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Galileo - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo - Dettagli | 26x


Critica al paralogismo aristotelico sul moto e l’incorruttibilità del cielo

Esame delle fallacie nelle dimostrazioni peripatetiche sulla struttura cosmica e i corpi celesti.

Sommario

Sagredo interroga l’argomento aristotelico sul moto del fuoco verso la circonferenza del mondo, definendolo un “manifesto paralogismo”. Salviati approfondisce la manchevolezza, notando che ogni mobile da un punto qualsiasi di un cerchio va verso la circonferenza, ma il moto contrario non necessariamente al centro se non dal centro stesso. Si evidenzia l’equivoco: il fuoco sale per linee perpendicolari alla Terra, non passando per il centro del mondo, rendendo falsa l’assunzione che il centro terrestre coincida con quello universale. Sagredo aggiunge che i gravi tendono al centro della Terra, “sferica” e visibile, non a un “punto imaginario” dell’universo ignoto. Si contesta la differenza tra corpi celesti e elementari, derivata solo dai moti: negato il moto circolare esclusivo ai celesti, attributi come ingenerabile o incorruttibile convengono a tutti i corpi naturali.

Simplicio difende Aristotele, temendo la “sovversion di tutta la filosofia naturale”, ma Salviati replica che la Terra si nobilita assimilandola ai celesti, e la filosofia avanza dalle dispute: “se i nostri pensieri saranno veri, nuovi acquisti si saranno fatti, se falsi, col ributtargli, maggiormente verranno confermate le prime dottrine”. Si sfida a produrre differenze oltre i moti. Simplicio cita Aristotele: generazione e corruzione avvengono solo tra contrari, e al moto circolare “niun altro movimento è contrario”, rendendo i celesti ingenerabili e incorruttibili, confermati dal senso per l’“immutabilità” nei tempi passati. Salviati obietta che il moto circolare conviene anche alla Terra, implicando o la sua incorruttibilità o quella dei celesti o l’irrilevanza dei moti per tali attributi.

Si riduce il discorso aristotelico: “La generazione e corruzione non si fa se non dove sono i contrari”, limitata agli elementi per moti retti opposti, mentre il circolare manca di contrario. Salviati dubita: più facile verificare il moto terrestre che la corruzione da contrari, e contesta variazioni vitali tra specie esposte alle stesse “contrarietà”, come peschi e ulivi. Si suggerisce che metamorfosi siano “semplice trasposizione di parti” senza generazione vera. Sagredo propone rimandare la quistione per tornare al moto terrestre, lasciando irrisolta se generazione e corruzione esistano in natura.


Discussione sui corpi celesti generabili e corruttibili 2

Sagredo sfida Simplicio sull’evidenza della generazione e corruzione in natura, estendendo l’argomento ai cieli.

Sommario

Sagredo difende l’idea che la generazione e corruzione siano fenomeni naturali evidenti, osservabili quotidianamente in erbe, piante, animali e trasformazioni elementari come “la terra mutarsi in acqua, l’acqua convertirsi in aria, l’aria in fuoco”. Ribatte alla negazione dei principi aristotelici sostenendo che “negandosi i principi della scienza, si può sostenere qual si voglia paradosso”. Concede ad Aristotele la corruzione per contrari negli elementi, ma deduce che i corpi celesti, pur detti “ingenerabili e incorruttibili”, possiedono contrari e quindi sono “generabili e corruttibili”. Presenta un sillogismo: “i corpi celesti […] hanno in natura de i contrari, che sono i corpi generabili e corruttibili; ma dove è contrarietà, quivi è generazione e corruzione; adunque i corpi celesti son generabili e corruttibili”.

Simplicio liquida l’argomento come “soffisma” e “Argumento cornuto, detto altrimenti sorite”, paragonandolo al paradosso del bugiardo cretese, dove “si durerebbe in eterno a rigirarsi, senza concluder mai niente”. Evidenzia la contraddizione manifesta tra “i corpi celesti sono ingenerabili e incorruttibili” e la conclusione opposta, negando contrari nei cieli che si muovono “circolarmente, al qual moto niun altro è contrario”. Sagredo replica che la contrarietà alla corruzione risiede non nel corpo celeste stesso, ma negli elementi, come “l’umidità, per esempio, per la quale si corrompe una parte di terra”, bastando “che in natura ci sieno corpi che abbiano contrarietà al corpo celeste”. Simplicio obietta che “non basta questo”. Il dialogo tocca temi minori come i movimenti contrari “sursum et deorsum” e le qualità opposte “umido e ’l secco, il caldo e ’l freddo”, senza risolvere il sofisma.


Riflessione della luce e superficie lunare 3

Dimostrazione sensata su specchi e illuminazione, con obiezioni sulla Luna e i pianeti.

Sommario

Salviati guida un esperimento con specchi piani e convessi per mostrare la riflessione della luce solare su un muro. Simplicio osserva la chiarezza del riflesso piano, nota l’accrescimento di lume con il convesso, ma dubita quando il riflesso convesso non illumina i dintorni. Salviati rimuove gli specchi, confermando che “la reflessione del Sole fatta in ispecchio sferico convesso non illumina sensibilmente i luoghi circonvicini”. Simplicio sospetta un inganno, vedendo splendore dallo specchio convesso da vari luoghi, ma Salviati spiega l’irradiamento illusorio, simile a stelle o candele, dove “l’irraggiato si mostra piú di mille volte maggiore del nudo e real corpicello”. Il reverbero da piccola parte dello specchio rende impercettibile l’illuminazione diffusa, a differenza del piano che concentra il lume.

Simplicio resta confuso sul muro oscuro che riflette più vivacemente di uno specchio terso. Salviati chiarisce che il muro riflette universalmente per la sua asprezza, composta di “innumerabili superficie piccolissime, disposte secondo innumerabili diversità di inclinazioni”, diffondendo raggi ovunque, mentre uno specchio terso li dirige in un punto. La Luna, aspra, appare lucida da tutte le parti, rimandando luce solare; se liscia come specchio, sarebbe invisibile, poiché solo una piccolissima parte rifletterebbe l’immagine solare. Simplicio obietta con una piastra dorata che da lontano appare tutta risplendente, citando che “non per le spezie dell’istesso Sole possa vedersi in sì gran distanza la piccola figura del Sole, ma sia compresa da noi per il lume prodotto dal Sole l’illuminazione di tutto il corpo lunare”. Salviati critica l’argomento memorizzato senza comprensione, spiegando che una piastra piana riflette in linea determinata, e da lontano mostra solo l’immagine solare inghirlandata, non l’intera superficie illuminata.

Per una piastra grande o sferica, il resto appare colorato o oscuro se brunito, come vasi d’argento bianchiti che riflettono diffusamente prima del brunimento, mentre dopo diventano oscuri da certi angoli. Sagredo chiede se una superficie meno tersa, come argento bianchito, basterebbe per rendere visibile la Luna. Salviati risponde che basterebbe in parte, ma la montuosità lunare amplifica la riflessione; i peripatetici insistono su sfere perfette, ma anche minima ineguaglianza guasta la perfezione. Sagredo dubita perché maggiore scabrezza aumenti la riflessione potente, e perché i peripatetici vogliano figure esatte. Salviati dimostra che raggi perpendicolari illuminano di più degli obliqui, piegando un foglio: “questa faccia, che riceve i raggi obliquamente, è manco chiara di quest’altra, dove la reflessione viene ad angoli retti”.

Usando una figura, Salviati mostra che inclinando una linea, molti raggi la mancano, riducendo l’illuminazione. Per la Luna sferica liscia, parti estreme riceverebbero raggi obliqui, apparendo meno luminose al plenilunio, ma non accade. Montagne elevano parti estreme, esponendole direttamente al Sole. Sagredo obietta che valli resterebbero ombrose alle estremità, mentre al centro no, ma Salviati e Simplicio concordano che raggi visivi e solari coincidono all’opposizione, non rivelando ombre: “camminando i raggi della vista e quelli del Sole per le medesime linee, noi non possiamo scoprir alcuna delle valli ombrose della Luna”. Sagredo, soddisfatto, solleva un nuovo scrupolo sulla coincidenza dei raggi.


Discussione sulle apparenze lunari e sul riflesso della luce 4

Esplorazione delle illusioni ottiche nella Luna e confronto tra Terra e Luna nel riflettere la luce solare.

Sommario

Salviati propone le madreperle come mezzo ideale per imitare le “apparenti inegualità della Luna”, notando che, pur ridotte a “estrema liscezza”, appaiono “tanto variamente in diverse parti cave e colme”. Simplicio attribuisce tali inegualità a parti “diversamente opache e perspicue”, simile a cristalli e gemme. Salviati ribatte che tale spiegazione è “troppo generale” e non imita le “molte e molte apparenze varie” osservate nella Luna, proponendo invece palle di materia opaca con “eminenze e cavità” che riproducono “l’istesse viste e mutazioni a capello”.

