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Galileo - Sidereus Nuncius - Lettura | 12d


Dedicazione a Cosimo II de' Medici e Scoperta dei Pianeti Medicei

Presentazione e dedica delle stelle scoperte al Serenissimo Cosimo II de' Medici.

Il testo si apre con una riflessione sui metodi per assicurare l'immortalità ai grandi uomini, passando dalle statue e le città fino ai "monumenti incorrotti delle lettere". L'autore prosegue ricordando come l'ingegno umano, non pago, abbia pensato di "segnare i loro nomi sugli Orbi celesti" con "note sempiterme", poiché la fama di questi eroi non si offuscherà "prima che lo splendore delle stesse stelle si spenga". Viene quindi introdotta la scoperta di "quattro stelle" riservate al nome di Cosimo, non del comune gruppo delle fisse ma "dell'illustre schiera dei vaganti", che ruotano attorno a Giove "con moti mirabili". L'autore spiega le ragioni della dedica, legando le virtù del dedicatario all'influsso di Giove, pianeta che "occupava il cardine del cielo" alla sua nascita. Rivendica infine il diritto, in quanto primo scopritore, di battezzarle "STELLE MEDICEE", augurandosi che acquisiscano "tanta dignità da questo nome, quanta ne hanno avuta le altre dagli altri Eroi".


Caratteristiche topografiche e proprietà ottiche della Luna, con particolare riferimento alla distinzione tra regioni chiare e grandi macchie.

Il testo descrive le caratteristiche osservabili della superficie lunare, concentrandosi sulle differenze tra le regioni chiare e le grandi macchie. Nelle regioni chiare, si osserva una notevole "asperitatum inæqualitatumque" attraverso la "Lunæ clariorem plagam", dove le macchie più scure appaiono vicino al confine tra luce e ombra. Queste aree presentano un aspetto mutevole, poiché le ombre si spostano con l'illuminazione variabile del Sole, al punto che "cum Luna in oppositione totum impleverit orbem, modico admodumque tenui discrimine cavitatum opacitas ab eminentiarum candore discrepet". Al contrario, le grandi macchie mostrano una sostanziale immutabilità, con areole che "eundem semper faciunt aspectum, neque intenditur earum opacitas aut remittitur", suggerendo una "veram partium dissimilaritatem" e non semplicemente un effetto d'ombra.

Viene poi affrontata e risolta una potenziale obiezione: se la superficie è così irregolare, perché il bordo della Luna, il suo "limbus", appare "exacte rotunda et circinata nullisque tumoribus aut cavitatibus corrosa"? La spiegazione fornita è duplice. In primo luogo, non esiste una singola fila di montagne sul bordo, ma "permulti montium ordines cum suis lacunis et anfractibus circa extremum Lunæ ambitum coordinati". In secondo luogo, la prospettiva dall'osservatore terrestre, il cui "oculus in eodem fere plano cum verticibus illarum locatur", fa sì che queste irregolarità multiple si compongano in una linea apparentemente liscia, proprio come "in terra multorum ac frequentium montium iuga secundum planam superficiem disposita apparent, si prospiciens procul fuerit".


Una spiegazione fisica della luminosità e delle asperità della superficie lunare.

Il testo propone una teoria sulla natura di un orbo di sostanza densa che circonda la Luna, ritenuto responsabile della diffusione e della riflessione della luce solare. Questo strato, più profondo ai margini, "ac præsertim luminosus existens, Lunæque peripheriam Soli expositam obtegere" e impedisce alla vista di percepire le irregolarità superficiali più estreme, come suggerito dal fatto che "maiores Lunæ maculæ nulla ex parte ad extremum usque ambitum protendi conspiciantur". Successivamente, la trattazione si sposta sulla topografia lunare, affermando che "clariorem Lunæ superficiem tumoribus atque lacunis undiquaque conspersam" sia. Attraverso un calcolo geometrico basato sull'osservazione che alcuni vertici montuosi nella parte in ombra appaiono illuminati anche a grande distanza dal terminatore, l'autore dimostra che "sublimitas igitur AD in Luna... eminentior est milliaribus Italicis 4", stabilendo così l'altezza di un picco lunare.


Sulla luce secondaria della Luna e le apparenze delle stelle fisse attraverso il cannocchiale.

