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Galileo - Dialogo sopra due nuove scienze - Lettura | 22d


Frontespizio, dedica e prefazione dell’opera

Informazioni editoriali, atto di omaggio al dedicatario e presentazione dell’opera e del suo autore da parte dello stampatore.

Il blocco comprende il frontespizio con i dettagli dell’edizione, la lettera dedicatoria a Galileo Galilei e la sezione introduttiva dello stampatore. Il frontespizio identifica l’opera, l’autore, l’editore e l’anno di pubblicazione. Nella dedica, Galileo spiega le circostanze della pubblicazione, “confuso et sbigottito da i mal fortunati successi di altre mie Opere”, e ringrazia il Conte di Noailles per il suo intervento, affermando che “questi miei scritti, debbono risentirsi, per haver havuta la sorte, d’andar nell’arbitrio d’un si gran Giudice”. Lo stampatore, rivolgendosi ai lettori, celebra Galileo come un innovatore, “senza alcun contrasto, anzi con l’applauso et l’approbatione universale di tutti i periti”, e presenta le due nuove scienze, una delle quali è “intorno a un suggetto eterno, principalissimo in Natura… parlo del Moto Locale”. Viene menzionata anche l’utilità pratica della seconda scienza, relativa alla resistenza dei solidi.


Blocco 2: La resistenza dei materiali e il ruolo del vuoto

Analisi dei meccanismi di coesione nei solidi e della forza della natura nell’evitare il vuoto, con esperimenti per misurarne l’effetto.

Sommario

Il discorso verte sulla resistenza alla separazione delle parti di un corpo, inizialmente esaminata nelle funi, dove “le fila esser talmente trà di loro scambievolmente compresse” da spiegare la loro tenacia. Si propone che questa coesione dipenda da due cause principali: “quella decantata repugnanza che hà la natura all’ammettere il vacuo” e l’esistenza di un “glutine, visco ò colla” tra le particelle. Per isolare l’effetto del vuoto, si descrive un esperimento con un cilindro d’acqua, poiché in essa manca “ogni altra resistenza alla separazione fuor che di quella del Vacuo”. Viene quindi spiegato come, una volta misurata la forza del vuoto, si possa calcolare la lunghezza massima di un filo di rame o di altre materie solide prima che, gravato dal proprio peso, “più non potrebber reggersi, mà si strapperebbero”. Si osserva che l’acqua in una tromba non può essere sollevata oltre “diciotto braccia”, limite oltre il quale “il suo già fatto soverchio peso non altrimente che se fusse una corda, si strappa”. Per le particelle minime dei solidi, si avanza l’ipotesi che la coesione possa essere dovuta a “minutissimi Vacui”, poiché “se bene tali Vacui sarebber piccolissimi”, la loro “innumerabile moltitudine innumerabilmente multiplica le resistenze”.


Blocco 3: Discussione sugli Infiniti e la Divisibilità del Continuo

Un’indagine dialettica sulla natura dell’infinito matematico e sulla composizione del continuo, attraverso paradossi e argomenti logici.

Il sommario affronta la difficoltà di concepire un infinito maggiore di un altro infinito, come nel caso dei punti in linee di lunghezza diversa. Si conclude che gli attributi di “maggiore”, “minore” o “uguale” non hanno luogo negli infiniti, poiché, ad esempio, “i numeri quadrati siano quanti tutti i numeri”, nonostante i quadrati siano solo una parte dei numeri. Un altro tema minore è l’impossibilità di un infinito maggiore di un finito, poiché “l’andar’ verso numeri sempre maggiori, e maggiori è un discostarsi dal numero infinito”. La discussione si sposta poi sulla divisibilità del continuo, respingendo l’idea che esso sia composto da un numero finito o infinito di parti quanti e proponendo invece che le parti siano “tante che rispondono ad ogni segnato numero”. Viene infine introdotta l’idea che i fluidi possano essere composti da “minimi… indivisibili”, a differenza dei solidi composti da parti quanti, per spiegare la loro mancanza di consistenza e la loro trasparenza.


Titolo 4

La dimostrazione geometrica del cerchio dei rapporti costanti e la riduzione all’atto delle parti infinite.

