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Galileo - Sidereus Nuncius - Dettagli | 18m


1. L'eternità dei meritevoli: dai monumenti terreni alle stelle come custodi della gloria

Dall'arte alla volta celeste: come l'umanità ha cercato di sfidare l'oblio

Sommario

Il testo delinea un percorso storico e concettuale sulla volontà umana di preservare la memoria dei grandi personaggi, superando i limiti della materialità. Si parte dai metodi tradizionali --- „imagines [...] marmore insculptæ, vel ex ære fictæ", „statuæ, tam pedestres, quam equestres", „columnarum atque pyramidum [...] sumptus ad sidera ducti" --- per celebrare „excellentium virtute virorum res præclare gestas", ma si evidenzia come questi „omnia humana monumenta vi tempestate ac vetustate tandem interire". La fragilità della memoria terrena spinge a una soluzione più duratura: „in cælum itaque migrans", l'uomo assegna „clarissimorum Siderum notis sempiternis illis Orbibus eorum nomina", trasformando le stelle in „incorruptiora signa" dove „tempus edax [...] nullum sibi ius vindicaret". Il confronto tra il tentativo fallito di Augusto --- „Stellam [...] Iulium Sidus nuncupari voluisset, brevi illa evanescens" --- e la promessa implicita rivolta al „Princeps Serenissime" (Cosimo II) sottolinea una continuità ideale: mentre „fama" degli eroi antichi „non obscurabitur, quam ipsorum Siderum splendor extinguatur", le „lucidæ Sidera" ora appaiono come „linguæ" eterne delle „præstantissimas virtutes" del dedicatario. Emergono temi minori: la critica alla „invidia" e all'„oblivio" come nemici della gloria; la „humanæ mentis conditio", bisognosa di „assiduis rerum simulacris" per non dimenticare; il ruolo delle „Musarum custodiæ" e delle „litterarum monumentis" come alternative ai „saxis ac metallis". La chiusura suggerisce un parallelo tra il „Iulium Cæsarem" e Cosimo, ma con un esito auspicabilmente diverso: „longe veriora ac feliciora [...] possumus augurari".


2. I quattro astri riservati al nome illustre: dediche celesti e destini planetari

Dai moti disparati dei corpi erranti alla concordia universale: un omaggio cosmico a virtù terrene.

Il blocco descrive la scoperta di "quattro Sidera" destinati a un "inclyto nomini" e ne giustifica la dedica attraverso paralleli tra le proprietà astronomiche dei nuovi pianeti e le qualità morali e politiche del destinatario. I corpi celesti, "germana eius progenies" di Giove, compiono "cursus suos orbesque celeritate mirabili" pur mantenendo una "unanimi concordia" nel moto attorno al Sole, simbolo di armonia universale. L'autore insiste sulla corrispondenza tra la "clementia, animi mansuetudo, morum suavitas" del dedicatario e l'influsso benefico di "Iuppiter", "secundum Deum omnium bonorum fontem", da cui tali virtù "emanare". La narrazione si sposta poi su un piano personale: l'autore rivendica un legame didattico con il destinatario, affermando che "Placuit Deo Optimo Maximo" affidargli l'insegnamento delle "Mathematicis disciplinis" per quattro anni, in un periodo tradizionalmente riservato a "severioribus studiis". Emergono così temi minori come la provvidenza divina, l'educazione principesca e la legittimazione astronomica del potere, dove il cosmo diventa specchio e garanzia di un ordine terreno.

La struttura argomentativa alterna dimostrazioni "probabilibus" a "necessaria ratione", mentre le metafore celesti --- "turbidos horizontis vapores", "medium cæli cardinem", "orientalem angulum" --- sottolineano il carattere solenne e predestinato della dedica. Il blocco culmina nell'affermazione che la nascita del destinatario coincise con un "felicissimum partum" osservato da Giove stesso, il quale "omnem splendorem atque amplitudinem suam in purissimum aërem profudit" perché il "tenerum corpusculum" ne assorbisse la potenza sin dal "primo spiritu". La retorica unisce così scienza, mitologia e lode encomiastica, presentando la scoperta astronomica come atto dovuto a un disegno superiore.


3. Dedicatoria a Cosimo II de' Medici e approvazione del Sidereus Nuncius

L'omaggio celeste di Galileo: stelle medicee e lode dinastica tra scienza e potere.

Il blocco si articola in due nuclei: una dedicatoria retorica a Cosimo II de' Medici, dove Galileo giustifica la denominazione delle "Stelle superioribus Astronomis omnibus incognitas" come "MEDICEA SIDERA" in onore della "Augustissimo Prosapiæ tuæ", e un atto burocratico che certifica la legittimità dell'opera. La lode al mecenate si fonda su "incredibilis clementiæ ac benignitatis tuæ radios", che spingono l'autore a "tuæ gloriæ cupidissimus" e a "immortalitatem" del nome mediceo tramite le stelle. La "virtus" del duca, "Maxime Heros", è paragonata a quella degli avi, ma destinata a superarla, "longo intervallo", in un crescendo di "magnitudine" che "in dies maior evadas". Il tono oscilla tra adulazione ("Clementissime Princeps") e ambizione scientifica ("primus indagavi").

