni e i movimenti umani possono aver luogo, [esso] divenne l'espressione del movimento stesso".


[//]: # (t 27.26)

Argomento 27: Il terrore totale e l'essenza del governo totalitario

Il terrore come strumento per accelerare le forze della natura o della storia, annullando la libertà e la pluralità umana.

Il terrore totale, essenza del governo totalitario, viene inizialmente scambiato per un sintomo di governo tirannico poiché "il governo totalitario nei suoi stadi iniziali deve comportarsi come una tirannia e abbattere i confini della legge creata dall'uomo". Tuttavia, a differenza della tirannia, esso non lascia alcuna illegalità arbitraria e non infuria per un volere arbitrario. Sostituisce i confini tra gli individui con "una fascia di ferro che li tiene così strettamente insieme che è come se la loro pluralità fosse scomparsa in un Unico Uomo di dimensioni gigantesche". Questo terrore distrugge lo spazio tra gli uomini, prerequisito essenziale di ogni libertà, poiché "semplicemente la capacità di movimento che non può esistere senza spazio". Esso esiste per fornire "alle forze della natura o della storia uno strumento incomparabile per accelerare il loro movimento", un movimento che "procedendo secondo la propria legge, non può a lungo andare essere ostacolato". Il terrore deve eliminare "non solo la libertà in qualsiasi senso specifico, ma la stessa fonte della libertà che è data con il fatto della nascita dell'uomo e risiede nella sua capacità di fare un nuovo inizio". In questo sistema, "il terrore esegue sul posto le sentenze di morte che la Natura avrebbe pronunciato su razze o individui 'non adatti a vivere', o la Storia su 'classi morenti'".

Il governo totalitario, definendo la propria essenza come movimento, risolve il problema del movimento del corpo politico che le società libere, basate sulla legalità, non affrontano appieno, poiché "la legalità stabilisce limitazioni alle azioni, ma non le ispira". A differenza di altre forme di governo, che richiedono un "principio di azione" come l'onore, la virtù o la paura, il governo totalitario perfetto non necessita di un principio separato poiché il terrore funge sia da essenza che da principio di movimento. Tuttavia, finché il dominio totalitario non ha conquistato la terra, "non può essere pienamente realizzato". In queste condizioni, "né la paura può più servire come consigliere su come comportarsi, perché il terrore sceglie le sue vittime senza riferimento ad azioni o pensieri individuali, esclusivamente in accordo con la necessità oggettiva del processo naturale o storico". Allo stesso modo, vengono eliminate le convinzioni personali, poiché "lo scopo dell'educazione totalitaria non è mai stato instillare convinzioni ma distruggere la capacità di formarne alcuna". Al posto di un principio di azione, il totalitarismo introduce l'ideologia, che "è la preparazione a adattare ognuno di loro ugualmente bene per il ruolo di carnefice e il ruolo di vittima".


[//]: # (t 28.27)

Argomento 28: Ideologie e la loro logica totalitaria

Le ideologie come strumento di spiegazione totale della storia e il loro ruolo nel dispiegamento del potere totalitario.

Le ideologie sono un fenomeno recente, che per decenni ha avuto un ruolo trascurabile nella vita politica. Solo con il senno di poi si scoprono in esse elementi che le hanno rese "così disturbantemente utili per il dominio totalitario". Il loro grande potenziale politico è stato scoperto solo con Hitler e Stalin. Un'ideologia è letteralmente "la logica di un'idea". Il suo oggetto non è l'idea stessa, ma la storia, alla quale l'idea viene applicata; il risultato non è un insieme di affermazioni su ciò che è, ma "lo svolgimento di un processo che è in costante cambiamento". Le ideologie trattano il corso degli eventi come se seguisse la stessa 'legge' della esposizione logica della sua 'idea'. Pretendono di conoscere i misteri dell'intero processo storico grazie alla logica inerente alle loro rispettive idee. Sono orientate verso la storia, interessate al divenire e al perire, anche quando, come nel razzismo, sembrano procedere dalla premessa della natura. La "razza" nel razzismo non significa una genuina curiosità scientifica, ma è l'idea per cui "il movimento della storia è spiegato come un processo coerente". L'idea di un'ideologia è diventata uno strumento di spiegazione, non più un'essenza eterna platonica.