Si dimostra l’esistenza di un cerchio i cui punti mantengono un rapporto costante tra le linee tracciate da due punti fissi, per poi affrontare il concetto di infinito nella divisione di una linea.

Sommario

Il testo inizia con una dimostrazione geometrica che definisce un cerchio, i cui punti mantengono un rapporto costante tra le linee che li congiungono a due punti fissi esterni. Viene affermato: “Dico, questo esser il cerchio ricercato, à qualsivoglia punto della circonferenza del quale ogni coppia di linee, che vi concorrano partendosi da i termini a b, haranno la medesima proporzione trà di loro che hanno le due parti ac, bc”. La dimostrazione procede provando questa proprietà per punti specifici sulla circonferenza, come il punto g, e per un punto generico h, concludendo che “come ac à cb, così essere ah ad hb”. Viene inoltre dimostrata l’impossibilità che linee con la stessa proporzione si incontrino in punti esterni o interni al cerchio, poiché “il concorso non può cader fuor del cerchio” e “non poter cader dentro, adunque tutti i concorsi cascano nella circonferenza stessa”.

Successivamente, il discorso si sposta su un tema filosofico-matematico riguardante la natura delle parti di una linea. Si contesta l’idea che “il risolver la linea ne suoi infiniti punti non è non solamente impossibile, mà nè meno hà in sé maggior difficoltà che ’l distinguere le sue parti quante”. Si introduce un argomento per analogia: se piegare una linea per formare un quadrato o un poligono significa rendere “attuate” le sue quattro o cento parti, allora piegarla per formare un cerchio, un “poligono di lati infiniti”, dovrebbe allo stesso modo ridurre all’atto le sue “parti infinite”. La conclusione è espressa con una domanda retorica: “quando io la infletta nella circonferenza d’un cerchio, non potrò io con pari licenza dire d’haver ridotto all’atto quelle parti infinite, che voi prima, mentre erà retta, dicevi esser in lei contenute in potenza?”.


Teorema 5: Proprietà dei Poligoni Regolari e del Cerchio

Un cerchio come medio proporzionale tra poligoni simili, circoscritti e isoperimetrici, e la relazione tra il numero dei loro lati e la loro area.

Il blocco espone un teorema geometrico che definisce il cerchio come medio proporzionale tra due poligoni regolari simili, di cui uno è circoscritto al cerchio e l’altro è isoperimetrico ad esso. Si afferma che “Il cerchio è medio proporzionale trà qualsivoglino due Poligoni regolari tra di loro simili, de i quali uno gli sia circoscritto e l’altro gli sia isoperimetro”. Viene inoltre dimostrato che, tra i poligoni circoscritti allo stesso cerchio, quelli con meno lati sono maggiori di quelli con più lati, mentre, tra i poligoni isoperimetrici, quelli con più lati sono maggiori. La dimostrazione procede attraverso un esempio specifico che confronta un pentagono e un ettagono, concludendo che “il Pentagono circoscritto harà maggior proporzione al Cerchio che non gli hà l’Ettagono: e però il Pentagono sarà maggior dell’Ettagono” e, per i poligoni isoperimetrici, che “il Pentagono è minore dell’isoperimetro Ettagono”.


Confutazione della teoria aristotelica del moto 6

Osservazioni sperimentali e ragionamenti che invalidano la dottrina per cui velocità di caduta e gravità sono proporzionali.

Il dialogo confuta la teoria aristotelica del moto dei gravi. Viene dimostrato che mobili di diversa gravità non si muovono nel medesimo mezzo con velocità proporzionali alle loro gravità, ma con velocità eguali, almeno per corpi della stessa materia. Si porta l’esempio di due palle, una di legno e una più grave, che nell’aria si muoverebbero con la stessa velocità, contraddicendo il Filosofo. Viene inoltre negato che lo stesso mobile in mezzi di diversa resistenza osservi nella velocità la proporzione delle cedenze di tali mezzi. L’argomento, si conclude, “non conclude nulla contro al Vacuo”.

Vengono infine introdotti i quesiti sulle proporzioni effettive che regolano il moto. L’attenzione si sposta sull’osservazione combinata dei due fenomeni: si nota che le diseguaglianze di velocità sono maggiori nei mezzi più resistenti. Si citano casi estremi: “nell’acqua l’uno si moverà dieci volte più veloce dell’altro” e, al contrario, un corpo che nell’aria cade velocemente “nell’acqua non solo non scenderà, mà resterà del tutto privo di moto, e, quel che è più, si moverà all’in sù”, come certi legni.