La sezione finale, asciutta e formale, attesta la "licenza" di stampa da parte delle autorità padovane, che dichiarano il "SIDEREUS NUNCIUS" "degno di stampa" e "non contraria alla Santa Fede". La datazione ("4 Idus Martii, MDCX" e "die primo Martii 1610") e le firme ("Galileus Galileus" e "Reformatori del Studio") chiudono il cerchio tra dedica privata e sanzione pubblica, legittimando l'opera sia sul piano politico che su quello ecclesiastico. Emergono temi minori: la "gloria sempiterna" degli avi, la "felicissimis imperii auspiciis" come presagio di grandezza, e il ruolo di Dio come "Stellarum Opifice", cui si deve la "divinis bonis" elargita al duca.


4. Annuncio celeste: le scoperte del nuovo cannocchiale e i misteri della Luna, della Via Lattea e dei pianeti medicei

Scoperte astronomiche senza precedenti rivelate da un nuovo strumento ottico, con implicazioni sulla natura della Luna, delle stelle nebulose e di corpi celesti mai osservati prima.


Il sommario descrive un testo che annuncia osservazioni rivoluzionarie condotte con un "nuovo cannocchiale" ("NOVI PERSPICILLI BENEFICIO"), presentate come "magna equidem in hac exigua tractatione" per la loro "præstantiam" e "inauditam novitatem". Il nucleo riguarda tre ambiti principali: la superficie lunare, ora rivelata "aspera et inæquali" e non "leni et perpolita", con "ingentibus tumoribus, profundis lacunis atque anfractibus" che ne alterano l'aspetto rispetto alla percezione ad occhio nudo; la Via Lattea ("Lacteo circulo"), la cui "essentia" viene finalmente svelata ai sensi, e le "Stellas Nebulosas", la cui "substantiam" si dimostra diversa da quanto creduto finora. Il culmine è la scoperta di "quatuor Erraticas Stellas" (i "Medicea Sidera"), corpi celesti che orbitano attorno a un astro principale "instar Veneris atque Mercurii circa Solem", mai osservati prima e destinati a rivoluzionare l'astronomia. Le osservazioni, condotte "paucis abhinc diebus" grazie a uno strumento ideato dall'autore, sono presentate come frutto di "divina gratia" e come un invito a "cunctos Astronomos atque Philosophos" a riconsiderare le teorie esistenti.

###### Note Documento datato "1610, a dì 8 Marzo" e registrato nel "libro a car. 39", con riferimenti a figure istituzionali veneziane (es. "D. Lunardo Marcello", "Cons. de' X"). Il testo mescola latino e volgare, con termini tecnici ("Blasph.", "Coad.") e citazioni in prima persona ("a me excogitati"). La struttura suggerisce un atto ufficiale o una relazione scientifica destinata a un pubblico colto.


5. L'invenzione del cannocchiale: dalla voce al perfezionamento tecnico

Dall'eco di una scoperta belga alle sperimentazioni ottiche che rivoluzionano la visione a distanza.

Sommario

Il blocco descrive il processo che porta alla realizzazione di un «Organo» ottico capace di ingrandire gli oggetti lontani, partendo da voci non verificate e arrivando a un prototipo funzionale. L'autore narra come «rumor ad aures nostras increpuit» circa un «Perspicillum» creato da «quodam Belga», strumento che «obiecta visibilia [...] veluti propinqua distincte cernebantur», suscitando scetticismo e curiosità. La conferma scritta da «nobili Gallo Iacobo Badovere» spinge alla ricerca di «rationes inquirendas» per replicare lo strumento, sfruttando «doctrinæ de refractionibus»: il primo modello, un «tubum plumbeum» con lenti «unum sphærice convexum, alterum vero cavum», ingrandisce gli oggetti «triplo viciniora, nonuplo vero maiora». Gli sviluppi successivi portano a un dispositivo che «res per ipsum visæ millies fere maiores appareant», con applicazioni «tam in re terrestri quam in maritima» talmente evidenti da rendere «supervacaneum» elencarle. Emergono temi minori come la rapidità della diffusione delle scoperte, il ruolo delle reti epistolari («per literas») e la competizione tecnologica («alia forte præstantiora [...] in dies adinvenientur»).

Il testo si chiude con l'affermazione che lo strumento, pur già rivoluzionario, è destinato a ulteriori miglioramenti «vel a me, vel ab aliis», sottolineando tanto l'orgoglio per il risultato quanto la consapevolezza della sua provvisorietà. La descrizione tecnica si alterna a considerazioni sull'impatto pratico, mentre la progressione dai «sexagesies maiora» del secondo prototipo al «millies» del modello definitivo traccia una curva di innovazione basata su «labori nullo [...] nullisque sumptibus parcens».