Nelle osservazioni, si distinguono “dorsi dell’eminenze esposte al lume del Sole chiari assai” e “proiezioni dell’ombre oscurissime”, con il confine tra luce e ombra “anfrattuoso e merlato”. Sagredo approva, notando che solo il plenilunio, “quando tutto l’emisferio sia illuminato”, non mostra variazioni. Si passa poi al riflesso della luce: Simplicio dubita che la Terra rifletta “non men gagliardamente che la Luna”, reputandola “oscura ed opaca”.

Salviati sfida Simplicio paragonando la Luna vista di giorno, simile a una “nugoletta”, e di notte “splendidissima”, chiedendo se appaia più lucente per accidente o realmente. Simplicio ammette che “ella risplenda in se stessa tanto di giorno quanto di notte”, ma si mostri tale per il “campo oscuro del cielo”. Salviati estende il ragionamento alla Terra, interrogando se si sia visto “il globo terrestre illuminato dal Sole” di notte, ironizzando sulla prospettiva emisferica.

Simplicio considera la domanda assurda, ma Salviati insiste, affermando di penetrare meglio i discorsi altrui. Il dialogo tocca temi minori come l’assenza di strumenti per osservazioni e la curiosità personale, con Simplicio promettendo di verificare le “osservazioni di una o due lunazioni”.


Critica alla luce secondaria lunare e affinità tra Terra e Luna

Esame delle illusioni ottiche e delle incongruenze teoriche sull’illuminazione lunare.

Sommario

Il dialogo critica l’autore moderno per aver nascosto o distorto la verità sulla luce secondaria della Luna, stimolato dall’applauso del popolo piuttosto che dall’assenso dei sapienti: non posso creder che quest’autor moderno internamente non la creda, ma dubito che il non potersen’egli fare il primo autore, lo stimoli un poco a tentare di supprimerla o smaccarla almanco appresso a i semplici. Si argomenta che gli usurpatori di invenzioni altrui fingono novità per i principianti, rendendosi inventori persino dell’alfabeto: se voi vi contentaste della stima de’ principianti nelle scienze, che vengon su di tempo in tempo, potreste farvi anco inventore sin dell’alfabeto. Si smonta la falsità dell’anello luminoso intorno alla Luna nel crepuscolo, dovuto a inganno ottico per contrasto con le corna illuminate e il cielo oscuro: è falso che questa luce secondaria sia piú chiara intorno all’estremo margine che nelle parti di mezo. L’autore avrebbe dovuto osservare la Luna schermando le corna, rivelando uniformità luminosa, e la sua pretesa di averlo fatto si rivela bugia: la sua, che io stimava inavvertenza, diventa bugia. Nel Sole eclissato, il disco lunare appare per privazione, non per luce propria, e l’idea di raggi solari diretti solo su un margine è favola, poiché la luce secondaria non si vedrebbe senza eclisse: non vede il poverino che noi mai non vedremmo tal luce secondaria se non nell’eclisse del Sole?.

L’autore immagina la Luna diafana per far penetrare i raggi solari in profondità, ma paragona assurdo con nubi o cristalli su duemila miglia: per far che lo splendor del Sole possa penetrar la sustanza della Luna, ei la fa in parte diafana. Si ironizza con l’aneddoto di un ciarlatano che vendeva telepatia calamitata solo a grandi distanze: in sí piccola distanza non si poteva veder ben l’operazione. Le montagne lunari proiettano ombre nette, smentendo diafaneità, e il termine tra luce e ombra è tagliente: le quali, ferite da una parte dal Sole, gettano dall’opposta ombre negrissime, terminate e taglienti piú assai dell’ombre delle nostre. La luce secondaria diminuisce con la crescita lunare, contrario alle affermazioni, e si conclude che la riflessione terrestre illumina potentemente la Luna, implicando reciprocità d’azione: Concludiamo per tanto, esser la reflession della Terra potentissima nella Luna. Aristotele va scusato per ignoranza, ma incoerente negare l’azione terrestre se si ammette quella lunare: sarebber ben degni di riprensione se, mentre vogliono che noi concediamo e crediamo a loro che la Luna operi in Terra col lume. La vicinanza tra Terra e Luna implica affinità, contro la separazione che Simplicio adduce: quanto è piú vicina la Luna alla Terra che a qualsivoglia altro de i globi celesti?.

La solidità lunare si argomenta dalle montagne elevate, simili a quelle terrestri per gravità: il veder noi alcune parti della Luna restare elevate sopra la sfericità delle parti più basse arguisce la loro durezza. La riflessione del mare è debole universalmente, sebbene intensa in punti specifici, come dimostrato versando acqua sul pavimento: non si mostr’egli questo mattone bagnato più oscuro assai degli altri asciutti?. Temi minori emergono nella burla al venditore di segreti e nella repugnanza per equiparare Terra e Luna, rivelando resistenze filosofiche radicate.


Discussione sul moto diurno della Terra 6

Argomenti per attribuire la rotazione diurna alla Terra anziché all’universo.

Sommario

Salviati supplica Sagredo di indagare le sottigliezze sul moto terrestre, lodandone l’ingegno acuto. Sagredo acconsente, rifiutando cerimonie inutili in ambito filosofico. Salviati spiega che i moti della Terra risultano impercettibili agli abitatori, mentre appaiono comuni a tutti gli oggetti separati da essa: “qualeunque moto venga attribuito alla Terra, è necessario che a noi, come abitatori di quella ed in conseguenza partecipi del medesimo, ei resti del tutto impercettibile”. Il metodo per verificare il moto terrestre consiste nell’osservare se i corpi separati mostrino un movimento comune; il moto diurno appare universale, esclusa la Terra, e potrebbe appartenere indifferentemente a essa o al resto del mondo.

Aristotile e Tolomeo argomentano solo contro il moto diurno terrestre. Sagredo dubita sull’altro moto copernicano, non visibile in cielo come il diurno. Salviati promette di mostrare la corrispondenza celeste scoperta da Copernico, superiore a Tolomeo. Sospende per proporre ragioni generali a favore della mobilità terrestre, confrontando la vastità stellare con la piccolezza terrestre: “se noi considereremo solamente la mole immensa della sfera stellata, in comparazione della piccolezza del globo terrestre […] io non mi posso persuadere che trovar si potesse alcuno che avesse per cosa più ragionevole e credibile che la sfera celeste fusse quella che desse la volta”. Sagredo paragona l’idea di muovere l’universo a far girare un paese per non volgere la testa, richiedendo vantaggi per Aristotile e Tolomeo.

Salviati afferma l’assenza di diversità negli effetti tra le due posizioni. Il moto opera solo in relazione a cose che ne mancano: “il moto in tanto è moto, e come moto opera, in tanto ha relazione a cose che di esso mancano”. Tra cose che partecipano egualmente, il moto è nullo, come merci su una nave. Simplicio approva la dottrina peripatetica. Salviati la considera più antica, criticando Aristotele per alterazioni. Sagredo esorta a proseguire. Salviati conclude che muovere la Terra sola equivale a muovere l’universo per gli effetti sul moto comune: “tanto è far muover la Terra sola quanto tutto ’l resto del mondo”. La natura preferisce mezzi semplici: “la natura […] non opera con l’intervento di molte cose quel che si può fare col mezo di poche”.

Simplicio dubita che il moto diurno sia nullo per i cieli. Salviati replica che tutte le variazioni si riferiscono alla Terra: “Tutte coteste variazioni raccontate da voi non son nulla, se non in relazion alla Terra”. Rimuovendo la Terra, non vi sono albe o tramonti. Il moto mostra corpi celesti a diverse regioni terrestri, ottenibile ruotando la Terra. Raddoppia la difficoltà: il moto diurno contrasta i moti planetari da occidente a oriente, risolta attribuendolo alla Terra. Simplicio cita Aristotele sui moti circolari non contrari. Salviati ironizza e preferisce semplicità: un moto solo contro due opposti.

Sagredo paragona incontri circolari a giostre, contrari come lineari. Simplicio ammette. Salviati minimizza dispute lessicali, enfatizzando probabilità. Introduce disordine negli ordini celesti: orbi maggiori completano rivoluzioni in tempi più lunghi, da Saturno (trent’anni) alla Luna (un mese), alle stelle medicee (ore a giorni). Attribuire il moto di ventiquattro ore alla sfera stellata viola questo: “è necessario […] trapassare ad un’altra sfera incomparabilmente maggiore, e farla finire un’intera revoluzione in vintiquattr’ore”. Con la Terra mobile, l’ordine si mantiene, passando a stelle fisse immobili.

