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Galileo - Dialogo sopra due nuove scienze - Lettura | 22m


Frontespizio, dedica e premessa editoriale dei Discorsi e dimostrazioni matematiche

L’opera che inaugura due scienze inedite: resistenza dei solidi e moto locale, tra omaggi nobiliari e rivendicazioni metodologiche.

Il blocco delimita la cornice introduttiva dell’opera galileiana, articolata in tre nuclei: 1) i dati paratestuali (titolo, luogo, anno, casa editrice), che collocano il testo nel contesto editoriale leidense degli Elsevir (1638) e ne dichiarano l’oggetto — „due nuove scienze“ attinenti „alla Mecanica et i Movimenti Locali“ — con un’appendice sul „centro di gravità d’alcuni Solidi“; 2) la Lettera dedicatoria al Conte di Noailles, dove Galileo giustifica la pubblicazione come atto di „magnanimità“ del dedicatario, il quale „hà voluto allargargli i termini, et i confini dell’honore“ nonostante l’autore, „confuso et sbigottito da i mal fortunati successi di altre mie Opere“, avesse optato per una circolazione manoscritta riservata a „molti intelligenti“. La dedica si chiude con una metafora militare: „faccendomi avanti, sotto il suo stendardo et protettione“, a sottolineare la funzione protettiva del mecenate. 3) L’intervento dello stampatore eleva l’opera a manifesto del progresso scientifico moderno, contrapponendo „l’acutezza de i loro ingegni“ dei contemporanei — tra cui Galileo, „primo di tutti“ a scoprire „le quattro Stelle, Satelliti di Giove“ e „la Via Lattea“ — alla „Savia Antichità“ che „deificava“ gli inventori. La novità delle „due Scienzie“ (moto locale e resistenza dei solidi) è presentata come „ritrovamento“ „da i loro primi principii, et fondamenti, concludentemente, cioè Geometricamente dimostrate“, con un’implicita critica ai „molti errori“ tramandati „per molte età“. Emergono temi minori: la dialettica tra „arte“ e „natura“ (non solo di tutte le machine, e fabbriche artifiziali, mà delle naturali ancora), la „utilità“ pratica per le „Scienze et Arti Mecaniche“, e la tensione tra „demonstrazioni Ideali“ e „materia“ con le sue „imperfezzioni“.


Note strutturali


La coesione dei corpi solidi: resistenza, vuoto e forze invisibili

Dall’attrito delle funi alla repugnanza della natura per il vuoto: meccanismi di tenuta e rottura nei materiali.

Il blocco esamina i principi fisici che regolano la coesione e la resistenza dei corpi solidi, suddividendo l’analisi in due filoni principali: la tenuta delle funi e delle strutture fibrose, spiegata attraverso l’“avvolgimento a spira” e la “compressione reciproca” delle parti (“le fila esser talmente trà di loro scambievolmente compresse, che le comprimenti non permettono alle compresse scorrer quel minimo”), e la coesione di materiali omogenei come marmo, metalli o vetro, attribuita alla “repugnanza che hà la natura all’ammettere il vacuo” e a un “glutine, visco ò colla” non meglio identificato. L’esposizione alterna esperimenti concreti — come la “tromba” che solleva acqua solo fino a “diciotto braccia”, limite oltre il quale “il suo proprio peso la strappi” — a ragionamenti astratti sulla natura del vuoto, descritto come “spazio voto” che la materia circostante “occupa, e ripiene” con “violenza”. Emergono temi minori: la “molteplicazione delle resistenze” tramite “innumerabile moltitudine” di “minimi Vacui”, paragonata alla “forza di Milioni di libbre” vinta dagli “atomi di acqua” che penetrano nelle funi; la “fluida” trasformazione dei metalli per azione del fuoco, che “libera le minime particole” dalla “violenza” dei vuoti interstiziali; l’analogia economica tra “imposizioni generali di soldi” e “minutissimi Vacui” che concorrono a un effetto macroscopico. La discussione si chiude con un’“fantasia” ipotetica: il vuoto come “moneta” universale che “tiene tutte le parti congiunte”, pur ammettendo che “d’un effetto una sola è la vera, e potissima causa”.


L’infinito e i paradossi del finito: numeri, linee e indivisibili

Dall’impossibilità di confrontare grandezze infinite alla natura ambigua del continuo, tra matematica e metafisica.

Il blocco affronta il problema della comparazione tra infiniti, dimostrando come gli attributi di “maggiore”, “minore” o “uguale” perdano significato quando applicati a quantità non finite. L’esempio cardine è il confronto tra numeri quadrati e numeri naturali: pur essendo i quadrati una sottoclasse dei naturali, si dimostra che «nel numero infinito […] tanti fussero i quadrati, ò i cubi, quanti tutti i numeri», poiché «ogni quadrato hà la sua radice, ogni radice il suo quadrato» (303, 361). La stessa aporia emerge con le linee: «in ciascheduna [linea] infiniti» punti (314), ma «non si può dire un’infinito esser maggiore d’un’altro infinito» (317). Il discorso si estende alla divisibilità del continuo, dove si nega che parti “quante” infinite possano comporre una grandezza finita (338), proponendo invece una terza via: «non esser nè finite, nè infinite, mà tante che rispondono ad ogni segnato numero» (348). Tematiche minori includono la critica alla distinzione tra “in atto” e “in potenza” (328-330), la natura dell’unità come «numero infinito» (371), e la repugnanza concettuale tra finito e infinito, esemplificata dal paradosso geometrico di un «cerchio infinito» che «totalmente perde l’essere» (378). Il testo chiude con una riflessione sulla materia: i fluidi come acqua o mercurio sarebbero composti da «primi infiniti, indivisibili» (384), distinti dai corpuscoli “quanti” della polvere.


