Galileo - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo - Lettura | 34X
Dedica e Introduzione al Dialogo 1
Lettera dedicatoria e premessa al lettore sul sistema copernicano.
Sommario
Il blocco inizia con una chiusura formale di dedica a un’alta figura, esprimendo reverenza e devozione, come in “Con che pregandole prosperità, per crescer sempre in questa sua pia e magnanima usanza, le fo umilissima reverenza” e “Dell’Altezza Vostra Serenissima Umilissimo e Devotissimo Servo e Vassallo Galileo Galilei”. Prosegue con un avviso al lettore discreto, difendendo l’editto romano che impone silenzio sull’opinione pitagorica della mobilità della Terra, criticando chi lo considera frutto di passione non informata, e affermando la conoscenza italiana della materia, come “Si promulgò a gli anni passati in Roma un salutifero editto, che, per ovviare a’ pericolosi scandoli dell’età presente, imponeva opportuno silenzio all’opinione Pittagorica della mobilità della Terra” e “Non mancò chi temerariamente asserì, quel decreto essere stato parto non di giudizioso esame, ma di passione troppo poco informata”.
Galileo si presenta come testimone di verità, avendo assistito agli eventi a Roma, e intende mostrare alle nazioni straniere la superiorità delle speculazioni italiane sul sistema copernicano, procedendo per ipotesi matematica, come “Giudicai, come pienamente instrutto di quella prudentissima determinazione, comparir publicamente nel teatro del mondo, come testimonio di sincera verità” e “A questo fine ho presa nel discorso la parte Copernicana, procedendo in pura ipotesi matematica”. Annuncia tre capi principali: esperienze sulla Terra insufficienti a concludere la mobilità, esame di fenomeni celesti a favore di Copernico, e una fantasia sul flusso del mare legato al moto terrestre, con cenno a temi minori come la pietà e la religione che supportano la fermezza della Terra, citando “Tre capi principali si tratteranno” e “Spero che da queste considerazioni il mondo conoscerà, che se altre nazioni hanno navigato più, noi non abbiamo speculato meno”.
Il testo adotta forma di dialogo per digressioni curiose, ricordando conversazioni a Venezia con Sagredo, Salviati e un peripatetico, ora defunti, cui dedica il monumento, come “Ho poi pensato tornare molto a proposito lo spiegare questi concetti in forma di dialogo” e “Gradiscano quelle due grand’anime, al cuor mio sempre venerabili, questo publico monumento del mio non mai morto amore”. Introduce la prima giornata con interlocutori Salviati, Sagredo e Simplicio, discutendo ragioni peripatiche contro la mobilità della Terra, basate su Aristotele, e criticando argomenti numerici pitagorici, con dimostrazioni geometriche, come “Fu la conclusione e l’appuntamento di ieri, che noi dovessimo in questo giorno discorrere, quanto più distintamente e particolarmente per noi si potesse, intorno alle ragioni naturali e loro efficacia” e “Che i Pittagorici avessero in somma stima la scienza de i numeri, e che Platone stesso ammirasse l’intelletto umano e lo stimasse partecipe di divinità solo per l’intender egli la natura de’ numeri, io benissimo lo so”.
Nota
Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite per illustrare i temi principali e minori.
Critica Aristotelica ai Movimenti Naturali 2
Discussione dialogica su principi aristotelici di moto e struttura del mondo.
Sommario del Blocco di Testo
Nel dialogo, Salviati espone e critica le idee di Aristotele sui movimenti semplici e misti, affermando che “i movimenti semplici sieno de i corpi semplici, ed i misti de’ composti”, con i composti che seguono “il moto della parte predominante nella composizione”. Sagredo esprime dubbi, interrompendo per chiarimenti, poiché si sente “pullular da tante bande tanti dubbi”. Salviati accoglie la pausa, paragonando la discussione a veleggiare “tra scogli ed onde così rotte”. Sagredo questiona la definizione di natura come “principio di moto e di quiete”, chiedendo perché Aristotele non includa corpi immobili se la quiete è menzionata. Accetta i movimenti semplici come circolare e retto, ma critica l’uso di termini come “sursum et deorsum”, che presuppongono un mondo già fabbricato e abitato. Sagredo nota che Aristotele sembra “accomoda i precetti d’architettura alla fabbrica del mondo, e non la fabbrica ai precetti”, suggerendo che multipli centri implicherebbero multipli moti su e giù. Critica il moto misto come “impossibile a mescolare movimenti opposti fatti nella medesima linea retta”, e che il moto retto è “tal volta semplice, e tal volta misto, per Aristotile”. Simplicio difende distinguendo per velocità, ma Sagredo ribatte che la velocità altera la semplicità, e che non si può definire moto semplice senza conoscere i corpi, creando un circolo vizioso. Salviati riprende, criticando Aristotele per deviare dal metodo, introducendo un corpo circolare più eccellente, basato su “linea circolare perfetta, secondo Aristotile, e retta imperfetta”. Evidenzia che tale fondamento supporta proprietà come “non grave nè leggiero, d’ingenerabile, incorruttibile”. Propone un principio alternativo: il mondo è “perfettissimo” e “ordinatissimo”, rendendo il “moto retto impossibile esser nel mondo ben ordinato” perché infinito e disordinante. Il moto retto serve solo per ordinare il caos iniziale, mentre il circolare mantiene l’ordine, citando Platone che i “corpi mondani mossi da principio di moto retto e poi circolarmente”. Spiega l’accelerazione naturale: un mobile “accelera il moto andando verso il luogo dove ha inclinazione”, passando per “infiniti gradi di velocità minori” dalla quiete, che è “il grado di tardità infinita”. Dio potrebbe conferire velocità miracolosamente, ma “de facto la natura non lo fa”. Sagredo apprezza ma dubita l’impossibilità di conferire velocità immediata, e Salviati conferma che un sasso accelera passando per tutti i gradi di tardità.
Temi minori emergono, come l’elicoidale potenzialmente semplice (“elica intorno al cilindro può dirsi linea semplice”) e il ruolo divino nella creazione, con riferimenti platonici e all’Accademico Linceo.
Nota sul Moto Accelerato
La natura non conferisce “immediatamente un determinato grado di velocità, se ben potrebbe”, optando per moto retto iniziale per raggiungere uniformità circolare.
Discussione sui moti eguali e accelerati 3
Dialogo tra Salv., Simp. e Sagr. sulla definizione di velocità eguali e loro applicazione a piani inclinati e perpendicolari.
Sommario
Il dialogo inizia con la definizione di moti eguali: Simp. afferma “Figuromi che passino spazi eguali in tempi eguali”, e Sagr. aggiunge una definizione più universale, “Velocità diconsi eguali quando gli spazi passati son proporzionati a i tempi”. Salv. conferma che ciò include spazi eguali in tempi eguali e ineguali in tempi proporzionali. Si discute se i moti per la perpendicolare CB e l’inclinata CA possano essere egualmente veloci sotto certi concetti, nonostante il moto per CB sia generalmente più veloce, come Simp. nota “nel tempo che ’l cadente passerà tutta la CB, lo scendente passerà nella CA una parte minor della CB”. Salv. spiega che i moti accelerano continuamente, più nella perpendicolare che nell’inclinata, ma è possibile trovare spazi dove le proporzioni di tempi e spazi coincidono, rendendo le velocità eguali in quel senso.
Salv. rimuove lo scrupolo di Sagr., promettendo dimostrazioni future dall’Accademico sui moti locali, e illustra come nel tempo di caduta per CB, il moto per CA arriva a T, con perpendicolare da B. Si afferma che il cadente passa per infiniti gradi di tardità, e su piani poco inclinati il moto è lentissimo, fino all’orizzontale dove non si acquista velocità naturalmente, come “nel piano orizontale qual si sia velocità non s’acquisterà naturalmente mai”. Il moto circolare richiede moto retto precedente, ma una volta acquistato è perpetuo e uniforme, “Moto circolare non si può acquistare mai naturalmente senza il moto retto precedente”. Si introduce un concetto platonico sull’origine dei pianeti: creati in un luogo comune, discesi fino a orbite con velocità proporzionali, e i calcoli confermano che “Grandezze de gli orbi e velocità dei moti dei pianeti rispondono proporzionatamente all’esser discesi dal medesimo luogo”. Sagr. esprime interesse per i calcoli, rimandati, e il dialogo torna ai moti circolari che non disordinano il mondo, a differenza dei retti.
Nota
[2] Riferimento a futura trattazione dei calcoli.
Discussione sul moto naturale dei corpi e critica ad Aristotele 4
Dialogo tra Simplicio, Salviati e Sagredo sul moto dei gravi e il centro dell’universo.
Sommario del blocco
Simplicio difende Aristotele, meravigliandosi che non abbia considerato corpi mobili e immobili, citando “la natura esser principio di moto e di quiete”. Afferma che le esperienze sensibili prevalgono sui discorsi umani, come “Le sensate esperienze si devono anteporre a i discorsi umani.”, e osserva i gravi muoversi verso il centro, i leggeri verso il concavo lunare.
Simplicio insiste che, dato “eadem est ratio totius et partium”, il moto naturale della terra è verso il centro, simile alle sue parti. Salviati concede che le parti della terra tornano al tutto per moto retto, ma dubita sia sempre retto, rimandando a obiezioni di Tolomeo e Aristotele.
Salviati argomenta che le parti della terra si inclinano verso il suo centro per formare una sfera, come “Terra sferica per la cospirazion delle parti al suo centro.”, e suggerisce che il Sole sia più probabilmente al centro dell’universo, non la Terra.
Propone che tutti i corpi mondani, inclusi Luna e Sole, abbiano forma rotonda per istinto naturale, e che il moto retto competa a tutti, come “Naturaie inciinazione delle parti di tutti i globi mondani d’andare a i lor centri.”.
Simplicio rifiuta di discutere negando principi, citando “contra negantes principia non est disputandum”, e difende il moto retto dei gravi con l’esempio della torre e del piombo.
Sostiene che Aristotele dimostra il moto dei gravi verso il centro del mondo per contrarietà con i leggeri, e che è vano considerare parti separate di corpi celesti, impassibili per Aristotele, come “Corpi celesti non son nè gravi nò leggieri, per Aristotile.”.
Salviati promette di esaminare il moto retto e accusa Aristotele di paralogismo, supponendo il centro della Terra come centro del mondo senza dimostrarlo.
Simplicio difende Aristotele come inventore della logica, ma Salviati ribatte che la logica è uno strumento, e Aristotele potrebbe errare nel suo uso, paragonandolo a chi sa fare organi ma non suonarli.
Salviati spiega il paralogismo: Aristotele assume che il moto dei leggeri verso il concavo lunare implichi il centro del mondo, supponendo ciò che deve provare.
Sagredo aggiunge che il moto verso la circonferenza non implica necessariamente verso il centro, a meno di assumere il centro della Terra come centro del mondo, scoprendo il paralogismo da un altro verso, come “Scuopresi il paralogismo d’Aristotile per un altro verso.”.
Salviati conclude che è più ragionevole dire i gravi tendono al centro della Terra, non dell’universo, e che negando il moto circolare solo ai celesti, le loro proprietà differiscono dagli elementari per errore di Aristotele.
Nota minore
Temi minori includono la critica alla logica aristotelica e l’analogia con arti come poesia e pittura.
Critica alla Vanità dei Discorsi Popolari 5
Dialogo filosofico sulla nobiltà della Terra e dei corpi celesti, con riflessioni su alterabilità, corruttibilità e finalità naturale.
Sommario
Il discorso inizia con una critica alla superficialità delle opinioni comuni, definendo sciocchezze le valutazioni che privilegiano l’oro e le gemme rispetto alla terra, come espresso in “E qual maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l’argento e l’oro, e vilissime la terra e il fango?”. Si argomenta che la penuria e l’abbondanza determinano il valore percepito, con esempi ipotetici su principi disposti a scambiare diamanti per terra fertile, citando “È, dunque, la penuria e l’abbondanza quella che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo”. Si critica l’esaltazione dell’incorruttibilità per timore della morte, suggerendo che i detrattori meriterebbero di essere trasformati in statue, come in “Questi meriterebbero d’incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante”. La Terra guadagna perfezione dalla sua alterabilità, mentre i corpi celesti, destinati al servizio terrestre, necessitano solo di moto e lume, secondo “Corpi celesti, ordìnati per servizio della Terra, non hanno bisogno d’altro che del moto e del lume”.
Si contesta l’idea che i corpi celesti siano immortali per servire una Terra caduca, definendola feccia del mondo, e si nota l’assenza di operazioni reciproche tra essi se impassibili, come in “Corpi celesti mancano di operazione scambievole tra di loro”. Emerge il tema che alterazioni celesti non pregiudicherebbero l’eternità dei globi, ma aggiungerebbero ornamento, con “Corpi celesti parimente alterabili nelle parti esterne”. Si difende l’utilità di generazioni lunari, anche se diverse dalle terrestri, rigettando l’antropocentrismo che vede tutto indirizzato al beneficio umano, citando “Generazioni e mutazioni fatte in Terra son tutte per benefìcio dell’uomo”. Si ipotizza l’esistenza di sostanze lunari inimmaginabili, analoghe a un mondo acquatico ignoto, come in “Nella luna possono esser sustanze diverse dalle nostre”. Il dialogo devia su possibili entità lunari che lodano Dio, ma si propone di rimandare discussioni estese, concludendo con l’invito a completare l’argomento sulla Luna.