Evita disparità nei moti stellari: stelle fisse mosse varierebbero velocità per posizione polare, mentre osserviamo cerchi massimi uniformi. Stelle cambierebbero cerchi nel tempo, riducendosi a quiete, contro l’osservato. Inescogitabile la solidità di una sfera con stelle saldate nonostante disparità: meglio costituirle immobili che vaganti regolate da leggi ignote. Settima istanza: il moto celeste dovrebbe trascinare stelle, pianeti, fuoco e aria contro le loro nature, lasciando la Terra renitente, improbabile per un corpo librato in fluido: “la Terra, corpo pensile e librato sopra ’l suo centro […] non dovesse cedere ella ancora ed esser portata in volta”. Con la Terra mobile, minima, non crea intoppi.

Sagredo sente concetti confusi e procede per interrogazioni. Chiede a Simplicio se un mobile semplice abbia un solo moto naturale. Simplicio afferma sì, altri per partecipazione, come passeggiare su nave. Sagredo domanda se il moto partecipato richieda un soggetto proprio. Simplicio cita Aristotele: un moto implica un mobile, non esiste senza soggetto. Sagredo chiede moti propri dei cieli. Simplicio elenca: zodiacali, Luna in mese, Sole in anno, Marte in due, stelle in millenni. Sagredo nota il moto di ventiquattro ore comune. Simplicio lo dice per partecipazione.


Discussione sull’esperimento della nave e il moto della Terra 7

La pietra cadente dalla torre sfida l’immobilità aristotelica: Salviati ribatte alle obiezioni di Simplicio sul moto misto.

Sommario

Salviati critica la difesa aristotelica contro il moto della Terra, sostenendo che Aristotele ritenne impossibile il moto misto retto e circolare per il sasso, ma ciò non scusa il filosofo antico, poiché tale effetto è possibile e necessario. Egli cita l’esempio del fuoco, che “si muova rettamente in su per sua natura ed in giro per participazione”, e concede al fuoco “l’andare in su naturalmente per linea retta e ’l muoversi in giro col moto diurno”. Simplicio obietta che il fuoco, tenue e leggero, riceve facilmente il moto circolare dall’aria, a differenza del “sasso gravissimo” che non si lascia trasportare. Salviati introduce l’esperienza della nave: la pietra cade al piede dell’albero se ferma, ma lontana se in moto, come riportato da Simplicio.

Salviati evidenzia la disparità tra nave e Terra: il moto della nave è accidentario, non naturale come il “moto proprio e naturale al globo terrestre”, impresso indelebilmente alle sue parti. Il sasso in cima alla torre segue il “primario instinto l’andare intorno al centro del suo tutto in ventiquattr’ore”. L’aria inferiore segue il moto terrestre, rapita dalla superficie, a differenza dell’aria intorno alla nave. Simplicio dubita che l’aria imprima moto a un sasso pesante, citando venti che non lo smuovono. Salviati distingue: non si impone un nuovo moto, ma si conserva il naturale, paragonando a una pietra lasciata da un’aquila nel vento, che seguirebbe un “moto trasversale”.

Simplicio insiste sull’esperienza della nave come prova dell’immobilità terrestre, ma Salviati rivela che l’esperimento mostra il contrario: la pietra cade sempre nello stesso punto della nave, mossa o ferma. Egli sfida Simplicio: se cadesse identicamente, non proverebbe nulla sul moto, come “dal batter del polso non si può conoscere se altri dorme o è desto”. Salviati afferma che gli autori citati da Simplicio non l’hanno osservata, e chi la fa vede “la pietra casca sempre nel medesimo luogo della nave”. Pertanto, dal cadere a perpendicolo dalla torre non si infere nulla sul moto o quiete della Terra.


Discussione sul moto della pietra dalla nave (8)

Il dibattito tra Salviati e Simplicio sulla perpetuazione del moto impresso e il ruolo del mezzo.

Sommario

Salviati spiega che l’inclinazione naturale dei corpi gravi è verso il centro della Terra, mentre le superfici inclinate avvicinano o allontanano da esso; una superficie equidistante dal centro, come quella del mare calmo, permette un moto uniforme senza declivi o acclivi. Simplicio concorda, e Salviati paragona la nave in bonaccia a un mobile che, privo di ostacoli, si muove incessantemente con impulso iniziale. La pietra in cima all’albero, portata dalla nave, possiede un moto circolare indelebile intorno al centro, veloce quanto quello della nave; Simplicio approva fino a qui, ma chiede del resto. Salviati invita a trarre la conclusione: la pietra, mossa da virtù impressa, seguirebbe la nave e cadrebbe nello stesso punto, se non per impedimenti come l’aria e il moto discendente. Simplicio elenca questi: l’impotenza a rompere l’aria senza la forza dei remi, e il nuovo moto verso il basso che ostacola quello progressivo.

Salviati ammette un piccolo effetto dell’aria su corpi leggeri, ma minimo per una pietra grave, citando che la forza del più impetuoso vento non basta a muover di luogo una grossa pietra; concede che, se l’aria si muovesse con la nave, l’impedimento svanirebbe. Riguardo al moto discendente, i moti circolare e retto verso il centro non si contrastano, poiché il primo non allontana né avvicina al centro, e la gravità agisce solo sul secondo senza indebolire la virtù impressa. Simplicio obietta invocando Aristotele: il proietto continua il moto per il mezzo, non per virtù impressa, e l’aria tranquilla non può spingere la pietra lasciata cadere senza impeto. Salviati chiarisce che non si tratta di proiezione vera, quindi le teorie aristoteliche non si applicano; sfida Simplicio a spiegare l’operazione del mezzo nel moto dei proietti, per eliminare cause di altercazione infinita. Simplicio, rimossa l’azione del mezzo, ammette di dover ricorrere alla facoltà impressa dal movente.


Discussione sul moto dei corpi rotanti e cadenti - 9

Esplorazione degli effetti della vertigine e dell’accelerazione nel moto naturale, dal gioco alla fisica galileiana.

Sommario

Il dialogo esplora il moto della ruzzola e della palla, considerando come la vertigine acquisita influenzi la traiettoria al contatto con il suolo. Simplicio dubita che la ruzzola, sbalzata in alto, possa raddoppiare il moto per percossa su un sasso inclinato: Quando dunque la ruzzola sbalzata in alto ricade in giù, perchè non può ella abbattersi a dare su lo sbiescio di qualche sasso fitto in terra e che abbia il pendio verso dove è il moto, ed acquistando, per tal percossa, nuova vertigine. Sagredo concorda che ciò accelera il moto, mentre al contrario lo ritarda. Si applica tale principio al gioco della palla a corda, dove i giocatori “ingannar l’avversario col trinciar la palla”, conferendo vertigine contraria per farla schiacciare in terra e rompere il ritmo dell’avversario. Nel gioco con palle di legno su terreno sassoso, si getta la palla con vertigine opportuna per fermarla vicino al segno: per far ch’ella si fermi, abbrancano artifiziosamente la palla, tenendo la mano di sopra e la palla di sotto.

Tornando al problema principale, Salviati afferma possibile che una palla lasciata da un corpo veloce anticipi il moto: è possibile che uno mosso velocissimamente si lasci uscir una palla di mano la quale, giunta che sia in terra, non solo séguiti il moto di colui, ma lo anticipi ancora. Esempio della carretta con tavola pendente, dove la palla ruzzolante acquista vertigine che la porta più veloce della carretta stessa, o la ferma o la fa retrocedere. Si conclude la digressione, soddisfacendo Simplicio sulla soluzione contro la mobilità della Terra dai corpi cadenti a perpendicolo. Salviati difende le digressioni come episodii leciti nel discorso informale: Le digressioni fatte sin qui non son talmente aliene dalla materia che si tratti.

Sagredo chiede la linea descritta da un grave cadente dalla torre, considerando la rotazione terrestre. Salviati spiega che il moto retto verso il centro, misto al circolare, produce una spirale se uniforme, ma accelerato genera una linea che si allontana progressivamente dalla circonferenza: si verrebbe a comporre di amendue un moto per una linea spirale. L’esperienza conferma il moto retto parallelo alla torre: venendo sempre parallelo alla stessa torre, che sopra la superficie terrestre è fabbricata rettamente ed a perpendicolo. Si discute l’accelerazione continua, non proporzionata da filosofi antichi: converrebbe sapere secondo qual proporzione si faccia tal accelerazione. Simplicio difende Aristotele sui universali, lasciando dettagli ai matematici.

Salviati menziona un trattato dell’Accademico sull’accelerazione, rimandato a sessione futura. Sagredo acconsente, tornando alla linea del grave: dal moto uniforme rettilineo e circolare si otterrebbe spirale archimedea, ma l’accelerazione fa allontanare la traiettoria dalla circonferenza della torre con discostamenti minimi iniziali: il grave descendente, partendosi dalla quiete, è forza che passi per tutti i gradi di tardità. Descrizione geometrica con cerchi: il grave segue un mezzo cerchio dal punto C al centro A, con punti di intersezione che mostrano accelerazione apparente: le parti di esse intercette fra le due circonferenze CD, BI ci rappresenteranno sempre la medesima torre. Sagredo approva: non posso credere che ’l mobile cadente descriva col centro della sua gravità altra linea che una simile.