Note

Riferimenti testuali

Costruzione e proprietà del cerchio come luogo geometrico di proporzioni costanti

Dalla definizione dei punti di concorso alla dimostrazione dell’unicità della soluzione circolare.

Il testo descrive la costruzione di un cerchio ceg come luogo dei punti in cui coppie di linee condotte da due estremi fissi a e b mantengono una proporzione costante, pari a quella delle parti ac e bc. La dimostrazione si articola attraverso la similitudine dei triangoli e il confronto tra rettangoli equivalenti, escludendo che il concorso delle linee possa avvenire al di fuori della circonferenza. Si introduce poi una digressione sul concetto di infinito in geometria, collegando la suddivisione di una linea retta in parti potenziali alla sua trasformazione in un poligono regolare, fino al limite ideale di un cerchio come poligono di lati infiniti. Emergono temi minori come la critica alle obiezioni sulla distinzione pratica dei punti e la difesa dell’attualizzazione dell’infinito attraverso operazioni geometriche.

Il passaggio chiave è l’affermazione che «come ac à cb, così essere ah ad hb», principio che regola la proporzionalità in ogni punto h della circonferenza. La dimostrazione per assurdo («il rettangolo mbl è eguale al rettangolo cbg, il che è impossibile») conferma l’unicità del cerchio come soluzione, mentre la discussione successiva estende il ragionamento all’infinito, sostenendo che «inflettere una linea ad angoli […] in un poligono di lati infiniti» equivale a ridurre «all’atto quelle parti infinite» prima solo potenziali. La struttura argomentativa unisce rigore euclideo e speculazione su continuità e discrezione.


Teorema del cerchio come medio proporzionale tra poligoni regolari circoscritti e isoperimetrici

Dall’equivalenza geometrica alla gerarchia delle figure: dimostrazione per triangoli, settori e proporzioni inverse tra lati e aree.

Sommario

Il blocco espone un teorema centrale sulla relazione tra cerchio e poligoni regolari, stabilendo che „il cerchio è medio proporzionale tra qualsivoglino due poligoni regolari tra di loro simili, de i quali uno gli sia circoscritto e l’altro gli sia isoperimetro“. La dimostrazione si articola in due parti: la prima prova l’esistenza di tale proporzionalità mediante la scomposizione del cerchio e dei poligoni in triangoli rettangoli equivalenti, dove „il cerchio eguale à quel triangolo rettangolo“ di lati pari al semidiametro e alla circonferenza, mentre „il Poligono a eguale al triangolo rettangolo“ di lati pari al semidiametro e al proprio perimetro. Ne consegue che „il circoscritto Poligono haver al Cerchio la medesima proporzione, che hà il suo perimetro alla circonferenza“, e che il cerchio risulta „massimo di tutti i Poligoni regolari suoi isoperimetri“.

La seconda parte dimostra due corollari: tra poligoni circoscritti al medesimo cerchio, „quelli che hanno più angoli, son minori di quelli, che ne hanno manco“; viceversa, tra poligoni isoperimetrici, „quelli di più angoli son maggiori“. La prova si avvale di settori circolari e triangoli ausiliari, mostrando che „il Pentagono circoscritto harà maggior proporzione al Cerchio che non gli hà l’Ettagono“ e, per simmetria, che „il Pentagono è minore dell’isoperimetro Ettagono“. Il ragionamento si chiude con una conferma esplicita: „Che si doveva dimostrare“, prima di un breve scambio dialogico che segna il passaggio a un altro tema.

Note
Frasi incluse

534–544, escluse le interruzioni dialogiche (545–549, 550–551).

Temi minori

La caduta dei gravi e la resistenza dei mezzi: contraddizioni aristoteliche e osservazioni empiriche

Dove l’analisi dei moti in aria e acqua svela l’inconsistenza delle proporzioni di velocità e apre a nuove proporzioni fisiche.

Il blocco affronta la critica alle teorie aristoteliche sul moto dei gravi, evidenziando contraddizioni tra le previsioni teoriche e le osservazioni sperimentali. Si parte dal caso di “una palla di legno” e “un’altra assai più grave” che, secondo la “regola d’Aristotele”, dovrebbero muoversi “con egual velocità” nell’aria, pur avendo “due gradi di velocità” diversi in acqua. La domanda “come accorda il Filosofo questa conclusione con l’altra sua”, che lega velocità e gravità, resta senza risposta, mentre esempi concreti — “un uovo di marmo” che “scenderà nell’acqua cento volte più presto che alcuno di gallina” e “nell’aria […] non l’anticiperà di quattro dita” — dimostrano come “nel medesimo mezzo” i “mobili di diversa gravità” non rispettino le proporzioni attese. Si sottolinea che “non è altrimenti vero” che la velocità sia proporzionale alla gravità “in specie”, e che “nel medesimo mobile” la resistenza del mezzo non determini “la medesima proporzione” di velocità. Il discorso si estende a casi limite, come “qualche sorte di legno” che “nell’acqua […] resterà del tutto privo di moto” pur “descendendo velocemente” in aria, introducendo la possibilità di “moti all’in sù”. La sezione si chiude con l’affermazione che “tale argomento non conclude nulla contro al Vacuo”, pur ammettendo che spazi vuoti “notabilmente grandi” potrebbero esistere “con violenza”, e con la richiesta di “sentire, quali siano le proporzioni” che regolano i moti in mezzi diversi.

Le osservazioni empiriche — “accidenti frequentissimi, e palpabilissimi” — servono a confutare le “proonde contemplazioni” teoriche, mentre si accenna a “esperienze” non dettagliate che potrebbero “distruggere” le ipotesi tradizionali. Il tema minore della “gravità in specie” (sughero vs piombo) e della “resistenza” dei mezzi (aria vs acqua) emerge come chiave per ridefinire le “diversità” di velocità, con particolare attenzione ai “corpi” che “si moveranno l’uno cento volte più velocemente dell’altro” in un mezzo ma non in un altro.