Nota
Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite e mantenute in forma originale, essendo già in italiano.
Discussione sulla riflessione lunare e asprezza della superficie 6
Esperimento ottico per dimostrare la natura aspra della Luna attraverso confronti con specchio e muro.
Sommario del blocco
Nel dialogo, Salviati propone un esperimento per verificare se la riflessione della luce dalla Luna richieda una superficie liscia come uno specchio o aspra come un muro, affermando: «Noi cerchiamo, signor Simplicio, se per fare una reflession di lume simile a quello che ci vien dalla Luna, sia necessario che la superficie da cui vien la reflessione sia così tersa e liscia come di uno specchio, o pur sia piú accomodata una superficie non tersa e non liscia, ma aspra e mal pulita». Osservando uno specchio e un muro illuminati dal sole, i personaggi notano che lo specchio appare più scuro del muro tranne nel punto di riflessione diretta, mentre il muro diffonde la luce uniformemente, come evidenziato da Sagredo: «la luce che mi vien dalla reflession del muro è tollerabile e debile, in comparazion di quella dello specchio gagliardissima ed offensiva alla vista poco meno della primaria e diretta del Sole».
Simplicio obietta inizialmente, ma l’esperimento dimostra che la Luna, mostrandosi uniformemente chiara da ogni angolazione, somiglia a un muro aspra piuttosto che a uno specchio liscio, con Salviati che contrasta le obiezioni sulla forma sferica: «specchi piani mandano la riflessione in un luogo solo, ma gli sferici per tutto». Emerge un tema minore sulla sfera di attività dei corpi celesti, contestato da Sagredo, che conclude che una Luna speculare sarebbe invisibile per la minima riflessione percepibile, rendendo l’illuminazione nulla: «La Luna se fusse come uno specchio sferico, arebbe invisibile».
Nota sui riferimenti
Identificativi delle frasi: da 734 a 795, focalizzati su dimostrazioni empiriche e obiezioni dialettiche.
Dialogo sulla Riflessione della Luce 7
Esperimentazione con specchi e analisi della superficie lunare.
Sommario
Nel dialogo, Salviati propone un esperimento con specchi per dimostrare come la riflessione convessa non illumini sensibilmente le aree circostanti, contrariamente alle aspettative di Simplicio, che osserva: “Credo che gli arrecherà lume molto maggiore e molto più amplo”. Rimuovendo lo specchio piano, l’illuminazione svanisce nonostante la presenza dello specchio convesso, come Salviati sottolinea: “Eccovi levata via ogni reflessione, ancorchè vi sia rimasto il grande specchio convesso”. Simplicio dubita di un inganno, notando lo splendore dello specchio: “Io veggo pure, nel riguardar quello specchio, uscire un grande splendore, che quasi mi toglie la vista”. Salviati spiega che lo splendore è limitato e appare maggiore per irradiazione oculare, paragonandolo a stelle: “l’irraggiato si mostra piú di mille volte maggiore del nudo e real corpicello”.
Salviati argomenta che superfici aspre riflettono luce più universalmente di quelle lisce: “Lume reflesso de i corpi asperi più universale che quello de i tersi, e perchè”. Applica ciò alla Luna, che se liscia sarebbe invisibile: “Luna se fusse tersa e liscia, sarebbe invisibiie”. Simplicio propone che la Luna rifletta come una piastra dorata, ma Salviati critica: “Alcuni scrivono quel che non intendono, e però non s’intende quello che scrivono”. Discute come brunire renda superfici oscure da certi angoli: “Argento brunito apparisce più oscuro che il non brunito, e perchè”.
Sagredo interviene, chiedendo se una superficie non brunita basterebbe per la visibilità lunare, e Salviati risponde che montagne aumentano la riflessione: “Superfìcie più scabrosa fa maggior reflessione di lume che la meno scabrosa”. Spiega che raggi perpendicolari illuminano più di quelli obliqui: “Raggi perpendicolari illuminano più che gli obbliqui, e perchè”. Simplicio e Sagredo sollevano obiezioni su ombre e uniformità luminosa, ma Salviati replica che al plenilunio non si vedono ombre: “è impossibile che dove egli arriva resti tenebroso”.
Sagredo pone un dubbio su prospettiva e illuminazione uniforme, e Salviati suggerisce un esperimento con carta piegata: “questa che riceve i raggi diretti si mostri piú chiara; ed ecco già l’esperienza manifesta, che l’è notabilmente piú luminosa”. Il dialogo esplora temi minori come irradiazione visiva e lavorazione di diamanti: “Diamanti si lavorano a molte facce, e perchè”.
Nota
Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite per supportare il sommario.
Dialogo sulla Luce Secondaria della Luna e Affinità con la Terra 8
Confronto tra luminosità lunare e terrestre, confutazione di teorie alternative e argomentazioni sperimentali.
Sommario
Nel dialogo, Salviati convince Simplicio che la Terra riflette luce sulla Luna non meno della Luna sulla Terra, citando osservazioni come “le montagne non esser men luminose di quelle nugole” e paragoni con muri illuminati, dove “Illumina più la terza riflessione d’un muro che la prima della Luna”. Si discute la debolezza del lume lunare rispetto al crepuscolo, con Salviati che afferma “Lume della Luna più debole di quel del crepuscolo”, e propone esperimenti come leggere un libro al lume riflesso. Simplicio ammette di sapere inconsciamente questi fatti, e Salviati argomenta che la riflessione terrestre illumina la parte oscura della Luna, essendo la Terra quaranta volte più grande.
Si confutano teorie alternative sul lume secondario, come quello proprio della Luna o da stelle, Venus, o penetrazione solare attraverso un corpo trasparente; Salviati critica un autore moderno per falsità, notando “Luce secondaria in forma di anello, cioè chiara nell’estrema circonferenza e non nel mezo”, ma spiega l’inganno visivo e suggerisce osservazioni con ostacoli, affermando “Modo di osservar la luce secondaria della Luna”. Si sottolinea la reciprocità di influenza tra corpi celesti, con “La Terra può reciprocamente operare ne’ corpi celesti col lume”, e affinità dovuta alla vicinanza, contro Aristotele.
Temi minori emergono sulla solidità lunare dedotta dalle montagne, “Solidità dei globo lunare si argomenta dall’esser montuoso”, e sulla riflessione più debole dall’acqua rispetto alla terra, dimostrata da esperimenti come “Esperienza che motra la reflession dell’acqua men chiara di quella della terra”, con variazioni di luminosità secondaria prima e dopo la congiunzione. Le macchie lunari sono interpretate come possibili mari o selve, ma senza affermazione definitiva, citando “non ardirei di affermare, questo più che quello esser nella Luna”.
Nota
Citazioni estratte direttamente dalle frasi fornite per supportare il sommario.
Discussione sulla Natura della Luna e sulla Sapienza Umana e Divina 9
Osservazioni astronomiche e riflessioni filosofiche sulla composizione lunare e sul limite della conoscenza umana rispetto all’infinita sapienza divina.
Sommario
Le frasi descrivono la superficie lunare come composta da parti oscure piane e luminose montuose, con montagne intorno alle macchie, come indicato in “Le parti più oscure della Luna son piane, e le più luminose montuose” e “Intorno alle macchie della Luna son lunghe tirate di montagne”. Si osserva l’uguaglianza del termine tra parti illuminate e oscure nelle macchie, suggerendo pianure, mentre le parti chiare sono anfrattuose, come in “il termine che distingue la parte illuminata dall’oscura, nel traversar le macchie fa il taglio eguale”. La Luna è considerata diversa dalla Terra, priva di terra e acqua, escludendo generazioni simili alle nostre, con “stimo che la materia del globo lunare non sia di terra e di acqua”; aspetti solari variano, con giorni di un mese e minori variazioni stagionali, come “Giorni naturali nella Luna sono di un mese l’uno” e “Alla Luna il Sole s’abbassa ed alza con diversità di gradi 10”. Si esclude la presenza di piogge per l’assenza di nubi osservabili, come “Nella Luna non sono piogge”, con obiezioni su rugiade o piogge notturne respinte per mancanza di evidenze.
Temi minori emergono sulla ricchezza della natura e l’onnipotenza divina, con “differentissime ed a noi del tutto inimmaginabili, che così mi pare che ricerchi la ricchezza della natura e l’onnipotenza del Creatore”. Si discute la presunzione umana di comprendere tutto, contrapposta alla vera sapienza che riconosce i limiti, come in “Questa così vana prosunzione d’intendere il tutto non può aver principio da altro che dal non avere inteso mai nulla”; Socrate è citato come sapientissimo per ammettere l’ignoranza, con “conoscer di non saper nulla”. La sapienza umana è finita rispetto all’infinita divina, ma eccelle in certezze matematiche, come “l’intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quanto se n’abbia l’intessa natura”. Si paragona l’ingegno umano a quello divino in creazioni come statue o invenzioni, culminando nell’ammirazione per la scrittura, “L’invenzione dello scrivere stupenda sopra tutte l’altre”, chiudendo con riflessioni su acutezza umana e note testuali.
Note
Le frasi includono dialoghi tra Salv., Sagr. e Simp., con aggiunte manoscritte di Galileo su moti e accelerazione, come “Muovasi con qual si voglia velocità qual si sia poderosissimo mobile”.
Dialogo Critico su Aristotele e il Moto della Terra 10
Critica all’autorità cieca di Aristotele e introduzione al dibattito sul moto diurno della Terra.
Sommario del Blocco di Testo
Nel dialogo, i personaggi discutono aneddoti e critiche all’adesione cieca all’autorità di Aristotele, evidenziando casi ridicoli come il filosofo peripatetico che nega l’evidenza anatomica sull’origine dei nervi, preferendo il testo aristotelico: “Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera” (traduzione in italiano moderno: “Mi avete mostrato questa cosa in modo così chiaro e sensato, che se il testo di Aristotele non fosse contrario, affermando apertamente che i nervi nascono dal cuore, bisognerebbe per forza riconoscerla vera”). Simplicio difende Aristotele, sostenendo che i suoi testi contengano ogni conoscenza se interpretati correttamente, richiedendo una “perfettissima idea” per combinare passaggi remoti: “bisogna aver tutta quella grande idea, e saper combinar questo passo con quello, accozzar questo testo con un altro remotissimo; ch’e’ non è dubbio che chi averà questa pratica, saprà cavar da’ suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perchè in essi è ogni cosa” (traduzione: “bisogna avere quell’idea complessiva, e saper combinare questo passo con quello, accostare questo testo con un altro distantissimo; non c’è dubbio che chi avrà questa pratica, saprà estrarre dai suoi libri le dimostrazioni di ogni cosa conoscibile, perché in essi c’è tutto”). Sagredo ironizza paragonando ciò a comporre centoni da poeti o dall’alfabeto, dove si può estrarre qualsiasi senso: “io ho un libretto assai più breve d’Aristotile e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto” (traduzione: “io ho un libretto molto più breve di Aristotele e di Ovidio, nel quale sono contenute tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare un’idea perfettissima: e questo è l’alfabeto”).
Salviati critica i seguaci pusillanimi di Aristotele che ne diminuiscono la reputazione insistendo su interpretazioni forzate, come attribuirgli l’invenzione del telescopio: “disse che l’invenzione era presa da Aristotile; e fattosi portare un testo, trovò certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo d’un pozzo molto cupo si possano di giorno veder le stelle in cielo” (traduzione: “disse che l’invenzione era presa da Aristotele; e fattosi portare un testo, trovò un certo luogo dove si spiega perché dal fondo di un pozzo molto buio si possano vedere di giorno le stelle in cielo”). Si menzionano temi minori come alchimisti che interpretano poeti per segreti sull’oro e genetliaci che vedono predizioni post evento: “Alchimisti interpretano le favole de poeti per segreti da far l’oro” (traduzione: “Gli alchimisti interpretano le favole dei poeti come segreti per fare l’oro”). Sagredo paragona ciò a statue nel marmo o oracoli ambigui, mentre Salviati immagina Aristotele che cambierebbe opinione di fronte a nuove evidenze, biasimando l’adesione cieca: “quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano” (traduzione: “se Aristotele fosse stato presente a sentire il dottore che lo voleva far autore del telescopio, si sarebbe molto più adirato contro di lui che contro quelli che ridevano del dottore e delle sue interpretazioni”).
Il discorso vira sul moto della Terra, proponendo di esaminare l’immobilità contro la mobilità, con Simplicio per l’immobilità aristotelica: “perchè i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta” (traduzione: “perché i nostri discorsi devono riguardare il mondo sensibile, e non un mondo di carta”). Salviati argomenta che il moto diurno appare comune all’universo eccetto la Terra, e potrebbe essere attribuito alla Terra stessa: “Moto diurno si mostra comunissimo a tutto l’universo, trattone il globo terrestre” (traduzione: “Il moto diurno si mostra comunissimo a tutto l’universo, eccetto il globo terrestre”). Si nota che effetti del moto sono impercettibili agli abitanti della Terra e relativi: “il moto in tanto è moto, e come moto opera, in quanto ha relazione a cose che di esso mancano” (traduzione: “il moto è moto, e opera come moto, in quanto ha relazione a cose che ne mancano”). Temi minori includono aneddoti su scultori timorosi delle proprie opere e filosofi che adattano Aristotele per convenienza: “O questo dottor sì, che mi può comandare, che non si vuol lasciar infinocchiar da Aristotile, ma vuol esso menar lui per il naso e farlo dire a suo modo!” (traduzione: “Oh questo dottore sì, che mi può comandare, che non si vuole far ingannare da Aristotele, ma vuole lui menarlo per il naso e fargli dire a suo modo!”).