La pretesa di spiegazione totale promette di spiegare tutti gli accadimenti storici, la conoscenza totale del presente e l'affidabile previsione del futuro. Il pensiero ideologico diventa indipendente da ogni esperienza, dalla quale "non può imparare nulla di nuovo". Si emancipa dalla realtà percepita, insistendo su una realtà 'più vera' nascosta dietro le cose percepibili, che richiede un sesto senso fornito proprio dall'ideologia. Questo sesto senso è insegnato nelle istituzioni educative create per addestrare i "soldati politici". La propaganda serve a emancipare il pensiero dall'esperienza, iniettando un significato segreto in ogni evento pubblico. Una volta al potere, i movimenti procedono a cambiare la realtà in accordo con le loro pretese ideologiche. Il concetto di inimicizia è sostituito da quello di cospirazione. L'emancipazione del pensiero dall'esperienza è ottenuta attraverso metodi di dimostrazione che ordinano i fatti in "una procedura assolutamente logica" che parte da una premessa assiomaticamente accettata, deducendo tutto il resto. La deduzione, logica o dialettica, comporta un processo argomentativo coerente che dovrebbe comprendere il movimento dei processi sovrumani. La comprensione è raggiunta dalla mente che imita le leggi dei movimenti 'scientificamente' stabiliti. L'argomentazione ideologica corrisponde agli elementi di movimento e di emancipazione dalla realtà, poiché il suo movimento di pensiero non scaturisce dall'esperienza ma è auto-generato, e trasforma l'unico punto preso dalla realtà in una premessa assiomatica, lasciando poi il processo argomentativo completamente non toccato da ulteriori esperienze.

I governanti totalitari hanno trasformato le loro ideologie in armi prendendole "dead seriously", spingendo le implicazioni ideologiche "agli estremi della coerenza logica". Chiunque concordasse che esistono cose come "classi morenti" e non ne traesse la conseguenza di ucciderne i membri, era semplicemente stupido o codardo. Questa "stringente logicalità" come guida all'azione permea l'intera struttura dei movimenti e governi totalitari. Ciò che distingueva i nuovi ideologi totalitari era che non era più principalmente l''idea' dell'ideologia ad attrarli, ma "il processo logico che poteva essere sviluppato da essa". Secondo Stalin, non l'idea né l'oratoria ma "l'irresistibile forza della logica" sopraffà il pubblico. Il potere risiede non nell'idea stessa, ma nel suo processo logico che "come una possente tentacolo ti afferra da tutte le parti". Nel processo di realizzazione, la sostanza originale su cui le ideologie si basavano – lo sfruttamento dei lavoratori o le aspirazioni nazionali della Germania – viene gradualmente persa, divorata dal processo stesso. È nella natura della politica ideologica che il reale contenuto dell'ideologia "è divorato dalla logica con cui l'idea è portata a compimento". La preparazione di vittime e carnefici che il totalitarismo richiede non è l'ideologia stessa, ma "la sua inerente logicalità".


[//]: # (t 29.28)

Argomento 29: Isolamento, solitudine e il meccanismo del dominio totalitario

La combinazione di terrore e pensiero ideologico in un nuovo modello di governo.

Il dominio totalitario si fonda su una combinazione di terrore totale e coercizione logica, che distrugge sia la sfera politica che quella privata. "Il terrore totale" e "l'autocoercizione della logica totalitaria" agiscono insieme per annientare i contatti umani e la realtà. Questo sistema produce isolamento, che "distrugge le capacità politiche" degli individui, e solitudine, che "riguarda la vita umana nel suo complesso". L'isolamento, caratterizzato dall'"impossibilità di agire", è un risultato del terrore che recide i legami politici. La solitudine, invece, è "l'esperienza di non appartenere affatto al mondo" e costituisce "il terreno comune per il terrore". Il governo totalitario, a differenza della tirannia, non si accontenta di isolare, ma "distrugge anche la vita privata", basandosi sulla solitudine. La capacità di pensiero e esperienza viene annientata, lasciando come unico appiglio "la capacità di ragionamento logico" e "l'evidenza coatta". Questo processo logico, che "deduce una cosa dall'altra e pensa tutto al peggio", prepara sia i carnefici che le vittime. La solitudine, da esperienza marginale, è diventata "un'esperienza quotidiana delle masse sempre più numerose del nostro secolo". La sua organizzazione rappresenta una minaccia più pericolosa dell'impotenza non organizzata, poiché "minaccia di devastare il mondo così come lo conosciamo".

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