Dinamica dei corpi in mezzi resistenti: velocità, gravità e proporzioni tra aria, acqua e solidi

Resistenza e moto nel vuoto e nei fluidi: come la gravità relativa altera la caduta dei corpi.


Sommario

Il blocco definisce un principio fondamentale: „nel mezzo dove ò per esser vacuo, ò per altro non fusse resistenza veruna, […] le velocità [dei mobili] fusser pari“ (724), da cui deriva l’analisi delle proporzioni tra velocità assolute e velocità effettive in mezzi resistenti come aria e acqua. La resistenza del mezzo „detrae alla gravità del Mobile“ (725), riducendone la velocità in modo inversamente proporzionale al peso specifico: „l’aria al piombo detrae delli dieci mila gradi uno, mà all’Ebano […] dieci“ (726). Gli esempi concretizzano il ragionamento: una „palla di piombo“ e una „d’Ebano“ cadute da una torre mostrano differenze minime (manco di quattro dita, 728), mentre una „vescica“ gonfia, „pesando solamente quattro volte“ l’aria, ne percorre „i trè quarti“ della distanza (729). In acqua, lo „stagno“ perde „la millesima parte“ della velocità in aria ma „la decima parte“ in acqua (734), e un „legno di rovere“ si muove „quasi venti volte più velocemente in aria che in acqua“ (735), poiché „non potendo muoversi in giù nell’acqua se non materie più gravi in spezie di lei“ (737).

Il testo confronta il modello con „quello d’Aristotele“ (731), sostenendo che „l’esperienze“ confermano meglio la proporzionalità tra „eccessi di gravità del Mobile sopra le gravità de i mezzi“ (732). La discussione si chiude con una riflessione pratica: „mancherebbe altro […] se non il trovar modo di […] conoscere […] la gravità dell’aria“ (740), mentre l’ipotesi della „leggerezza“ dell’aria ne inficerebbe „gli alti discorsi“ (742-744). Temi minori includono la critica implicita a teorie preesistenti e l’accenno a metodi sperimentali per validare le proporzioni teoriche.


L’uguaglianza delle velocità nei gravi: esperimenti con pendoli e resistenza del mezzo

Dall’osservazione dei corpi in caduta alla dimostrazione con archi e tempi eguali: come peso, forma e attrito alterano solo in apparenza un principio immutabile.

Il blocco descrive un esperimento volto a confutare l’idea che corpi di peso diverso cadano a velocità differenti, servendosi di pendoli di piombo e sughero. L’autore accumula «tante di quelle minime differenze di tempo» (799) per rendere osservabile il fenomeno, ricorrendo a piani inclinati e fili sottili per ridurre la resistenza del mezzo. Le palle, lasciate oscillare, dimostrano che «la grave và talmente sotto il tempo della leggiera, che nè in ben cento vibrazioni […] anticipa il tempo d’un minimo momento» (800), pur subendo un «impedimento al moto» (801) maggiore nel sughero. La discussione si sposta poi sulla relazione tra ampiezza degli archi e velocità: «sotto tempi eguali và passando successivamente archi sempre minori» (810), ma «tutte le vibrazioni […] si fanno sotto tempi eguali» (812), indipendentemente dal materiale. Si affronta infine il ruolo del mezzo, che «arrecando qualche impedimento al moto, assai più diminuisce le vibrazioni del sughero» (801), e si estende il ragionamento a corpi della stessa materia ma di grandezza diversa, attribuendo le differenze di velocità a «scabrosità, e porosità» (839) delle superfici.

Il dialogo tra i personaggi evidenzia due temi minori: la confusione concettuale tra «velocità» istantanea e «tempi eguali» (815-827), risolta distinguendo la decelerazione progressiva dall’uguaglianza dei tempi per archi identici; e l’influenza del mezzo, che «ritarda più i Mobili, secondo che […] son in spezie men gravi» (837), ma anche in base a «figura […] dilatata» (838) e irregolarità superficiali, come dimostrano esempi «tritissimi, e familiari» (831) quali il ronzio dei corpi in rotazione. La conclusione ribadisce che «la velocità del piombo […] è eguale alla velocità del sughero» (824) solo quando «passassero sempre spazii eguali in tempi eguali» (820), mentre «son sempre minori le velocità ne gli archi minori» (826).


La natura fisica delle consonanze: vibrazioni, proporzioni e percezione del suono

Il fenomeno della risonanza e le leggi matematiche che regolano le consonanze musicali, tra esperimenti empirici e dimostrazioni teoriche.

Il blocco descrive il comportamento delle corde e dei corpi risonanti, evidenziando come le vibrazioni si trasmettono nell’aria e interagiscono con altri oggetti in base a proporzioni temporali precise. Si spiega che «le vibrazioni fanno vibrare, e tremare l’aria che gli è appresso» (941), generando onde che «vanno à urtare in tutte le corde del medesimo strumento» (941) e inducono risonanza solo in quelle accordate all’unisono, all’ottava o alla quinta. L’analisi si estende ai bicchieri di vetro, la cui vibrazione produce «onde nell’acqua con estrema egualità» (944), e alle corde di una viola, capaci di far «tremare, e sensatamente risonerà» (943) un bicchiere all’unisono. L’autore critica le spiegazioni tradizionali delle consonanze, basate sulla lunghezza delle corde, sostenendo che «non è la ragion prossima […] la lunghezza delle corde, non la tensione, non la grossezza, mà si bene la proporzione de i numeri delle vibrazioni» (969). Le proporzioni numeriche (dupla per l’ottava, sesquialtera per la quinta) vengono verificate attraverso esperimenti con fili pesanti e piastre di ottone, dove «le virgolette sottili, trà di loro parallele, e per egualissimi intervalli» (962) rivelano la corrispondenza tra frequenza e tuono. Si approfondisce poi la percezione uditiva: le consonanze nascono da «pulsazioni che vanno à ferire con qualche ordine sopra ’l timpano» (972), mentre le dissonanze derivano da «vibrazioni innumerabili» (971) che generano «perpetuo tormento» (972). L’ottava, dove «per ogni percossa che dia la corda grave su ’l timpano, l’acuta ne dà due» (973), risulta la più gradevole; la quinta, con «due solitarie [pulsazioni] s’interpongono trà ogni coppia delle concordi» (974), introduce un «solletico» (986) che tempera la dolcezza. Il testo si chiude con un esperimento visivo: fili di lunghezze proporzionali, oscillando, «fanno un’intrecciamento vago» (989) che riproduce le stesse relazioni matematiche dei suoni consonanti.