Nota sui Temi Minori
Riferimenti a interpretazioni forzate di testi antichi, come alchimia e astrologia, e critiche alla pusillanimità dei peripatetici.
Dialogo sugli Argomenti Aristotelici e Astronomici contro il Moto della Terra 11
Discussione tra Salviati, Simplicio e Sagredo su ragioni per l’immobilità della Terra, con esempi da Aristotele, Tolomeo e esperienze pratiche.
Sommario del Blocco di Testo
Il blocco presenta argomenti contro il moto della Terra, partendo da ragioni astronomiche che posizionano la Terra al centro dell’universo, come “esser la Terra nel centro dell’universo ed immobile”, e propone di esaminarli separatamente da quelli terrestri. Salviati distingue due generi di argomenti: quelli basati su accidenti terrestri e quelli celesti, suggerendo di unire quelli di Aristotele con altri di Tolomeo, Ticone e astronomi, per evitare ripetizioni, come “Argomenti di Talete, di Ticone e d’altri, oltre a quelli d’Aristotile”. Simplicio invita Salviati a elencarli, e questi inizia con l’argomento dei gravi che cadono perpendicolarmente, irrefragabile per l’immobilità della Terra, poiché se la Terra ruotasse, un sasso da una torre cadrebbe lontano, come “una torre dalla sommità della quale si lasciasse cadere un sasso, venendo portata dalla vertigine della Terra, nel tempo che ’l sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso oriente”. Conferma con l’esempio di una palla che cade dalla nave ferma versus in movimento, dove nella nave in moto la palla cadrebbe lontana, illustrando “il movimento naturale della palla posta in sua libertà è per linea retta verso ’l centro della Terra”. Segue l’argomento di un proiettile sparato in alto, che consuma tempo sufficiente per la Terra a spostarsi, rendendo impossibile il ritorno al punto di partenza, come “l’artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia portati dalla Terra verso levante, talchè la palla, cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo”. Aggiunge l’esperienza dei tiri di artiglieria verso est e ovest, dove il tiro a ovest sarebbe più lungo se la Terra si muovesse, ma l’esperienza mostra tiri uguali, confermando l’immobilità, con esempio numerico: “nel tiro di ponente la palla cadrebbe in terra otto miglia lontana dal pezzo” versus due miglia a est. Estende ai tiri nord-sud, che devierebbero verso ovest per il moto terrestre, e ai tiri est-ovest, che fallirebbero per l’alzamento o abbassamento dell’orizzonte, concludendo “mai non si potrebbe verso nissuna parte tirar giusto”, ma l’esperienza contraria prova l’immobilità. Simplicio ammira queste ragioni come inespugnabili, notando come la natura offra esperienze per la verità, e Sagredo ironizza sul peccato che le artiglierie non esistessero ai tempi di Aristotele. Salviati nota che queste ragioni sono nuove per Simplicio, contrastando l’opinione dei Peripatetici che i dissidenti ignorino Aristotele, e afferma che i Copernicani producono argomenti più forti contro se stessi, non per ignoranza, come “I seguaci del Copernico non son mossi per ignoranza delle ragioni contrarie”. Sagredo racconta un aneddoto personale: da giovane scartò l’opinione copernicana come pazzia, ma un seguace intelligente lo incuriosì; interrogando Copernicani, scoprì che tutti erano stati prima contrari e conoscevano bene le ragioni opposte, mentre i Peripatetici ignorano Copernico, concludendo che i Copernicani sono mossi da ragioni più efficaci, come “nessun è che segua l’opinion del Copernico, che non sia stato prima della contraria e che non sia benissimo informato delle ragioni di Aristotile e di Tolomeo”. Simplicio teme confusione, ma Sagredo argomenta che una delle due posizioni è vera, l’altra falsa, e la vera avrà dimostrazioni solide mentre la falsa solo fallacie; dato che moto e quiete sono accidenti principali in natura, applicati a corpi vasti come Terra e Sole, il sostenitore della verità persuaderà, come “Moto e quiete accidenti principali in natura”. Simplicio invoca Aristotele come maestro contro sofismi, ma Sagredo ribatte che Aristotele cambierebbe opinione o scioglierebbe gli argomenti, ammirando le esperienze delle artiglierie più concludenti. Salviati precisa di recitare la parte del Copernicano come maschera, senza rivelare la propria convinzione interna. Infine, introduce un altro argomento di Tolomeo: nuvole e uccelli non potrebbero seguire il moto terrestre, sembrando muoversi verso ovest, ma l’osservazione mostra voli indifferenziati, come “come potranno gli uccelli tener dietro a un tanto corso?”.
Riferimenti Minori
Temi minori includono l’ironia su Aristotele e artiglierie, aneddoti personali di Sagredo, e distinzione tra argomenti terrestri e celesti.
Dialogo sulla Caduta della Pietra e il Moto della Terra 12
Critica all’argomento aristotelico contro il moto terrestre mediante esempi di caduta di oggetti.
Sommario
Nel dialogo, Salviati ribatte all’argomento che la caduta perpendicolare di una pietra dalla torre prova l’immobilità della Terra, sostenendo che tale caduta non implica necessariamente la quiete terrestre, poiché il moto potrebbe essere misto di retto e circolare. Egli afferma: “quando la torre si movesse, sarebbe impossibile che ’l sasso cadesse radendola, e però dal cader radendo s’inferisce la stabilità della Terra” (traduzione: “quando la torre si movesse, sarebbe impossibile che il sasso cadesse radendola, e quindi dal cadere radendo si inferisce la stabilità della Terra”), ma critica Aristotele per aver ritenuto impossibile il moto misto, citando l’esempio del fuoco che si muove rettamente e circolarmente. Simplicio difende Aristotele, argomentando che una pietra pesante non può seguire il moto circolare della Terra, e porta l’esempio della nave: “la pietra lasciata dalla cima dell’albero della nave, la qual, mentre la nave sta ferma, casca al piè dell’albero, ma quando la nave camina, cade tanto lontana dal medesimo termine” (traduzione: “la pietra lasciata dalla cima dell’albero della nave, la quale, mentre la nave sta ferma, cade al piè dell’albero, ma quando la nave cammina, cade tanto lontana dal medesimo termine”).
Salviati distingue il moto naturale della Terra dal moto accidentale della nave, spiegando che la pietra sulla torre condivide il moto naturale terrestre: “quel sasso che è in cima della torre, ha per suo primario instinto l’andare intorno al centro del suo tutto in ventiquattr’ore” (traduzione: “quel sasso che è in cima della torre, ha per suo primario istinto l’andare intorno al centro del suo tutto in ventiquattr’ore”), e l’aria inferiore segue tale moto, favorendo la caduta radente. Egli contrasta l’esperienza del vento su un sasso fermo con il caso di un sasso già in moto, proponendo un’ipotesi con un’aquila: “un’aquila portata dall’impeto del vento si lasciasse cader da gli artigli una pietra” (traduzione: “un’aquila portata dall’impeto del vento si lasciasse cadere dagli artigli una pietra”), che cadrebbe trasversalmente. Simplicio insiste sull’esperienza della nave, ma Salviati suggerisce che se la pietra cadesse allo stesso punto sia con nave ferma che in moto, l’argomento non distinguerebbe quiete da moto, e domanda se l’esperienza sia stata fatta, mettendo in dubbio la validità dell’analogia.
Nota
Le citazioni sono estratte dalle frasi fornite e tradotte in italiano moderno per chiarezza.
Dialogo sull’Esperimento della Nave 13
Discussione tra Salviati, Simplicio e Sagredo sull’evidenza empirica del moto terrestre attraverso analogie fisiche.
Sommario
Nel blocco, Salviati sfida l’affidamento esclusivo all’autorità degli autori antichi sull’esperimento della pietra cadente dalla nave, affermando che “la pietra casca sempre nel medesimo luogo della nave, stia ella ferma o muovasi con qualsivoglia velocità”, per dimostrare che non si può inferire il moto o la quiete della Terra dal cadere perpendicolare della pietra. Simplicio esprime scetticismo, insistendo che l’esperienza deve confermare le affermazioni, e dichiara “io ritorno nella mia incredulità, e nella medesima sicurezza che l’esperienza sia stata fatta da gli autori principali che se ne servono”; Salviati, sicuro senza esperienza diretta, sostiene che Simplicio sa già la verità e promette di fargliela confessare, definendosi “io son tanto buon cozzon di cervelli, che ve lo farò confessare a viva forza”.
Sagredo interviene incuriosito, spingendo Salviati a procedere con interrogazioni; Simplicio accetta di rispondere, notando che “la scienza è de’ veri, e non de’ falsi”. Salviati pone un’ipotesi su una palla su una superficie inclinata, chiedendo se si muoverebbe spontaneamente, e Simplicio conferma “io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro ch’ella si moverebbe verso il declive spontaneamente”, mentre Salviati controbatte che si fermerebbe, rivelando un tema minore di supposizioni fisiche per smontare preconcetti. Il dialogo si interrompe sull’affermazione di Simplicio.
Dialogo sul Moto dei Proietti 14
Confutazione aristotelica e dimostrazioni sul moto impresso nei proietti.
Sommario del Blocco
Nel dialogo, Salviati sfida Simplicio sulla teoria aristotelica del moto dei proietti, sostenendo che non è il mezzo (aria) a continuare il moto, ma una virtù impressa; Simplicio difende Aristotele affermando “non entium nullae sunt operationes”, tradotto come “le cose che non esistono non possono operare”, e attribuisce il moto al mezzo, ma Salviati lo confuta con esempi come la pietra che cade dalla mano senza impeto dell’aria. Si discute l’effetto del vento su oggetti leggeri e pesanti: “l’aria mossa molto più velocemente e ’n maggior distanza traporta le materie leggierissime che le gravissime”, e Salviati ribatte che se l’aria muovesse i proietti, la bambagia andrebbe più lontano della pietra, contrariamente all’esperienza; un esperimento con pendoli mostra che “quell’impeto e quella mobilità […] più lungamente si conserva nelle materie gravi che nelle leggieri”. Simplicio ammette che rimossa l’azione del mezzo, si ricorre alla facoltà impressa dal movente; Salviati chiede di spiegare l’operazione del mezzo, e Simplicio descrive come il braccio muova l’aria che poi porta il sasso, ma Salviati lo smentisce notando che l’aria si ferma subito, come dimostrato agitando un asciugamano e osservando una candela o foglia d’oro: “dal vagar quieto dell’una e dell’altra v’accorgerete dell’aria ridotta immediatamente a tranquillità”.
Sagredo interviene con esempi come frecce tirate controvento o trasversalmente, confutando Aristotele: “il mezo impedisce ‘l moto de’ proietti, e non lo conferisce”, e Salviati nota quante proposizioni aristoteliche siano false, come questa. Si passa all’esperimento della nave, dove la pietra cade nello stesso punto indipendentemente dal moto, esteso alla Terra: “non apparisca diversità alcuna, che si deve pretender di veder nella pietra cadente dalla sommità della torre”. Sagredo propone un “accidente meraviglioso” nei proietti, dove una palla cade in tempi uguali percorrendo distanze diverse: “la medesima palla, cacciata dal fuoco, passare or quattrocento, or mille, or quattromila, ed or diecimila braccia, sì che la palla in tutti i tiri di punto bianco si trattenga sempre in aria per tempi eguali”, e Salviati conferma senza impedimento dell’aria. Simplicio dubita del moto impresso, ma Salviati spiega con l’esempio della palla lasciata da cavallo: “la palla, arrivata che sia in terra, correrà insieme col cavallo”, e discute proietti lanciati al contrario. Sagredo introduce problemi curiosi sui proietti, come ruzzole che accelerano in terra: “le ruzzole si veggono, uscite che son della mano, andar per aria con certa velocità, la qual poi se gli accresce assai nell’arrivare in terra”, e Simplicio ammette ignoranza; si menzionano problemi aristotelici, concludendo con l’impedimento maggiore della terra rispetto all’aria: “maggiore impedimento arreca al mobile l’avere a muoversi per terra che per aria”.
Riferimenti alle Frasi
Frasi da 1808 a 1952, estratte dal dialogo galileiano, focalizzate su moto impresso e confutazione del mezzo come causa.
Discussione sul Moto della Ruzzola e Sue Implicazioni 15
Dialogo tra Sagredo, Salviati e Simplicio sull’effetto del terreno sul moto rotatorio e progressivo di una trottola lanciata.
Sommario
Sagredo spiega come le parti inferiori della ruzzola si attaccano al terreno, spingendo avanti quelle superiori: “Talchè quell’attaccarsi, per così dire, le parti di sotto alla terra, fa ch’elle restano, e solo si spingono avanti le superiori”, tradotto in italiano moderno come “Così quell’attaccarsi, per così dire, le parti di sotto alla terra, fa che esse restano, e solo si spingono avanti le superiori”. Salviati nota che su ghiaccio la ruzzola potrebbe girare senza moto progressivo: “E però quando la ruzzola cadesse sul ghiaccio o altra superficie pulitissima, non così bene scorrerebbe innanzi, ma potrebbe per avventura continuar di girare in se stessa, senza acquistar altro moto progressivo”, tradotto come “E perciò quando la trottola cadesse sul ghiaccio o altra superficie pulitissima, non scorrerebbe così bene avanti, ma potrebbe per avventura continuare a girare in se stessa, senza acquistare altro moto progressivo”.