6. Osservazioni celesti e preparazione degli strumenti: metodo per misurare le distanze tra le stelle

Dall'osservazione ravvicinata della Luna alla misurazione degli spazi siderali: istruzioni per costruire un cannocchiale perfetto e calcolare le proporzioni del cosmo.

Il testo descrive un passaggio dall'osservazione terrestre a quella celeste, dove l'autore afferma di aver „abbandonato le cose terrene" per dedicarsi „alle speculazioni celesti", iniziando con la Luna „come se distasse appena due diametri terrestri". L'attenzione si sposta poi sulle „stelle fisse e erranti", la cui „incredibile abbondanza" spinge a cercare un „metodo per misurarne le distanze". Il fulcro diventa la costruzione di un „perspicillum" (cannocchiale) „esattissimo", capace di „moltiplicare gli oggetti secondo un rapporto di almeno quattrocento volte": senza uno strumento del genere, „ogni tentativo di vedere ciò che è stato osservato nei cieli sarà vano". Vengono fornite istruzioni pratiche per verificare l'ingrandimento, usando „due cerchi o quadrati di carta" in proporzione „venti a uno", da osservare „con un occhio al cannocchiale e l'altro libero" fino a farli apparire „della stessa grandezza". Il metodo si estende poi alla „misurazione delle distanze" tra i corpi celesti, preannunciando un „artificio" specifico per raggiungere lo scopo. Emergono temi minori come l'avvertimento agli osservatori (è doveroso che siano preavvertiti coloro che vogliono accostarsi a simili osservazioni") e l'importanza della precisione ottica (oggetti luminosi, distinti e privi di ogni velo").


7. Osservazioni sulla superficie lunare: irregolarità, rilievi e analogie con la Terra

L'aspetto accidentato del confine tra luce e ombra sulla Luna, le macchie scure e le protuberanze luminose che emergono nella parte oscura, le somiglianze con i fenomeni terrestri al sorgere del Sole.

Il testo descrive le irregolarità del terminatore lunare, dove la linea di divisione tra parte illuminata e oscura non è uniforme ma sinuosa" e frastagliata, con excrescentiæ lucidæ" che si estendono oltre il confine e tenebricosæ particulæ" che invadono la zona luminosa. Si osservano inoltre macularum exiguarum copia" sparse nella regione illuminata, caratterizzate da una parte centrale più scura rivolta verso il Sole e bordi più chiari, analogamente a come valles nondum lumine perfusas" e montes iam iam splendore fulgentes" appaiono sulla Terra all'alba. Le lucidæ cuspides" che si accendono nella parte oscura, crescono e si uniscono alla zona illuminata evocano le cime montuose terrestri illuminate prima dell'alba, mentre le eminentiæ et cavitatum discrimina" lunari sembrano superare in estensione le asperità terrestri. Vengono menzionate anche macchie scure più grandi, con bordi uniformi e meno accidentati rispetto alle zone chiare, e una somiglianza tra la superficie lunare e il vetro incrinato (glaciales Gyathi"), oltre a un parallelo con la teoria pitagorica che associa le zone chiare a terre emerse e quelle scure ad acqua. Le osservazioni includono rilievi prominenti vicino a macchie scure, visibili sia prima che dopo la quadratura, e fenomeni transitori come l'emergere di vertex luminosus" in un sinus tenebrosus".


8. L'illusione della regolarità lunare: dubbi, rilievi e spiegazioni ottiche

Osservazioni sulla superficie lunare tra apparente uniformità e reali disomogeneità.


### Il problema della linea di demarcazione perfetta Il testo affronta il paradosso tra la "exacte rotunda et circinata" linea di confine della Luna --- priva di irregolarità visibili al telescopio --- e la sua superficie effettiva, descritta come "tuberosa, lacunosa" e solcata da "anfractibus, tumoribus [...] et lacunis innumeris". L'autore riconosce che tale contraddizione genera "magnam dubitationem", tanto da mettere in discussione conclusioni altrimenti "tot apparentiis confirmatas": se la Luna è coperta di rilievi, perché il suo bordo appare liscio e circolare in ogni fase? La spiegazione proposta ruota attorno a due ipotesi ottiche. La prima invoca la disposizione dei monti lunari: non allineati lungo un unico cerchio, ma distribuiti in "permulti montium ordines" che, sovrapponendosi, nascondono reciprocamente le irregolarità alla vista. L'occhio umano, posto "a longe" e "in eadem recta" con le cime, percepisce una linea continua, analogamente a come "in terra multorum ac frequentium montium iuga [...] apparent" piatti da lontano. La seconda ipotesi, solo accennata, suggerisce un meccanismo ulteriore non esplicitato.