Note

Riferimenti empirici e teorici

La resistenza dei solidi e il principio della leva: dialogo sulla coerenza e le proporzioni meccaniche

Struttura e dinamiche della materia solida tra teoria aristotelica, dimostrazioni archimedee e osservazioni empiriche.


Sommario

Il blocco descrive una discussione articolata in più giornate su due temi centrali: la “resistenza che hanno tutti i corpi solidi all’esser rotti”, attribuita a un “glutine” interno che ne tiene unite le parti, e le “proporzioni” che regolano tale resistenza in prismi e cilindri di materia omogenea. La coerenza dei materiali — “gagliardissima in alcuni solidi” — viene indagata attraverso l’ipotesi del “vacuo”, che però devía il dibattito verso “tante digressioni” prima di tornare al nucleo originario: “la contemplazione delle resistenze de i solidi all’essere spezzati”. Emerge una distinzione pratica: la resistenza “per lo lungo” (es. una verga d’acciaio che regge “mille libbre”) si oppone a quella “per traverso”, dove bastano “cinquanta libbre” per spezzarla.

Il dialogo si sposta poi sul “principio noto” della leva, citando Aristotele e Archimede: la “forza alla resistenza hà la proporzion contraria” delle distanze dal fulcro, fondamento per analizzare “Pesi eguali” in equilibrio o “Pesi diseguali” in bracci proporzionali. Salv. propone una dimostrazione alternativa a quella archimedea, partendo dall’“equilibrio” di “braccia eguali” per estenderlo a casi complessi, introducendo figure geometriche come “un Prisma, ò Cilindro solido” sospeso. Il testo accenna anche a una gerarchia storica: “concediamo il primato nel tempo” ad Aristotele, ma “nella fermezza della dimostrazione” si privilegia Archimede, cui si attribuisce la “maggior parte de gli altri strumenti Mecanici”.


Note

Struttura dialogica

Le frasi sono attribuite a interlocutori identificati da sigle (Sagr., Salv., Simp.) in un contesto che evoca i Discorsi galileiani: domande, obiezioni e dimostrazioni si susseguono senza soluzione di continuità.

Temi minori

Equilibrio dei gravi e proporzionalità delle distanze: dimostrazione geometrica e applicazioni meccaniche

Dall’analisi statica di un prisma sospeso alla dinamica delle leve: principi di equivalenza e resistenza dei solidi.

Il blocco espone una dimostrazione sistematica del principio di equilibrio tra gravi sospesi, partendo dall’analisi di un prisma suddiviso in parti diseguali e sospeso mediante fili. Si enuncia che «la distanza gc alla cf sia come il Prisma db al Prisma da», stabilendo una proporzionalità inversa tra pesi e distanze dal fulcro, fondamento per la legge della leva. La trattazione si estende alla trasformazione delle figure («ridotti in due dadi, ò in due palle») senza alterare l’equilibrio, purché si conservi «la medesima quantità di materia», e culmina nella «general conclusione» che «due Pesi qualunque si siano fanno l’equilibrio da distanze permutatamente respondenti alle lor gravità».

Si introduce poi la distinzione tra considerazioni astratte («separate dalla materia») e concrete («congiunte con la materia»), evidenziando come la gravità dello strumento (ad esempio una leva) modifichi i momenti: «alla forza in b aggiunto il peso della Leva altererà la proporzione». La discussione si arricchisce di un’interlocuzione sulla distribuzione dei carichi, dove si precisa che «il momento [del sasso] è sempre minore dell’intero peso» e si dimostra come calcolare «qual parte sia del peso totale quella che vien sostenuta dal soggetto piano». Infine, si applicano i principi alla resistenza dei solidi, spiegando perché un prisma «sospeso per lungo sosterrà gravissimo peso», mentre «in traverso da minor peso assai potrà essere spezzato», in relazione al rapporto tra lunghezza e grossezza («la lunghezza cb alla metà della ba»).


Note

(1015–1024) Dimostrazione dell’equilibrio via suddivisione del prisma e sospensioni equivalenti. (1025–1027) Distinzione tra analisi astratta e concreta; introduzione del «momento, ò forza composta». (1028–1036) Interlocuzione sulla distribuzione dei pesi e calcolo dei momenti parziali. (1037–1043) Applicazione ai solidi frangibili: resistenza in funzione di geometria e carichi applicati.


Resistenza e rottura dei solidi: proporzioni geometriche e meccaniche

Dalle leggi del taglio trasversale alla crescita dei momenti: come lunghezza, larghezza e diametro determinano la tenuta di prismi e cilindri.