Meditazioni sul moto circolare dei gravi e obiezioni ai tiri d’artiglieria - 10

Le sottigliezze galileiane contro l’immobilità della Terra.

Salviati presenta tre meditazioni sul moto di un mobile cadente da una torre, sostenendo che esso si muova circolarmente e uniformemente sia sulla torre sia durante la caduta. Egli afferma: il mobile non si muove realmente d’altro che di un moto semplice circolare, e che il moto vero e reale della pietra non vien altrimenti accelerato, ma è sempre equabile ed uniforme. Sagredo ne resta ammirato e chiede la prova della uguaglianza degli archi, che Salviati dimostra geometricamente: la metà dell’arco del cerchio maggiore eguale all’arco del minore. Salviati precisa che il moto retto naturale è escluso, poiché anche la ricongiunzione delle parti ai corpi integrali avviene circolarmente. Simplicio ammette difficoltà ma considera l’argomento non tra i più forti, passando ai tiri d’artiglieria.

Sagredo ironizza sulle obiezioni degli uccelli, che volano liberamente senza smarrirsi nel moto terrestre: come e’ possin tener dietro a una tanta velocità. Salviati propone di risolvere prima i tiri d’artiglieria, chiedendo a Simplicio il motivo per cui il tiro verso occidente dovrebbe essere più lungo. Simplicio spiega: nel tiro verso levante la palla… viene seguita dall’istessa artiglieria, mentre verso occidente il pezzo si ritira. Salviati suggerisce un’analogia con una carrozza in corsa, dove Sagredo propone di sparare un balestrone: il tiro riuscisse il massimo di tutti. Simplicio calcola le distanze, supponendo un tiro di trecento braccia e un corso di cento: la distanza traposta si troverà esser di braccia quattrocento.

Per equalizzare i tiri, Salviati indaga sull’ingagliardire l’arco, ma Simplicio nota che con lo stesso arco i tiri differiscono. Salviati rivela che il moto della carrozza imprime già velocità al bolzone: l’arco imprime i suoi tre gradi di velocità in un bolzone che ne ha già un grado. Così, senza mutar arco, l’istesso corso della carrozza è quello che aggiusta le partite. Applicando alla Terra, i tiri risultano eguali indipendentemente dal moto: muovasi la Terra o stia ferma… i tiri… hanno a riuscir sempre eguali. Salviati critica l’errore comune di assumere la Terra ferma: la Terra stia ferma, della quale non vi potete… spogliare.

Simplicio obietta sul moto trasversale percepito come retto: come, se ella si muove trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente. Salviati spiega che il moto comune è insensibile: il moto diurno è come se non fusse… resta impercettibile. Sagredo propone un’analogia navale per il “nulla operare del moto comune”: discorrer seco quello che allora fantasticava da me solo. Simplicio acconsente: dite pure.


Discussione sui tiri d’artiglieria nel contesto del moto terrestre - 11

Esame delle traiettorie balistiche per confutare obiezioni al copernicanesimo.

Sommario

Salviati chiarisce a Simplicio che il tiro verticale non devia verso occidente nonostante il moto della Terra, poiché la palla partecipa del moto circolare terrestre uguale a quello dell’artiglieria: il moto che porta la palla verso levante vien tutto dalla Terra, ed il fuoco non ve ne ha parte alcuna. Sagredo obietta sulla velocità del moto nel cannone rispetto a quello terrestre, ma Salviati ribatte che l’inclinazione della traiettoria si adatta automaticamente: l’inclinazion della trasversale C D credo che sia molto maggiore di quello che voi vi immaginate. Il dialogo estende l’analogia alla caccia agli uccelli, dove l’archibugiere segue il volo mantenendo la mira: aggiustano la mira all’uccel volante, e quello co ’l muover l’archibuso vanno seguitando.

Sagredo nota differenze tra tiri d’artiglieria e caccia, data la disparità di velocità tra archibugio e uccello: il moto dell’archibuso, col quale va seguitando l’uccello, è tardissimo in comparazion del volo di quello. Salviati approva l’osservazione e passa ai tiri verso levante e ponente, spiegando che il moto terrestre abbassa lo scopo orientale ma inclina similmente il pezzo: sì come lo scopo orientale per il moto della Terra si va continuamente abbassando sotto una tangente che restasse immobile, così anco il pezzo per la medesima ragione si va continuamente inclinando. Simplicio ammette che esperimenti non proverebbero deviazioni, poiché i tiri errano già di un braccio nella Terra ferma: non sarebbe alcuno, per esperto che fusse, che si promettesse di non errar ragguagliatamente più d’un braccio. Il sommario tocca temi minori come l’errore di attribuire al fuoco il moto circolare, già smentito: il tener dietro alla Terra è l’antichissimo e perpetuo moto participato indelebilmente.


Discussione sulla resistenza al moto e sulla proiezione da ruote circolari - 12

Esame delle obiezioni al moto circolare della Terra attraverso esempi di bilance e ruote.

Sommario

Salviati corregge Sagredo sull’esperimento delle canne, spiegando che “la pietra, che già è in moto velocissimo, scappa e con impeto si muove” nella canna breve, mentre nella lunga “continuando di accompagnare il sasso per qualche spazio, co ’l dolcemente frenarlo se lo ritien congiunto”, traducendo: la pietra, già in moto velocissimo, scappa con impeto nella canna breve, mentre in quella lunga continua ad accompagnare il sasso per un po’, frenandolo dolcemente e tenendolo unito. Sagredo risponde che il discorso di Simplicio è “buono, perchè quasi tutto è vero; cattivo, perchè non fa in tutto al proposito nostro”, e analogamente per il moto della Terra: se fermata repentinamente, “le fabbriche e le montagne stesse e forse tutto ’l globo si dissolverebbe”, ma non per moto uniforme. Sagredo ammette che l’esempio delle canne è approssimativo per stimare se la velocità aumenti la proiezione proporzionalmente, come in una ruota grande dove l’impeto si accresce “centomila volte” rispetto a una piccola.

Salviati introduce la resistenza interna al moto, oltre alla gravità: Sagredo identifica la “naturale inclinazione e propensione al moto contrario”, come nei gravi che resistono al moto in su. Salviati precisa che c’è un’altra qualità intrinseca, e con la bilancia uguale conferma che l’inclinazione al basso equals la resistenza al su. Nella stadera, però, un peso minore resiste a uno maggiore grazie al momento: “il minor peso superi la resistenza del maggiore co ’l muoversi molto, mentre l’altro si muova poco”, traducendo: il peso minore supera la resistenza del maggiore muovendosi molto, mentre l’altro poco. Salviati conclude che “la velocità del mobile meno grave compensa la gravità del mobile più grave e meno veloce”, e Sagredo domanda se la velocità ristori precisamente la gravità, come un peso di quattro libbre con cento gradi di velocità uguale a uno di cento con quattro gradi.

Note

Con la stadera come conferma, Salviati spiega che la resistenza dalla velocità compensa quella dalla gravità: un mobile di una libbra a cento gradi resiste come uno di cento libbre a un grado. Passa al problema con figure di ruote: in due ruote egualmente veloci, l’impeto tangenziale è uguale, ma la deviazione dalla tangente è minore nella ruota grande, richiedendo meno forza per trattenere la pietra: “molto maggior forza si ricercherà per tener la pietra B congiunta alla sua piccola ruota, che la pietra C alla sua grande”, traducendo: serve molta più forza per tenere la pietra B unita alla piccola ruota che C alla grande. Sagredo sintetizza che la grande circonferenza raffrena dolcemente l’“appetito” di separarsi, mentre la piccola lo trattiene troppo bruscamente, permettendo la proiezione. Conclude che aumentando la ruota si scema la proiezione, e per equipararla alla piccola bisognerebbe accelerarla proporzionalmente al diametro, rendendo il moto terrestre lento come una ruota che gira una volta in ventiquattro ore.

Salviati ritiene soddisfatta l’obiezione iniziale, guadagnando credenza anche in Simplicio sul non essere ridicola l’opinione copernicana. Simplicio introduce nuove difficoltà da due autori moderni contro Copernico: uno su conclusioni naturali, l’altro su un trattato per Aristotele sull’inalterabilità del cielo, provando che comete e stelle nuove sono sotto la Luna, abbattendo Ticone e Keplero con parallassi: “non erano altrimenti sopra le sfere de i pianeti, ma assolutamente sotto il concavo della Luna nella sfera elementare”, traducendo: non erano sopra le sfere dei pianeti, ma assolutamente sotto il concavo della Luna nella sfera elementare. Offre di produrre le ragioni, e Salviati accetta per ponderare pro e contro i sistemi tolemaico e copernicano.


