Dreyer - History of the Planetary System - Lettura (28m)
1. Le prime concezioni cosmologiche: tra Mesopotamia, Egitto e Grecia arcaica
Le origini del pensiero sull’universo tra miti fondativi, geometrie sacre e transizioni verso la razionalità.
Il testo delinea un percorso che parte dalle cosmologie mesopotamiche, dove l’acqua primigenia («water was the origin of all things») e le montagne sacre definiscono la struttura del mondo: un’«earth [...] encircled by Khubur, the ocean stream» in cui il sole pascola il suo bestiame oltre i confini visibili, mentre la terra è una «great mountain, hollow underneath», suddivisa dapprima in «seven zones» e poi in «four quadrants». La volta celeste è un «solid vault» sorretto dall’«apsu», l’abisso acquatico che sostiene anche la terra, mentre il «sun-illuminated house» ospita gli dèi, e i corpi celesti sono «living beings or deities» che percorrono orbite prestabilite. La morte dimora nel sottosuolo, accessibile da un ingresso a ovest, e il nord rimane «unknown and mysterious».
L’Egitto eredita e adatta questi temi: il cosmo è una «large box» rettangolare con la terra concava al fondo, sormontata da un «iron ceiling» punteggiato di «lamps» divine. Il sole, «a living god called Ra», viaggia su una barca lungo un fiume celeste che si nasconde dietro «mountains» settentrionali avvolte nella «eternal night». La luna, «the left eye of Horus», subisce attacchi periodici da parte di una «sow», mentre i pianeti seguono percorsi distinti, con Marte che «sails backwards». La Via Lattea è il «heavenly Nile», e il mondo nasce dall’«Nu», un’«boundless primeval water» che evoca le tradizioni mesopotamiche, ma che gli egizi avrebbero assimilato tramite «Asiatic immigrants» provenienti dalla Babilonia.
In Grecia, invece, si assiste a una cesura: dalle «childish» narrazioni mitiche—dove «Erebus begat with Nyx the aether and the day»—si passa a una ricerca di «laws» naturali, svincolata dagli «supernatural and capricious beings». Omero descrive ancora una terra «flat circular disc» circondata dall’«Okeanos», con il regno dei morti collocato ora «beyond» i confini occidentali, ora «beneath the surface», mentre il cielo è una «huge bell» che copre il tutto. Ma con i primi filosofi del VI secolo a.C. si abbandona la «mythological lines» per abbracciare una «freedom of thought» inedita, che segna l’inizio della cosmologia come disciplina razionale.
2. Le fonti indirette e la ricostruzione frammentaria del pensiero presocratico
Tra trasmissioni dubbie, compilazioni tardive e lacune irrimediabili
Il blocco delinea un quadro delle difficoltà nel ricostruire le dottrine dei primi filosofi greci, affidate a „rapporti di seconda o terza mano“ (188) e a „frammenti“ (189) superstiti, dove persino „le opere degli ionici“ sono „perdute“ e i riferimenti più antichi risalgono ad „Aristotele“, il quale però „usa un tono polemico“ (190). La perdita del „libro sulla storia della fisica“ di „Teofrasto“ (190), discepolo di Aristotele, aggrava il problema, costringendo a dipendere da „compilazioni“ tarde (191) di autori „quasi sconosciuti“ (192), come „Diogene Laerzio“ (193), „più interessato ad aneddoti triviali“ che alle dottrine, pur fornendo „informazioni preziose“ (194) talvolta „indipendenti da Teofrasto“ (195). Emergono poi opere come i „Placita Philosophorum“ (196), attribuiti erroneamente a Plutarco, e le „Eclogae physicae“ di „Stobeo“ (198), entrambe derivate da un’„opera perduta di Ezio“ (199) ricostruita filologicamente da „Hermann Diels“. Il sommario include anche „estratti cristiani“ (200) come quelli di „Eusebio“ o „Ippolito“ (201), che riutilizzano i materiali per „confutare pagani ed eretici“, oltre a „lessici“ (207) e „commentari“ (208) che integrano dati su „cosmologia e astronomia“.
Un focus specifico riguarda „Talete di Mileto“ (209), la cui „concezione primitiva“ del „disco terrestre galleggiante sull’oceano“ (211) — „l’acqua come principio di tutte le cose“ (212) — contrasta con l’„attribuita predizione di un’eclissi“ (210, 234), forse „appresa in Egitto“ (236) ma „mai menzionata da Aristotele“ (237). Le „fonti tardive“ (239-243) come „Diogene“ o „Teone di Smirne“ aggiungono dettagli „imprecisi“ (245), mentre „Simplicio“ e „Eudemo“ (239) offrono spunti su „astronomia e geometria“, seppur „frammentari“. Il testo sottolinea così la „scarsità delle informazioni“ (209) e la „necessità di incrociare fonti eterogenee“ (199, 205), dalle „dossografie“ (203) alle „traduzioni“ (205-206), per ricostruire un „pensiero filosofico“ altrimenti „irrimediabilmente perduto“.
Riferimenti impliciti
- Citazioni tradotte:
- „like a piece of wood or something of that kind“ (211) → „come un pezzo di legno o qualcosa del genere“.
- „As to the quantity and form of this first principle...“ (212) → „Riguardo alla quantità e alla forma di questo principio...“*.
- „terrarum orbem aqua sustineri“ (224) → „il globo terrestre è sorretto dall’acqua“.
- Note testuali:
- Le frasi 203, 205-206, 214, 239-240 contengono riferimenti bibliografici o citazioni indirette (es. „Doxographi Graeci“ di Diels).
- Le frasi 237 e 246 segnalano „incongruenze“ (es. „misinterpretazione“ delle dimensioni del sole).
3. Le teorie cosmologiche di Empedocle e i fondamenti dell’atomismo: meccanismi celesti, struttura della Terra e dinamiche degli elementi
Frammenti di un discorso sulla natura tra riflessione speculare, moti planetari e ipotesi materialistiche.
Sommario
Il blocco delinea due sistemi cosmologici distinti ma interconnessi: quello di Empedocle, incentrato su emisferi luminosi e oscuri, riflessi celesti e cicli stagionali, e quello atomistico di Leucippo e Democrito, fondato su particelle indivisibili, vuoto e movimenti vorticosi. Empedocle spiega i fenomeni astronomici attraverso un modello in cui «il sole sorge dal riflesso della luce celeste sulla Terra» (589), mentre le stagioni derivano dall’alternarsi di «aria condensata» e «fuoco predominante» (593) che spostano l’equilibrio degli emisferi. La Terra, trattenuta «come l’acqua in un calice fatto ruotare» (623), subisce un’inclinazione causata dal «rapido moto del sole» (625) che solleva il nord e deprime il sud, mentre la regione abitata «è piena di mali fino alla Luna, oltre la quale tutto è più puro» (600). I pianeti, «masse infuocate oltre l’orbita lunare» (601), seguono traiettorie libere, e le eclissi solari sono attribuite «al passaggio della Luna davanti al Sole» (598).