Sommario

Il blocco analizza la resistenza dei solidi (prismi e cilindri) alla rottura in relazione a dimensioni e orientamento, articolando tre principi fondamentali. Inizialmente si dimostra che un solido „più largo che grosso resister più all’esser rotto per taglio, che per piatto secondo la proporzione della larghezza alla grossezza“ (1057), dove la distanza del sostegno dalla linea di forza — „la metà della linea ca“ (1056) contro „la metà della bc“ — gioca un ruolo chiave: la resistenza varia in base al „momento della propria gravità“ (1058) e alla distribuzione delle „fibre, i filamenti o le parti tenaci“ (1068) nella base. Si passa poi a esaminare l’allungamento orizzontale, dove il momento di rottura cresce „in duplicata proporzione“ (1060) della lunghezza, poiché „congiunte i due accrescimenti delle lunghezze, e delle gravità“ (1061) il carico si amplifica come „i quadrati delle lunghezze“ (1062). Infine, a parità di lunghezza, la resistenza aumenta „in triplicata proporzione de i diametri“ (1065) delle basi: i cilindri più spessi oppongono una forza „tanto maggiore […] quanto il cerchio ef è maggiore del cd“ (1068), con le „due Leve“ (1069) — distanze tra forza applicata e semidiametri — che moltiplicano l’effetto. Emergono temi minori: il confronto tra prismi e cilindri (sesquialtera proporzione 1071), l’errore comune sul „diminuire della resistenza“ (1074) in solidi allungati (smentito in 1080), e l’analogia con „una corda lunghissima“ (1073) che regge meno peso se tesa longitudinalmente.

Note
Proposizioni citate

Sulla resistenza dei solidi: proporzioni, leve e geometria parabolica

Dall’analisi dei cilindri e dei prismi alla ricerca della figura di resistenza uniforme: un dialogo tra meccanica, matematica e ingegno pratico.

Il blocco esamina la resistenza dei solidi (cilindri, prismi, travi) sottoposti a forze esterne, distinguendo due scenari: il sostegno alle estremità e il sostegno in un punto intermedio. Si parte dall’osservazione che un cilindro sostenuto alle estremità può raggiungere una lunghezza doppia rispetto a uno fissato a un solo termine, poiché „la sua metà ab esser la somma lunghezza potente à sostenersi stando fissa nel termine b, nell’istesso modo si sosterrà, se posata sopra ’l sostegno g sarà contrappesata dall’altra sua metà bc“ (1194). La discussione si sposta poi sulla variazione della forza necessaria a rompere il solido a seconda del punto di applicazione: si dimostra che „quando il ginocchio […] sia posto, ò non posto nel mezo, fà tal diversità, che di quella forza, che basterebbe per far la frazzione nel mezo, dovendola fare in qualche altro luogo tal volta non basterà l’applicarvene quattro volte tanto, nè dieci, nè cento, nè mille“ (1207). La proporzione delle resistenze segue una legge geometrica precisa, espressa attraverso i „rettangoli fatti dalle distanze di essi luoghi contrariamente presi“ (1222), che porta a definire una relazione matematica tra forze, distanze e punti di rottura.

Emergono temi minori ma rilevanti: la critica alla trattazione aristotelica delle leve, giudicata insufficiente perché „non cerca altro, se non di render la ragione, perche manco fatica si ricerchi à romperlo, tenendo le mani nell’estremità“ (1201); l’elogio della geometria come strumento „il più potente […] per acuir l’ingegno“ (1212), contrapposta alla logica, incapace di „destar la mente all’invenzione“ (1216); l’applicazione pratica dei principi teorici, come l’alleggerimento delle travi „con notabile […] utile non piccolo“ (1236) nei „travamenti di grandi stanze“ o nei „Navilii grandi“ (1268). La sezione culmina nella proposta di un solido a „figura tale, che in tutte le sue parti sia egualmente resistente“ (1237), ottenibile mediante un „taglio“ guidato da una „linea Parabolica“ (1257). Tale solido, privato di „la terza parte“ (1254) del materiale originale, conserva invariata la resistenza pur riducendo il peso, come dimostrato attraverso il lemma sulle leve e la proporzionalità tra distanze e forze. La parabola si rivela così la chiave per conciliare „leggerezza“ e „gagliardia“ (1268), risolvendo un problema „assai notabile, e vaga“ (1239) che unisce teoria e utilità concreta.


Note

Dimostrazione per assurdo dell’uguaglianza tra il triangolo misto e la terza parte del rettangolo cp

Confutazione geometrica di un’ipotesi errata mediante proporzioni, lemmi archimedei e confronto tra figure inscritte e circoscritte alla parabola.


Sommario

Il blocco espone una dimostrazione articolata in due fasi: dapprima si nega che il “triangolo misto sia manco del terzo del rettangolo” cp, confutando l’ipotesi avversaria con un ragionamento per assurdo che coinvolge una “figura circoscritta” e il “Lemma d’Archimede”. Si afferma che “ella è più della terza parte”, ma anche che “resterà pur ancora minore della terza parte del rettangolo medesimo cp”, generando una contraddizione che invalida l’assunto iniziale. La seconda fase esclude invece che il triangolo “sia più” della terza parte: introducendo uno “spazio x” come eccesso e suddividendo il rettangolo in “rettangoli sempre eguali”, si mostra che la “figura inscritta” — composta di “rettangoletti” proporzionali ai “Quadrati delle linee” — non può superare la misura stabilita, poiché “tutto l’aggregato de i massimi […] è più che triplo dell’aggregato de gli eccedentisi”. La conclusione sinteticamente afferma che il triangolo “non è nè maggiore, nè minore”, dunque “è eguale” alla terza parte di cp.

Il tema minore riguarda il riferimento a metodi alternativi di quadratura della parabola, citando “Archimede” e “Luca Valerio”, le cui dimostrazioni — “diversissimi progressi” ma “egualmente vere” — sono paragonate a quelle dell’“Accademico” (Galileo). Si accenna anche alla “diversità de i Metodi” e alla “sesquiterza del triangolo inscrittogli”, senza però approfondire le implicazioni teoriche.


Note

1284–1300

Le frasi 1284–1300 sviluppano la dimostrazione principale, con citazioni dirette da dialoghi tra Salv. (Salviati) e Sagr. (Sagredo). Le proporzioni tra “Quadrato della linea da” e “Quadrato della zg” (1293) e la struttura “come i Quadrati delle linee” (1294) sono centrali per il confronto tra figure.