Calcolo del tempo di caduta dalla Luna alla Terra - 13

Dimostrazione matematica dell’accelerazione e critica alle teorie classiche.

Salviati illustra il computo del tempo necessario alla caduta di una palla d’artiglieria dal concavo lunare al centro terrestre, basandosi sull’accelerazione del moto naturale dei gravi, scoperta e dimostrata dall’Accademico. Spiega che il movimento de i gravi descendenti non è uniforme, ma partendosi dalla quiete vanno continuamente accelerandosi, contrariamente all’idea di moto equabile sostenuta dall’autore moderno. L’accelerazione segue i numeri dispari da uno: nel primo tempo… averà passato un tale spazio… nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, cosicché gli spazii passati dal grave cadente sono come i quadrati de’ tempi. Sagredo esprime meraviglia: Mirabil cosa sento dire, e Salviati conferma la dimostrazione matematica purissima di queste passioni dei moti naturali e proietti, rivelando una Intera e nuova scienza… intorno ai moto locale.

Simplicio obietta che per il filosofo naturale basti una cognizione generale del moto, senza minute particolarità, poiché Aristotele non le avrebbe omesso se necessarie; Salviati promette una sessione dedicata. Procede al calcolo: una palla di cento libbre scende cento braccia in cinque secondi d’ora; estendendo con la proporzione quadratica, in un minuto passa 14400 braccia, in un’ora 51840000 braccia o 17280 miglia, in quattro ore 276480 miglia, superando la distanza lunare di 196000 miglia. Il computo esatto dà ore 3, minuti 22 e 4 secondi: Se 100 braccia si passano in 5 secondi, braccia 588 000 .. in quanti secondi si passeranno?. Sagredo chiede dettagli, Salviati spiega la regola aurea per i quadrati dei tempi.

Salviati ribatte all’autore proposto da Simplicio, mostrando che la palla acquista velocità più che doppia rispetto al moto diurno lunare: cadendo, in qualunque punto ha velocità tale da percorrere, uniformemente per egual tempo, spazio doppio del passato col moto accelerato. Esempio: in 3 ore 22 minuti 4 secondi passa 196000 miglia; con velocità finale uniforme, ne passerebbe 392000, contro le 172880 del moto lunare. Sagredo nota che questa proposizione, supposta vera, va dimostrata. Salviati introduce congetture: osserva il pendolo, dove la palla sormonta tanto poco meno della scesa da suggerire perpetuità del moto, se non per l’aria; Salviati precisa che un impedimento recondito lo fermerebbe comunque.

Estende l’analogia al pendolo al caso terrestre: l’impeto acquisito spinge la palla oltre il centro per spazio eguale alla caduta, con velocità decrescente simmetrica. Ragiona che velocità uniforme al massimo grado percorrerebbe doppio spazio in egual tempo: dividendo in gradi crescenti e decrescenti, l’aggregato equivale alla metà di velocità massime per doppio spazio. Sagredo riassume lucidamente: gradi da zero a 5 sommano 15, ma tutti a 5 sommano 30, doppio, quindi doppio spazio. Salviati approva e aggiunge, riservando il resto a sessione dedicata, mentre tocca all’autore di Simplicio, confutato nel vantaggio concesso alla palla.

Riferimenti: Frasi da (2823) a (2897), dialoghi tra Salviati, Sagredo e Simplicio su moto accelerato, calcoli e confutazioni aristoteliche.


Discussione sul moto relativo e sull’impercettibilità del moto comune - 14

Esempi navali e telescopici per confutare obiezioni al moto terrestre.

Il dialogo esplora l’impercettibilità del moto comune attraverso esempi. Salviati spiega che un oggetto appare immobile se l’occhio non deve muoversi per seguirlo, come nel caso del sasso cadente: per vederla mentre è altissima, mi converrebbe alzar la testa. Simplicio concorda che senza muovere l’occhio, l’oggetto appare fisso: sempre lo giudichereste immobile. L’analogia con la nave illustra il moto condiviso: fissando l’antenna, non bisognerebbe far mutazion nessuna, poiché la nave impartisce lo stesso moto a occhio e oggetto. Sagredo estende il discorso al telescopio in navigazione, correggendo l’errore di credere che l’agitazione maggiore in cima all’albero renda l’uso più difficile: i movimenti angolari sono identici in alto e in basso, mentre le traslazioni lineari sono impercettibili a distanze elevate.

L’esperimento con la barca e la palla in acqua dimostra che moti composti appaiono rettilinei: tal moto apparirebbe perpendicolarissimo e rettissimo, nonostante includa un componente circolare. Sagredo analizza i movimenti della nave – progressivo, oscillatorio, laterale, rotatorio, verticale – distinguendo mutazioni angolari, che deviano la vista, da quelle lineari, trascurabili: le mutazioni fatte qui e là convien che sieno eguali. Applicando ciò al moto terrestre, Salviati ribatte all’obiezione del vento perpetuo: la Terra porta con sé aria e osservatori, rendendo il moto annuo insensibile, cum Terra movetur circumpositus aër; motus tamen eius… a nobis non sentiretur. Simplicio cita l’autore, ma Salviati chiarisce che tutti partecipano al moto comune, evitando percezioni di impeto.


Discussione sugli argomenti contro il moto della Terra - 15

Argomenti aristotelici sulla quiete e mobilità della Terra nel sistema copernicano.

Il dialogo tra Sagredo, Salviati e Simplicio esplora la preferibilità di attribuire alla Terra due principi interni di moto, retto e circolare, rispetto a moto e quiete, poiché il moto circolare non è contrario al retto per Aristotile, anzi e’ concede che si possano mescolare; il che è impossibile del moto e della quiete. Si argomenta che più ragionevoimente si possono attribuire alla Terra due princlpii interni al moto retto ed al circolare, che due al moto ed alla quiete, e che il moto delle parti della Terra verso il tutto potrebbe essere circolare, rendendo la mobilità sembra più accettabile che la quiete. Si critica l’idea che nature diverse non possano condividere moti, osservando che dall’identità delle operazioni e degli accidenti non si può argumentare salvo che una identità di nature, e che il copernicanesimo non altera la distinzione delle nature elementari, lasciando intatte qualità come gravità e leggierezza.

Si passa a un’istanza sulla diversità di moti tra corpi simili, come stelle fisse e pianeti, dove nel copernicanesimo sei pianeti andrebbono in volta perpetuamente, ma il Sole e tutte le stelle fisse perpetuamente starebbero immote. Salviati ribatte che il ragionamento, basato su somiglianze con corpi mobili, porta a concludere la mobilità della Terra per la sua tenebrosità condivisa con i pianeti, contrapposta alla luminosità del Sole e stelle: priva di luce è la Terra; splendidissimo per se stesso è il Sole, e non meno le stelle fisse; i sei pianeti mobili mancano totalmente di luce, come la Terra. Si anticipa un’ulteriore differenza tra Terra impura e corpi celesti puri, notando la disparità somma tra la Terra e i corpi celesti per la presenza di materie corruttibili tra elementi incorruttibili.


Critica ai calcoli sull’altezza della stella nuova 16

Il dibattito tra Salviati, Simplicio e Sagredo sulle discrepanze nei computi astronomici e la posizione sublunare della stella.

Sommario

Salviati contesta l’autore che, da osservazioni di tredici astronomi, calcola l’altezza della stella nuova sempre sotto la Luna, ma i risultati variano enormemente: “la stella essere stata lontana dal centro manco di 3 semidiametri terrestri” in un caso, e “più di 25 semidiametri” in un altro, fino a “1/48 di semidiametro” dalla superficie terrestre. Simplicio ammette che tali discrepanze indicano fallacie: “Giudicherei che tutti fussero fallaci, o per colpa del computista o per difetto de gli osservatori”. Sagredo difende parzialmente l’autore, sostenendo che basti dimostrare la stella sublunare per confutare gli astronomi privi di geometria o aritmetica, senza bisogno di una distanza precisa.

Salviati spiega il metodo della parallasse per misurare la distanza: se la stella è fissa, le sue altezze crescono come il polo; se vicina, “crescano notabilmente più che l’altezze polari”. L’autore seleziona dodici combinazioni favorevoli, ignorandone altre che pongono la stella “sopra le stelle fisse ancora”. Sagredo dubita: “tra le altre tante indagini pretermesse dall’autore ve ne sono di quelle che fussero in suo disfavore”. Salviati accusa l’autore di scartare osservazioni incoerenti con la sua tesi, mentre Simplicio nota la debolezza: “la parte potrà con altrettanta ragione dire che errate siano quelle onde egli sottrae”. Il dialogo illustra con figure geometriche come angoli più acuti per stelle basse confermino regole geometriche per calcoli precisi, purché le osservazioni siano giuste.