Sagredo osserva che su superficie aspra la ruzzola andrebbe più speditamente: “È facil cosa che così seguisse; ma almeno non così speditamente andrebbe ruzzolando, come cadendo su la superficie alquanto aspra”, tradotto come “È facile che così accada; ma almeno non andrebbe ruzzolando così speditamente, come cadendo su una superficie alquanto aspra”. Simplicio risponde sul perché non va avanti in aria: “Perchè, avendo aria di sopra e di sotto, nè queste parti nè quelle hanno dove attaccarsi, e non avendo occasione di andar più innanzi che indietro, cade a piombo”, tradotto come “Perché, avendo aria di sopra e di sotto, né queste parti né quelle hanno dove attaccarsi, e non avendo occasione di andare più avanti che indietro, cade a piombo”.
Sagredo conclude che la vertigine spinge la ruzzola in terra: “Talchè la sola vertigine in se stessa, senz’altro impeto, può spigner la ruzzola, arrivata che sia in terra, assai velocemente”, tradotto come “Così la sola vertigine in se stessa, senza altro impeto, può spingere la trottola, arrivata che sia in terra, assai velocemente”. Si discute dello spago che fa girare la ruzzola: “Quello spago che il ruzzolante si lega al braccio, e col quale, avvolto intorno alla ruzzola, e’ la tira, che effetto fa in essa?”, tradotto come “Quello spago che il lanciatore si lega al braccio, e col quale, avvolto intorno alla trottola, egli la tira, che effetto fa in essa?”.
Simplicio afferma che lo spago costringe a girare: “La costringe a girare in se stessa, per isvilupparsi dalla corda”, tradotto come “La costringe a girare in se stessa, per svolgersi dalla corda”. Sagredo nota che arriva in terra girando: “Talchè quando la ruzzola arriva in terra, ella vi giugne girando in se stessa, mercé dello spagno”, tradotto come “Così quando la trottola arriva in terra, ella vi giunge girando in se stessa, grazie allo spago”.
Simplicio spiega l’aumento di velocità in terra: “Certo sì: perchè per aria non aveva altro impulso che quel del braccio del proiciente, e se ben aveva ancora la vertigine, questa (come si è detto) per aria non spigne punto; ma arrivando in terra, al moto del braccio s’aggiugne la progressione della vertigine, onde la velocità si raddoppia”, tradotto come “Certo sì: perché per aria non aveva altro impulso che quello del braccio del proiciente, e se bene aveva ancora la vertigine, questa (come si è detto) per aria non spinge punto; ma arrivando in terra, al moto del braccio si aggiunge la progressione della vertigine, onde la velocità si raddoppia”. Si menziona il rimbalzo e la perdita di velocità: “E già intendo benissimo che rimbalzando la ruzzola in alto, la sua velocità scemerà, perchè l’aiuto della circolazione gli manca”, tradotto come “E già intendo benissimo che rimbalzando la trottola in alto, la sua velocità scemerà, perché l’aiuto della circolazione gli manca”.
Sagredo chiarisce che il secondo moto può essere più veloce: “Io non ho detto assolutamente che questo secondo moto sia più veloce del primo, ma che può talvolta accader ch’e’ sia più veloce”, tradotto come “Io non ho detto assolutamente che questo secondo moto sia più veloce del primo, ma che può talvolta accadere che esso sia più veloce”. Simplicio chiede spiegazione, e Sagredo pone una domanda: “Però ditemi: quando voi vi lasciaste cader la ruzzola di mano senza che ella girasse in se stessa, che farebbe percotendo in terra?”, tradotto come “Però ditemi: quando voi vi lasciaste cadere la trottola di mano senza che ella girasse in se stessa, che farebbe percotendo in terra?”.
Simplicio risponde che resterebbe ferma: “Niente, ma resterebbe quivi”, tradotto come “Niente, ma resterebbe quivi”. Sagredo suggerisce acquisizione di moto: “Non potrebb’egli accadere che nel percuotere in terra ella acquistasse moto?”, tradotto come “Non potrebbe accadere che nel percuotere in terra ella acquistasse moto?”.
Simplicio considera il pendio: “Se noi non la lasciassimo cadere su qualche pietra che avesse pendio, come fanno i fanciulli con le chiose, e che battendo a sbiescio su la pietra pendente acquistasse movimento in se stessa in giro”, tradotto come “Se noi non la lasciassimo cadere su qualche pietra che avesse pendio, come fanno i fanciulli con le chiose, e che battendo a sbiescio su la pietra pendente acquistasse movimento in se stessa in giro”. Sagredo nota acquisizione di nuova vertigine: “Ecco pure che in qualche modo ella può acquistar nuova vertigine”, tradotto come “Ecco pure che in qualche modo ella può acquistare nuova vertigine”.
Si discute di raddoppio del moto: “Quando dunque la ruzzola sbalzata in alto ricade in giù, perchè non può ella abbattersi a dare su lo sbiescio di qualche sasso fitto in terra e che abbia il pendio verso dove è il moto, ed acquistando, per tal percossa, nuova vertigine, oltre a quella prima dello spago, raddoppiar il suo moto”, tradotto come “Quando dunque la trottola sbalzata in alto ricade in giù, perché non può ella abbattersi a dare su lo sbiescio di qualche sasso fitto in terra e che abbia il pendio verso dove è il moto, ed acquistando, per tal percossa, nuova vertigine, oltre a quella prima dello spago, raddoppiare il suo moto”.
Simplicio comprende: “Ora intendo che ciò può facilmente seguire”, tradotto come “Ora intendo che ciò può facilmente seguire”. Si menziona rotazione contraria: “E vo considerando che quando la ruzzola si facesse girare al contrario, nell’arrivare in terra farebbe contrario effetto, cioè il moto della vertigine ritarderebbe quel del proiciente”, tradotto come “E vado considerando che quando la trottola si facesse girare al contrario, nell’arrivare in terra farebbe contrario effetto, cioè il moto della vertigine ritarderebbe quel del proiciente”.
Sagredo conferma il ritardo: “E lo ritarderebbe, e l’impedirebbe tal volta del tutto, quando la vertigine fusse assai veloce”, tradotto come “E lo ritarderebbe, e l’impedirebbe tal volta del tutto, quando la vertigine fosse assai veloce”. Si applica al gioco della palla: “E di qui nasce la soluzione di quell’effetto che i giuocatori di palla a corda più esperti fanno con lor vantaggio, cioè d’ingannar l’avversario col trinciar (che tale è il loro termine) la palla”, tradotto come “E di qui nasce la soluzione di quell’effetto che i giocatori di palla a corda più esperti fanno con lor vantaggio, cioè d’ingannare l’avversario col trinciare (che tale è il loro termine) la palla”.
Si descrive il trinciare: “rimetterla con la racchetta obliqua, in modo che ella acquisti una vertigine in se stessa contraria al moto proietto”, tradotto come “rimetterla con la racchetta obliqua, in modo che ella acquisti una vertigine in se stessa contraria al moto proietto”. Altro esempio con palle di legno: “Per questo anco si veggono quelli che giuocano con palle di legno a chi più s’accosta a un segno determinato”, tradotto come “Per questo anche si vedono quelli che giocano con palle di legno a chi più si accosta a un segno determinato”.
Sagredo torna al problema principale: “Ma per tornar al principal problema, che è stato causa di far nascer questi altri, dico che è possibile che uno mosso velocissimamente si lasci uscir una palla di mano la quale, giunta che sia in terra, non solo séguiti il moto di colui, ma lo anticipi ancora”, tradotto come “Ma per tornare al principal problema, che è stato causa di far nascere questi altri, dico che è possibile che uno mosso velocissimamente si lasci uscire una palla di mano la quale, giunta che sia in terra, non solo seguiti il moto di colui, ma lo anticipi ancora”. Descrive esperimento con carretta: “E per vedere un tal effetto, voglio che il corso sia d’una carretta, alla quale per banda di fuori sia fermata una tavola pendente”, tradotto come “E per vedere un tal effetto, voglio che il corso sia d’una carretta, alla quale per banda di fuori sia fermata una tavola pendente”.
Si spiega l’effetto: “ella nel venir giù ruzzolando acquisterà vertigine in se stessa, la quale, aggiunta al moto impresso dalla carretta, porterà la palla per terra assai più velocemente della carretta”, tradotto come “ella nel venir giù ruzzolando acquisterà vertigine in se stessa, la quale, aggiunta al moto impresso dalla carretta, porterà la palla per terra assai più velocemente della carretta”. Sagredo propone di tornare alla materia: “Ma troppo lungamente ci siam partiti dalla materia”, tradotto come “Ma troppo lungamente ci siamo partiti dalla materia”.
Salviati giustifica le digressioni: “Le digressioni fatte sin qui non son talmente aliene dalla materia che si tratta, che si possan chiamar totalmente separate da quella”, tradotto come “Le digressioni fatte sin qui non sono talmente aliene dalla materia che si tratta, che si possano chiamare totalmente separate da quella”. Aggiunge sul discorso libero: “Non voglio che il nostro poema si astringa tanto a quella unità, che non ci lasci campo aperto per gli episodii”, tradotto come “Non voglio che il nostro poema si astringa tanto a quella unità, che non ci lasci campo aperto per gli episodi”.
Sagredo apprezza: “Questo a me piace grandemente”, tradotto come “Questo a me piace grandemente”. Chiede della linea del grave cadente: “se mai vi è venuto pensato qual si possa credere che sia la linea descritta dal mobile grave, naturalmente cadente dalla cima della torre a basso”, tradotto come “se mai vi è venuto pensato qual si possa credere che sia la linea descritta dal mobile grave, naturalmente cadente dalla cima della torre a basso”.
Salviati risponde: “Io ci ho talvolta pensato: e non dubito punto che quando altri fusse sicuro della natura del moto col quale il grave descende per condursi al centro del globo terrestre”, tradotto come “Io ci ho talvolta pensato: e non dubito punto che quando altri fosse sicuro della natura del moto col quale il grave discende per condursi al centro del globo terrestre”. Sagredo sul moto verso il centro: “Del semplice movimento verso il centro, dependente dalla gravità, credo che si possa assolutamente senza errore credere che sia per linea retta”, tradotto come “Del semplice movimento verso il centro, dipendente dalla gravità, credo che si possa assolutamente senza errore credere che sia per linea retta”.
Salviati conferma con esperienza: “Quanto a questa parte, non solamente possiamo crederla, ma l’esperienza ce ne rende certi”, tradotto come “Quanto a questa parte, non solamente possiamo crederla, ma l’esperienza ce ne rende certi”. Sagredo domanda sull’assicurazione: “Ma come ce ne assicura l’esperienza, se noi non veggiamo mai altro moto che il composto delli due, circolare ed in giù?”, tradotto come “Ma come ce ne assicura l’esperienza, se noi non vediamo mai altro moto che il composto dei due, circolare e in giù?”.
Nota
Temi minori includono applicazioni al gioco della palla e esperimenti con carrette, che illustrano interazioni tra rotazione e moto progressivo.
Discussione sui Moti Relativi e l’Artiglieria 16
Dialogo immaginario tra Salviati, Simplicio e Sagredo su esperimenti di tiro in movimento, con applicazioni al moto della Terra.
Sommario del Blocco
Nel blocco, Salviati propone un esperimento con frecce tirate da una carrozza in movimento, osservando che il tiro verso il corso è più corto, come in “il tiro… sarà minore assai quando si tira verso il corso della carrozza” (frase 2119), mentre verso l’opposto è più lungo, con esempi numerici di distanze come trecento braccia per il tiro e cento per la carrozza. Simplicio suggerisce di variare la forza dell’arco per equalizzare i tiri, proponendo di ingagliardirlo a quattrocento braccia verso il corso e indebolirlo a dugento contro, affinché “l’uno e l’altro tiro riuscirebbe di braccia trecento in relazione alla carrozza” (frase 2133). Salviati spiega che il moto della carrozza aggiunge velocità alla freccia, rendendo i tiri eguali senza cambiare arco, poiché “l’istesso corso della carrozza è quello che aggiusta le partite” (frase 2158), applicando ciò all’artiglieria sulla Terra in moto, dove i tiri verso levante e ponente restano eguali.
Sagredo introduce un’analogia con una penna su una nave in navigazione, dove il moto comune non altera i disegni, come “il gran moto da Venezia in Alessandretta comune della carta e della penna” (frase 2182), illustrando che il moto diurno della Terra è impercettibile tra oggetti che lo condividono, simile alla caduta di una pietra da una torre. Simplicio esprime stupore per come tratti complessi siano parti di una linea semplice, e Sagredo aggiunge ironiche sottigliezze sul moto di alberi e teste. Salviati discute tiri perpendicolari d’artiglieria, rispondendo che il moto condiviso impedisce deviazioni, con Sagredo proponendo una soluzione alternativa mostrando che “il moto della palla dentro alla canna… sarebbe secondo la linea BD, non più perpendicolare, ma inclinata verso levante” (frase 2226).