Blocco 7: Principi della resistenza del mezzo e velocità di caduta

Analisi teorica e matematica della caduta dei gravi in mezzi resistenti, con esempi pratici e confutazione della teoria aristotelica.

Il testo stabilisce il principio che, in assenza di resistenza, tutti i corpi cadrebbero con la stessa velocità. La differenza osservata nei mezzi resistenti, come l’aria o l’acqua, è attribuita alla diversa proporzione con cui il mezzo “detrae” dalla gravità intrinseca del corpo. Viene proposto un metodo di calcolo per determinare le velocità relative, basato sul confronto tra la gravità del corpo e quella del mezzo: “l’acqua alle assolute velocità loro, che sarebbero eguali, toglie al piombo la duodecima parte, mà all’avorio la metà”. Questo modello, illustrato con esempi numerici come il piombo, l’ebano e l’avorio, si contrappone esplicitamente alla fisica aristotelica, poiché “l’esperienze molto più aggiustatamente risponder à cotal computo che à quello d’Aristotele”. Viene inoltre esteso il ragionamento per confrontare la velocità dello stesso corpo in mezzi diversi, considerando “gli eccessi di gravità del Mobile sopra le gravità de i mezzi”. Il blocco si conclude con una considerazione sull’importanza di conoscere il peso specifico dell’aria e un’ipotesi scettica sulla sua eventuale leggerezza, definita “aerei, leggieri, e vani”.

Riferimenti

(722), (723), (724), (725), (726), (727), (728), (729), (730), (731), (732), (733), (734), (735), (736), (737), (738), (739), (740), (741), (742), (743), (744)


Blocco di Testo 8

Un esperimento con pendoli di diverso materiale per indagare l’eguaglianza delle velocità di caduta, nonostante le differenze di peso, e le obiezioni sulla disparità osservata nel moto di corpi di diversa dimensione nello stesso mezzo.

Sommario

Il blocco descrive un esperimento ideato per osservare il moto di gravi di peso differente, utilizzando due pendoli, uno di piombo e uno di sughero, sospesi con fili della stessa lunghezza. L’autore riferisce che, nonostante la differenza di peso, i due pendoli compiono le loro vibrazioni in tempi eguali, poiché “camminano con passo egualissimo”. Viene anche notato l’effetto del mezzo, che smorza più le oscillazioni del sughero, ma senza alterare l’isocronismo delle vibrazioni. Segue una discussione tra i personaggi per chiarire come la velocità dei due mobili possa considerarsi uguale nonostante percorrano archi di ampiezza diversa in tempi uguali; si conclude che “le velocità loro sian sempre eguali” quando confrontate per lo stesso arco, anche se la velocità assoluta diminuisce con il diminuire dell’ampiezza dell’arco. Viene poi sollevata un’obiezione riguardante la “sensate, et apparenti disegualità di moto” osservabile tra corpi della stessa materia ma di dimensioni diverse, come una palla d’artiglieria e della minuta rena, dove i corpi più piccoli sono ritardati in modo sproporzionato dal mezzo. In risposta, si avanza l’ipotesi che la causa di questo fenomeno non sia la gravità intrinseca, ma “la scabrosità, e porosità, che comunemente… si ritrova nelle superficie de i corpi solidi”, le quali, urtando contro l’aria, producono un ronzio e ritardano il moto in misura maggiore per i corpi con una superficie più grande rispetto alla loro massa.


Il Problema della Risonanza e delle Consonanze

Esempio che dichiara l’intento di rendere la ragione del maraviglioso problema della corda della Cetera, che muove e fa realmente sonare quella all’unisono, all’ottava e alla quinta.