Il testo tratta della reciprocità nell'illuminazione tra Terra e Luna, spiegando come la "luce secondaria" lunare derivi dalla riflessione della luce solare da parte dell'emisfero terrestre illuminato. La luminosità di questo chiarore varia in base alla posizione reciproca dei tre corpi: "vividisque radiis illustrati integram respicit, reflexumque ab ipsa lumen concipit" e "maius minusve a terrestri reflexione recipit lumen, prout maiorem aut minorem terrestris hemisphærii illuminati partem spectaverit". Si afferma che "quibus temporibus maxime a Luna illustratur Tellus, iisdem minus vice versa a Terra illuminetur Luna, et e contra". La seconda parte si concentra sull'osservazione delle stelle fisse col cannocchiale, notando che non appaiono ingrandite nella stessa proporzione degli altri oggetti. La ragione è che, a occhio nudo, le stelle non si mostrano secondo la loro "suam simplicem nudamque, ut ita dicam, magnitudinem", ma sono circondate da raggi scintillanti che ne amplificano l'apparenza: "angulus enim visorius, non a primario Stellæ corpusculo, sed a late circumfuso splendore, terminatur". Questo alone luminoso, visibile soprattutto di notte, può essere rimosso non solo dalla luce diurna o da una "tenuis nubecula", ma anche dal cannocchiale stesso, che "prius enim adscititios accidentalesque a Stellis fulgores adimit, illarum inde globulos simplices auget".


Osservazioni celesti attraverso il perspicillum: stelle fisse, pianeti e la natura della Via Lattea.

Il testo descrive le osservazioni astronomiche condotte con l'ausilio del "perspicillum", evidenziando le differenze di aspetto tra pianeti e stelle fisse. I pianeti si presentano come "globulos suos exacte rotundos ac circinatos", simili a piccole lune, mentre le stelle fisse, anche se viste attraverso lo strumento, appaiono come "fulgores quidam radios circumcirca vibrantes". Viene riportata la scoperta di un numero inaspettato di stelle precedentemente invisibili, poiché "infra Stellas magnitudinis sextæ, adeo numerosum gregem aliarum, naturalem intuitum fugientium, per Perspicillum intueberis, ut vix credibile sit". A supporto di questa affermazione, vengono forniti due esempi specifici: la costellazione di Orione, dove sono state annotate "plures quingentis" stelle, e le Pleiadi, con l'aggiunta di "plures quam quadraginta" stelle invisibili a occhio nudo. Un'ulteriore scoperta fondamentale riguarda la natura della Via Lattea, definita come "nihil aliud, quam innumerarum Stellarum coacervatim consitarum congeries". Questo si estende anche alle cosiddette nebulose, rivelatesi "Stellularum mirum in modum consitarum greges", come dimostrato dall'esempio della Nebulosa nella Testa di Orione, che contiene ventuno stelle.


Scoperta e osservazione dei satelliti di Giove

Osservazioni celesti e la scoperta di nuovi pianeti medicei.

Il testo tratta dell'osservazione di un ammasso stellare, "Secundus NEBULOSAM PRÆSEPE figura 12 nuncupatam continet; quæ non una tantum Stella est, sed congeries Stellularum plurium quam quadraginta", per poi annunciare l'intenzione di "quatuor PLANETAS a primo mundi exordio ad nostra usque tempora nunquam conspectos, occasionem reperiendi atque observandi, aperiamus". Viene sottolineata la necessità di uno strumento ottico di qualità: "Perspicillo exactissimo opus esse". La narrazione si concentra quindi sulla scoperta, avvenuta "Die itaque septima Ianuarii, instantis anni millesimi sexcentesimi decimi", quando "tres illi adstare Stellulas, exiguas quidem, veruntamen clarissimas, cognovi". Le osservazioni successive, "die octava" e "die decima", rivelano il mutare della posizione di queste stelle, "longe aliam constitutionem reperi", portando l'autore a dubitare che fossero fisse e a sospettare un "motu proprio" di Giove, finché non conclude che una di esse era "sub Iove latitante".


Resoconto delle osservazioni dei satelliti gioviani e delle loro posizioni relative.

Il testo descrive le osservazioni condotte tra il giorno non specificato, il 18, il 19 e il 20, concentrandosi sulle posizioni, le distanze e le magnitudini di corpi celesti in prossimità di Giove. Viene annotata la comparsa di una nuova stella "che prima, come ritengo, era unita alla precedente" e la sua successiva evoluzione in posizione. Le misurazioni delle distanze angolari sono minuziose, espresse in minuti primi e secondi d'arco, come nella configurazione del giorno 19 dove le stelle erano disposte "secondo una linea retta perfetta" con distanze specificate. Viene menzionata l'incertezza dell'osservatore riguardo al numero esatto di stelle visibili, come quando si dichiara "incerto se da occidente ci fossero due, o tre stelline". Il sommario accenna anche alla variabilità nella luminosità percepita degli astri, notando che una stella inizialmente "piccolissima" in seguito divenne "quasi uguale per grandezza alle altre".


Osservazioni astronomiche delle lune di Giove.