1301–1310

Le frasi 1301–1310 introducono il tema collaterale delle dimostrazioni storiche, con riferimenti a “libro […] del Centro della gravità de i solidi” (1303) e alla “diversità de i Metodi” (1309). La frase “Bella, e ingegnosa dimostrazione” (1302) funge da transizione tra le due sezioni.


Proporzioni di resistenza tra canne cave e cilindri pieni: dimostrazioni geometriche e applicazioni meccaniche

Confronti tra solidi a sezione cava e piena, con analisi delle leve e dei diametri per determinare la robustezza relativa in condizioni di lunghezza e materiale identici.


Sommario

Il blocco definisce un’analisi comparativa tra la resistenza alla rottura di una canna cava e un cilindro pieno, partendo dal principio che „la resistenza della canna ae all’esser rotta alla resistenza del Cilindro solido ha la medesima proporzione che il Diametro ab al Diametro il“. La dimostrazione si basa sull’uguaglianza delle basi circolari: il cerchio del cilindro pieno corrisponde alla „ciambella“ (anello) della canna, ma la „parte della Leva“ (linea be) e la „contralleva“ (diametro ab) conferiscono alla canna un vantaggio proporzionale all’eccesso del suo diametro esterno. Si stabilisce così che „la resistenza della canna superar quella del Cilindro solido secondo l’eccesso del Diametro ab sopra ’l Diametro il“, a parità di „materia, peso, e lunghezza“.

Il discorso prosegue estendendo il ragionamento a „tutte le canne, e Cilindri solidi egualmente lunghi; benche in quantità di peso diseguali“, introducendo un metodo per „trovare un Cilindro pieno eguale“ a una canna data. Attraverso costruzioni geometriche (applicazione di linee come „ae egual’ al Diametro cd“ e congiunzione di punti), si dimostra che „il Cerchio, il cui Diametro sia eb, sarà egual’ alla Ciambella acbd“, consentendo di derivare un cilindro equivalente. La proporzione finale tra le resistenze viene ricavata tramite „quarta proporzionale“ (linea v), concludendo che „la resistenza della canna ae à quella del Cilindro rm, esser come la linea ab alla v“. Il blocco si chiude con l’annuncio di „Scienzia nuova“ sui „movimenti locali“, segnalando un passaggio a temi dinamici.


Note

Riferimenti geometrici
Ambito terminologico

Transizione dal moto uniforme al moto accelerato: dubbi e dimostrazioni empiriche

Dall’astrazione matematica alla verifica sperimentale: come un grave passa dalla quiete alla velocità

Sommario

Il blocco descrive il passaggio concettuale dal moto equabile al moto naturalmente accelerato, con particolare attenzione alle obiezioni sollevate sulla definizione teorica e sulla sua corrispondenza con i fenomeni osservati. Si evidenzia la difficoltà di conciliare l’idea di una “velocità che cresce secondo il tempo” — con gradi “così piccoli […] che non harebbe passato un miglio in un’ora, ne in mille” — con la percezione sensoriale di un “grave cadente [che] vien subito con gran velocità”. La discussione si articola attorno a due poli: da un lato, la definizione astratta di “moto accelerato […] esercitato da i mobili gravi descendenti” (1349), dall’altro, la sua verifica empirica attraverso esperimenti con “materia cedente” (1362) e la misurazione degli effetti della percossa, dove “la velocità del percuziente” (1362) diventa indice quantificabile. Emergono temi minori come il ruolo dell’“immaginazione” (1359) nel comprendere fenomeni controintuitivi e l’uso della “proporzione” (1358) come strumento per analizzare l’infinita suddivisione del tempo e della velocità. Le obiezioni di Sagredo — “scrupoli, che mi perturbano la mente” (1352) — fungono da stimolo per una dimostrazione che, partendo dall’osservazione di “impeti […] lentissimi” (1361), mira a riconciliare teoria e senso comune.

La struttura dialogica rivela una progressione metodologica: dalla formulazione di dubbi (“se tal definizione […] si adatti, convenga, e si verifichi” – 1351) alla proposta di esperimenti concreti (“quanta sia la velocità […] lo potremo conietturare dalla qualità della percossa” – 1363), fino alla confutazione delle apparenti contraddizioni. L’esempio del “Mazzo” (1364) che affonda un palo a profondità variabili in base all’altezza di caduta serve a mostrare come “l’effetto sarà più e più grande, secondo che […] la velocità […] sarà maggiore” (1362), offrendo una base tangibile per validare la teoria. La tensione tra “definizione arbitraria” (1351) e “esperienza” (1360) si risolve in un processo dinamico, dove le difficoltà iniziali — “accidente, al quale […] mal agevolmente s’accomodi l’immaginazione” (1359) — vengono superate attraverso un ragionamento che integra matematica e osservazione.


La necessità delle conoscenze geometriche per lo studio delle parabole nel moto dei proietti

Un dialogo sulle premesse matematiche irrinunciabili per comprendere le traiettorie paraboliche


Sommario

Il blocco delinea una pausa nel ragionamento per affrontare un nodale deficit di prerequisiti geometrici: i partecipanti al dialogo riconoscono che la comprensione delle “linee descritte dal proietto”, identificate come “paraboliche”, richiede una “perfetta intelligenza” delle “passioni” delle sezioni coniche, in particolare “quelle che per la presente scienza son necessarie”. Sagredo ammette di non padroneggiare “le cognizioni” di Apollonio, pur avendole “supposte per una volta tanto” in passati discorsi, mentre Simplicio confessa che “gli stessi primi termini” del tema gli appaiono “come nuovi”, poiché i filosofi tradizionali si limitarono a definire le traiettorie come “linee curve”, senza approfondirne la natura. Salviati propone allora una soluzione pragmatica: dimostrare “due passioni principalissime della parabola”“senza veruna altra precognizione” — estraendole direttamente dalla “pura e semplice generazione” della figura, così da “abbreviare assai il viaggio” rispetto al metodo di Apollonio, giudicato “lungo”.