Temi minori e implicazioni

Emergono questioni collaterali: la distinzione tra macchie lunari "ob veram partium dissimilaritatem" --- stabili e intrinseche --- e quelle "quæ ab umbris tantum eminentiarum ortum ducunt", effimere e mutevoli; la critica indiretta a chi, di fronte a "gravi difficultate", preferisce scartare osservazioni consolidate piuttosto che ammettere limiti percettivi. La soluzione proposta non solo risolve il dubbio tecnico, ma rivela un principio più ampio: la "dissimilaritas" reale può celarsi dietro un'"apparentia" ingannevole, soprattutto quando l'osservatore è vincolato da "oculus [...] procul" e da "in pari altitudine".


9. L'illusione ottica della superficie lunare: rilievi, cavità e l'effetto dei vapori circostanti

La Luna osservata da lontano appare come un disco uniforme, ma la sua morfologia è in realtà irregolare: monti e crateri si celano dietro un velo di sostanze riflettenti che ne alterano la percezione.


Il sommario descrive un fenomeno ottico per cui la superficie lunare, pur essendo accidentata, sembra liscia a causa della distanza e della presenza di un alone di materia densa che avvolge il satellite. Le frasi sottolineano come «i vertici delle onde del mare agitato appaiano allineati su uno stesso piano, sebbene tra i flutti vi siano voragini profonde» (107), analogia usata per spiegare l'allineamento apparente delle cime dei rilievi lunari quando osservati da lontano. L'occhio umano, posizionato «in uno stesso piano con le vette» (108), non percepisce le irregolarità, mentre un «cerchio di sostanza più densa» (109) attorno alla Luna riflette la luce solare, creando un effetto di uniformità. Questo strato, più spesso ai bordi, «può ostacolare la vista fino a nascondere la solidità della Luna» (110) e spiega perché le macchie scure non giungano mai «fino all'estremo orlo» (112), rimanendo coperte da «una maggiore quantità di vapori luminosi» (112). La figura geometrica citata (111) illustra come i vapori, più radi al centro e più fitti ai margini, «precludano la vista» (111) delle irregolarità periferiche. La conclusione (113) ribadisce che la superficie lunare, «cosparsa ovunque di tumuli e cavità», risulta visivamente appiattita a causa di questi fenomeni.


Note

(107) Traduzione: «Così le cime delle alte onde del mare agitato sembrano estese sullo stesso piano, sebbene tra i flutti vi sia una grande frequenza di voragini e cavità, e così profonde che non solo le chiglie, ma anche le poppe, gli alberi e le vele delle navi più alte vi scompaiono». (108) Traduzione: «Poiché sulla Luna e attorno al suo perimetro vi è una disposizione multipla di rilievi e cavità, e l'occhio che osserva da lontano si trova quasi sullo stesso piano delle loro cime, a nessuno dovrebbe sembrare strano che, quando un raggio visivo le sfiora, esse appaiano allineate lungo una linea uniforme e non frastagliata». (109) Traduzione: «A questa ragione se ne può aggiungere un'altra: che cioè attorno al corpo lunare, come attorno alla Terra, vi è una sorta di alone di sostanza più densa rispetto all'etere circostante, capace di ricevere e riflettere l'irradiazione solare, sebbene non abbia un'opacità tale da impedire il passaggio alla vista (specialmente quando non è illuminato)». (110) Traduzione: «Un segno di ciò è che la parte della Luna illuminata appare di circonferenza maggiore rispetto al resto dell'orbe in ombra: e qualcuno potrebbe ritenere ragionevole che le macchie più grandi della Luna non si estendano fino all'orlo estremo, sebbene sia probabile che ve ne siano alcune anche lì; tuttavia è credibile che siano invisibili perché coperte da una maggiore e più luminosa quantità di vapori».


10. Confronto tra le asperità lunari e terrestri: misure, osservazioni e implicazioni geometriche

Dalle montagne invisibili sulla Terra ai picchi illuminati della Luna: calcoli, proporzioni e un fenomeno che svela somiglianze inaspettate.

Sommario

Il blocco analizza le differenze quantitative tra le irregolarità superficiali della Luna e della Terra, partendo dall'osservazione che «le asperità terrestri sono molto minori di quelle lunari» («terrestres asperitates lunaribus esse longe minores»), non solo in rapporto alle dimensioni dei rispettivi corpi celesti ma «anche in valore assoluto» («etiam absolute loquendo»). L'autore ricorre a misurazioni geometriche per dimostrare che i «vertici» lunari, pur distanti dal terminatore, risultano illuminati dal Sole: la distanza di tali picchi dal limite d'ombra supera «la ventesima parte del diametro lunare» («interstitium hoc vigesimam interdum diametri partem superare»), corrispondente a 100 miglia italiche su un diametro lunare di 2000. Attraverso costruzioni teoriche --- come il cerchio massimo CAF e il raggio tangente GCD --- si stabilisce che l'altezza di un picco lunare («sublimitas AD») raggiunge «più di 4 miglia» («eminentior est milliaribus Italicis 4»), mentre sulla Terra «non esistono montagne che arrivino a un miglio di altezza perpendicolare» («nulli extant montes, qui vix ad unius milliarii altitudinem perpendicularem accedant»). Il confronto sfocia in una conclusione netta: «le elevazioni lunari sono più alte di quelle terrestri» («lunares eminentias terrestribus esse sublimiores»).