Il sommario tratta del fenomeno della risonanza, per cui una corda vibrante induce il moto in altre corde unisono o in altri corpi, come un bicchiere di vetro, disposti a vibrare “sotto ’l medesimo tempo”. Viene descritto l’“ondeggiamento” che si distende per l’aria e l’esperimento con l’acqua in un bicchiere, dove si osservano “gl’increspamenti nell’acqua regolatissimi” e, quando il tuono salta all’ottava, si vede “ciascheduna delle dette onde dividersi in due”. Si introduce poi il dubbio sulle forme tradizionali delle consonanze, poiché “non mi pareva che la ragione, che comunemente se n’adduce da gli autori… fusse concludente à bastanza”. Vengono esaminate le tre maniere di inacutire il tuono di una corda: scorciarla, tenderla di più o assottigliarla, notando che per ottenere l’ottava, a parità di lunghezza e grossezza, “non basta tirarla il doppio più, mà ci bisogna il quadruplo”. La soluzione all’ambiguità viene trovata non nelle proprietà fisiche della corda, ma nella “proporzione de i numeri delle vibrazioni, e percosse dell’onde dell’aria”, resa visibile dalle “onde permanenti” nel bicchiere e, in modo più stabile, dalle “virgolette sottili” lasciate da uno scarpello su una piastra di ottone durante le raschiate sibilanti. Si conclude che le consonanze più gradevoli, come l’ottava e la quinta, sono quelle in cui le percosse sull’orecchio avvengono con un ordine commensurabile, mentre le dissonanze derivano da “pulsazioni… innumerabili” e “sproporzionatamente colpeggiano sopra ’l nostro timpano”. L’ottava è grata perché “per ogni percossa che dia la corda grave su ’l timpano, l’acuta ne dà due”, mentre la quinta diletta perché “per ogni due pulsazioni della corda grave l’acuta ne dà tre”. Una dimostrazione visiva di questi principi è offerta dall’osservazione dei pendoli di diverse lunghezze, i cui “intrecciamenti vaghi” mostrano l’ordine delle consonanze e il disordine delle dissonanze.


Giornata Seconda 10

La discussione scientifica sulla resistenza dei corpi solidi e i principi meccanici fondamentali.

Viene ripresa l’indagine sulla resistenza dei solidi alla rottura, iniziata nella giornata precedente e interrotta da digressioni. Si osserva che la resistenza alla trazione è maggiore di quella alla flessione, come dimostra il fatto che “una verga per esempio d’acciaio, ò di vetro reggere per lo lungo il peso di mille libbre, che fitta à squadra in un muro si spezzerà con l’attaccargliene cinquanta solamente”. L’obiettivo è stabilire le proporzioni di questa resistenza in prismi e cilindri di materiale uguale ma di diversa figura e grossezza. La discussione si fonda sul principio della leva, per cui “la forza alla resistenza hà la proporzion contraria di quella, che hanno le distanze”. Viene contestata la priorità di Aristotele nella dimostrazione di questo principio, affermando che “nella fermezza della dimostrazione parmi che se gli deva per grand’intervallo anteporre Archimede”. Infine, si propone una dimostrazione alternativa a quella di Archimede, partendo dal solo principio che “Pesi eguali posti in bilancia di braccia eguali facciano l’equilibrio”, per giungere a una comprensione più completa degli equilibri.


Dimostrazione dell’Equilibrio e della Resistenza dei Corpi

Principi meccanici relativi all’equilibrio delle leve e alla resistenza dei materiali.

Sommario

Il testo stabilisce il principio per cui due pesi qualsiasi “fanno l’equilibrio da distanze permutatamente respondenti alle lor gravità”. Viene dimostrato che, in un sistema in equilibrio, le distanze dei pesi dal fulcro sono inversamente proporzionali ai pesi stessi, come affermato: “come la distanza gc alla distanza cf, così il Peso bd al Peso da”. Si introduce una distinzione tra la considerazione delle forze “in astratto, e separate dalla materia” e “in concreto, e congiunte con la materia”, poiché “la gravità ancora dello strumento stesso della Leva… altererà la proporzione”. Viene infine applicato il principio alla resistenza dei materiali, spiegando perché un prisma fissato a un muro “sospeso per lungo sosterrà gravissimo peso… mà in traverso… da minor peso assai potrà tal volta essere spezzato”. La rottura avviene perché “il momento della forza posta in c al momento della resistenza… hà la medesima proporzione, che la lunghezza cb alla metà della ba”. Si precisa che questa conclusione deve essere intesa “rimossa la considerazione del peso proprio del solido”, ma quando se ne tiene conto, “doviamo al peso e aggiugnere la metà del peso del solido bd”.