Il dialogo affronta tiri a uccelli volanti, dove mantenere la mira segue il moto, analogo all’artiglieria sulla Terra mobile, e calcola deviazioni minime nei tiri orientali e occidentali, come un dito di svario, concludendo che esperienze apparenti non confutano il moto terrestre. Sagredo nota scrupoli sul volo degli uccelli, risolti da Salviati spiegando che l’aria condivide il moto, portando nugole e uccelli, mentre Simplicio difende Aristotele, ma Salviati ribatte che l’aria non sostiene proietti oltre il lancio iniziale.
Nota sui Calcoli
Calcolo approssimativo mostra svario di un dito nei tiri, insufficiente per esperimenti reali data la variabilità.
Confutazione degli Argomenti contro il Moto della Terra 17
Discussione sul volo degli uccelli e sull’esperimento della nave per dimostrare la nullità delle esperienze contro il moto diurno della Terra, con critica a Tolomeo e Aristotele e analisi della forza centrifuga.
Sommario
Nel dialogo, Salviati risponde alle obiezioni sul moto della Terra, spiegando come gli uccelli, essendo animati, possano volare in qualsiasi direzione mantenendo il moto diurno comune, diversamente dai proietti inanimati: «e quando e’ si sia co ’l suo volo mosso verso occidente, chi gli ha da vietare che con altrettanto batter di penne e’ non ritorni in su la torre?». Si sottolinea che il volo degli uccelli non differisce dai proietti se non per il principio interno, risolvendo l’argomento: «sì risolve l’ argomento preso dal volar de gli uccelli contro al moto della Terra». Viene proposto un esperimento sulla nave per mostrare che in moto uniforme non si percepiscono cambiamenti negli effetti interni, come il volo di mosche, il nuoto di pesci o la caduta di gocce: «fate muover la nave con quanta si voglia velocità; chè (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti». Sagredo conferma l’esperienza personale sulla nave, soddisfatto della nullità delle prove contro il moto terrestre: «io sin qui resto sodisfatto e capacissimo della nullità del valore di tutte l’esperienze prodotte».
Si critica Tolomeo e Aristotele per aver argomentato contro un moto della Terra iniziato solo dopo Pitagora, anziché da sempre: «Aristotile e Tolomeo par che confutino la mobilita della Terra contro a chi avesse creduto che, essendo ella stata lungo tempo ferma, cominciasse a muoversi al tempo di Pitagora». Salviati evidenzia l’errore, notando che se la Terra si muovesse da sempre, non si sarebbero formati edifici o animali: «se la Terra si fusse sempre mossa, mai non si sarebbe potuto costituir in essa nè fiere nè uomini nè pietre». Simplicio difende Tolomeo, ma Salviati rafforza l’obiezione sulla forza centrifuga con esempi come il secchio d’acqua roteante: «Leghisi in capo di una corda un secchiello, dentrovi dell’acqua, e tenendo forte in mano l’altro capo… si vedrà l’acqua zampillar fuori non meno verso il cielo che lateralmente». Si prepara a risolvere questa istanza ricordando nozioni note, accennando a Platone sul sapere come reminiscenza: «il nostro sapere è un certo ricordarsi, secondo Platone». Il dialogo prosegue analizzando il moto circolare di un sasso in una canna, distinguendo il moto prima e dopo il rilascio: «Il moto del sasso sin che è nella cocca è circolare… E quando la pietra scappa dalla canna, qual è il suo moto?».
Nota
Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite e mantenute nel linguaggio originale, essendo già in italiano.
Discussione sulla Non Estrusione di Oggetti Leggeri dalla Rotazione Terrestre 18
Dialogo tra Simplicio e Salviati sull’impossibilità che corpi leggeri come penne siano scagliati via dalla Terra in movimento.
Sommario
Simplicio solleva una difficoltà riguardo a cose leggerissime, che hanno debolissima inclinazione a calare verso il centro, temendo che possano essere estruse dalla rotazione terrestre, citando “ma mi fanno ora nuova difficultà le cose leggierissime, le quali hanno debolissima inclinazione di calare al centro, onde, mancando in loro la facultà di ritirarsi alla superficie, non veggo che elle non avessero a esser estruse”. Salviati promette soddisfazione e chiarisce la distinzione tra cose assolutamente leggere, che andrebbero all’insù, e quelle poco gravi come penne, lana o bambagia, che scendono lentamente ma restano sulla Terra, come Simplicio conferma: “Io intendo di queste seconde, quali sarebbono penne, lana, bambagia e simili, a sollevar le quali basta ogni minima forza: tuttavia si veggono starsene in Terra molto riposatamente”.
Salviati spiega che anche una minima propensione naturale della penna a scendere verso la superficie è sufficiente a non lasciarla sollevare, ponendo domande sulla linea di movimento: se estrusa, seguirebbe la tangente nel punto di separazione, e per riunirsi andrebbe verso il centro, come Simplicio ammette: “Per la tangente nel punto della separazione” e “Per quella che va da lei al centro della Terra”. Si considerano due moti: proiezione per tangente e inclinazione per segante; per prevalere la proiezione, l’impeto tangenziale deve superare l’inclinazione, ma Salviati nota che il mobile è lo stesso, e la prevalenza avviene solo se il moto tangenziale è più veloce, come Simplicio concorda: “Bisogna che il moto per la tangente sia maggior di quell’altro per la segante”.
Simplicio si convince inizialmente che persino pietre non potrebbero essere estruse, ma poi esagera affermando che con la Terra in movimento, pietre, elefanti e torri volerebbero al cielo, concludendo che la Terra non si muove: “Torno dunque a ridirmi, e dico che quando la Terra si muovesse, le pietre, gli elefanti, le torri e le città volerebbero verso il cielo per necessità; e perchè ciò non segue, dico che la Terra non si muove”. Salviati lo calma, spiegando che non serve che il moto discendente sia pari o superiore al tangenziale, ma che il tangenziale sia tanto veloce da coprire mille braccia mentre la penna si muove solo un dito in giù, rendendo impossibile l’estrusione: “Non basta, dunque, che il moto per la tangente, che è quel della vertigine diurna, sia semplicemente più veloce del moto per la segante, che è quel della penna all’ingiù; ma bisogna che quello sia tanto più veloce, che ’l tempo che basta a condur la penna, verbigrazia, mille braccia per la tangente, sia poco per il muoversi un sol dito all’ingiù per la segante”.
Simplicio obietta chiedendo perché il moto tangenziale non possa essere così veloce da non dare tempo alla penna di arrivare alla superficie: “E perchè non potrebbe esser quello per la tangente tanto veloce, che non desse tempo alla penna d’arrivar alla superficie della Terra?”. Il dialogo evidenzia temi minori come la velocità comparata dei moti e l’inclinazione naturale dei corpi, giustificando la stabilità degli oggetti leggeri sulla Terra rotante senza estrusione.
Discussione sulla Proiezione e Gravità 19
Dialogo tra Sagredo, Salviati e Simplicio sulla diminuzione della velocità e della gravità nei moti di proiezione.
Sommario
Sagredo propone di chiarire il concetto riducendolo in figura, disegnando una linea perpendicolare AC e una orizzontale AB per rappresentare il moto equabile e la gravità che inclina il proietto. Si introduce una linea AE ad angolo con AB, segnando spazi eguali AF, FH, HK e tirando perpendicolari FG, HI, KL fino a AE, dove questi rappresentano gradi di velocità acquistati in tempi eguali, con proporzione mantenuta come “i gradi KL, HI, FG hanno la medesima proporzione che i tempi KA, HA, FA”. La diminuzione della velocità verso il punto A raffigura la propensione al moto in giù diminuita in infinito avvicinandosi alla quiete.
Si considera un’altra diminuzione della velocità per la gravità ridotta, rappresentata da linee come AD con angoli minori, intersecando le parallele in M, N, O, mostrando gradi minori come “i gradi FO, HN, KM acquistati ne i tempi AF, AH, AK, minori de gli altri gradi FG, HI, KL”. Ristringendo l’angolo EAB in infinito, la velocità del cadente diminuisce in infinito, e l’unione di queste diminuzioni non impedisce la proiezione, ma riducendo doppiamente in infinito la velocità, essa non basta a restituire il mobile alla circonferenza, come “la velocità del moto in giù si potrà ben diminuir tanto e tanto (potendosi doppiamente diminuire in infinito), che ella non basti per restituire il mobile sopra la circonferenza della ruota”.
Per impedire la proiezione, gli spazi di discesa devono ridursi in infinito superando la doppia infinità della diminuzione di velocità, ponendo la domanda “Ma come si diminuirà una magnitudine più di un’altra che si diminuisce doppiamente in infinito?”. Simplicio nota l’importanza della geometria in filosofia naturale, affermando “quanto si possa ben filosofare in natura senza geometria!”.
I gradi di velocità diminuiti in infinito rispondono alle parallele tra linee rette concorrenti in un angolo, ma la diminuzione degli spazi per il ritorno alla ruota è proporzionata a linee tra arco AMP e tangente AB, dove le intercette diminuiscono con proporzione maggiore, come “troveremo le precedenti linee contenere le prossime seguenti tre, quattro, dieci, cento, mille, centomila, e cento milioni, e più in infinito”.
Sagredo riconosce la forza del discorso ma solleva una difficoltà sulla proporzione della diminuzione della velocità per gravità ridotta, chiedendo “chi ci assicura che ella non si faccia secondo la proporzione delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza, o pur anco con proporzion maggiore?”.
Salviati risponde assumendo che le velocità seguano la proporzione delle gravità, ma l’esperienza mostra che un grave quaranta volte più pesante non si muove il doppio più veloce, come “un grave anco ben trenta e quaranta volte più di un altro… non si moverà nè anco a gran pezzo più veloce il doppio”. Anche se la velocità diminuisse con proporzione maggiore della gravità, la proiezione non si farebbe per materie con pochissima gravità, poiché la gravità non raggiunge la nullità, mentre lo spazio di ritorno si riduce a zero, come “sia quanto si voglia minima la propensione al moto in giù, sempre è ella più che a bastanza per ricondurre il mobile su la circonferenza”.
Sagredo conclude che trattare questioni naturali senza geometria è impossibile, affermando “il voler trattar le quistioni naturali senza geometria è un tentar di fare quello che è impossibile ad esser fatto”.
Simplicio difende Aristotele e Platone, criticando le sottigliezze matematiche in astratto che non rispondono alla materia sensibile, come “queste sottigliezze mattematiche… son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono”, e nega che una sfera tocchi un piano in un punto nella realtà materiale.
Salviati ribatte che concedendo una tangente che tocca per un tratto, peggiora la causa contro la proiezione, poiché l’angolo si chiude e la proiezione non si farebbe, come “quanto meno avrà egli causa di separarsi se quell’angolo si chiuda affatto e la superficie e la tangente procedano unitamente?”. Afferma che negare il tocco in un punto equivale a negare che la sfera sia sfera, chiedendo “qual concetto voi vi formeresti di uno che dicesse e costantemente asseverasse che la sfera non fusse veramente sfera”, e invita a definire l’essenza della sfera.
Nota
Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite e mantenute nella forma originale italiana.
Dialogo sui Principii Contrari e Moto Circolare 20
Discussione filosofica tra Simplicio e Salviati su moti naturali e violenti nei corpi gravi, con critiche a teorie peripatetiche e riferimenti a Copernico.
Sommario del Blocco
Nel dialogo, Salviati sfida Simplicio sui principi contrari nei corpi naturali, affermando che “principii contrarii non possono riseder naturalmente nel medesimo suggetto”, e pone domande per dimostrare che un corpo può avere moti contrari da un principio interno. Si discute del moto di una palla attraverso un pozzo al centro della Terra, dove il moto verso il basso è naturale, ma continua oltre il centro diventando all’insù, che Simplicio ammette essere “preternaturale e violento”, eppure dipendente dallo stesso principio interno. Salviati illustra con esempi: una palla che scende su una superficie declive e risale senza interruzione, o una palla di piombo pendente che trapassa il punto infimo e sale, mostrando che “tanto è naturale ed interno de i gravi il principio che gli muove in giù, quanto de i leggieri quello che gli muove in su”. Un ulteriore esempio è una palla di legno che scende in aria e si sommerge in acqua, con moto in giù preternaturale ma da principio interno.
Simplicio concede che potrebbero esserci risposte, ma l’autore citato domanda da quale principio dipenda il moto circolare dei gravi e leggeri, se interno o esterno, e critica l’attribuzione all’esterno come a Dio “Si ab externo, Deusne illum excitat per continuum miraculum?” (tradotto: “Se da esterno, Dio lo eccita per continuo miracolo?”), o a un angelo “an vero angelus?” (tradotto: “o vero un angelo?”), o all’aria “an aër?” (tradotto: “o l’aria?”), che molti assegnano ma contro cui argomenta. Salviati respinge l’aria come principio, inclinando verso miracolo o angelo per moti come una palla d’artiglieria alla Luna, e spiega che l’aria segue il moto terrestre senza impedirlo. Risponde alle obiezioni sull’aria, notando che Copernico attribuisce il moto all’aria inferiore come evaporazione terrestre, simile all’elemento del fuoco per i Peripatetici, e che la propensione dei corpi a seguire la Terra è limitata a una sfera, non richiedendo che l’aria porti i mobili.
Nota sui Temi Minori
Si accenna a temi minori come il confronto con teorie copernicane e peripatetiche, e l’ironia su miracoli divini per spiegare moti improbabili.