Il testo passa quindi a enunciare la prima proposizione, incentrata sul rapporto tra i quadrati delle ordinate di una parabola (“il quadrato della bd al quadrato della fe”) e le corrispondenti porzioni dell’asse (“la parte ae”), derivato dalla sezione di un cono con un piano parallelo al lato. La dimostrazione si basa su proporzioni tra rettangoli generati da diametri e segmenti (“il rettangolo idk al rettangolo geh”), concludendo che “il quadrato bd al quadrato fe ha la medesima proporzione che l’asse da alla parte ae”. La seconda proposizione, solo accennata, riguarda la tangente alla parabola in un punto, affermando che una retta condotta per “i punti d, b” “non cade dentro alla parabola, ma fuori”, “toccandola solamente nell’istesso punto b”.


Note

Struttura del blocco
Citazioni chiave

Misura e composizione degli impeti nei moti naturali e proiettivi

Dall’accelerazione uniforme alla dinamica del colpo: proporzioni, geometria e resistenza dei corpi.

Il blocco definisce un sistema teorico per quantificare l’impeto nei moti naturali e composti, partendo dall’osservazione che «la velocità de i gravi naturalmente descendenti […] serbano l’istesso tenore» (1564) e che tale velocità cresce «secondo la proporzione de i tempi» (1568), non degli spazi. L’autore stabilisce come unità di misura l’impeto acquisito da un grave in caduta da un’altezza arbitraria (es. «una picca»), dove «il tempo di tal caduta sia 4 minuti secondi d’ora» (1568), e dimostra che l’impeto in altri punti si ricava tramite «la media proporzionale» (1569) tra altezze o tempi, non da rapporti lineari. La trattazione si estende alla composizione di moti: quando due impeti (orizzontale e perpendicolare) sono «equabili», l’impeto risultante è «in potenza equale ad amendue» (1576) e si calcola come «radice del quadrato» (1579) delle componenti (es. «3 e 4 […] fanno 25 […] la radice è 5»); se invece il moto perpendicolare è «naturalmente accelerato», la traiettoria diventa «semiparabolica» (1582) e l’impeto in un punto dipende dal «tempo decorso» (1583), poiché «la velocità cresce con la medesima proporzione che cresce il tempo» (1574). Il discorso si chiude con l’analisi della «percossa», dove la forza non dipende solo dalla «velocità del proietto», ma anche dalla «condizione di quello che riceve la percossa» (1591): l’efficacia è massima se il corpo percosso «interamente si oppone» (1594), nulla se «cede senza resistenza» (1592), e variabile se la resistenza è «obbliqua» (1596). Emergono temi minori: l’impossibilità di un moto «orizontalmente […] di punto bianco» (1618) senza elevazione, paragonata alla «curvità» inevitabile di una «corda tesa» (1621); la simmetria degli impeti nelle «elevazioni distanti egualmente dalla media» (1613); la distinzione tra «forza del percuziente» e «qualità della materia» (1596) del corpo percosso.


Note

Il blocco si colloca in un contesto pre-newtoniano: l’impeto è trattato come grandezza misurabile tramite proporzioni geometriche (medie proporzionali, radici quadrate) e tempi, senza riferimento esplicito a massa o energia. Le citazioni in latino («per tale uso», «v. g.») sono tradotte in nota: «per questo scopo» (1564); «per esempio» (1577, 1593). Le frasi 1598–1626 (dialogo tra Sagredo e Salviati) sono escluse in quanto fuoriescono dalla trattazione sistematica.


Dimostrazione geometrica dei centri di gravità in un conoide parabolico: proporzioni, eccessi e bilance

Proprietà delle figure inscritte e circoscritte e determinazione analitica delle distanze dei loro baricentri mediante rapporti segmentari e meccanica razionale.


Sommario

Il blocco espone una dimostrazione articolata sulla localizzazione dei centri di gravità in un conoide parabolico, servendosi di figure geometriche inscritte e circoscritte compostite da cilindri. La trattazione si fonda su relazioni proporzionali tra segmenti e volumi, come evidenziato da passaggi chiave: „ae è tripla della en“ (1692, 1698) e „an è la terza parte di ae e la sesta parte di au“ (1694), che stabiliscono rapporti costanti tra le parti divise dell’asse. Vengono introdotti concetti di eccesso uniforme tra cilindri contigui, definito come „gli eccessi sono eguali al cilindro minimo“ (1695, 1706), e di equivalenza tra anelli e cilindri (l’anello st è eguale al cilindro xe – 1709), strumentali a dimostrare la disposizione simmetrica dei baricentri su una „bilancia“ ideale (1710-1711).

La seconda parte del blocco estende il ragionamento a una „altra dimostrazione“ (1703) che ripropone la suddivisione dell’asse (co sia doppia di od – 1703) e la comparazione tra figure tramite piani secanti. Qui, la meccanica razionale entra in gioco con l’uso di „bilance“ (1710) e punti di equilibrio (fy starà a yk come ky a ym – 1711), per provare che „il centro di gravità y della figura inscritta è più vicino del punto o alla base“ (1712), mentre quello della figura circoscritta „è più distante del punto o“ (1715). Il testo culmina nella tesi generale: „il centro di gravità di un conoide parabolico divide l’asse in modo tale che la parte verso il vertice è doppia della rimanente“ (1718), sintesi delle proporzioni ricorrenti (an sia doppia di nb – 1719).