Blocco 12: Proprietà meccaniche di prismi e cilindri

Sulla resistenza alla rottura e i momenti delle forze in solidi di diverse dimensioni.

Sommario

Il testo inizia analizzando la resistenza di un prisma alla rottura, dimostrando che “resister più all’esser rotto per taglio, che per piatto secondo la proporzione della larghezza alla grossezza”. Si procede poi a investigare come, in un prisma o cilindro fissato parallelamente all’orizzonte, “il momento della propria gravità” cresca in relazione alla resistenza quando l’oggetto viene allungato. Si trova che questo momento “andar crescendo in duplicata proporzione di quella dell’allungamento”, ovvero che i momenti delle forze di prismi egualmente grossi ma di lunghezze diverse “esser trà di loro in duplicata proporzione di quella delle lor lunghezze, cioè esser come i quadrati delle lunghezze”. Viene quindi esaminato come, a parità di lunghezza, la resistenza alla rottura cambi con l’aumentare della grossezza. Si afferma che “ne i Prismi, e Cilindri egualmente lunghi, mà disegualmente grossi la resistenza all’esser rotti cresce in triplicata proporzione de i diametri delle lor grossezze”, poiché la resistenza assoluta che risiede nelle basi è proporzionale all’area del cerchio (proporzione doppia dei diametri), ma l’azione delle leve coinvolte introduce un’ulteriore proporzionalità al semidiametro, portando a una proporzione complessiva triplicata. Ne consegue che “le resistenze de i Cilindri egualmente lunghi esser trà di loro come i Cubi de i lor Diametri” e che “le resistenze de i Prismi, e Cilindri egualmente lunghi haver sesquialtera proporzione di quella de gli stessi Cilindri”, cioè dei loro pesi. Infine, attraverso un dialogo, viene sollevata e confutata l’idea che una corda più lunga sia intrinsecamente meno resistente di una corta quando usata per il lungo, sostenendo invece che, a parità di altre condizioni, la lunghezza non diminuisce la capacità di reggere un peso.


Resistenza dei solidi e taglio parabolico

Analisi della resistenza di prismi e cilindri sostenuti in punti diversi e ricerca di una forma a resistenza uniforme.

Il blocco esamina la resistenza alla rottura di cilindri e prismi quando sono sostenuti in punti diversi. Si dimostra che la forza necessaria per rompere un solido varia a seconda del punto di applicazione. Si introduce l’idea di un solido “egualmente resistente” in ogni sua parte e si determina che la forma che soddisfa questa condizione è delimitata da una superficie parabolica. Viene infine calcolato che, asportando il materiale secondo questo profilo, si ottiene un alleggerimento del solido pari a un terzo del suo peso, senza comprometterne la resistenza.

La resistenza di un cilindre sostenuto alle estremità è doppia rispetto a quando è incastrato in un solo punto: “il Cilindro… potrà esser lungo il doppio di quello, che sarebbe fitto nel muro, cioè sostenuto in un sol termine”. La forza necessaria per la rottura non è costante se applicata in punti diversi: “quella forza, ò peso, che applicato al mezo d’un Cilindro sostenuto nelle estremità basterebbe à romperlo, potrebbe far l’istesso effetto applicato in qualsivoglia altro luogo”. Si osserva anzi che, allontanandosi dal centro, la forza richiesta può crescere enormemente: “tal volta non basterà l’applicarvene quattro volte tanto, nè dieci, nè cento, nè mille”. Viene stabilita una proporzione geometrica per calcolare questa variazione: “le resistenze di detti due luoghi hanno fra di loro la medesima proporzione che i rettangoli fatti dalle distanze di essi luoghi contrariamente presi”.

Si affronta poi il problema di trovare una forma a resistenza uniforme. Viene proposto un solido la cui superficie è definita da una linea parabolica: “Dico tal solido esser per tutto egualmente resistente”. La dimostrazione si basa su un lemma riguardante le leve e le proporzioni delle distanze. Asportando il materiale in eccesso secondo questo profilo, il peso del solido diminuisce di una precisa quantità: “segando il Prisma secondo la linea Parabolica se ne leva la terza parte”. Questo risultato ha un’utilità pratica, specialmente nelle costruzioni navali, dove la leggerezza è essenziale: “con diminuzion di peso di più di trentatrè per cento si posson far i travamenti senza diminuir punto della loro gagliardia”.