Dialogo sugli Argomenti contro il Moto della Terra 21
Discussione filosofica su moti terrestri e obiezioni copernicane.
Sommario del Blocco di Testo
Nel dialogo, Simplicio presenta argomenti contro il moto della Terra basati sulla natura delle cose, citando dignità manifeste come “ogni effetto dipende da qualche causa” e “nessuna cosa produce se medesima”, concludendo che un corpo semplice non può muoversi di tre moti diversi. Si argomenta che la Terra, essendo semplice, non può distinguere principi di moti multipli senza diventare composta, come espresso in “un corpo semplice, qual è la Terra, non si potrà di sua natura muover insieme di tre movimenti grandemente diversi”.
Salviati risponde paragonando i moti terrestri a operazioni prodotte da un solo principio nell’animale, come “nell’animale da un sol principio esser prodotte diverse operazioni”. Simplicio rafforza con un’altra dignità: “la natura non manca, nè soprabbonda, nelle cose necessarie”, notando flessure negli animali per moti diversi, e argomenta che la Terra, priva di snodature, non può avere moti multipli.
Salviati controbatte che i moti animali sono circolari e secondari dipendono da primi, come “tutti i capi de gli ossi mobili esser colmi o cavi” e “di un corpo solido che si muova restando uno de’ suoi estremi senza mutar luogo, il moto non può esser se non circolare”. Afferma che per il globo terrestre intero non servono flessure, poiché “del globo terrestre non si ha da muovere una parte sopra un’altra immobile”.
Simplicio insiste che tre moti diversi non si accomodano in un corpo inarticolato, proponendo un’ipotesi di moti contrari. Salviati chiede come adattare flessure per tre moti circolari, notando che un solo principio può causarli, come “un principio solo possa cagionar nel globo terrestre più moti”.
Simplicio descrive i moti attribuiti a Copernico come contrari, citando “la Terra si muova… da occidente in oriente… si rivolga… da oriente in occidente… si pieghi da settentrione in austro”. Salviati corregge l’errore, affermando che Copernico descrive moti concordi da occidente a oriente, e critica l’impugnatore per non aver capito, come “questi non sono i movimenti che ’l Copernico attribuisce alla Terra”.
Il dialogo evidenzia temi minori come fallacie sensoriali, con l’esempio della Luna che sembra seguire i camminatori, “d’esser seguitati dalla Luna con passo eguale al loro”. Si discute anche di moti naturali e principi intrinseci, con Simplicio che nota esperienze contro i sensi, “non mancano l’esperienze le quali ci rendono sicuri delle fallacie de i semplici sensi”.
Salviati sottolinea l’errore grave dell’impugnatore, “Error grave dell’impugnator ded Copernico”, e Sagredo interviene brevemente alla fine. Il sommario riflette il confronto tra argomenti aristotelici e risposte copernicane, focalizzandosi su semplicità del corpo terrestre e compatibilità dei moti.
Discussione sulle Stelle Nuove 22
Confutazioni astronomiche e dialoghi peripatetici.
Sommario
Nel dialogo, Simplicio propone di prolungare la discussione per esaminare dimostrazioni contro il moto annuo della Terra, citando un libro: “mi messi a rileggere il libretto delle conclusioni, dove trovo dimostrazioni contro a questo movimento annuo, attribuito alla Terra, molto concludenti” (mi misi a rileggere il libretto delle conclusioni, dove trovo dimostrazioni contro questo movimento annuo attribuito alla Terra, molto concludenti). Sagredo suggerisce di procedere prima con le stelle nuove, come concordato: “converrà sentir prima ciò che avrà da riferirci il signor Salviati intorno al libro delle stelle nuove”. Salviati critica l’autore del libro, esprimendo dispiacere per le sue affermazioni: “trovo con mio gran cordoglio esservi veramente scritto e stampato quello che per riputazion di questo filosofo non avrei voluto” (trovo con mio gran cordoglio che vi è veramente scritto e stampato quello che per la reputazione di questo filosofo non avrei voluto).
Sagredo ironizza sulla fama dell’autore tra i non intenditori: “Uno che abbia saputo sostener la peripatetica inalterabilità del cielo contro a una schiera d’astronomi” (Uno che abbia saputo sostenere la peripatetica inalterabilità del cielo contro una schiera di astronomi). Salviati sottolinea il danno alla reputazione italiana: “noi altri Italiani ci facciamo spacciar tutti per ignoranti e diamo da ridere a gli oltramontani” (noi italiani ci facciamo passare tutti per ignoranti e diamo da ridere agli oltramontani). Procede a confutare i metodi dell’autore, usando osservazioni astronomiche: “con dodici dimostrazioni, fondate sopra le osservazioni di dodici astronomi” (con dodici dimostrazioni fondate sulle osservazioni di dodici astronomi).
Salviati invita Simplicio a rispondere come se fosse l’autore, ponendo domande sulla posizione della stella: “se voi credete che ella potesse esser nell’istesso tempo collocata in diversi luoghi” (se credete che potesse essere nello stesso tempo collocata in diversi luoghi). Simplicio afferma che la stella era in un solo luogo: “ella fusse in un sol luogo, ed in una sola e determinata distanza dalla Terra” (fosse in un solo luogo e in una sola e determinata distanza dalla Terra). Il sommario evidenzia temi minori come la critica alla filosofia peripatetica e l’uso di calcoli per confutare posizioni sublunare delle stelle nuove.
Note
Le citazioni sono estratte dalle frasi fornite e tradotte in italiano moderno per chiarezza.
Dialogo sulla Stella Nova 23
Critica alle dimostrazioni sublunari della stella nuova.
Sommario del blocco
Nel blocco, Salviati espone le fallacie di un autore che posiziona la stella nova sotto la Luna, basandosi su osservazioni errate di tredici astronomi; si sottolinea come i calcoli dell’autore, selezionati a suo favore, producano distanze variabili e impossibili, come “la stella essere stata lontana dal centro manco di 3 semidiametri terrestri” (tradotto: “la stella essere stata lontana dal centro meno di 3 semidiametri terrestri”), mentre indagini tralasciate la collocano sopra la Luna o tra le stelle fisse, con correzioni minime di minuti per renderla celeste. Sagredo e Simplicio intervengono, notando discrepanze e possibili errori nelle parallassi, come “dalle quali calcolando si raccogliesse, la stella nuova essere stata sopra la Luna”, (tradotto: “dalle quali calcolando si raccogliesse, la stella nuova essere stata sopra la Luna”); si discute l’impatto delle refrazioni e degli strumenti, concludendo che le osservazioni concordano sulla posizione altissima della stella, contrariamente alle pretese dell’autore, con calcoli dettagliati che favoriscono la tesi celeste.
Si evidenziano temi minori come l’uso di strumenti astronomici e l’effetto delle refrazioni, con Salviati che demolisce le difese dell’autore, affermando “quest’autore piglia le osservazioni fatte da 13 astronomi in diverse elevazioni di polo, e conferendo una particella di quelle a sua elezione, calcola… l’altezza della stella nuova essere stata sempre sotto la Luna” (tradotto: “quest’autore piglia le osservazioni fatte da 13 astronomi in diverse elevazioni di polo, e conferendo una particella di quelle a sua elezione, calcola… l’altezza della stella nuova essere stata sempre sotto la Luna”), e proponendo che correzioni minori alle osservazioni errate confermino la lontananza immensa; il dialogo transita verso il movimento annuo della Terra, preparando obiezioni copernicane.
Note
Le citazioni sono estratte dalle frasi fornite e tradotte in italiano moderno per chiarezza, mantenendo il senso originale del testo galileiano.
Note e Correzioni al Testo Galileiano 24
Correzioni filologiche e obiezioni al sistema copernicano.
Sommario Principale
Il blocco presenta correzioni a errori di calcolo e stampa nell’autografo e nell’edizione originale del testo di Galileo, focalizzandosi su angoli, seni e corde; ad esempio, “45’ leggono, e qui e precedentemente, così l’autografo come l’edizione originale; ma è evidente che dovrebbe correggersi in 154°.” e “il seno è per la verità 43234”. Si notano discrepanze in valori numerici, come “in luogo di 769328, l’autografo ha 739328, e l’edizione originale 639328”, e si giustificano scelte editoriali per non alterare errori attribuibili all’autore, poiché “l’errore non è di penna, ma devesi attribuire a inavvertenza o inesattezza dell’autore”.
Vengono descritte tavole e aggiunte mancanti nell’autografo, inclusa una tavola delle correzioni delle parallassi con tracce di un cartellino, e correzioni in edizioni specifiche, come “V edizione originale legge 18, che abbiamo corretto in 8”. Il testo transita poi al dialogo di Salviati, che introduce obiezioni al sistema copernicano da Marte e Venere, con “Marte muove fiero assalto contro al sistema Copernicano” e “Venere si mostrano discordi dal sistem Copernicno.”, evidenziando discrepanze in grandezza apparente e fasi, come “quando fusse vero che variasse tanto le sue distanze dalla Terra che dalla minima alla massima lontananza ci fusse differenza quanto è due volte dalla Terra al Sole”.
Si discute la perturbazione lunare nell’ordine planetario, “La Luna perturba assai l’ordine de gli altri pianeti.”, e si elogia la fiducia di Aristarco e Copernico nonostante difficoltà irrisolte, “mi fanno maravigliare come Aristarco e il Copernico, che non può esser che non l’abbiano osservate, non le avendo poi potute risolvere”. Il sommario risolve obiezioni confermando osservazioni favorevoli, “le due prime non solamente non contrariano al sistema Copernicano, ma grandemente ed assolutamente lo favoriscono”, e menziona difficoltà ulteriori rimandate, con note su aggiunte manoscritte in edizioni specifiche.