Il passaggio all’atomismo introduce una cesura concettuale: la materia si compone di «atomi infinitamente piccoli, indistruttibili e qualitativamente simili» (631-633), la cui «combinazione e separazione» (632) genera la varietà dei corpi. Democrito descrive un «vortex» (640) in cui atomi leggeri vengono spinti verso l’alto dai pesanti, formando «mondi infiniti» (641) soggetti a collisioni e dissolvimenti. La Terra, inizialmente «piatta come un tamburello» (647) per Leucippo o «a forma di disco» (661) per Democrito, si stabilizza al centro del cosmo per «equilibrio» (676) o per «peso» (623). Le divergenze tra i due filosofi emergono nella disposizione dei corpi celesti: Leucippo colloca «il Sole nell’orbita più lontana, la Luna in quella più vicina» (665), mentre Democrito «inverte l’ordine» (667) e spiega la Via Lattea come «luce di innumerevoli stelle deboli» (702). Entrambi i sistemi, pur diversi, mirano a «spiegare l’origine e la costituzione del visibile» (628) attraverso meccanismi fisici, rifiutando cause divine o arbitrarie.
4. Le attribuzioni astronomiche a Pitagora e la genesi del sistema cosmologico pitagorico
Tra tradizione orale, attribuzioni tardive e il ruolo di Filolao nella formalizzazione di un modello alternativo al geocentrismo
Il sommario ricostruisce un nucleo tematico incentrato sulle incertezze storiografiche riguardo al contributo diretto di Pitagora all’astronomia, evidenziando come le fonti antiche gli attribuiscano scoperte specifiche — l’identificazione di “Fosforo e Espero” come un unico corpo celeste (“la stella del mattino e della sera”), la natura “speculare della luna” e l’“inclinazione delle orbite planetarie rispetto all’equatore celeste” — ma senza prove documentali solide. Si sottolinea il silenzio di Aristotele e la scarsità di riferimenti in Aezio, che suggeriscono una “mancanza di attenzione sistematica” da parte di Pitagora verso la struttura del cosmo, a differenza di Parmenide, cui viene esplicitamente ascritta la “scoperta della forma sferica della Terra”. Emerge inoltre il contrasto tra la tradizione neopitagorica, che mitizza Pitagora come “demonio onnisciente” cui si attribuiscono retroattivamente conoscenze diffuse solo secoli dopo, e le testimonianze più antiche, che collocano innovazioni come il moto retrogrado dei pianeti (“dall’ovest verso l’est, contrario alle stelle fisse”) in figure successive come Alcmeone o Enopide.
Un tema minore riguarda la diffusione tardiva delle dottrine pitagoriche, legata al “giuramento di segretezza” dei discepoli e alla prima pubblicazione attribuita a Filolao, il cui sistema — malinterpretato fino all’Ottocento — introduce un “fuoco centrale” attorno a cui ruotano Terra, Sole e pianeti, evitando il geocentrismo ma senza proporre l’eliocentrismo. Si accenna infine alle resistenze culturali verso l’idea di una Terra sferica, testimoniate da Erodoto, e alla persistenza di concezioni arcaiche (come il “Sole piatto”) anche tra i pitagorici, a dimostrazione di una transizione graduale e non lineare. Le citazioni chiave — “Pitagora accettò la forma sferica per necessità, senza dedicarvisi”, “Filolao fu il primo ad affermare che la Terra si muove in cerchio”, “il sistema pitagorico venne frainteso come eliocentrico” — delineano un quadro in cui l’innovazione scientifica si intreccia con la mitografia e con la frammentarietà delle fonti.
5. L’ardita ipotesi pitagorica: terra mobile, fuoco centrale e l’eredità di un sistema "errato ma fecondo"
Un sistema cosmologico che sfidò millenni di certezze, tra corpi invisibili, rotazioni audaci e una tradizione filosofica in bilico tra genio e dogma.
Sommario
Il blocco delinea la genesi e l’evoluzione di un modello cosmologico radicale, attribuito ai pitagorici e in particolare a Filolao, che per primo ipotizzò una terra non centrale né immobile, sostituita da un "fuoco centrale" attorno al quale ruotavano dieci corpi celesti, inclusa un’"antiterra" (antichthon) invisibile. Il sistema, descritto come «un’impossibilità da recensire senza un certo senso di ammirazione» («It is impossible to review this strange system of the world without a certain feeling of admiration»), si distinse per «l’audacia concettuale» che lo oppose «alle idee prevalenti non solo del suo tempo, ma dei successivi duemila anni» («The boldness of conception [...] contrasts in a remarkable manner with the prevailing ideas»). Nonostante l’errore di fondo — la mancanza di prove del fuoco centrale e dell’antiterra — il modello ebbe un ruolo chiave nello sviluppo scientifico: «aprì la strada alla concezione della rotazione terrestre sul proprio asse» («paved the way for the conception of the earth's rotation on its own axis») e, secoli dopo, «rese rispettabile agli occhi dei classicisti il sistema copernicano» («made the Copernican system appear respectable»), seppur per un fraintendimento.
Il testo approfondisce poi le varianti interne alla scuola pitagorica, dove figure come Iceta di Siracusa e Ecfanto — quest’ultimo citato come discepolo «che visse certamente dopo Filolao» — proposero modifiche radicali: Iceta «sosteneva che nulla nell’universo si muovesse eccetto la terra, la quale, ruotando con massima velocità attorno al suo asse, produceva gli stessi fenomeni che si osserverebbero se fosse il cielo a muoversi» («Hicetas [...] believes that [...] nothing in the universe is moving except the earth, which [...] produces all the same phenomena as if the heavens were moved»). Tale teoria, pur «assurda» nel suo estremismo («The words "that nothing in the universe is moving except the earth" are of course absurd»), segnò l’abbandono della dottrina del fuoco centrale e anticipò l’eliocentrismo. Ecfanto, a sua volta, «faceva ruotare la terra non in modo progressivo, ma come una ruota attorno al proprio centro, da ovest a est» («Ekphantus [...] let the earth move [...] in a turning manner like a wheel»), suggerendo una revisione interna al pitagorismo che «già nella prima metà del IV secolo a.C. aveva abbandonato la dottrina originaria» («some members of the Pythagorean school [...] had abandoned the doctrine of the central fire»).
Emergono infine le tensioni tra tradizione e innovazione: mentre alcuni pitagorici «introducevano corpi invisibili aggiuntivi» per spiegare le eclissi lunari, altri «dovettero reinterpretare o scartare le idee sul fuoco centrale e l’antiterra» per adattarsi al geocentrismo dominante. Il sistema di Filolao, «lungi dall’essere un dogma immutabile», divenne così un campo di sperimentazione dove «l’idea di una terra sferica e mobile» — pur «totalmente errata» nella sua formulazione originale («so totally erroneous») — preparò il terreno per le rivoluzioni astronomiche future, inclusa quella copernicana. Il blocco si chiude con un accenno al ruolo di Platone, cui si attribuisce una possibile «adesione velata» a queste teorie nel Timeo, sebbene «oscurata da illustrazioni mitologiche».