Dimostrazione 14: L’uguaglianza del triangolo misto con un terzo del rettangolo

Dimostrazione geometrica concernente la quadratura della parabola e il confronto tra un triangolo misto e un rettangolo.

La sezione presenta una dimostrazione per assurdo che prova l’uguaglianza tra un triangolo misto e un terzo di un dato rettangolo. Si confuta l’ipotesi che il triangolo sia minore del terzo del rettangolo, poiché condurrebbe alla contraddizione per cui “la figura circoscritta è più della terza parte del rettangolo cp, mà era anche minore, il che è impossibile”. Analogamente, si confuta l’ipotesi che il triangolo sia maggiore, giungendo alla conclusione che “il triangolo misto non è nè maggiore, nè minore della terza parte del rettangolo cp, è dunque eguale”. Viene menzionato l’uso del Lemma d’Archimede e si stabilisce un collegamento con la quadratura della parabola, mostrandola “essere sesquiterza del triangolo inscrittogli”. Il dialogo successivo alla dimostrazione riconosce il valore del lavoro di Archimede e di Luca Valerio, definito “altro Archimede”, e accenna all’esistenza di metodi diversi per giungere alle stesse conclusioni.


Blocco 15: Resistenza di Cilindri Pieni e Tubi

Analisi comparativa della resistenza strutturale e metodo per determinare cilindri solidi equivalenti.

Il testo stabilisce che “la resistenza della canna ae all’esser rotta” ha con il cilindro solido “la medesima proporzione, che ’l Diametro ab al Diametro il”. Si spiega che, a parità di materiale, peso e lunghezza, “s’acquista dunque di robustezza nella canna vota sopra la robustezza del Cilindro solido secondo la proporzione de i Diametri”. Viene poi presentato un metodo per trovare “un Cilindro pieno eguale” a un tubo dato, descritto come “Facilissima è tal’ operazione”. La procedura, che sfrutta le proprietà geometriche del cerchio, permette di determinare “qual proporzione abbiano le resistenze d’una canna e di un cilindro, qualunque siano”. La dimostrazione conclude che “la resistenza della canna ae alla resistenza del Cilindro rm, hà la medesima proporzione, che la linea ab alla v”. Il blocco si chiude con l’annuncio della “Fine della seconda Giornata” e l’indicazione degli argomenti delle giornate successive: “Scienzia nuova altra, de i movimenti locali” e “Del violento, o vero de i proietti”.

Riferimenti


Discussione sulla definizione di moto naturalmente accelerato

Salviati, Sagredo e Simplicio esaminano la natura del moto accelerato dei gravi, sollevando obiezioni e risolvendo paradossi attraverso il ragionamento e l’esperienza sensibile.

Il blocco si apre con la transizione dall’analisi del “moto equabile” a quella del “moto naturalmente accelerato” dei gravi in caduta. Sagredo esprime i propri scrupoli sulla definizione proposta, chiedendosi “se tal definizione concepita, et ammessa in astratto; si adatti, convenga, e si verifichi in quella sorte di Moto accelerato, che i gravi naturalmente descendenti vanno esercitando”. Egli delinea quindi un paradosso: se un mobile acquista velocità proporzionalmente al tempo, avvicinandosi all’istante iniziale della partenza dalla quiete, la sua velocità dovrebbe diventare infinitesima, al punto che “non harebbe passato un miglio in un’ora, ne in un giorno, ne in un’anno, ne in mille”, un fatto che sembra contraddire l’evidenza sensibile di una caduta immediatamente veloce. Salviati riconosce questa come una difficoltà iniziale, poi superata proprio ricorrendo all’esperienza. Contrariamente all’impressione comune, argomenta che “i primi impeti del cadente, benche gravissimi, esser lentissimi, e tardissimi”. Per dimostrarlo, propone un esperimento mentale con un maglio che, lasciato cadere da altezze sempre minori, produce effetti sempre minori fino a diventare “operazione del tutto impercettibile” se sollevato “quanto è grosso un foglio”, concludendo che “Quanta dunque sia la velocità d’un grave cadente, lo potremo noi senza errore conietturare dalla qualità, e quantità della percossa”.