Note Minori
Errore nelle note: “Sono presenti dei marcatori per un gruppo chiamato” " ma non è stato trovato alcun marcatore Dialogo tra Salviati, Simplicio e Sagredo sulle osservazioni astronomiche e la superiorità del modello eliocentrico. Nel blocco, Salviati spiega perché i satelliti di Giove sono chiamati Lune, paragonandoli alla Luna terrestre: “Stelle Medicee sono come quattro Lune intorno a Giove”, tradotto in italiano moderno: “Le Stelle Medicee sono come quattro Lune intorno a Giove”. Descrive come appaiono illuminate dal Sole e le loro eclissi, notando che “a chi fusse in Giove si mostrerebbero tutte luminose quando fussero nelle parti superiori de i lor cerchi”, tradotto: “a chi fosse su Giove si mostrerebbero tutte luminose quando fossero nelle parti superiori dei loro cerchi”. Evidenzia l’accordo con il sistema Copernicano: “Vedete ora quanto mirabilmente si accordano co ’l sistema Copernicano queste tre prime corde”, tradotto: “Vedete ora quanto mirabilmente si accordano con il sistema Copernicano queste tre prime corde”. Simplicio obietta che Tolomeo doveva conoscere questi fenomeni e averli spiegati, ma Salviati replica che lo scopo degli astronomi è rendere ragione delle apparenze: “Principale scopo de gli astronomi è il render ragione dell’apprenze”, tradotto: “Principale scopo degli astronomi è rendere ragione delle apparenze”. Copernico restaurò l’astronomia su basi tolemaiche ma trovò incongruenze, spingendolo a adottare idee pitagoriche: “quello che mosse il Copernico a stabilire il suo sistema”, tradotto: “quello che mosse Copernico a stabilire il suo sistema”. Salviati elenca inconvenienti del sistema tolemaico, come moti irregolari e contrari: “non chiameranno tutte le sette de i filosofi grande sconvenevolezza che un corpo naturalmente mobile in giro si muova irregolarmente sopra il proprio centro”, tradotto: “non chiameranno tutte le sette dei filosofi grande sconvenienza che un corpo naturalmente mobile in giro si muova irregolarmente sopra il proprio centro”. Nel Copernicano, i moti sono equabili: “nel Copernico tutti sono equabili intorno al proprio centro”, tradotto: “nel Copernico tutti sono equabili intorno al proprio centro”. Descrive come il moto annuo della Terra spieghi stazioni e regressi dei pianeti: “Il solo moto annuo della Terra cagiona le grandi inegualità di moto ne’ cinque pianeti”, tradotto: “Il solo moto annuo della Terra cagiona le grandi ineguaglianze di moto nei cinque pianeti”. Per i pianeti superiori, illustra con esempi: “in Saturno tali regressi esser alquanto più frequenti che in Giove”, tradotto: “in Saturno tali regressi essere alquanto più frequenti che in Giove”. Per Venere e Mercurio, i regressi sono dimostrati da Apollonio e Copernico: “Regressi di Venere e di Mercurio dimostrati da Apollonio e dal Copernico”, tradotto: “Regressi di Venere e di Mercurio dimostrati da Apollonio e dal Copernico”. Conclude che il moto annuo della Terra risolve le esorbitanze: “Moto annuo della Terra attissimo a render ragione delle esorbitanze de i cinque pianeti”, tradotto: “Moto annuo della Terra attissimo a rendere ragione delle esorbitanze dei cinque pianeti”. Infine, il Sole testimonia il moto terrestre: “Il Soie istesso testifica, il moto annuo esser della Terra”, tradotto: “Il Sole stesso testimonia che il moto annuo è della Terra”. Il sommario evidenzia temi minori come le eclissi dei satelliti gioviani e le critiche al modello tolemaico per moti incongruenti. Conclusioni dei dialoganti e confutazione di obiezioni anti-copernicane. I dialoganti esprimono posizioni neutrale o favorevole al sistema copernicano, attendendo rivelazioni superiori; Simplicio si dichiara “inabile a potermi intromettere in una decisione tanto importante” e neutrale, sperando in illuminazioni future, mentre Sagredo loda tale consiglio come derivante da “somma sapienza e suprema autorità”. Sagredo si pronuncia più risolutamente, meravigliato dalle congetture sulle retrogradazioni planetarie e macchie solari, che spiegano apparenze stravaganti con un “solo semplice moto”, concludendo che i contumaci non hanno inteso tali ragioni; Salviati non attribuisce titolo di concludenti alle argomentazioni, lasciando la determinazione ad altri, poiché una posizione deve essere vera e l’altra falsa, con ragioni umane che manifesteranno la verità. Si passa alle opposizioni di un libretto contro Copernico, descritto ironicamente con sciocchezze come il Sole sotto la Terra o materie gravi che vanno all’insù; Salviati critica l’autore per ignoranza dei fondamenti copernicani, come il moto annuo della Terra da occidente a oriente, e per mescolare Scrittura sacra con puerizie, giudicando false le affermazioni che i copernicani rispondono a tali instanze. Ulteriori obiezioni riguardano la grandezza delle stelle fisse, calcolata come immensa se l’orbe magno è insensibile rispetto alla sfera stellata, ma Salviati identifica fallacie in tale argomento, fondato su ipotesi false e interpretazioni strette di Copernico, come l’apparente diversità di moto de i pianeti resta insensibile nelle stelle fisse; propone dimostrazione che, ponendo una stella non maggiore del Sole, la distanza rende insensibile il moto annuo, scoprendo vanità negli assunti avversari. Dibattito filosofico e scientifico tra Simplicio, Salviati e Sagredo sulla vastità dell’universo, la provvidenza divina e le obiezioni al moto annuo della Terra. Nel dialogo, Simplicio esprime dubbi sulla vastità dello spazio tra Saturno e le stelle fisse, sostenendo che sarebbe vano e inutile, come in “non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell’universo”. Salviati ribatte che è arrogante limitare l’opera divina alla sola cura umana, paragonando la provvidenza al Sole che matura un grano d’uva come se fosse l’unico scopo, “mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare”. Sagredo critica l’ignoranza umana nel giudicare superflui corpi celesti non compresi, come Giove o Saturno, e sottolinea che privare il cielo di una stella rivelerebbe il suo effetto, “Per intender quali cose operi in me questo o quel corpo celeste, bisognerebbe per qualche tempo rimuover quel tal corpo”. Salviati avverte contro la temerità di chiamare vano ciò che non serve a noi, “è temerità voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio”. Salviati propone di esaminare ragioni senza decidere, notando che termini come grande o piccolo sono relativi, e paragona la sfera stellata all’orbita lunare, argomentando che elefanti e balene non sono chimere nonostante superino formiche e spillancole in proporzione, “gli elefanti e le balene saranno senz’altro chimere e poetiche immaginazioni”. Discute la piccolezza apparente delle stelle fisse rispetto allo spazio circostante, “Una stella si chiama piccola rispetto alla grandezza dello spazio che la circonda”, e suggerisce che da grande distanza l’intera sfera stellata apparirebbe piccola, “Tutta la sfera stellata da lontananza grande potrebbe apparir piccola quanto una soila stella”. Sagredo denuncia l’inezia di chi vorrebbe l’universo proporzionato alla mente umana, “Grandissima mi par l’inezzia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l’universo più proporzionato alla piccola capacità del loro discorso”. Simplicio obietta che le stelle fisse nel sistema copernicano sarebbero troppo grandi e remote per influenzare la Terra, citando l’autore del libretto: “A che fine ed a benefizio di chi sono macchine tanto vaste?”. Salviati risponde alle interrogazioni, evidenziando contraddizioni nell’autore che accetta influenze da stelle tolemaiche piccole o invisibili, “moltissime stelle appariscono piccolissime, e cento volte tante ve ne sono del tutto a noi invisibili”. Spiega che l’apparire piccolo è difetto dell’occhio, non della realtà, “Che gli oggetti lontani appariscano piccoli, è difetto dell’occhio”. Salviati domanda se Ticone o seguaci abbiano investigato apparenze nel firmamento contro il moto annuo, notando che argomentano ad hominem senza osservazioni proprie, “Ticone o suoi aderenti non hanno tentato di vedere se nel firmamento sia apparenza alcuna contro o in favore del moto annuo”. Menziona errori comuni, come aspettarsi variazioni nell’altezza polare, “necessariamente dover seguire, quando tal opinion fusse vera, un continuo alzamento ed abbassamento del polo di 6 mesi in 6 mesi”, e corregge Simplicio che condivide tale impressione, “Vedete, signor Simplicio, quanto può un’inveterata impressione!”. Temi minori includono la relatività delle grandezze e l’uso del telescopio per rivelare corpi celesti, come i satelliti di Giove e Saturno, “i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli”. Dialogo su simulazione, stelle fisse e moto annuo della Terra. Il dialogo inizia con una risposta a una domanda su due quesiti: l’imputazione di simulazione e le apparenze nelle stelle. Si chiarisce che non vi è simulazione, come espresso in “non è vero ch’io abbia simulato di non intender la nullità di quella instanza”, e si ammette la comprensione attuale della nullità. Sagredo spiega che la confessione di comprensione prova l’assenza di simulazione iniziale, citando “La confessione stessa d’intenderla può assicurarvi ch’io non simulavo”, e descrive come stazione, direzione e retrogradazione dei pianeti si conoscano in relazione alle stelle fisse, senza vestigio simile nelle fisse per mancanza di sfera più remota. Salviati aggiunge che non è impossibile osservare indizi nelle stelle fisse simili a quelli planetari, a favore del moto annuo della Terra, ipotizzando variazioni di lontananza tra stelle, come in “le loro lontananze da noi siano talmente varie, che alcune ve ne possano esser 2 e 3 volte più remote di alcune altre”. Si passa alle stelle fuori dall’eclittica, che variano in elevazione e abbassamento secondo la distanza dall’eclittica, con dimostrazioni geometriche su angoli e parallasse, concludendo che la diversità è maggiore vicino al polo e nulla nell’eclittica, come in “la diversità di apparenza… è maggiore e minore secondo che le stelle osservate sono più o meno vicine al polo dell’eclittica”. La Terra si accosta e allontana dalle stelle dell’eclittica per il diametro dell’orbe magno, con variazioni minori vicino al polo, e tale diversità è maggiore nelle stelle più vicine, come riassunto in “Maggior diversità fanno le stelle più vicine che le più remote”. Sagredo riassume le apparenze: variazioni di grandezza apparente e elevazione nel meridiano dovute al moto annuo, con differenze nulle o massime a seconda della posizione rispetto all’eclittica e alla lontananza, citando “l’appressamento e discostamento… è insensibile e quasi nullo nelle stelle vicine al polo dell’eclittica, ma è massimo nelle stelle poste in essa eclittica”. Simplicio esprime repugnanza a concedere l’immensa distanza delle fisse che renderebbe impercettibili le diversità, ma Salviati argomenta che in oggetti lontani e luminosi un piccolo avvicinamento è impercettibile, come in “Ne gli oggetti molto lontani e luminosi un piccolo avvicmamento o discostamento è impercettibile”, e paragona a Saturno e Giove. Si propone che se mutazioni annue si scorgessero nelle stelle, confermerebbero la mobilità della Terra, ma la loro assenza non la nega per l’immensa lontananza, come in “quando nelle stelle fisse si scorgesse alcuna mutazione annua, non patirebbe contradizione”. Si critica l’inaffidabilità degli strumenti astronomici per osservazioni minute, citando divergenze tra astronomi e diffidenza di Tolomeo verso uno strumento di Archimede, come in “Tolomeo non si fida d’uno strumento fatto da Archimede”. Simplicio menziona gli strumenti di Ticone, ma Salviati suggerisce strumenti naturali più grandi e precisi, come montagne e pianure per osservazioni esatte, descrivendo un’osservazione del solstizio con una rupe lontana 60 miglia, in “Esquisita osserva zione dell’arrivo e partita del Sole dal solstizio estivo”. Infine, si propone un luogo per osservare stelle come la Lira, usando una montagna con chiesetta per misurazioni precise sul moto annuo, come in “Luogo accomodato per l’osservazione delle fisse in quanto appartiene al moto annuo della Terra”, con dettagli sulla pianura e la montagna eminente. Temi minori includono critiche alla precisione degli strumenti storici e proposte per osservazioni naturali. Esposizione delle conseguenze del moto terrestre annuo e diurno nel modello eliocentrico. Il blocco descrive la forma sferica della Terra e l’illuminazione solare, definendo il cerchio terminator della luce come “cerchio terminator della luce” che separa la parte illuminata da quella tenebrosa. Si propone che quando tale cerchio passa per i poli, taglia i paralleli in parti uguali, altrimenti in parti disuguali, determinando la lunghezza dei giorni e delle notti attraverso “gli archi de i paralleli segati dal cerchio terminator della luce”. Viene presentato un disegno che rappresenta la costituzione copernicana, con la Terra che si muove intorno al Sole in un anno, mantenendo l’asse inclinato di 23 gradi e mezzo, e ruotando su se stessa in ventiquattro ore. Si illustra il moto annuo della Terra lungo l’orbita, con il Sole apparente muoversi nello zodiaco, soddisfacendo l’apparenza del movimento solare annuale. L’asse terrestre rimane parallelo a se stesso, causando variazioni stagionali e differenze nei giorni e nelle notti, come nei solstizi dove un polo è interamente illuminato e l’altro in tenebra, con il Sole verticale al tropico di Cancro o Capricorno. Nei equinozi, il terminator passa per i poli, rendendo giorni e notti uguali, e il Sole verticale all’equatore. Si nota un “accidente maraviglioso” dipendente dal mantenimento dell’asse terrestre parallelo, che fa apparire il Sole elevarsi e abbassarsi di 47 gradi senza variazioni nelle stelle fisse. Confrontando con un’ipotesi alternativa, se l’asse si mantenesse inclinato verso il Sole, non vi sarebbero cambiamenti stagionali ma variazioni nelle stelle. Il testo confronta il sistema copernicano con quello tolemaico, enfatizzando la semplicità dei moti terrestri da occidente a oriente, contro la complessità di sfere celesti con moti contrari. Sagredo ammira la speculazione, mentre Simplicio la critica come sottigliezza geometrica, citando Aristotele contro lo studio eccessivo della geometria. Salviati difende l’uso della geometria per scoprire fallacie e risponde alle obiezioni di Simplicio sui moti multipli della Terra, negando il moto rettilineo verso il basso al globo intero ma solo alle parti, e spiegando la compatibilità dei moti annuo e diurno. Introduce un terzo moto annuale contrario per mantenere l’asse, dimostrato da un’esperienza con una palla in un catino d’acqua che ruota oppostamente quando il vaso gira, mostrando come “ogni corpo pensile e librato, portato in giro nella circonferenza d’un cerchio, acquista per sé stesso un moto in sè mededimo, contrario a quello”. Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite e mantenute in italiano originale, non richiedendo traduzione in quanto già in tale lingua. Dialogo filosofico sulla sostanza primaria del globo terrestre e le sue proprietà magnetiche. Nel dialogo, Salviati interroga Simplicio sulla composizione del globo terrestre, chiedendo se una materia prevalga sulle altre: “Ora, di tutte queste diverse materie, credete voi che nel compor questa gran massa concorrano porzioni eguali, o pur che tra tutte ce ne sia una parte che di gran lunga superi le altre e sia come materia e sustanza principale della vasta mole?”