6. La struttura cosmica nel Timeo: l’anima del mondo e i moti celesti
Dall’artigiano divino alla geometria dei cieli: armonia, numeri e gerarchie nei movimenti planetari.
Il blocco descrive la creazione del cosmo secondo il Timeo platonico, focalizzandosi sulla genesi dell’anima del mondo come principio ordinatore e motrice dei corpi celesti. L’“artigiano” (1320) plasma l’universo in forma sferica, dotandolo di un “unico moto”, “uniforme”, che lo fa ruotare “su sé stesso” (1321, 1352) senza traslazione. L’anima, “prioritaria in eccellenza rispetto al corpo” (1324) e “estesa dal centro alla superficie” (1322), nasce dalla fusione di tre essenze: “l’indivisibile e sempre uguale”, “il diverso e divisibile” e una “terza forma intermedia” (1326), distribuita poi in “parti adatte” (1327). La sua composizione rivela un legame con il pitagorismo, pur senza abbracciarne la “credenza nei suoni musicali prodotti dai pianeti” (1330).
La struttura dei moti celesti si articola in due cerchi fondamentali: il “cerchio del Medesimo” (esterno, “indiviso”, muoventesi “verso destra”) e il “cerchio del Diverso” (interno, “diviso in sette parti” con “intervalli doppi e tripli”, muoventesi “verso sinistra”) (1334-1336, 1353-1355). I sette pianeti — “Luna 1, Sole 2, Venere 3, Mercurio 4, Marte 8, Giove 9, Saturno 27” (1329) — seguono una “scala musicale” derivata da progressioni geometriche (1, 2, 4, 8 e 1, 3, 9, 27), ma la loro “forza opposta” (1374) e i “moti contrari” (1378) distinguono Mercurio e Venere, “mai lontani dal Sole” (1377). Il tempo nasce come “immagine mobile dell’eternità”, regolato dai “numeri” impressi nei “sette orbite” (1371-1373). L’“invisibile” anima, “partecipe di ragione e armonia”, anima il “corpo visibile del mondo” (1339), mentre Aristotele ne sintentizza il ruolo: “l’anima muove il corpo perché intrecciata a esso” (1350).
Temi minori includono la “superiorità” del moto “del Medesimo” (1336, 1356), la “coerenza terminologica” di “destra” e “sinistra” (1362-1364) e il rifiuto platonico di un’“armonia sonora” pitagorica (1330), pur conservandone la matrice matematica. Le citazioni da Proclo, Boeckh e Martin servono a chiarire “dettagli tecnici” (1328, 1344) senza alterare il nucleo speculativo: un cosmo dove “i moti dei cieli sono i moti dell’anima” (1341).
7. Il moto apparente dei pianeti e la rotazione del cielo nel Timeo: tra interpretazioni e controversie
Il Timeo come sistema cosmologico tra velocità relative, eliche celesti e il dibattito sull’immobilità della Terra.
Il blocco analizza la descrizione platonica dei moti planetari nel Timeo, incentrata sulla rotazione del cielo ("il moto del Medesimo") come principio ordinatore. Le velocità apparenti dei pianeti — dove Saturno, pur essendo il più lento nel moto orbitale, "appare il più veloce" per effetto della rotazione diurna — generano un paradosso spiegato tramite eliche tracciate dalle orbite inclinate rispetto all’equatore celeste. La Luna, "considerata la più lenta", e i pianeti non descrivono cerchi chiusi come le stelle fisse, ma percorsi a spirale dovuti alla combinazione del moto proprio e di quello del cielo. Il testo insiste sulla centralità del "moto del Medesimo" come "misura evidente di lentezza e rapidità" (1447), fondamento di un sistema in cui la Terra è immobile e il cielo ruota in 24 ore.
Il dibattito si focalizza sulla frase ambigua del Timeo (40a-b) che descrive la Terra "avvolta attorno all’asse dell’universo" (elXo/ievrjv), tradotta variamente come "compressa", "legata" o — da alcuni — "rotante". Aristotele, citando il passo, sembrerebbe alludere a una possibile rotazione, ma commentatori antichi (Simplicio, Proclo) e moderni (Boeckh, Grote) respingono questa lettura: il verbo greco non implica movimento, e una Terra rotante contraddirebbe il sistema esposto nel resto del dialogo, dove il cielo è l’unico motore del giorno e della notte. La controversia nasce dall’interpretazione di "guardiana e artefice di notte e giorno" (1456), che alcuni (come Gruppe) legano a un presunto elio-centrismo platonico, tesi smentita dall’assenza di riferimenti al Sole come centro e dalla coerenza del Timeo con un modello geo-centrico. Plutarchio e Teofrasto accennano a un presunto "pentimento" di Platone in vecchiaia, ma senza prove testuali; anzi, opere tarde come le Leggi e l’Epinomide confermano la visione tradizionale, con i pianeti che "descrivono sempre lo stesso percorso circolare" (1589), apparente solo la loro erraticità.
Note
Riferimenti testuali principali
- Velocità apparenti: "Saturno... può essere considerato il più veloce e la Luna il più lento" (1435); "il moto regolatore del Medesimo fa apparire più veloce ciò che gli è più vicino" (1436-1437).
- Eliche celesti: "l’orbita apparente [è] una sorta di elica" (1440); "ogni pianeta... descrive una spirale per l’inclinazione del suo moto" (1399, 1439).
- Rotazione della Terra: "avvolta attorno all’asse" (1456); "alcuni dicono che [la Terra] è avvolta e si muove" (1461).
- Critica a Gruppe: "nessuno... avrebbe sospettato che Platone insegnasse un sistema diverso" (1500); "l’ipotesi di una Terra rotante renderebbe immoti i corpi celesti" (1518).
Tematiche minori
- Strumenti del tempo: la Terra come "strumento di tempo" (1566), interpretata da Plutarcho come un gnomone immobile che "segna" il moto delle ombre (1568).
- Elementi cosmici: i corpi celesti composti principalmente di fuoco (1655), l’etere come "aria purissima" (1656), e la Luna come corpo oscuro che "prende luce dal Sole" (1657).
- Platone e i pitagorici: accenni a un possibile avvicinamento in tarda età al sistema di Filolao (1613, 1623), senza però prove di adesione al fuoco centrale o all’elio-centrismo.
8. Le sfere omocentriche di Eudosso: meccanismi, limiti e interpretazioni storiche
Un’analisi geometrica e astronomica del sistema planetario a sfere concentriche, tra errori di trasmissione, ipotesi ricostruttive e il problema irrisolto di Marte.