Blocco 17: Discussione sulla natura parabolica del moto dei proietti

Una pausa per le necessarie premesse geometriche sulla parabola.

Il blocco tratta della necessità di comprendere le proprietà della parabola per seguire le dimostrazioni sul moto dei proietti. Sagredo chiede una pausa, affermando di non avere una conoscenza approfondita di Apollonio e delle sezioni coniche, necessarie poiché “mi vo imaginando che… sia assolutamente necessario avere una perfetta intelligenza… di quelle che per la presente scienza son necessarie”. Simplicio conferma la propria ignoranza, notando che i filosofi trattano il moto dei proietti senza definirne la traiettoria, “salvo che assai generalmente sian sempre linee curve”. Salviati si offre quindi di abbreviare il percorso, dimostrando due “passioni principalissime di essa parabola… senza veruna altra precognizione”. La prima proposizione dimostra una proprietà fondamentale della parabola: “il quadrato della bd al quadrato della fe ha la medesima proporzione che l’asse da alla parte ae”. Viene poi introdotta una seconda proposizione necessaria per il trattato, riguardante una retta che tocca la parabola in un solo punto.


Blocco 18: Determinazione dell’impeto e composizione dei moti

Analisi della misurazione della forza nei moti naturali e composti, con applicazione al moto parabolico dei proietti e considerazioni sull’efficacia della percossa.

Il sommario tratta della ricerca di una misura universale per l’impeto, identificata nella velocità acquisita da un grave in caduta naturale. Si spiega che la velocità non cresce in proporzione allo spazio percorso, ma al tempo, e che lo spazio è in proporzione duplicata del tempo. Per determinare l’impeto in diverse altezze, si utilizza la linea media proporzionale tra le due distanze. Viene poi esaminata la composizione di moti: se entrambi i moti sono equabili, l’impeto risultante è “in potenza eguale ad amendue” e si calcola con la radice quadrata della somma dei quadrati delle rispettive velocità. Nel caso di un moto orizzontale equabile composto con uno verticale accelerato, la traiettoria è una parabola e l’impeto in un suo punto si determina considerando il tempo trascorso e calcolando la diagonale che rappresenta la composizione dei due impeti. Si aggiunge che l’efficacia della percossa non dipende solo dalla velocità del proietto, ma anche dalla resistenza e dalla posizione dell’oggetto colpito: “se il colpo arriverà sopra tale che ceda alla velocità del percuziente senza resistenza alcuna, tal colpo sarà nullo”. La massima percossa si ha quando il percosso “nulla ceda, ma interamente si opponga”. Infine, si osserva che l’impeto massimo per un proietto si ha quando la percossa è ricevuta perpendicolarmente alla tangente della parabola in quel punto.


Determinazione del Centro di Gravità in un Conoide Parabolico 19

Sulla collocazione del baricentro in figure solide inscritte e circoscritte a un conoide.

Il testo tratta della determinazione del centro di gravità per figure solide inscritte e circoscritte a un conoide parabolico. Viene dimostrato che, per la figura inscritta, il centro di gravità “si trova sulla linea od”, mentre per quella circoscritta “si trova sulla co”. Le dimostrazioni si basano su rapporti geometrici e proprietà dei cilindri costituenti le figure, come l’affermazione che “i cilindri sn, qn, pn, ln si eccedono egualmente”. Un tema minore è l’uso di una bilancia teorica per l’analisi dell’equilibrio, dove “su di essa si trovano altre grandezze, le quali sono eguali in numero e grandezza a quelle che si trovano sulla bilancia fk”. Il risultato fondamentale è che “il centro di gravità di un conoide parabolico divide l’asse in modo tale che la parte verso il vertice è doppia della rimanente parte verso la base”.


Determinazione del Centro di Gravità di un Conoide Parabolica 20

Dimostrazione per assurdo della collocazione del centro di gravità in un punto specifico dell’asse di un conoide parabolico.