Il testo accenna poi a un «altro fenomeno lunare degno di ammirazione» («alterius cuiusdam lunaris apparitionis, admiratione dignæ, causam assignare»), osservato anni prima ma qui richiamato per sottolineare «la parentela e somiglianza tra Luna e Terra» («ut cognatio atque similitudo inter Lunam atque Tellurem clarius appareat»). L'uso del «perspicillum» (cannocchiale) rende l'osservazione più agevole, suggerendo un legame tra progresso tecnologico e comprensione dei corpi celesti. Le argomentazioni si fondano su dati empirici --- come la «massima elongazione del Sole dalla Luna» («maximam elongationem Solis a Luna») --- e su proporzioni matematiche (ad esempio, il rapporto 2:7 tra i diametri lunare e terrestre), senza trascurare riferimenti a osservazioni condivise con «amici e discepoli» («nonnullisque familiaribus amicis et discipulis ostensa»).


11. L'osservazione della luce cinerea della Luna: fenomeno, variazioni e ipotesi esplicative

Quando il chiarore invisibile della notte svela il volto nascosto del satellite

Il blocco descrive il fenomeno ottico della luce cinerea della Luna, ossia la debole illuminazione della parte in ombra del disco lunare non direttamente esposta al Sole. Si parte dall'osservazione empirica: «non solo l'estremo bordo della parte oscura brilla di una certa luce incerta, ma l'intera faccia della Luna, quella che non riceve ancora lo splendore del Sole, appare chiara di una luce non trascurabile», sebbene all'inizio sembri visibile solo «una sottile circonferenza luminosa» a causa del contrasto con «le parti più oscure del cielo». La percezione cambia se si occultano «i corni luminosi» con un ostacolo, rivelando che «anche questa regione della Luna, pur priva di luce solare, splende di una luce non trascurabile», specie «in un campo più oscuro», come durante la notte. Si nota inoltre che l'intensità di questa «seconda clarità» varia con la distanza angolare dal Sole: «è maggiore quando la Luna è meno lontana dal Sole», tanto che «in sestile e a minore elongazione, anche tra i crepuscoli, splende in modo mirabile», mentre «dopo il primo quarto e prima del secondo, appare debole e molto incerta». Il testo si chiude con le ipotesi avanzate per spiegare il fenomeno: alcuni lo attribuiscono a «un splendore proprio e naturale della Luna stessa», altri a «Venere», «a tutte le stelle» o «al Sole, i cui raggi penetrano la solida profondità della Luna».


12. L'analisi critica della luce secondaria lunare e il ruolo della Terra

Un confronto tra ipotesi astronomiche e osservazioni empiriche sulla natura del bagliore lunare durante le eclissi.

Il blocco esamina le possibili origini della „luce secondaria" che appare sulla Luna, scartando sistematicamente ipotesi alternative attraverso argomenti logici e dati osservativi. Si respinge che il fenomeno derivi da „proprietà intrinseche" della Luna (proprium esset"), dalle „stelle" (a Stellis collatum") o da „Venere" (a Venere impertitam"), poiché „circa coniunctionem [...] omnino esse impossibile" che il lato oscuro della Luna sia visibile dal pianeta. Analogamente, si esclude il „Sole" (ex Sole"), dato che il suo „lumine" illumina „sempre un emisfero" tranne durante le „Eclipsium", mentre il bagliore „diminuitur" avvicinandosi alle „quadraturam". L'analisi si concentra sulla „mutabilità" e „mobilità" del fenomeno (mutabilis ac loco mobilis"), che varia in „clarior" e „obscurior" a seconda della „vicinitate" ai „radiorum Solarium", suggerendo un'interazione con un „corpus" residuo: la „Tellus". Il testo accenna a un parallelo con il „crepusculinum lumen" terrestre, rimandando a un approfondimento nel „libro De systemate mundi".

La confutazione si basa su „experientiæ" concrete: il bagliore „longe minor" e „subrufus" durante le „deliquiis" contrasta con la „candidior" luminosità in altre fasi, mentre la sua „loco mobilis" distribuzione sulla „Lunæ faciem" indica una causa esterna. L'autore liquidano come „puerile" l'attribuzione a Venere e „inopinabile" quella al Sole, lasciando la „Tellus" come unica spiegazione plausibile, pur senza esplicitarla compiutamente. Emergono temi minori come la „crassiorem regionem" atmosferica che circonda la Luna e la „Aurora" generata dal contatto con i raggi solari, fenomeni che richiamano dinamiche terrestri (non secus ac in terris").