Il testo riporta osservazioni dettagliate delle posizioni e delle caratteristiche di satelliti vicini a Giove, effettuate in date e orari specifici. Vengono descritte le distanze angolari tra i corpi celesti, le loro dimensioni relative e l'allineamento. "Aderant ex oriente Stellulæ tres, æqualiter inter se et a Iove distantes" ovvero "Ad oriente aderavano tre stelline, ugualmente distanti tra loro e da Giove". Si nota che "Orientalis Iovi proxima erat omnium minima; reliquæ vero aliquanto maiores, atque inter se proxime æquales", cioè "Quella più vicina a Giove, a oriente, era la più piccola di tutte; le altre invece erano alquanto più grandi, e tra loro quasi uguali". Viene inoltre segnalata una lieve deviazione dall'allineamento perfetto: "fuerunt vero secundum eandem rectam lineam... nisi quod trium occidentalium media paululum in austrum deflectebat", ossia "erano infatti disposte secondo la stessa linea retta... se non che quella di mezzo delle tre occidentali deviava un poco verso sud". Le misurazioni delle distanze, espresse in minuti e secondi d'arco, sono un tema minore costante, come "interstitia vero, secundum existimationem, 50 secundorum minutorum fuere" e "a Iove ad occidentaliorem pr. 7".


Sulla disposizione e i movimenti dei satelliti gioviani.

Il testo riporta osservazioni dettagliate delle posizioni relative di Giove e dei suoi satelliti, con misurazioni precise delle distanze angolari in primi e secondi d'arco. Viene descritta la configurazione dei corpi celesti, spesso allineati "in eadem recta linea", e si nota come "occidentalis Stella satis exigua" appaia. Le misurazioni indicano distanze variabili, come "orientalior Stella a Iove min. 6, occidentalis vero 8". Viene inoltre registrato un cambiamento nel numero dei satelliti visibili, poiché in un'occasione si attesta che "hora septima, quatuor aderant Stellæ: inter quas Iuppiter mediam occupabat sedem".

Riferimenti

Figura 43, Figura 44, Figura 45, Figura 46.


Rilevazioni delle posizioni e delle magnitudini dei satelliti gioviani.

Il testo riporta una serie di osservazioni astronomiche concentrate sui satelliti di Giove. Vengono descritte le loro posizioni reciproche e rispetto al pianeta, con misurazioni precise delle distanze in minuti primi. Le osservazioni, condotte in giorni successivi, registrano il numero di satelliti visibili, il loro allineamento e le relative magnitudini. Un tema minore è costituito dalle condizioni meteorologiche, che in un'occasione hanno ostacolato la visibilità: "Cælum fuit nubilosum". Le descrizioni sono supportate da riferimenti a figure, come "figura 49" e "figura 50". Le misurazioni indicano configurazioni variabili, con satelliti che appaiono "in eadem recta secundum Eclipticam extensa" o "medium Iovem intercipientes". Viene inoltre annotata l'uguaglianza o la disparità nelle magnitudini, con corpi celesti descritti come "æquales omnes" o, al contrario, con una stella "exigua satis" e un'altra "satis magna".


Osservazioni astronomiche delle lune di Giove in date successive.

Il testo riporta osservazioni dettagliate della posizione e della magnitudine di stelle vicine a Giove, verosimilmente i suoi satelliti, effettuate in giorni e orari specifici. Vengono descritte le configurazioni, con il numero di astri visibili, le loro distanze angolari dal pianeta e tra di loro, e le loro magnitudini relative. Per esempio, il 15 del mese si nota che "tre erano le stelle orientali, nessuna invece si scorgeva occidentale", mentre il 17 si registra che "entrambe [le stelle] erano abbastanza esigue, specialmente l'orientale nella seconda osservazione". Le misurazioni delle distanze sono minuziose, spesso espresse in primi e secondi d'arco, come la stella orientale che "dista[va] da esso min. 0, sec. 50". Un tema minore è l'allineamento degli astri, rilevato il 16 quando "erano tutte della medesima, quasi, grandezza, abbastanza cospicue, e sulla stessa retta linea esattamente secondo l'andamento dello Zodiaco".


Serie di osservazioni sui satelliti di Giove e le loro posizioni relative.

Il sommario descrive le osservazioni dei satelliti di Giove condotte in diverse notti, con particolare attenzione al loro numero, alla disposizione e alle distanze angolari dal pianeta. Viene rilevato che i satelliti appaiono spesso allineati "in eadem recta Eclipticæ parallela" e "ad unguem in eadem recta". Le osservazioni includono notti con cielo sereno e altre, come il 20 e le tre notti successive al 21, in cui "cælum fuit nubibus obductum". Vengono annotate le dimensioni relative dei corpi celesti, ad esempio una stella orientale era "aliquanto minor occidentali". Un tema minore è l'evoluzione delle configurazioni nel tempo, come quando, nella notte del 26, inizialmente erano visibili solo due stelle, ma "hora 5, tres visæ sunt Stellæ". Un ulteriore tema minore è l'introduzione di un nuovo metodo di osservazione "secundum Zodiaci longitudinem, facta relatione ad fixam quandam" a partire da quella stessa notte, per misurare il movimento.