Sommario

Il blocco presenta una dimostrazione geometrica rigorosa che il centro di gravità di un conoide parabolico coincide con un punto preciso n sul suo asse. La prova procede per assurdo, escludendo inizialmente l’ipotesi che il centro si trovi al di sotto di n. Si considera una figura solida inscritta nel conoide, il cui centro di gravità i è tale che “la linea compresa tra il centro di gravità di essa [figura] e il punto n sia minore della linea ls”. Il ragionamento conduce alla conclusione che il centro di gravità delle porzioni eccedenti dovrebbe cadere in un punto m, il che è impossibile poiché “tutte le porzioni suddette si troveranno da una stessa parte, e non saranno divise da esso” piano passante per m. Si esclude analogamente, con un metodo simile che impiega una figura circoscritta, che il centro possa trovarsi al di sopra di n, concludendo che “esso debba necessariamente trovarsi proprio in n”. Un secondo approccio dimostra che il centro di gravità deve trovarsi tra il centro di una figura circoscritta c e quello di una inscritta o. Si esplorano e si confutano le ipotesi che il centro r sia al di sotto di o, portando all’assurdo che “il centro di gravità delle rimanenti porzioni si troverà al di fuori del conoide”. Viene infine affermato che, poiché il centro è compreso tra c e o, deve essere il punto che divide l’asse in modo che “la parte verso il vertice sia doppia della rimanente”.


Blocco 21: Determinazione del Centro di Gravità in un Conoide Parabolico e in un Sistema di Grandezze

Dimostrazione geometrica del centro di gravità in un tronco di conoide parabolico e in un sistema di grandezze con progressione aritmetica.

Il blocco presenta una doppia trattazione. La prima parte è una dimostrazione geometrica dettagliata per localizzare il centro di gravità di un frustum conoidale parabolico. Si stabilisce che “il centro di gravità di un qualsiasi frusto [tronco] staccato da un conoide parabolico si trova sulla linea retta che è l’asse del frusto”. L’argomento procede attraverso la costruzione di figure, l’applicazione di proprietà delle sezioni coniche e l’uso estensivo di proporzioni e manipolazioni di rapporti, come nell’affermazione “oa avrà ad ac la medesima proporzione che [la somma del] triplo di ab col sestuplo di bc ha rispetto al [la somma del] triplo di ab col triplo di bc”. Il risultato finale mostra che il centro di gravità divide l’asse in tre parti uguali e che “la parte verso la base minore avrà rispetto alla parte verso la base maggiore, la medesima proporzione che la base maggiore ha rispetto alla base minore”. La seconda parte del blocco introduce un problema distinto riguardante un sistema di grandezze in progressione, dove “la seconda sia superiore alla prima del doppio della prima, la terza sia superiore alla seconda del triplo della prima”. Per questo sistema, si afferma che, se le grandezze sono sospese a distanze uguali, “il centro di equilibrio del composto di tutte [le grandezze] dividerà la bilancia in modo che la parte verso le grandezze minori sarà tripla dell’altra [parte]”.


Determinazione del Centro di Gravità in Coni e Piramidi 22

Sulla costruzione di figure solide per approssimare e localizzare il centro di gravità.

Sommario

Il blocco tratta della determinazione del centro di gravità in un cono e in una piramide attraverso un metodo di approssimazione con figure solide. Viene inizialmente stabilito che, dato un cono, è possibile circoscrivergli e inscrivergli figure costituite da cilindri di uguale altezza, in modo che la distanza tra i centri di gravità di queste due figure “sia minore di qualsiasi linea assegnata”. Un punto cruciale sull’asse del cono, detto punto c, è identificato dalla proprietà che “ac sia tripla della cb”. La dimostrazione procede per assurdo, mostrando che se il centro di gravità non coincidesse con c, si arriverebbe a una contraddizione riguardo alla posizione del centro di gravità delle porzioni di solido in eccesso, affermando ad esempio che “ciò che è impossibile; infatti il piano condotto per r ed equidistante dalla base del cono non interseca le suddette porzioni”. Si conclude quindi che “c è il centro di gravità del cono” e che “In qualsiasi cono o piramide il centro di gravità divide l’asse in modo che la parte verso il vertice è tripla della rimanente [parte] verso la base”. Viene infine fornita una generalizzazione per un frustum, specificando come il suo centro di gravità divida l’asse in una data proporzione che coinvolge le aree della base maggiore, della base minore e del loro medio proporzionale.