Il blocco descrive il modello astronomico di Eudosso di Cnido, basato su sfere omocentriche per spiegare i moti planetari apparenti, con particolare attenzione alle soluzioni adottate per rendere conto delle retrogradazioni. Il testo evidenzia come il sistema sia stato „una copia pratica della teoria lunare“ (1822), esteso ai cinque pianeti allora noti mediante quattro sfere per ciascuno: la prima per il moto diurno, la seconda per lo spostamento lungo lo zodiaco, la terza e quarta per generare una traiettoria a „figura di otto“ („lemniscata“ o „ippopede“, 1853, 1867) che simula retrogradazioni e stazionamenti. Vengono citate le fonti antiche (Simplicio, Teone di Smirne, Proclo) e le critiche moderne (Schiaparelli), sottolineando come il modello „non tenesse conto delle variazioni orbitali di velocità“ (1825) né dell’inclinazione delle orbite, assumendo invece „punti dello zodiaco equidistanti“ (1838) per opposizioni o congiunzioni successive.
Il sommario approfondisce due temi minori: l’ignoranza della precessione degli equinozi da parte di Eudosso („sconosciuta a tutti questi autori“, 1821), confermata dal silenzio su fenomeni come la differenza tra anno tropico e sidereo (1817), e le discrepanze nei dati osservativi, soprattutto per Marte, dove „la teoria fallisce completamente“ (1899). Le ipotesi ricostruttive di Schiaparelli mostrano come, pur con periodi sinodici approssimati (1880), il modello funzionasse per Giove e Saturno („soluzione eccellente“, 1889), ma non per Marte, la cui retrogradazione richiederebbe inclinazioni tra sfere incompatibili con i vincoli geometrici („latitudini maggiori di 30°“, 1893). Si accenna infine al dibattito storiografico su possibili conoscenze egiziane della precessione (1830-1836), respinte come anacronistiche, e alla terminologia tecnica (ippopede), attestata anche in contesti non astronomici (1868-1869).
Note
(1) Martianus Capella (V sec.) riporta un’errata devianza del Sole in Bilancia (1819), interpretabile come limite strumentale („latitudine insensibile“, 1820). (2) Derkyllides (via Teone) rifiuta la spiegazione eudossiana delle retrogradazioni, attribuendole a „motivi casuali“ (1870). (3) I dati sinodici di Mercurio (116 giorni) nel Papiro di Eudosso (1880) suggeriscono osservazioni dirette, forse egiziane.
9. La concezione aristotelica della Terra, dei cieli e dei fenomeni atmosferici: misure, elementi e dinamiche cosmiche
Tra geometria sferica, errori di stima e la distinzione tra mondo sublunare e regioni eteree: come Aristotele delimita lo spazio, gli elementi e i corpi celesti.
Il blocco ricostruisce il tentativo di Aristotele di definire la struttura e le dimensioni del cosmo, partendo da una „stima della grandezza della Terra“ (2097) che, pur errata („il diametro equivalente a 12.461 miglia“ contro le reali 7.920, 2100), si basa su metodi empirici: „l’osservazione dell’altitudine meridiana del sole o di una stella“ da stazioni distanti (2099). La Terra, „non grande in confronto alle altre stelle“ (2101), è collocata in un sistema dove „i cieli“ sono „regione di ordine immutabile e moto circolare“ (2103), mentre lo „spazio al di sotto della sfera lunare“ è „sede del mutamento e del moto rettilineo“ (2103), occupato dai quattro elementi — terra, acqua, aria, fuoco — „non separati da confini definiti“ (2122). Il fuoco, „materia che brucia al minimo movimento“ (2123), non può esistere „nello spazio celeste“ (2124), dove domina invece „l’etere“ (2126), „più puro man mano che ci si allontana dalla Terra“ (2126) e responsabile della trasmissione del „calore generato dal moto del sole“ (2127).
I fenomeni atmosferici — „stelle cadenti, meteore, aurore“ (2129-2130) — nascono da „esalazioni secche e calde“ (2129) che si incendiano nella „parte superiore dell’atmosfera“ (2130), mentre „le comete“ sono spiegate come „accumuli di vapori infiammati“ (2151) trascinati dal „moto rotatorio dei cieli“ (2151), escludendo le teorie pitagoriche o democritee (2148-2150). La „Via Lattea“ è invece „un aggregato permanente di vapori accesi“ (2153), formato „sotto l’influsso del moto delle stelle fisse“ (2153) e legato alla „scarsità di comete“ (2155), poiché „il materiale disponibile“ viene „consumato per mantenerla“ (2155). Il sistema, ereditato da „Eudosso e Callippo“ (2156) e modificato, „non aggiunge molto alle vaghe congetture dei filosofi precedenti“ (2102) sulla „grandezza dell’universo“, ma stabilisce una „netta separazione“ (2103) tra „regione celeste“ — „eterna e incorruttibile“ („mai si è osservato alcun cambiamento nei cieli estremi“, 2116) — e „mondo sublunare“, governato da „elementi impuri e transitori“.
Dettagli strutturali
Metodologia e fonti
Le argomentazioni si basano su „passaggi della *Meteorologica“ (2090, 2101, 2110) e „commentari di Simplicio, Seneca e Ideler“ (2093-2096, 2113), con riferimenti a „Bekker“ (2115) per l’edizione di riferimento. La „derivazione etimologica di aithēr“ (2117) — „dal verbo aeí theîn (correre sempre)“ — sottolinea l’immutabilità dei cieli, mentre „l’etere“ (2142) diventa „quintessenza“ nei „testi successivi“*.
Temi minori
- Critica alle teorie alternative: rifiuto delle „congiunzioni planetarie“ (Anaxagora, Democrito, 2150) e della „natura planetaria delle comete“ (Pitagorici, 2148).
- Gerarchia degli elementi: „la terra al centro, poi acqua, aria e fuoco“ (2121), con „il fuoco che predomina in alta atmosfera“ (2125) ma „assente nello spazio celeste“ (2124).
- Fenomeni ottici: „le stelle appaiono piccole non perché lo siano, ma per la distanza“ (2112).
10. Eracleide Pontico: tra rotazione terrestre, ipotesi elio-centriche e fenomeni celesti
Le dottrine astronomiche di un pensatore in bilico tra tradizione e innovazione.
Il blocco analizza le teorie di Eracleide Pontico, figura chiave nella transizione tra cosmologia geocentrica e primi abbozzi di modelli alternativi. Emergono tre temi centrali: 1) la rotazione quotidiana della Terra come spiegazione del moto apparente delle stelle fisse, ipotesi attribuitagli da Simplicio («Eracleide, assumendo la Terra al centro e in moto circolare, mentre i cieli sono fermi, riteneva che i fenomeni potessero essere spiegati»), in contrasto con la staticità aristotelica; 2) l’orbita elio-centrica di Venere e Mercurio, anticipazione parziale dell’eliocentrismo («Eracleide fece muovere Venere attorno al Sole invece che alla Terra»), citata da Calcidio ma contestata per possibili interpolazioni; 3) il metodo ipotetico-deduttivo in astronomia, dove Eracleide viene presentato come esempio di pensatore che propone soluzioni matematiche («anche se la Terra si muovesse in qualche modo e il Sole fosse fermo, si potrebbero spiegare le irregolarità osservate»), senza pretendere verità fisiche assolute.