. Simplicio risponde che le pietre e i metalli sono ornamenti superficiali, mentre la massa principale è terra semplice: “Credo che le pietre, i marmi, i metalli, le gemme e l’altre tante materie diverse, sieno appunto come gioie ed ornamenti esteriori e superficiali del primario globo”. Salviati chiarisce che la terra superficiale è solo una sottile crosta, non feconda in profondità: “questa terra, che si rompe, si semina, e che è fruttifera, è una parte, e ben sottile, della superficie del globo”, e suggerisce che le parti interne siano solide come pietra durissima. Simplicio concede che le parti interne siano più solide ma ancora terra: “Che le parti di questo globo più interne siano più compresse, e per ciò più costipate e solide, e più e più tali secondo che elle si profondan più, lo concedo”. Salviati argomenta che non c’è ragione per rifiutare che sia calamita piuttosto che altra pietra: “qual ragione vi ha da far più renitente al creder che ella sia una calamita, che un porfido, un diaspro o altro marmo duro?”, e nota che il nome “terra” è arbitrario: “Il nostro globo si chiamerebbe pietra, in vece di terra, se tal nome gli fusse stato posto da principio”. Salviati introduce il metodo di Gilbert, enfatizzando le proprietà uniche della calamita: “proprietà multiplici della calamita.si trovano nella calamita, e non in altra pietra nè in altro corpo, come sarebbe, per esempio, dell’attrarre il ferro”, e descrive esperimenti come la declinazione dell’ago: “un nuovamente osservato accidente di declinare (stando bilanciato sotto il meridiano già segnato sopra una sferetta di calamita)”. Propone un argomento analogico: se un corpo nascosto mostrasse tutte le proprietà della calamita, sarebbe calamita: “Argomento concludente, il globo terrestre esser una calamita”. Simplicio concorda che un tale corpo sarebbe calamita: “Direi, senza punto dubitare, che fusse un pezzo di calamita”. Salviati conclude che la Terra, mostrando queste proprietà, è una grande calamita: “dite pur risolutamente che sotto questa coverta e scorza, di terra, di pietre, di metalli, di acqua etc., si nasconde una gran calamita”, citando effetti come la maggiore forza del polo meridionale nell’emisfero boreale. Sagredo condivide osservazioni personali sulla calamita armata: “Calamita armata sostiene assaissimo più ferro che disarmata”, notando che armata sostiene otto volte di più. Salviati menziona un pezzo ancora più potente: “armato ne sostiene 160, sì che viene a regger 80 volte più armato che disarmato”, e Sagredo specula sul fenomeno senza trovare spiegazione soddisfacente nel Gilbert: “io l’ho ben mille volte meco medesimo specolato, come possa esser che ella porga a quel ferro, che l’arma, forza tanto superiore alla sua propria”. Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite e mantenute in italiano originale, con enfasi su temi minori come le proprietà magnetiche e gli esperimenti osservati. Osservazioni sulla struttura della calamita e implicazioni per i moti terrestri. Il blocco esamina la composizione della calamita, descritta come porosa con macchie di pietre dure che non attraggono il ferro, a differenza della sostanza magnetica principale: “Imperocchè si scopersero molte macchie di color diverso dal resto, ma splendide e lustre quanto qualsivoglia più densa pietra dura”, citazione che illustra la superficie non uniforme, tradotta come “Poiché si scoprirono molte macchie di colore diverso dal resto, ma splendide e lustre quanto qualsiasi pietra dura più densa”. Si spiega la debole attrazione iniziale del ferro dovuta a contatti limitati, migliorata dall’armatura che amplifica la virtù magnetica: “l’armadura della calamita, oltre al toccar gran parte della sua superficie, si veste anco della virtù delle parti vicine”, tradotta come “l’armatura della calamita, oltre a toccare gran parte della sua superficie, si riveste anche della virtù delle parti vicine”. Critica a Gilbert per non aver spianato le superfici, riducendo la tenacità: “Questa osservazione, di spianar le superficie de i ferri che si hanno a toccare, non fu avvertita dal Gilberti”, tradotta come “Questa osservazione, di spianare le superfici dei ferri che si devono toccare, non fu notata da Gilbert”. Sagredo esprime soddisfazione per la spiegazione fisica, paragonandola quasi a una dimostrazione geometrica, mentre Simplicio ricorre a simpatia e antipatia come cause naturali: “riduchiamo la causa di questi e simili altri effetti naturali alla simpatia”, tradotta come “riduciamo la causa di questi e simili altri effetti naturali alla simpatia”. Sagredo ironizza su questo approccio filosofico, paragonandolo a un pittore che etichetta senza dipingere: “questo modo di filosofare mi par che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere”, tradotta come “questo modo di filosofare mi pare che abbia grande simpatia con certa maniera di dipingere”. Il discorso digressivo ritorna ai moti della Terra, descritti come quiete immutabile: “quel terzo moto attribuito dal Copernico alla Terra non esser altrimenti un movimento, ma una quiete”, tradotta come “quel terzo moto attribuito dal Copernico alla Terra non essere altrimenti un movimento, ma una quiete”. Si discute la virtù magnetica per mantenere l’asse terrestre stabile, e Sagredo nota tre moti naturali della calamita: verso il centro, circolare orizzontale e inclinazione: “Tre moti diversi naturali della calamita”, tradotta come “Tre moti diversi naturali della calamita”. Si ipotizza un quarto moto rotatorio se librata: “non è forse improbabile che possa averne un quarto, di rigirarsi intorno al proprio asse”, tradotta come “non è forse improbabile che possa averne un quarto, di rigirarsi intorno al proprio asse”. Simplicio difende Aristotele distinguendo corpi semplici e misti: “Aristotile concede a i misti movimenti composti”, tradotta come “Aristotele concede ai misti movimenti composti”. Sagredo interroga sulla composizione della calamita come misto di elementi con moti retti, ma nota l’impossibilità di comporre moti circolari da retti: “Con due moti retti non si compongono moti circulari”, tradotta come “Con due moti retti non si compongono moti circolari”. Critica i peripatetici per contraddizioni nel considerare il globo terrestre semplice nonostante la sua complessità: “Fallacia di quelli cho chiamano la calamita corpo misto, e ’l globo terrestre corpo semplice”, tradotta come “Fallacia di quelli che chiamano la calamita corpo misto, e il globo terrestre corpo semplice”. Si evidenzia l’assurdità di attribuire moti retti a elementi puri non osservati, negando moti circolari al globo esistente: “Discorso peripatetico pieno di fallacie e contradizioni”, tradotta come “Discorso peripatetico pieno di fallacie e contraddizioni”. Salviati propone di sospendere il giudizio sulle opinioni, non determinando verità assolute, e suggerisce di passare al flusso e reflusso del mare legato ai moti terrestri: “parlo del flusso e reflusso del mare, la cagione del quale pare che assai probabilmente si possa referire a i movimenti della Terra”, tradotta come “parlo del flusso e reflusso del mare, la causa del quale pare che assai probabilmente si possa riferire ai movimenti della Terra”. Critica Gilbert per aver ammesso una rotazione improbabile di una sferetta magnetica: “Effetto improbabile ammesso dal Gilberto nella calamita”, tradotta come “Effetto improbabile ammesso da Gilbert nella calamita”. Si argomenta che parti della Terra non necessitano di rotazione aggiuntiva separata: “Se nello staccarsi un pezzo di calamita da tutta la massa naturale se gli togliesse il seguirla”, tradotta come “Se nello staccarsi un pezzo di calamita da tutta la massa naturale gli si togliesse il seguirla”. Le citazioni sono estratte direttamente dalle frasi fornite e tradotte in italiano moderno per chiarezza, mantenendo il senso originale. Variazioni manoscritte e stampate in indagini astronomiche sulla stella nuova. Il blocco raccoglie annotazioni filologiche su differenze tra autografo e edizioni originali di un testo galileiano, focalizzato su osservazioni della stella nuova e correzioni per moderare eccessi in calcoli di distanza. Si evidenziano emendamenti come “Cominciando dunque a lavorare, già chiara cosa è che tutte le indagini le quali ci rendono la stella nuova per infinito intervallo sopra le stelle fisse, errano nel porla troppo alta”, con cancellazioni e riscritture per abbassare la stella nel firmamento senza scendere sotto la Luna, applaudendo opinioni che la collocano altissima nel cielo. Emergono temi minori su equivoci in calcoli, come “Simplicio, l’equivoco”, e variazioni numeriche, ad esempio “La stampa: questa la quinta; ma l’autografo: questa 5a”. Si notano correzioni in numeri e termini, quali “L’edizione originale ha 32; ma l’autografo, 22”, e aggiunte cancellate come “Ma più, quanto sarebbe più vana ed inutile una tal fatica quando, senza risolver la comune misura, con lunghezza di tempo e tedio nell’operare, in miglia o in braccia, noi, servendoci dell’intero semidiametro, ritrovassimo la lontananza cercata più sicura assai e con le medesime approssimazzioni di braccia e di dita?”. Il testo include calcoli per elevare la stella, con frasi come “Ecco il calcolo l’eleva”, e riferimenti a operazioni che rimuovono la stella da posizioni sublunare, terminando con note su frammenti autografi e correzioni marginali, come “Con le parole alla nostra principal materia termina il frammento autografo”. Variazioni in edizioni, come “L’ediz. originale legge, alle lin. 17-18, centoseimilionesima”, indicano precisioni testuali senza alterare il nucleo astronomico. Discussione tra Simplicio, Salviati e Sagredo su argomenti contro la rotazione della Terra, con focus su montagne, antipodi e osservazione stellare da un pozzo. Nel blocco, Simplicio presenta argomenti contro il moto terrestre, paragonando il movimento di una montagna a quello di una nave: “l’istesso è che il globo terrestre, rivolgendosi intorno al proprio centro, porti una montagna verso levante, che se, stando fermo il globo, la montagna, svelta dalla radice, fusse strascicata sopra la Terra”. Salviati ribatte, notando che tale logica implicherebbe discendere per salire su monti lontani: “dal suo proprio modo di argomentare si costrigneva a credere e confessare che per andare nel vertice di detti monti, de facto conviene sciendere”. Si discute di antipodi, criticando chi nega la possibilità di camminare a testa in giù: “gli antipodi nostri per sostenersi e caminare non hanno difficoltà veruna, perchè fanno giusto come noi, cioè tengono le piante de’ piedi verso ’l centro della Terra e ’l capo verso ’l cielo”. Sagredo insiste a rispondere a obiezioni deboli per completezza: “è bene rimuover tutte le obbiezzioni, ancor che debolissime”. Salviati affronta l’argomento del pozzo, chiarendo confusioni su profondità e visibilità stellare: “la profondità del pozzo può per avventura arrecar diversità non minore che la larghezza”. Simplicio ammette perplessità sulla rapidità del moto: “quella immensa rapidità di corso che si dovrebbe scorger nella stella quando il moto fusse della Terra”. Salviati spiega che la larghezza del pozzo non influisce sul tempo di visibilità, ma la porzione di cielo visibile: “tal misura si deve prendere dalla quantità del cielo immobile, che per l’apertura del pozzo vi resta visibile”. Si nota come la profondità alteri la vista celeste: “quanto più si allontanerà l’occhio dalla bocca del pozzo, minor parte del cielo si scoprirà”. Dal centro della Terra, la vista equivarrebbe alla bocca del pozzo: “quando si profondasse il pozzo sino al centro della Terra, forse di là si scoprirebbe una parte di cielo, che sarebbe di lui quale è il pozzo della Terra”. Infine, dall’orlo del pozzo, si vede metà del cielo in 12 ore: “posto l’occhio nel piano della bocca del pozzo, si scuopre la metà del cielo o pochissimo meno, per la qual passare (dato che noi fussimo sotto l’equinoziale) ci vuol 12 ore di tempo”. • ↑ Dapprima Galileo aveva scritto «quanto più semplice sarà», poi sottolineò «sarà». Discussione sulle cause naturali del flusso e reflusso marino, con argomentazioni a favore della mobilità terrestre. Il testo esamina il periodo diurno del flusso e reflusso, attribuendolo ai moti compositi della Terra, dove “tre diversità si osservano in queste mutazioni orarie” e “l’acqua si alzano ed abbassano, senza far moto progressivo”, criticando teorie alternative come quelle peripatetiche o lunari, ad esempio “la Luna, vagando per il cielo, attrae e solleva verso di sé un cumulo d acqua”, e proponendo invece che “la mobilità della Terra” sia la causa primaria, con esperimenti mentali su vasi in movimento. Si discute l’impossibilità di spiegare il fenomeno con la Terra immobile, poiché “l acqua contenuta in un vaso immobile” non può alzarsi selettivamente, e si introduce il moto difforme delle parti terrestri, dove “la mistione dei due moti annuo e diurno causa l’inegualità nel globo terrestre”, generando accelerazioni e ritardamenti che fanno scorrere l’acqua. Vengono elencati accidenti secondari, come reciprocazioni più frequenti in vasi corti o profondi, con “ne’ vasi più corti le reciprocazioni son più frequenti”, e diversità nei golfi, dove i flussi sono massimi alle estremità, come a Venezia, e minimi al centro, spiegati da esempi di barche e vasi artificiali. Si affrontano periodi mestrui e annui, legandoli ad alterazioni nei moti terrestri, con “alterazioni mestrue ed annue de’ flussi e reflussi non posson dependere da altro che dall’alterazione degli additamenti e suttrazioni dei perìodo diurno sopra l’annuo”, e si confutano obiezioni basate sul moto dell’aria, confermando con osservazioni di venti perpetui nei tropici che “aura perpetua dentro a i tropici spira verso occidente” supporta la rotazione terrestre. Temi minori emergono nelle confutazioni di Aristotele e nelle analogie meccaniche, come pendoli e orologi, dove “in più breve tempo spedirsi le revoluzioni ne i cerchi minori che ne ì maggiori”, illustrando come variazioni nella velocità annua e diurna producano effetti periodici, con un tono polemico contro “vane immaginazioni” e favorevole a cause naturali osservabili.Sommario
Discussione Conclusiva sul Sistema Copernicano 26
Sommario
Dialogo sull’Universo e il Sistema Copernicano 27
Sommario del Blocco di Testo
Nota sui Temi Minori
Discussione Astronomica 28
Sommario del Blocco di Testo
Nota Minore
Spiegazione del Sistema Copernicano 29
Sommario
Nota
Discussione sulla Composizione della Terra 30
Sommario
Nota
Discussione sulla Calamita e i Moti della Terra 31
Sommario
Nota
Note su Correzioni e Variazioni Testuali Galileiane 32
Sommario
Note Minori
Dialogo sulle Obiezioni al Moto Terrestre 33
Sommario
Note
• ↑ L’autografo: pi astruse.
• ↑ L’autografo: condenna.
• ↑ Prima Galileo, qui e alla lin. 24 della pag. 358, aveva scritto «sciendere», che poi corresse, in tutt’e due i luoghi, in «scendere».
Dialogo sul flusso e reflusso del mare 34
Sommario del blocco