13. Scambi di luce tra Terra e Luna: dinamiche di un'illuminazione reciproca

Il gioco delle ombre e dei riflessi nel sistema celeste

Il blocco descrive il meccanismo ciclico con cui la Luna e la Terra si illuminano a vicenda, alternando fasi di visibilità e oscurità. Si parte da un'interrogazione retorica sulla natura di questo scambio --- „che cosa si può offrire in cambio?", „non è forse la Terra stessa a riversare luce sul corpo lunare, opaco e tenebroso?"--- per poi chiarire come „la Terra, con equo e grato scambio, restituisca alla Luna un'illuminazione pari a quella che riceve da lei nelle notti più profonde". Il testo spiega le posizioni relative dei tre corpi celesti: durante le congiunzioni, la Luna „interposta tra Sole e Terra" riceve luce solo sull'emisfero opposto a noi, lasciando „l'emisfero inferiore, rivolto alla Terra, avvolto nelle tenebre"; man mano che „si allontana gradualmente dal Sole", comincia a mostrare „cornici biancheggianti" e „illumina debolmente la Terra", fino a raggiungere la piena visibilità, quando „l'intero volto lunare, rivolto a noi, irradia fulgori chiarissimi" e „la superficie terrestre brilla diffondendo lo splendore lunare". Il ciclo si chiude con il calare della luce, fino al ritorno „all'oscurità della notte". Il sommario sottolinea anche l'equilibrio del fenomeno: „con alterni periodi, lo splendore lunare ci concede illuminazioni mensili, ora più intense, ora più deboli: ma il beneficio è compensato con uguale misura dalla Terra". Emergono temi minori come la simmetria dei moti celesti e la percezione umana delle fasi lunari, descritte attraverso immagini di „notti più chiare" e „raggi indeboliti".


14. L'illusione ottica delle stelle: fulgori, strumenti e la distinzione tra pianeti e astri fissi

Come la luce inganna l'occhio, e come il cannocchiale svela la vera forma dei corpi celesti

Il blocco descrive il fenomeno per cui le stelle appaiono più grandi del loro diametro reale a causa dei "fulgori" e dei "radi micanti" che le avvolgono, specialmente "cum iam increverit nox". La percezione è alterata dall'"angulus visorius", che non misura "a primario Stellæ corpusculo, sed a late circumfuso splendore": le stelle di "primæ magnitudinis" sembrano "exiguæ admodum" al crepuscolo, mentre Venere, osservata "circa meridiem", risulta "adeo exilis" da "vix æquare" una stella di "magnitudinis ultimæ". La Luna, al contrario, mantiene "eiusdem semper molis" apparente in ogni condizione di luce. Gli strumenti ottici, come "Perspicillum", eliminano i "circumfusi fulgores" accidentali e rivelano i "globulos simplices" delle stelle, ingrandendone l'immagine: una "Stellula quintæ aut sextæ magnitudinis" può così sembrare "tamquam magnitudinis primæ". Il testo distingue inoltre i pianeti, che mostrano "globulos suos exacte rotundos", dalle stelle fisse, i cui contorni non sono "peripheria circulari terminatæ" ma "fulgores quidam radios vibrantes", scintillanti sia a occhio nudo che attraverso il cannocchiale. La differenza tra i due tipi di corpi celesti è marcata: le stelle fisse, anche se ingrandite, conservano la loro natura "admodum scintillantes", mentre i pianeti appaiono come "Lunulæ undique lumine perfusæ".

Note
(149-156)

Le osservazioni si basano su fenomeni ottici e strumentali, senza riferimenti a teorie astronomiche o fisiche sottostanti. Il "Perspicillum" è citato come dispositivo in grado di "adscititios fulgores adimit", suggerendo un uso pratico precoce del cannocchiale. La comparazione tra "Canem" (Sirio) e una stella di sesta magnitudine evidenzia l'effetto amplificatore dello strumento.


15. Osservazioni telescopiche: la moltitudine invisibile delle stelle e la natura della Via Lattea

Dall'occhio nudo al cannocchiale: stelle nascoste, ammassi e il mistero del «latte celeste» svelato

Il blocco descrive le scoperte rese possibili dal cannocchiale, strumento che rivela un «numerosum gregem aliarum [stellarum], naturalem intuitum fugientium» e smaschera l'illusione ottica di fenomeni come la Via Lattea. L'autore documenta l'«inopinabili [stellarum] frequentia» in costellazioni note (Orione, Pleiadi), dove «plures quingentis» astri prima invisibili affollano spazi apparentemente vuoti: «aliæ, plures quam quadraginta, invisibiles adiacent» alle sei Pleiadi tradizionali, mentre in Orionis «alias adiacentes octuaginta» si aggiungono alle stelle già catalogate. Le differenze di magnitudine, prima indistinguibili, diventano evidenti: «magnitudinum differentiæ» e «discrimina» tra stelle vecchie e nuove vengono registrate con precisione, usando simboli grafici per marcare «notas, seu veteres» e «inconspicuas».