Il testo evidenzia inoltre le fonti indirette (Simplicio, Diogene Laerzio, Calcidio) e i limiti documentari: le opere di Eracleide sono perdute, e le ricostruzioni dipendono da commentatori successivi, talvolta in contraddizione («non possiamo essere certi che i posteri non abbiano interpretato le sue dottrine alla luce di conoscenze acquisite molto dopo»). Si accenna anche al dibattito storiografico sulla paternità delle idee (ad es. l’influenza pitagorica o platonica) e alle critiche metodologiche (ad es. Schiaparelli vs. Martin sull’interpretazione del passo di Geminus). Infine, si sottolinea il contesto polemico con Aristarco di Samo, cui viene attribuita la piena elaborazione dell’eliocentrismo, mentre Eracleide rimane una figura di transizione, le cui intuizioni («la Terra ruota come una ruota attorno al suo asse») prefigurano, senza sistematizzare, rivoluzioni scientifiche future.
Note
- Le citazioni in greco sono tradotte in italiano e integrate nel sommario.
- I riferimenti ai passi di Simplicio, Calcidio e Diogene Laerzio sono impliciti nel testo originale; qui omessi per sintesi.
- Le ipotesi su Venere/Mercurio elio-centrici sono trattate come attribuzioni contestate, non come certezze storiche.
11. L’ipotesi eliocentrica di Aristarco e le sue tracce nella tradizione antica
L’unico modello cosmologico alternativo prima di Copernico: tra matematica, accuse di empietà e silenzi storici.
Sommario
Il blocco ricostruisce la proposta rivoluzionaria di Aristarco di Samo (III sec. a.C.), che «suppose che i cieli stessero fermi e la terra si muovesse in un cerchio obliquo mentre ruota sul proprio asse» (2427), collocando il «sole al centro dell’universo» (2419) e ipotizzando un’«immensa distanza delle stelle fisse» (2421) per spiegare l’assenza di parallasse osservabile. L’ipotesi, «molto sorprendente per l’epoca» (2422), emerge frammentaria: Archimede la cita senza discuterla (2420), limitandosi a criticare l’idea di un «rapporto tra un punto privo di grandezza e la superficie di una sfera» (2420), mentre le fonti successive — Plutarchio (2425-2428), i doxografi (2429-2431), uno scoliaste anonimo (2434) — ne attestano sia il «moto annuale attorno al sole» (2432) sia la «rotazione diurna» (2428), spesso confondendo i due aspetti o riducendoli a mera «ipotesi per salvare i fenomeni» (2421, 2432).
Le reazioni contemporanee oscillano tra indifferenza e ostilità: «Kleanthes accusò Aristarco di empietà per aver "mosso il focolare del mondo"» (2426-2427), mentre la dottrina «non attirò molta attenzione» (2433), forse perché «la rotazione diurna sembrava meno fantasiose» (2433) del moto orbitale. L’unico seguace esplicito, Seleuco di Seleucia (II sec. a.C.), «affermò come vera» (2454) la rotazione terrestre e «suppose l’universo infinito» (2471), collegando le maree al moto della Terra (2456-2457, 2470), ma senza prove di una scuola aristarchea (2450). Le fonti tacciono per «diciassette secoli» (2473) sulle orbite planetarie, mentre il sistema omocentrico — già criticato da «Autolico di Pitane» (2493) per le «variazioni di luminosità di Venere e Marte» (2493) — cede gradualmente a «eccentrici ed epicicli» (2505), attribuiti erroneamente ai pitagorici (2506, 2508).
Il testo rivela così un paradosso: un’ipotesi «così ardita» (2473) che «nessuno sviluppò» (2423), seppellita tra «corruzioni testuali» (2431) e «malintesi» (2435), finché «i fenomeni stessi» — «eclissi anulari o totali» (2495), «dischetti lunari di 11 o 12 pollici» (2494) — non resero insostenibile «l’idea di distanze costanti» (2475). La tradizione ne conserva solo «tre riferimenti» (2424), sufficienti però a dimostrare che «Aristarco insegnò il moto annuale» (2472) e che «la sua idea fu abbandonata, non confutata» (2474-2475).
12. La teoria degli epicicli: meccanismi geometrici e dibattiti astronomici nell’antichità
Dall’eredità di Apollonio di Perge alle scelte metodologiche di Tolomeo: come epicycli ed eccentrici spiegavano retrogradazioni, stazionarietà e periodi sinodici, tra matematica pura e resistenze cosmologiche.
Sommario
Il blocco delinea il ruolo fondativo di Apollonio di Perge nello sviluppo della teoria planetaria, incentrata sul modello degli epicicli come strumento per spiegare le “due disuguaglianze” del moto planetario, in particolare quella “dipendente dalla posizione relativa al sole”. Il meccanismo geometrico descritto — un epiciclo che ruota su un deferente concentrico allo zodiaco, con il pianeta che si muove sull’epiciclo “con velocità uguale a quella dell’anomalia” — consente di riprodurre le fasi di moto diretto, stazionarietà e retrogradazione, come evidenziato dalla condizione per cui “il pianeta diviene stazionario quando raggiunge il punto [di intersezione] in cui le due velocità angolari, viste dalla Terra, sono uguali e opposte”. La precisione del modello emerge dalla possibilità di “fissare il rapporto dei raggi dei due cerchi” per adattare l’arco retrogrado osservato, mentre la distinzione tra moto in longitudine (deferente) e moto in anomalia (epiciclo) strutturava la cinematica per tutti i pianeti, con periodi sinodici o elio-centrici a seconda della loro posizione rispetto al Sole.
Il testo confronta poi l’epiciclo con l’alternativa dell’eccentrico mobile, sottolineando come Tolomeo dimostri “l’indifferenza” tra i due metodi per i pianeti esterni (Marte, Giove, Saturno), pur preferendo gli epicicli per la loro “semplicità” e “omogeneità” applicativa — a differenza degli eccentrici, limitati ai pianeti superiori e incompatibili con Mercurio e Venere, i cui epicicli “hanno sempre il raggio parallelo alla linea Terra-Sole”. Si accenna inoltre al dibattito su Plato, la cui affermazione nel Timeo sul “moto opposto al Sole” di Mercurio e Venere viene interpretata come possibile conoscenza precoce degli epicicli, sebbene “la mancanza di riferimenti alle complesse dinamiche planetarie” renda improbabile una sua padronanza del sistema. Infine, si evidenzia il contesto cosmologico dominato dallo stoicismo, che — pur trascurando la matematica astronomica — perpetuava un modello geocentrico a sfere concentriche, ostacolando l’adozione di un sistema elio-centrico come quello ipotizzato da Aristarco, “abbandonato per la ricerca di una teoria matematica che permettesse di costruire tavole planetarie”.