Note

Rapporti segmentari ricorrenti
Strumenti dimostrativi

Dimostrazione per assurdo della posizione del centro di gravità in un conoide parabolico

Tra geometria delle proporzioni e meccanica dei solidi: l’equilibrio impossibile al di fuori di un punto critico

Il blocco espone una dimostrazione rigorosa, condotta per absurdum, volta a stabilire che il centro di gravità di un conoide parabolico coincida necessariamente con un punto specifico dell’asse, identificato come n. La strategia argomentativa si articola in due fasi simmetriche: prima si esclude che il centro possa trovarsi „al di sotto“ di n (1720–1729), poi „al di sopra“ (1730–1734), per concludere che „resta dunque che esso debba necessariamente trovarsi proprio in n“ (1734). Il ragionamento si basa sulla costruzione di figure ausiliarie (inscritte e circoscritte al conoide) e sull’analisi delle proporzioni tra solidi, linee e eccessi, dove „la figura inscritta avrà, rispetto al suddetto eccesso, una proporzione maggiore della proporzione di bx ad so“ (1722) e „il centro di gravità delle rimanenti porzioni […] si troverà sulla linea xm“ (1726), generando una contraddizione geometrica (il che non è certamente possibile 1728).

La seconda parte estende la dimostrazione a un conoide „intersecato da un piano non perpendicolare all’asse“ (1734) e generalizza il risultato, affermando che il centro di gravità „va a cadere tra il centro della figura circoscritta e il centro di quella inscritta“ (1735). Le frasi finali (1747–1749) introducono un corollario proporzionale: il punto n divide l’asse „in modo che la parte verso il vertice sia doppia della rimanente“ (1747), mentre le relazioni tra linee proporzionali (1749–1753) servono a „dimostrare che mn è la terza parte della ab“ (1751), suggellando il legame tra proprietà geometriche e meccaniche. Tematiche minori includono l’uso sistematico di „figure [costituite] da cilindri“ (1721) per approssimare il conoide e la riduzione dell’errore (l’eccesso, per il quale [la figura] viene superata dal conoide, sia minore del solido r“ 1721), nonché la ripetuta invocazione dell’impossibilità (il che è impossibile 1742) come leva logica.


Dimostrazione geometrica del centro di gravità in un frusto di conoide parabolico

Dalla proporzionalità delle sezioni alla localizzazione esatta del baricentro lungo l’asse

Il blocco espone una dimostrazione analitica, condotta mediante proporzioni e relazioni tra segmenti, per determinare la posizione del centro di gravità in un frusto di conoide parabolico. Il ragionamento si articola attraverso una serie di passaggi deduttivi che legano lunghezze, aree e rapporti derivati da sezioni piane del solido, con particolare attenzione alla suddivisione dell’asse in parti proporzionali alle basi. Emergono temi minori come l’uso della proporzione perturbata (ex aequali, in proporzione perturbata), la composizione di rapporti (componendo) e la conversione delle proporzioni (per conversione della proporzione), strumenti ricorrenti per derivare relazioni tra grandezze. La dimostrazione culmina nell’affermazione che il baricentro divide l’asse in modo che la parte verso la base minore avrà rispetto alla parte verso la base maggiore la medesima proporzione che la base maggiore ha rispetto alla base minore (1763), principio poi applicato a un caso specifico attraverso la costruzione ausiliaria di segmenti proporzionali (1765–1776).

Il testo include anche un’accenno a un problema di equilibrio su una bilancia (1778–1779), presentato come corollario o esempio parallelo, in cui grandezze disposte secondo una legge multiplicativa determinano una divisione tripla della leva. La struttura argomentativa si basa su catene di uguaglianze (come qi sta a iy, così ns ad sx, 1769) e sulla manipolazione algebrica di rapporti, con frequenti riferimenti a triplo, doppio e sestuplo come multipli chiave. La conclusione ribadisce la validità della tesi iniziale (Il che è ciò che ci eravamo proposti, 1777), sottolineando l’eleganza della soluzione geometrica.


Riferimenti impliciti

Dimostrazione geometrica sul centro di gravità di coni e piramidi: approssimazione tramite cilindri e proporzioni

Procedura analitica per determinare la posizione del baricentro in solidi regolari mediante figure inscritte e circoscritte.


Il blocco espone un metodo per localizzare il centro di gravità di un cono o di una piramide sfruttando figure ausiliarie composte da cilindri di uguale altezza, inscritte e circoscritte al solido. La dimostrazione si articola in due fasi: dapprima si mostra che la distanza tra i baricentri delle figure approssimanti e un punto fisso sull’asse (diviso in rapporto 3:1 verso il vertice) può essere resa arbitrariamente piccola, come enunciato in „la linea compresa tra il centro di gravità della figura circoscritta e il centro di gravità di quella inscritta, sia minore di qualsiasi linea assegnata“ (1801). Si procedere poi per assurdo, ipotizzando che il baricentro del cono non coincida con tale punto e derivandone una contraddizione geometrica: „il piano condotto per r ed equidistante dalla base del cono non interseca le suddette porzioni“ (1805). La generalizzazione alla piramide chiude la prima parte, mentre un lemma sulle proporzioni continue (2823-2828) prepara il terreno per l’analisi del frusto di cono, dove il baricentro viene definito in relazione a basi e medi proporzionali.

Il testo combina argomenti di limite (riduzione dell’eccesso tra figure approssimanti), proporzionalità (quale è la proporzione che ac ha rispetto a k, tale sia anche la proporzione che il cilindro l ha rispetto al solido x – 1802) e proprietà baricentriche, con riferimenti impliciti a tecniche di esaustione. Le citazioni in greco, tradotte, rivelano un lessico tecnico legato a „eccesso“ (ὑπεροχή), „proporzione“ (λόγος) e „centro di gravità“ (κέντρον βάρους), centrali nella struttura logica. Il lemma finale (2823-2828) funge da ponte verso applicazioni a solidi troncati, introducendo relazioni tra segmenti in progressione geometrica.