La sezione culmina nella rivelazione della «GALAXIA», non più «albicantis nubis» ma «innumerarum Stellarum coacervatim consitarum congeries», dove «Stellarum ingens frequentia» si palesa in ogni direzione puntata dal cannocchiale. Anche le «NEBULOSÆ», finora considerate nubi informi, si risolvono in «Stellularum mirum in modum consitarum greges», il cui «candor» deriva dall'«exilitatem, seu maximam a nobis remotionem» delle singole componenti. L'osservazione diretta «ab oculata certitudine» dissolve «altercationes» secolari, sostituendo «verbosas disputationes» con l'evidenza di «cœtum» stellari prima insospettati.


#### Note ##### 15.1 Traduzioni citazioni: - «numerosum gregem aliarum, naturalem intuitum fugientium»«un numeroso gruppo di altre [stelle], che sfuggono alla vista naturale» - «inopinabili [stellarum] frequentia»«frequenza inaspettata [delle stelle]» - «plures quingentis»«più di cinquecento» - «aliæ, plures quam quadraginta, invisibiles adiacent»«altre, più di quaranta, invisibili adiacenti» - «alias adiacentes octuaginta»«altre ottanta adiacenti» - «magnitudinum differenti滫differenze di magnitudine» - «notas, seu veteres»«note, ovvero [stelle] antiche» - «inconspicuas»«inconspicue» - «GALAXIA [...] innumerarum Stellarum coacervatim consitarum congeries»«la Via Lattea [...] non è altro che un ammasso di innumerevoli stelle addensate» - «Stellarum ingens frequentia»«l'enorme frequenza di stelle» - «NEBULOSÆ [...] Stellularum mirum in modum consitarum greges»«le [stelle] nebulose [...] sono gruppi di stelle meravigliosamente composte» - «exilitatem, seu maximam a nobis remotionem»«piccolezza, ovvero massima distanza da noi» prolissi»

##### 15.2 Riferimenti impliciti: - Perspicillum = cannocchiale/telescopio. - Magnitudo sextæ/septimæ = magnitudine sesta/settima (classificazione di luminosità stellare). - Asterismos = configurazioni stellari (es. Orione, Pleiadi). - LACTEI Circuli / GALAXIA = Via Lattea.


16. Osservazioni astronomiche: dai presèpi stellari ai nuovi pianeti del 1610

Dalle nebulose di Orione ai satelliti di Giove: catalogazione celeste e una scoperta rivoluzionaria.

Il blocco descrive un resoconto sistematico di osservazioni astronomiche condotte con un perspicillum (telescopio), focalizzato su due fenomeni distinti ma collegati: la mappatura di ammassi stellari e la scoperta di corpi celesti sino ad allora ignoti. Vengono dapprima elencate due nebulose --- quella nella costellazione di Orione, con «Stellas vigintiunas» ("ventuno stelle"), e il «congeries Stellularum plurium quam quadraginta» ("ammasso di oltre quaranta stelle") del Presepe --- segnalando la precisione con cui sono state contate e ordinate le componenti. Il testo passa poi a rivendicare l'identificazione di «quatuor PLANETAS [...] nunquam conspectos» ("quattro pianeti mai osservati prima"), avvistati vicino a Giove il 7 gennaio 1610: tre «Stellulas [...] clarissimas» ("stelline chiarissime") allineate lungo l'eclittica, la cui natura inusuale suscita «admirationem». L'autore sottolinea l'urgenza di ulteriori studi da parte degli astronomi, avvertendo che servono «Perspicillo exactissimo» ("telescopi precisissimi") per confermare le orbite dei nuovi corpi, il cui comportamento «lationes ac mutationes» ("movimenti e mutamenti") è stato tracciato per due mesi. Emergono temi minori come la critica agli strumenti inadeguati («ob alterius organi debilitatem», "a causa della debolezza di un altro strumento") e l'invito alla collaborazione scientifica per definire i «periodos» ("periodi orbitali"), compito che l'osservatore dichiara di non aver potuto completare «ob temporis angustiam» ("per mancanza di tempo").

La sezione si chiude con una nota metodologica: le scoperte sono frutto di un «instrumentum admodum excellens» ("strumento eccellente"), la cui descrizione era stata anticipata all'inizio del discorso. Le osservazioni, pur circoscritte a un lasso temporale limitato, pongono le basi per una ridefinizione del sistema celeste allora conosciuto, spingendo la comunità a verificare dati che sfidano le conoscenze pregresse.