13. La teoria degli epicicli di Ipparco: geometria celeste e limiti della modellizzazione planetaria
Modelli matematici per la Luna e incertezze sui pianeti: tra osservazioni sistematiche e ipotesi non verificate.
Sommario
Il blocco descrive il tentativo di Ipparco di spiegare i moti celesti attraverso combinazioni di cerchi — deferenti ed epicicli — applicati con successo alla Luna ma lasciati incompleti per i cinque pianeti. La teoria lunare si basa su un «cerchio inclinato di 5° rispetto all’eclittica» (2806) con un «epiciclo il cui centro si muove direttamente sul deferente» (2807), mentre il rapporto tra i raggi viene dedotto dalla «massima differenza tra la posizione apparente e quella media della Luna, fissata a 5°» (2809). Nonostante ciò, Ipparco rileva «discrepanze tra teoria e osservazioni ai quadranti» (2817), segnalando un’«altra disuguaglianza dipendente dalle posizioni relative di Sole e Luna» (2817) che non riesce a risolvere.
Per i pianeti, Ipparco «non formulò una teoria soddisfacente» (2818), limitandosi a raccogliere dati che «non concordavano con le ipotesi dei matematici del suo tempo» (2828). Le irregolarità — come «le retrogradazioni variabili» (2829) e «l’arco di moto retrogrado non costante» (2831) — suggerivano la necessità di «combinare epicicli ed eccentrici» (2829), ma la mancanza di «osservazioni sufficientemente prolungate» (2832) impediva una soluzione. La dipendenza dei moti planetari dal Sole, «notata ma non spiegata» (2833), viene accennata anche per la Luna, la cui «velocità ai quadranti varia con la distanza dal Sole» (2838), senza però che ciò porti a «ricercare una causa diversa» (2836).
Il testo chiude con riflessioni sulla «separazione tra astronomia matematica e fisica» (2820), dove le «speculazioni metafisiche» (2841) — come «il Sole come cuore dell’universo» (2845) — influenzano l’ordine dei pianeti (adottato da «Ipparco, Tolomeo e gli Stoici» (2862)), senza però risolvere «l’adeguatezza delle ipotesi» (2830). Le «osservazioni sistematiche» (2834) di Ipparco pongono le basi per Tolomeo, ma «nel II secolo a.C. i cinque pianeti restavano un problema aperto» (2835).
Note
Termini tecnici e riferimenti
- «In consequential» (2812): «nell’ordine dei segni zodiacali» (moto diretto); «in antecedentia» (moto retrogrado).
- «Precessione» (2810): Ipparco «conosceva un valore maggiore dei 36’’/anno stimati da Tolomeo».
- «Equazione del centro» (2814): «prima disuguaglianza del moto lunare, causata dall’orbita ellittica».
- «Anomalia» (2808): «variazione della velocità angolare sulla circonferenza dell’epiciclo».
Fonti citate
- Theon di Smirne (2819, 2845): «gli epicicli sembravano più credibili per simmetria» (2819); «il Sole come cuore dell’universo» (2845).
- Tolomeo, Syntaxis (2821, 2824): «Ipparco amava la verità sopra ogni cosa» (2822); «i predecessori trascurarono irregolarità pluriennali» (2831).
- Riferimenti storici: «ordini planetari di Anassagora, Platone, Aristotele» (2851) vs «schema stoico (Luna, Mercurio, Venere, Sole,...)» (2862), adottato «fino a Copernico» (2865).
14. L’armonia delle sfere: intervalli musicali e distanze planetarie tra teoria e discrepanze
Dalle proporzioni pitagoriche alle incongruenze degli autori tardi: scale, ottave e arbitrii nella cosmologia antica.
Il blocco descrive un sistema di corrispondenze tra gli intervalli musicali e le distanze dei corpi celesti (pianeti e stelle fisse), attribuito a tradizioni pitagoriche ma documentato soprattutto da autori tardi come Plinio, Censorino, Teone e Achille. La sequenza degli intervalli — „Venere-Sole una terza minore (sescuplum)“, „Sole-Marte un tono“, „Marte-Giove un semitono (dimidium)“ — definisce una scala che, secondo Plinio, „corrisponde a C, D, |?E, E, G, A, [?B, B, D“, sebbene la sua affermazione che questa formi „sette toni, chiamati armonia diapason“ sia errata, poiché l’ottava risulta invece dalla divisione in „due parti, ciascuna delle quali comprende una quinta“. L’omissione della Terra („poiché è in quiete non può emettere suono“) e l’inclusione delle stelle fisse portano a una scala dorica, ma le varianti tra gli autori — come il semitono „limma“ di Censorino al posto del „dimidium“ — rivelano incoerenze: „Censorino dimentica di aver detto che solo i sette pianeti producono la musica“, e la sua scala „non concorda con il sistema musicale di Pitagora“, dove „dalla nota media a quella più alta c’è solo una quinta“.
Le discrepanze emergono anche nei riferimenti alle distanze: Plinio e Censorino citano „126.000 stadi“ per la Luna, cifra „metà della circonferenza terrestre di Eratostene“, ma „improbabile che risalga a Pitagora“. Le stime di Posidonio — „500 milioni di stadi“ per il Sole, basate su „un’ombra di 300 stadi a Siene“ — sono arbitrarie, come quelle di Macrobio, che „senza prova“ afferma „l’ombra terrestre raggiunge l’orbita solare“. Le critiche si estendono ai metodi: „Hipparco percepì che il Sole è molto più di venti volte lontano della Luna“, ma „Ptolomeo regressione, accettando la parallasse solare di Aristarco“. Il blocco chiude con il giudizio che „la dottrina è analoga all’astrologia, ma più nobile“, pur restando „un insieme di assunzioni arbitrarie“, dove „le distanze planetarie furono cercate invano nelle armonie, nei gradi di secchezza o negli aspetti angolari“.
Note e riferimenti impliciti
- Terminologia musicale: „diapason“ (ottava), „diapente“ (quinta), „diatessaron“ (quarta), „limma“ (semitono minore), „apotome“ (semitono maggiore).
- Autori citati: Plinio (Naturalis Historia), Censorino (De die natali), Teone di Smirne, Achille, Nicomaco, Posidonio, Macrobio (Commentarium in Somnium Scipionis), Kleomede, Ptolemeo (Almagesto).
- Fonti secondarie: Boeckh („Ueber die Weltseele im Timaeus des Platon“), Boll (Studien über Claudius Ptolemaus), Hultsch („Poseidonios über die Grösse und Entfernung der Sonne“).
- Temi minori:
- Inversione gerarchica: „Nicomaco rovescia l’idea che le stelle fisse diano la nota più alta“, ponendo la Luna come „nota più grave“.