Confutazione delle osservazioni sulla stella nuova 17

Esame delle distanze polari e delle parallassi per dimostrare la fissità della stella nelle regioni celesti.

Salviati introduce l’esame dei due punti proposti dall’autore, criticando le sue scuse come “frivolissime” e “fila de’ ragnateli del cielo”. Spiega le distanze polari: quando un fenomeno è vicino alla Terra, appare più distante dal polo nella parte inferiore del meridiano che in quella superiore, come illustrato nella figura con punti T, O, P, F, S, D, C, A, B. Nota che l’eccesso della distanza apparente inferiore sopra quella superiore supera la parallasse inferiore, con calcoli che mostrano “l’eccesso dell’arco CP sopra l’arco PD è maggiore dell’arco CA”. Concede all’autore il massimo vantaggio, supponendo che tale eccesso sia tutta parallasse.

Esamina le osservazioni degli astronomi, tutte contrarie all’autore: Buschio dà eccesso di 20 gradi, distanza dal vertice 20, risultando in 158 semidiametri; Peucero 19 gradi, 27, quasi 166; Ticone 11, 15, 276 9/16; Reinoldo 4, 58, 793; Landgravio 3, 57, 1057; Camerario 1, 43, Munosio, Ainzelio e Ursino collocano la stella tra le fisse altissime. Tutte convengono “in collocar la stella nelle regioni celesti e altissime”. L’autore difende con refrazioni che “sublimano il fenomeno”, ma Salviati obietta che riducono al massimo 3 minuti di parallasse, insufficienti, e che gli astronomi correggevano tali effetti o li applicavano uniformemente, lasciando inalterata la differenza tra distanze dal polo.

Sagredo chiede della difesa contro la costanza delle distanze dalle stelle fisse. Salviati replica che la refrazione eleva egualmente stella nuova e fisse, preservando “l’intervallo tra esse”. L’altro rifugio è l’errore strumentale nel sestante per la posizione della pupilla, ma Salviati lo smonta: l’angolo varia poco, e gli strumenti usano traguardi elevati senza appoggio del capo, sostenuti su basi fisse. Tali “sutterfugii” non compensano la differenza di oltre cento minuti osservata. Sagredo paragona l’autore a un agricoltore che “raggranellando reliquie così tenui, che non son per bastargli a nutrir nè anco un pulcino”. Salviati conclude che l’autore ha fallito nel provare l’alterabilità del cielo. Propone di tornare al movimento annuo, trasferito alla Terra da Aristarco e Copernico, contro cui Simplicio userà argomentazioni dal libretto delle conclusioni matematiche; Simplicio suggerisce di riservarle per ultime, ma Salviati insiste su un esame ordinato di tutte le ragioni antiche e moderne.

Note

Osservazioni numeriche tratte da calcoli trigonometrici con seni e regole auree per distanze in semidiametri terrestri.


Risposta 18: Obiezioni e difese del sistema copernicano

Risposte alle difficoltà astronomiche contro la teoria eliocentrica.

Il blocco discute obiezioni al sistema copernicano basate su apparenze di Marte e Venere, che non variano grandezza come previsto dalle distanze variabili, e sulla Luna che perturba l’ordine planetario. Salviati spiega che l’irradiazione degli oggetti luminosi inganna l’occhio nudo, ingrandendoli sproporzionatamente: gli oggetti risplendenti […] si mostrano all’occhio nostro circondati di nuovi raggi, e perciò maggiori assai di quello che ci si rappresenterebbero i corpi loro spogliati di tale irradiazione. Il telescopio rimuove questa “capellatura”, rivelando variazioni precise, come Venere falcata sotto il Sole e Marte ingrandito oltre 50 volte in opposizione. Si menziona che Copernico ignorò tali apparenze per altri “mirabili riscontri”, e si risolve l’anomalia della Luna con le quattro lune di Giove, che orbitano un “mini-sistema” solare: vediamo Giove, quasi un’altra Terra, non in conserva di una Luna, ma accompagnato da quattro Lune. Temi minori includono l’umiltà intellettuale contro i peripatetici scettici e la superiorità copernicana su Tolomeo per equabilità dei moti.

Si contrappongono le “sconvenevolezze” tolemaiche, come moti irregolari su centri impropri, a Copernico che rende tutti equabili: non chiameranno tutte le sette de i filosofi grande sconvenevolezza che un corpo naturalmente mobile in giro si muova irregolarmente sopra il proprio centro. Il sommario enfatizza come il telescopio confermi il sistema, elevando Copernico nonostante le sue limitazioni sensoriali, e conclude che la Terra, tra pianeti orbitanti il Sole, deve seguirne l’esempio per probabilità filosofica.


Osservazioni sulle macchie solari e implicazioni per il moto della Terra 19

Le predizioni di mutazioni nei movimenti apparenti delle macchie solari derivanti dall’ipotesi copernicana.

Sommario

L’Academico Linceo risponde a lettere su macchie solari con tre epistole che confutano Apelle e espongono le proprie opinioni, prevedendo che questi convergerà alla sua tesi, come avvenne. Interrompe osservazioni per altri studi, ma riprende con l’interlocutore alla villa delle Selve, notando passaggi incurvati di una macchia grande durante un transito solare sotto cielo sereno, puntando luoghi meridiani su carta. Questo porta a un concetto improvviso sull’inclinazione dell’asse solare rispetto all’eclittica, aprendo “a gran conseguenza” per stati del Sole e della Terra. L’Academico spiega che, se la Terra compie moto annuo attorno al Sole centrale ruotante su asse inclinato, mutazioni stravaganti nei moti apparenti delle macchie includono passaggi per linee rette solo due volte l’anno, archi curvi negli altri tempi con convesso superiore per sei mesi e inferiore per gli altri, termini orientali più bassi per sei mesi e viceversa, con equilibrio biennale e massima obliquità trimestrale. Il giorno di massima obliquità coincide con passaggio rettilineo, mentre librazione massima mostra arco più curvo; queste variazioni derivano dal terminatore emisferico rispetto ai poli dell’asse solare. Sagredo ammette difficoltà a concepire, ma Salviati chiarisce con disegni di sfera, rappresentando centro O dell’eclittica e Sole, cerchio ABCD come terminatore emisferico apparente, asse AOC perpendicolare al piano eclittico, e asse inclinato EOI fisso. Quando terminatore passa per poli E,I, cerchi massimi e minori appaiono rettilinei, come in “quale sia la BOD”; spostamenti annuali della Terra causano curvature opposte semestrali, con ingressi e uscite equilibrati o sbilanciati, come in archi BFD convessi inferiori o DGB superiori. In posizioni intermedia, polo E tra terminatore e meridiano produce arco FNG convesso inferiore con F basso e G alto, e opposto GSF convesso superiore con discesa da G a F. Tutte diversità nascono da distanza poli dal terminatore: massima curvatura quando poli nel meridiano (equilibrio), minima (rettilinea) quando nel terminatore, con obliquità inversa. Queste “stravaganti mutazioni” confermano predizioni se Terra mobile e Sole rotante su asse inclinato. Osservazioni mensili successive rispondono puntualmente, rafforzando copernicanesimo contro tolemaici e aristotelici, che necessitano “saldi argomenti e di gran conietture” per bilanciare. Simplicio obietta che, pur rispondendo moto terrestre alle apparenze, non inferisce reciprocamente da esse il moto, poiché stravaganze potrebbero verificarsi con Sole mobile e Terra fissa; richiede dimostrazione che alternative non rendano ragione. Sagredo loda opposizione, notando progresso dialettico di Simplicio. Salviati, dopo riflessioni, prevede peripatetici derideranno apparenze come “illusioni de’ cristalli del telescopio”, mentre astronomi non troveranno ripiego soddisfacente; espone che, con Terra immobile e Sole in eclittica, quest’ultimo necessita quattro moti: rotazione su sé con macchie aderenti, più altri per spiegare diversità osservate.


Apparenze delle stelle fisse nel moto annuo della Terra 20

Discussione sulle variazioni impercettibili nelle stelle fisse dovute alla rivoluzione terrestre.

Sommario

Il dialogo affronta due quesiti principali: l’accusa di simulazione da parte di Sagredo e l’assenza di effetti visibili nelle stelle fisse simili a quelli nei pianeti. Sagredo nega di aver simulato ignoranza sulla nullità dell’istanza, affermando ora di comprenderla grazie alle spiegazioni di Salviati, che chiarisce come la stazione, direzione e retrogradazione dei pianeti si osservi in relazione alle stelle fisse. Salviati elogia l’arguzia di Sagredo e ipotizza che, con il telescopio, si possano osservare mutazioni tra stelle fisse vicine, dovute a distanze variabili, per comprender si potesse in chi risegga l’annua conversione. Si passa poi alle stelle fuori dell’eclittica: la loro elevazione varia secondo la distanza dall’eclittica, con dimostrazione geometrica che la parallasse è massima al polo e nulla sull’eclittica. L’avvicinamento della Terra alle stelle è massimo sull’eclittica, nullo al polo, e la diversità aumenta nelle stelle più vicine alla Terra.