17. Osservazioni sistematiche dei corpi celesti in prossimità di Giove: variazioni di posizione, distanza e luminosità nel corso di quaranta giorni

Le prime registrazioni dettagliate di un fenomeno astronomico inedito: quattro oggetti mobili attorno a Giove, le cui traiettorie e mutue relazioni sfidano le categorie tradizionali delle stelle fisse.


Il blocco descrive un monitoraggio serrato e metodico delle posizioni relative di quattro corpi celesti --- inizialmente scambiati per stelle fisse --- che orbitano attorno a Giove, osservati attraverso un "perspicillum" (telescopio). Le annotazioni coprono quaranta giorni, con riferimenti a 75 figure illustrative che documentano le configurazioni notturne. L'autore registra variazioni di distanza angolare (misurata in minuti e secondi d'arco), allineamenti lungo l'eclittica, differenze di luminosità e spostamenti orari talmente rapidi da richiedere osservazioni multiple nella stessa notte.

Le frasi rivelano un processo di scoperta progressiva: dall'iniziale incertezza sulla natura dei corpi ("hæsitare tamen cœpi, quonam pacto Iuppiter ab omnibus prædictis fixis posset orientalior reperiri"«cominciai però a esitare, chiedendomi come Giove potesse apparire più orientale rispetto a tutte le predette [stelle] fisse») alla conclusione rivoluzionaria che si tratti di «tre in cieli adesse Stellas vagantes circa Iovem, instar Veneris atque Mercurii circa Solem» («tre stelle erranti attorno a Giove, simili a Venere e Mercurio attorno al Sole»), poi corretta a quattro. Le osservazioni includono fenomeni di occultamento ("sub Iove latitante"), variazioni di grandezza apparente ("orientalior duplo maior reliqua"), e deviazioni dalla linea retta ("paululum in austrum deflectens»).

Temi minori emersi: - Precisione strumentale: misure ripetute con il telescopio, annotazioni di orari esatti ("horas insuper observationum apposui"). - Confronti con stelle fisse: uso di una stella di riferimento per calcolare il moto relativo ("fixa quamdam"). - Dinamiche orbitali: ipotesi su periodi di rivoluzione («eundemque retrogradum pariter atque directum concomitentur») e orbite non circolari («convertuntur in circulis inæqualibus»), dedotte dall'impossibilità di osservare due corpi uniti nelle massime elongazioni, a differenza delle congiunzioni ravvicinate. - Condizioni atmosferiche: interruzioni per nuvolosità ("nubibus enim undiquaque obductum fuit cælum").

Il testo si chiude con una dichiarazione programmatica: le osservazioni, pur non permettendo ancora di «periodos numeris colligere» («calcolare numericamente i periodi»), dimostrano senza dubbio che i corpi «circa illum suas conficiant conversiones» («compiiono le loro rivoluzioni attorno a Giove»), anticipando la teoria eliocentrica estesa ai satelliti gioviani.

18. Osservazioni sulle dinamiche orbitali dei satelliti medicei e implicazioni per il sistema copernicano

Velocità variabili, dimensioni apparenti e confutazione delle obiezioni al moto planetario multiplo

Sommario

Il blocco descrive le "veloci conversioni" dei satelliti gioviani, evidenziando come "propinquiores enim Iovi Stellæ sæpius spectantur orientales" (i satelliti più vicini a Giove appaiono più spesso a est) e come il satellite più esterno mostri "restitutiones semimenstruas", ossia rivoluzioni semimensili regolari. L'osservazione di "quatuor circa Iovem" corpi celesti, analoghi alla "Lunæ circa Tellurem", serve a confutare le critiche al sistema copernicano: "nunc enim, nedum Planetam unum circa alium convertibilem habemus" (ora non abbiamo solo un pianeta che ruota attorno a un altro), ma un sistema multiplo che completa un'orbita solare in "12 annorum spatio".

Si analizza inoltre il fenomeno delle "mutationes" nelle dimensioni apparenti dei satelliti, escludendo cause atmosferiche ("apparent enim aucta, seu minuta, dum Iovis et propinquarum fixarum moles nil immutatæ cernuntur") o orbite ovali, giudicate "inopinabiles". La soluzione proposta si basa sull'effetto dei "terrestrium vaporum obiectu", che ingigantisce "Solem Lunamque" ma riduce "Stellæ" e "Planetas", specialmente all'orizzonte o in condizioni di luce diffusa: "Stellæ interdiu ac intra crepuscula admodum exiles apparent".


Note

(479--485) Testo originale in latino. Traduzioni italiane integrate nel sommario. Citazioni selezionate per evidenziare: 1) la regolarità orbitale; 2) la struttura sistemica come argomento copernicano; 3) l'analisi ottica delle variazioni apparenti.