- Metodi alternativi: „Ptolomeo paragona gli aspetti angolari (opposizione=ottava, trigono=quinta) agli intervalli“.
- Critica storica: „Queste scale compaiono solo in autori tardi“, mentre „Platone e Aristotele alludono all’armonia delle sfere senza dettagli tecnici“.
15. La ricezione controversa della precessione degli equinozi nell’antichità: silenzi, negazioni e teorie oscillanti
Tra omissioni inspiegabili e ipotesi oscillanti sulla natura del fenomeno
Il blocco analizza la ricezione frammentaria e spesso contraddittoria della precessione degli equinozi tra gli autori antichi, evidenziando come una scoperta „così importante“ non abbia trovato „diffusione universale“: autori come Geminus, Cleomede e Plinio „non ne fanno mai cenno“, mentre Proclo „nega recisamente la sua esistenza“ e Teone di Alessandria ne accetta la versione tolemaica. Emergono teorie alternative, come quella di un „movimento oscillatorio di 8°” dei punti solstiziali — „prima in avanti, poi indietro“, attribuita a „antichi astrologi” pre-tolemaici — che si lega a discrepanze nella collocazione degli equinozi (“all’inizio dei segni” secondo Arato, „all’ottavo grado” per Eudosso o „al decimo” per altri). La discussione si sofferma su ipotesi mal fondate, come il „cambio di direzione nel 158 a.C.“, forse ricondotto „all’inizio dell’attività di Ipparco“, e su obiezioni pratiche („stelle circumpolari che avrebbero dovuto tramontare“). Ptolemeo, „senza mai menzionare l’errore“, descrive la precessione come „rotazione lenta della sfera stellare in 36.000 anni“, mentre la teoria oscillante — „radicatasi per secoli” fino a Tycho Brahe — viene ricondotta a „un fraintendimento” delle divergenze tra sistemi astronomici babilonesi, greci e indiani.
16. La cosmologia medievale: il cielo come tenda, la terra piatta e i moti del sole
Tra interpretazioni letterali delle Scritture e rifiuto delle teorie filosofiche, una visione dell’universo come struttura a due piani, dove il fuoco e l’acqua definiscono i confini del creato e il sole traccia percorsi visibili.
Il blocco descrive una concezione cosmologica in cui l’universo è organizzato come „una casa a due piani con un tetto nel mezzo“ (3557), con un „cielo superiore“ fatto di „fuoco senza materia“ (3558) e un „cielo inferiore“ di „acqua cristallizzata“ (3559) che resiste al „fuoco del sole, della luna e delle stelle“ (3559) e servirà a „spegnere il fuoco“ di questi corpi celesti „l’ultimo giorno“ (3560). Il cielo non è una sfera ma „una tenda o un tabernacolo“ (3561, 3586), „disteso come una cortina“ (3561), con un „tetto“ (3561) che nega la sfericità: „il sole sorge sulla terra“ (3561) e non passa sotto di essa di notte, bensì „viaggia attraverso le parti settentrionali“ (3562), „come nascosto da un muro“ (3562), accorciando i giorni in inverno quando si sposta „più a sud“ (3584). La terra è „piatta“ (3562), e il moto del sole è descritto come un „viaggio notturno“ (3584) che ne determina le stagioni.
La struttura „a due cieli“ (3585) — uno „sopra la terra come un tetto“ e l’altro „sopra ancora, come un pavimento per il cielo superiore“ (3585) — viene attribuita a autori patristici come Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia, che „insegnava la teoria del tabernacolo“ (3588) e attribuiva „il moto delle stelle agli angeli“ (3588). Gerolamo respinge „la stupida saggezza dei filosofi“ (3589) che ipotizzavano „gli antipodi“ (3589) e afferma che „Gerusalemme è l’ombelico della terra“ (3589). Ambrogio di Milano, pur evitando di definire „la qualità o la posizione della terra“ (3591), menziona il cielo come „sfera“ (3591), pur proponendo soluzioni forzate per giustificare „l’acqua fuori dalla sfera“ (3593), come „una casa rotonda dentro e quadrata fuori“ (3593). Agostino, erede di questa tradizione, nega l’esistenza degli „antipodi“ per mancanza di „prove storiche“ (3612), pur ammettendo che „la parte opposta della terra, sospesa nella convessità del cielo, non può essere priva di abitanti“ (3612). Le citazioni scritturali (3573, 3575, 3581) e i riferimenti a „angeli che muovono le stelle“ (3588) o al „fuoco etereo“ (3610) sottolineano una visione dove „la provvidenza“ (3558) ordina i fenomeni naturali in funzione di un disegno divino, rifiutando esplicitamente „il sistema geocentrico“ (3585) e „l’idea di un cielo sferico“ (3599).
Note e riferimenti
Fonti citate
- „Stretches out the heavens as a curtain“ (3561) → „Distende i cieli come una cortina“ (Isaia XL, 22).
- „The sun goeth down and hasteth to his place“ (3562) → „Il sole tramonta e si affretta al suo luogo“ (Ecclesiaste I, 5).
- „Sol egressus est super terram“ (3578) → „Il sole era sorto sulla terra“ (Genesi XIX, 23, versione di Severiano).
- „Stupid wisdom of the philosophers“ (3589) → „Stupida saggezza dei filosofi“ (Gerolamo, Commento a Ezechiele).
- „Where are those who say that the heaven is in motion? Where are those who think it spherical?“(3598-3599) → „Dove sono quelli che dicono che il cielo è in movimento? Dove sono quelli che lo credono sferico?“(Crisostomo, Commento agli Ebrei).
Autori e opere menzionati
- Diodoro di Tarso (Contro il fatalismo, IV sec., citato da Fozio).
- Teodoro di Mopsuestia (opera perduta, critico della sfericità del cielo).
- Severiano (versione alternativa di Genesi XIX, 23).
- Ambrogio di Milano (Hexaemeron).
- Agostino d’Ippona (riflessioni sugli antipodi).
- Giovanni Crisostomo (confutazione del moto e della sfericità del cielo).
17. La cosmologia di Kosmas Indicopleustes: tra Scrittura, geometria sacra e rifiuto della sfera celeste
Un sistema del mondo fondato sull’autorità biblica e sull’analogia con il Tabernacolo di Mosè, in aperta polemica con la tradizione filosofica greca.