Sagredo riassume le conclusioni: due tipi di apparenze, variazioni di grandezza e di elevazione, non uniformi ma massime sull’eclittica per la grandezza e al polo per l’elevazione, più sensibili nelle stelle prossime. Simplicio resiste all’idea di distanze immense che rendano impercettibili tali effetti, ma Salviati lo rassicura con esempi di inganno percettivo su oggetti luminosi lontani, come una torcia che si avvicina senza apparire più grande, e paragona alle stelle planetarie. Infine, Salviati propone che l’osservazione di mutazioni annue nelle fisse eliminerebbe dubbi sul moto terrestre, poiché niuna cosa resterebbe più che potesse render dubbia la mobilità della Terra.


Varianti testuali nell’autografo galileiano 21

Esame delle discrepanze tra manoscritto e stampa nel Dialogo.

Il blocco raccoglie annotazioni filologiche su un autografo di Galileo, evidenziando varianti lessicali, correzioni e omissioni rispetto all’edizione stampata. Si nota la frequenza di desinenze come “-zzione” in termini quali “contradizzione”, “dissimulazzione”, “correzzione”, con esempi sparsi in pagine specifiche, come a pag. 303 lin. 33 “pazzienza”, o pag. 314 lin. 34 “giudizziosi”. Emergono integrazioni manoscritte, ad esempio dopo “lunar” in G: “In oltre, concordano le parti, la distanza delle fisse in comparazzion della piccolezza del globo terrestre esser tanto grande, che le mutazzioni fatte da noi sopra la superficie della Terra siano come se fusser fatte nel centro”, assenti nella stampa. Si registrano differenze numeriche e terminologiche, come “p.a, 2a, 3a, ecc.” in G contro “1. e così a lin. 32, ; a pag. 307, lin. 1, ecc.” nella stampa, o omissioni come il riferimento allo “Schulero” in G ma non stampato.

Riguardo alle indagini astronomiche, Galileo annota in G dettagli su parallassi e distanze stellari, ad esempio “la 2a indagine dà anco la stella nuova sopra le fisse, E la 3a fa l’istesso”, con note su correzioni per renderle coerenti, come “rivedi, perchè la dà sopra e sotto”. Si evidenziano varianti su altezze e calcoli, quali “la distanza del centro poco meno” in G contro “la distanza del centro poco meno” nella stampa, e integrazioni cancellate come “Cominciando dunque a lavorare, già chiara cosa è che tutte le indagini le quali ci rendono la stella nuova per infinito intervallo sopra le stelle fisse, errano nel porla troppo alta”. Temi minori includono burle contro Copernico da autori oltramontani e dubbi su distanze, con frasi come “potrei mostrarvi autori oltramontani, che si burlano contro a gli Copernico”. Corretta in G “ammutitogli” in “ammutitigli”, e varianti ortografiche come “camminasse” contro “camminando” o “caminare”.

Altre discrepanze riguardano strumenti e osservazioni, con omissioni in G di parti come “la massima, la minima” o “terrestri”, e correzioni manuali, ad esempio “allargate” in “disseparate”. Galileo integra passaggi su errori osservativi: “emendando tutte l’osservazioni”, cancellando tratti precedenti su abbassamento della stella nuova. Si notano equivoci su distanze infinite, con varianti come “il sito di terminato” contro “il sito determinato”, e note su edizioni originali corrette a mano, quali “centoseimilionesima” in “10648000”. Il frammento termina con “Con le parole alla nostra principal materia termina il frammento autografo”, seguito da note su correzioni in esemplari specifici, come da “presa” a “posta” nella insensibilità copernicana.

Note filologiche


Il flusso e reflusso del mare come indizio della mobilità terrestre 22

Dialogo su effetti osservati nelle acque marine e cause naturali attribuite alla rotazione della Terra.

Sommario

Sagredo attende Salviati per discutere il flusso e reflusso del mare, che conferma la mobilità della Terra, distinta dagli effetti celesti e terrestri indifferenti. Salviati afferma che, presupposti i moti terrestri, il mare subisce necessariamente tali variazioni, mentre un globo immobile non le produrrebbe naturalmente: «quando il globo terrestre sia immobile, non si possa naturalmente fare il flusso e reflusso del mare; e che quando al medesimo globo si conferiscano i movimenti già assegnatili, è necessario che il mare soggiaccia al flusso e reflusso». Sagredo apprezza la proposizione per le sue conseguenze; Salviati sottolinea che la conoscenza degli effetti guida alla causa, invitando Sagredo a condividere osservazioni da Venezia e altri mari.

Salviati propone la sua teoria come chiave per una nuova indagine, valida per il Mediterraneo e generalizzabile, e descrive tre periodi: diurno, mestruo lunare e annuo solare. Nel periodo diurno, le acque alzano e abbassano ogni sei ore circa, con variazioni locali: in alcuni luoghi solo altezza, in altri solo corso, in altri entrambi, come a Venezia. Simplicio cita cause peripatetiche, come profondità marine o attrazione lunare, e un prelato che attribuisce alla Luna un cumulo d’acqua mobile: «la Luna, vagando per il cielo, attrae e solleva verso di sé un cumulo d’acqua». Altri invocano il calore lunare per rarefare l’acqua.

Salviati confuta brevemente: profondità non causano moto perpetuo, la Luna non solleva acque uniformemente, il calore non spiega variazioni locali. Sagredo interrompe, giudicando tali idee leggere; Simplicio difende la ricerca della vera causa unica tra falsi, ma dubita del moto terrestre, preferendo un miracolo divino. Salviati replica che nessuna causa tradizionale riproduce gli effetti in un vaso immobile, mentre il moto del vaso li simula perfettamente: «se co ’l far muovere il vaso […] io vi posso rappresentar puntualmente tutte quelle mutazioni». Simplicio insiste sull’immobilità naturale della Terra, ammettendo solo un moto sopranaturale possibile per potenza divina.


Causa primaria e accidenti del flusso e reflusso 23

Esame delle cause concomitanti e degli effetti osservati nei moti delle acque marine.

Il blocco analizza la causa primaria del flusso e reflusso come accelerazione e ritardamento del moto terrestre, senza la quale “nulla seguirebbe di tale effetto”. Esamina accidenti come il ritorno dell’acqua all’equilibrio per peso proprio, con reciprocazioni che “tornerà per se stessa con velocità in dietro” e variano per lunghezza e profondità del vaso, rendendo le oscillazioni più frequenti nei vasi corti o profondi. Nota i moti verticali alle estremità e orizzontali al centro, con parti estreme che “sommamente si alzano e si abbassano” mentre quelle centrali scorrono innanzi e indietro. Considera l’impossibilità di replicare artificialmente la disuguaglianza di moto negli estremi dei mari immensi, dove “gli estremi di quelli non unitamente, egualmente e ne gl’istessi momenti di tempo, accreschino e scemino il lor moto”, prevedendo “maggiore e più maravigliosa cagione di commozioni nell’acqua”.

Nei mari piccoli o laghi l’effetto è minimo per uniformità di accelerazione e frequenti librazioni secondarie che annullano il moto primario, con periodi di 12 ore perturbati da vibrazioni di 1-4 ore, rendendo il flusso “annichilata in tutto, o molto oscurata”. Il periodo comune di 6 ore deriva da secondarie come lunghezza e profondità, osservato nel Mediterraneo ma variabile, ad esempio più breve in Ellesponto ed Egeo. Nei mari trasversali come il Mar Rosso non vi è flusso per mancanza di impulsi est-ovest, mentre nei golfi è massimo alle estremità e minimo al centro, con correnti veloci in stretti come Scilla e Cariddi dove l’acqua “scorre con impeto grande”. Mescolando cause primarie e secondarie si ottengono flussi amplificati o contrastati, con vortici in canali tra mari discordanti e perturbazioni da venti che alterano i moti, come venti da levante che “sosterranno l’acque, proibendoli il reflusso”. Infine, correnti unidirezionali in canali da fiumi, come nel Bosforo dove “l’acqua scorre sempre dal Mar Nero verso la Propontide” per profluvio fluviale prevalente su cause marine deboli.


Discussione sul moto della Terra e i fenomeni atmosferici e marini 24

Osservazioni sui venti perpetui e il flusso e reflusso come conferme della rotazione terrestre.

Sommario del blocco

Il dialogo tra Salviati, Simplicio e Sagredo esplora gli effetti del moto terrestre sull’aria e sull’acqua, partendo dalla domanda se l’accettazione di un vento costante da levante indicherebbe la mobilità del globo: «Ma quando questo, che vi par che per necessaria conseguenza sentir si dovesse, in fatto e per esperienza si sentisse, l’accettereste voi per indizio ed argomento assai gagliardo per la mobilità del medesimo globo?». Salviati spiega come l’aria, tenue e fluida, partecipi parzialmente al moto terrestre solo vicino alla superficie aspra, mentre in mari ampi e zone tropicali manchi tale mistione, producendo un vento perpetuo da oriente: «quivi cesserebbe in parte la causa per la quale l’aria ambiente dovesse totalmente obbedire al rapimento della conversion terrestre; sì che in tali luoghi, mentre che la Terra si volge verso oriente, si devrebbe sentir continuamente un vento che ci ferisse spirando da levante verso ponente». L’esperienza conferma ciò nei tropici, facilitando navigazioni verso occidente: «Aura perpetua dentro a i tropici spira verso occidente», mentre i venti accidentari perturbano i mari remoti.

Sagredo aggiunge un’osservazione sul Mediterraneo, dove registri di navigazioni mostrano tempi più brevi da levante a ponente: «le navigazioni da levante verso ponente, per il Mediterraneo si fanno in manco tempo che le contrarie, a ragion di 25 per cento». Salviati apprezza tale conferma, distinguendo da correnti d’acqua. Simplicio contrappone un’argomento peripatetico, attribuendo i venti al moto celeste che rapisce aria e fuoco: «l’elemento del fuoco ed anco gran parte dell’aria esser portati in giro, secondo la conversion diurna, da oriente verso occidente dal contatto del concavo dell’orbe lunare». Estende ciò all’acqua e al flusso e reflusso, ma Salviati refuta l’improbabilità del trasferimento di moto dal cielo tenue alla Terra aspra: «non ci è ragione per la quale il fuoco da un semplice contatto d’una superficie, che per voi si stima esser tersissima e liscia, possa esser, secondo tutta la sua profondità, portato in volta di un moto alieno dalla sua naturale inclinazione». Sottolinea che una causa uniforme non produce effetti difformi come il flusso e reflusso.

Il discorso passa ai periodi mestruo e annuo del flusso, attribuiti ad alterazioni nel moto composto diurno-annuo della Terra: «Le alterazioni ne gli effetti arguiscono alterazìone neìie cause». Salviati argomenta che la difformità dei vasi terrestri varia con additamenti e sottrazioni del moto diurno all’annuo, causando variazioni mensili e annuali: «Alterazioni mestrue ed annue de’ flussi e reflussi non posson dependere da altro che dall’alterazione degli additamenti e suttrazioni dei perìodo diurno sopra l’annuo». Sagredo esprime curiosità per la conclusione, mentre Salviati preannuncia una rivelazione dopo lunghe speculazioni, promettendo di soddisfare l’avidità di conoscenza.


Chiarimenti sui flussi e reflussi e conferme al sistema copernicano 25

Esplorazione delle irregolarità nei moti terrestri e lunari come causa dei fenomeni mareali.

Il dialogo tra Sagredo e Salviati approfondisce l’irregolarità del moto annuo della Terra, influenzato dalla Luna, che genera il periodo mestruale dei flussi e reflussi. Salviati spiega come “la Luna quando è in minor distanza dal Sole, cioè nel tempo della congiunzione, archi maggiori passi dell’orbe magno, che quando è in maggior lontananza”, traducendo tale citazione in italiano moderno: “la Luna, quando è in minor distanza dal Sole, cioè nel tempo della congiunzione, percorre archi maggiori dell’orbe magno rispetto a quando è in maggior lontananza”. Questo produce alterazioni periodiche, confermate da osservazioni celesti, senza implicare influenze dirette della Luna sulle acque. Sagredo esprime meraviglia per la gradualità dell’argomentazione, paragonandola a una scala che conduce a un’altezza inaccessibile, e pone dubbi sull’assenza di osservazioni storiche di tali irregolarità.

Salviati risponde che l’astronomia, pur progredita, nasconde ancora molte incertezze, come le “strutture particolari degli orbi de’ pianeti ancora non ben risolte”, resa in italiano moderno: “strutture particolari degli orbi dei pianeti ancora non ben risolte”. Descrive l’evoluzione delle conoscenze, da moti diurni a epicicli, fino al sistema copernicano, notando ineguaglianze nel moto apparente del Sole e della Luna non pienamente indagate. Sottolinea che piccole alterazioni, come un grado di velocità su 700, bastano per effetti mareali significativi rispetto alla scala umana, illustrando con esempi di correnti e alzate d’acqua. Il sommario evidenzia temi minori come le cause secondarie, quali venti e profondità variabili, che complicano le osservazioni.

La discussione si sposta sulla disegualità degli additamenti e sottrazioni della vertigine diurna sul moto annuo, dovuta all’inclinazione dell’asse terrestre. Salviati tenta di chiarire con figure prospettiche, definendo additamenti massimi ai solstizi e minimi agli equinozi, dove “tali additamenti son minori che in tutti gli altri luoghi”, tradotto: “tali additamenti sono minori che in tutti gli altri luoghi”. Sagredo ammette iniziale incomprensione, ma apprezza l’approccio. Si conclude con considerazioni su cause accidentarie nei mari, come la conformazione dell’Adriatico rispetto al Mediterraneo, che alterano i tempi precisi dei flussi.

Sagredo loda la proposizione generale che i moti terrestri copernicani spiegano necessariamente i fenomeni mareali, contrapposti all’immobilità aristotelica. Salviati critica teorie parziali, come quella di Seleuco sul contrasto tra moti terrestri e lunari, o l’influenza occulta della Luna proposta da Keplero, insistendo che serve un moto ineguale: “non basta un semplice moto ed uniforme […] ma si ricerca un movimento ineguale, ora accelerato ed ora ritardato”, in italiano moderno: “non basta un semplice moto e uniforme, ma si ricerca un movimento ineguale, ora accelerato e ora ritardato”. Sagredo riflette sul viluppo dei tre periodi (diurno, mestruale, annuo), attribuibili a Sole e Luna senza effetti diretti sulle acque, rafforzando le prove copernicane da pianeti, macchie solari e maree, con cenni a ulteriori conferme da stelle fisse e scoperte recenti.


Conclusione della Giornata Quarta e Indice degli Argomenti 26

Chiusura dei dibattiti tra i interlocutori, con scuse reciproche e apprezzamenti, seguita dall’indice tematico delle questioni scientifiche trattate.

Sommario

Nella conclusione dei discorsi, Salviati prega Sagredo e Simplicio di scusare eventuali dubbi irrisolti, attribuendoli alla “novità del pensiero” e alla “debolezza del mio ingegno”, e ammette che la sua “fantasia” sul flusso e reflusso del mare potrebbe essere “una vanissima chimera e per un solennissimo paradosso”. Esprime gratitudine per la cortesia di Sagredo e affetto per l’“ingenuità” e la “costanza” di Simplicio nel difendere la dottrina aristotelica, chiedendo perdono per averlo “alterato” con il suo “troppo ardito e resoluto parlare”, volto solo a stimolare “pensieri alti”. Simplicio replica che le scuse sono superflue, abituato a dispute accese, e confessa di non essere “interamente capace” della teoria del flusso, pur trovandola “più ingegnosa” di altre, ma non “verace e concludente”, aderendo alla “saldissima dottrina” che Dio poteva causare il moto dell’acqua “in molti modi, ed anco dall’intelletto nostro inescogitabili”, criticando l’“arditezza” di limitare la “divina potenza e sapienza ad una sua fantasia particolare”. Salviati elogia questa “mirabile e veramente angelica dottrina”, concordante con quella divina che permette il disputare sulla costituzione del mondo senza penetrarne i “profondi abissi”, valorizzando l’esercizio per ammirare la “grandeza Sua”. Sagredo propone di chiudere i “ragionamenti quatriduani”, concedendo riposo a Salviati ma attendendo future sessioni sui “problemi lasciati indietro” e sugli “elementi della nuova scienza” dei moti locali, per poi gustare “freschi nella gondola”.

L’indice elenca argomenti dal A al T, coprendo osservazioni celesti, moti terrestri e critiche filosofiche, come l’“Accademico Linceo primo scopritor delle macchie solari” e l’“Accelerazione de i gravi naturalmente descendenti cresce di momento in momento”, passando per dibattiti su Aristotele, Copernico e fenomeni come il “Flusso e reflusso, e mobilità della Terra, scambievolmente si confermano”, con enfasi su “Argomenti contro al moto della Terra” e proprietà della calamita, fino a “Vertigine della Terra” e strumenti astronomici, concludendo con stampe e licenze editoriali del