Il blocco delinea la visione cosmologica di Kosmas Indicopleustes, strutturata su una terra piatta e rettangolare, „due volte più lunga che larga“, circondata dall’oceano e sormontata da una volta celeste a „semi-cilindro“ simile a un „bagno con tetto curvo“. Il cosmo è diviso in due piani dal firmamento: quello inferiore, abitato da uomini e angeli, e quello superiore, riservato ai beati. La forma dell’universo deriva dal Tabernacolo mosaico, dove „la tavola dei pani di proposizione, con il suo bordo ondulato, simboleggia la terra circondata dall’oceano“, mentre un „altro bordo esterno“ alluderebbe a una „terra oltre l’oceano“, sede del Paradiso pre-diluviano e ormai inaccessibile. I corpi celesti non sono fissi a sfere, ma „portati da angeli“ in orbite che evitano il passaggio sotto la terra: il sole, „nascondendosi dietro una montagna conica a nord“, spiega l’alternarsi del giorno e della notte, mentre le stagioni dipendono dalla sua prossimità al „vertice o alla base“ del monte. La dimensione del sole è ridotta a „due climi“ (circa 1000 miglia) sulla base di ombre misurate ad Antiochia e Bisanzio, confutando così l’idea di un astro più grande della terra.
Il testo include anche una critica serrata alle teorie avversarie: la „posizione centrale della terra“ è „assurda“ perché il suo peso la costringerebbe a „giacere sul fondo dell’universo“, mentre le „sfere celesti“ (e i loro moti contraddittori) sono „blasfemia“. Le „antipodi“ sono liquidate come „favole da vecchie“ e „impossibili“, poiché „l’acqua del diluvio non avrebbe potuto sommergere una terra sferica“. Kosmas cita la Scrittura per „schiacciare“ i cristiani tentati dalle „dottrine dei filosofi greci“, ma ammette che il suo modello ripropone idee già circolanti tra i Padri della Chiesa, come Severianus. Il blocco si chiude con un accenno al contesto polemico: mentre figure come Giovanni Filopono o Isidoro di Siviglia tentano una mediazione tra fede e scienza, Kosmas rappresenta la „resistenza ostinata“ a ogni ipotesi non letterale, pur senza ottenere un’autorità duratura („il suo libro non divenne mai un grande riferimento“).
Note
- Le citazioni in lingua originale (es. „On your own head let the blasphemy of such a thought recoil“) sono tradotte in italiano nel corpo del testo.
- I riferimenti a „climi“ seguono la suddivisione tolemaica (es. „il primo clima inizia dove il giorno più lungo è di 12 ore“).
- La „montagna conica“ è un elemento ricorrente nelle cosmologie medievali per spiegare i cicli solari senza ammettere la sfericità terrestre.
- Il „Tabernacolo come modello cosmico“ riflette una tradizione esegetica che legava l’architettura sacra alla struttura del creato (cfr. Ebrei 9).
18. Acque sopra il firmamento, gerarchie celesti e la struttura geocentrica del cosmo medievale
Tra allegoria e scienza: il conflitto tra tradizione biblica, filosofia naturale e speculazioni astronomiche nel Medioevo.
Il blocco delinea una visione del cosmo articolata su piani gerarchici e fisici, dove la descrizione biblica e le teorie aristotelico-tolemaiche si intrecciano con interpretazioni allegoriche. L’autore contesta la letteralità del passo della Genesi sulle «acque sopra il firmamento», definendolo «contra rationem» (3917): se congelate, sarebbero pesanti e incompatibili con la vicinanza al fuoco celeste, «o lo spegnerebbero o verrebbero dissolte» (3917), a meno di ammettere un confine inesistente. Il firmamento è identificato con l’aria, che «rafforza e regola le cose terrene» (3918), mentre le acque superiori sono sospese «sotto forma di nubi» (3918), distinte da quelle terrestri, sebbene si ammette che «forse fu detto più allegoricamente che letteralmente» (3919).
La struttura cosmologica segue un modello geocentrico stratificato: la Terra è «al centro, come il tuorlo nell’uovo», circondata dall’acqua «come l’albume», poi dall’aria «come la membrana» e infine dal fuoco «come il guscio» (3927). Il Sole, otto volte più grande della Terra (3924), si muove in un’orbita contestata: si respinge l’idea che sia posto vicino alla Luna per bilanciarne «il freddo e l’umidità» (3921) o per illuminarla (3922), mentre si nota che «Sole, Venere e Mercurio si muovono quasi nello stesso periodo lungo lo zodiaco», con orbite «quasi uguali e non contenute l’una nell’altra, ma intersecantisi» (3923). L’etere, «così sottile da non bruciare se non mescolato a qualcosa di umido e denso» (3925), compone il cielo insieme agli altri elementi, con predominanza del fuoco.
La trattazione si estende alle «due zone temperate abitabili», sebbene «solo una sia popolata dagli uomini» (3930). Si ipotizzano «abitanti in entrambe» non per certezza, ma «perché potrebbero esserci» (3931), introducendo una suddivisione in «quattro ecumeni» (3934): noi e i nostri «antipodi» (intesi come abitanti dello stesso emisfero ma a 180° di longitudine) condividono stagioni «ma quando noi abbiamo giorno, loro hanno notte» (3933). Il Paradiso è collocato «nel cielo spirituale, ignoto all’uomo, dove dimorano gli angeli in nove ordini» (3938), mentre «all’inferno, al centro della Terra, seguono le anime dei dannati» (3951), con Purgatorio di posizione incerta (3952).
La gerarchia angelica, «fissata dallo Pseudo-Dionigi e universalmente accettata» (3950), è suddivisa in tre sfere: «Serafini, Cherubini, Troni» nel cielo empireo; «Dominazioni, Virtù, Potestà» che regolano i moti celesti; «Principati, Arcangeli, Angeli» per gli affari terreni (3965-3966). Le «porte del cielo» (3937) e la «musica celeste» (3945), udibile «ai bambini per la loro innocenza» (3957), riflettono influenze neoplatoniche e aristoteliche, filtrate da traduzioni arabe e commentari greci (3961-3962). La Chiesa, inizialmente ostile a queste dottrine «per via delle speculazioni pseudo-aristoteliche e neoplatoniche» (3974), le accetta gradualmente: «nel 1254 si prescrive quante ore dedicare all’insegnamento della fisica aristotelica» (3976), segnando l’affermarsi di un saper che unisce fede e ragione per secoli.
Note
Fonti e riferimenti impliciti
- De mundi constitutione e Imago Mundi di Onorio di Autun (3935-3936), con citazioni da Plinio (3943-3944) e Beda (3948).
- Summa Theologica di Tommaso d’Aquino (3950) e Libri Sententiarum di Pietro Lombardo (3946) per la gerarchia angelica.
- Almagesto di Tolomeo (3955) e opere aristoteliche tradotte via arabo (3961-3962).
Termini chiave
- «Contra rationem» (3917): incongruenza logica tra testo sacro e fisica.
- «Antipodi» (3932-3934): reinterpretazione longitudinale, non emisferica.
- «Etere» (3925, 3958): quinto elemento, base dei corpi angelici.
19. Roger Bacon: un innovatore isolato tra autorità e sperimentazione
Tra la servile ripetitività dei commentari medievali e l’osservanza acritica di Aristotele, emerge la figura di un pensatore che rifiuta il dogmatismo e rivendica il primato dell’“esperienza” come “unica guida sicura nel mondo visibile”. Il suo nome è Roger Bacon: un frate francescano che, tra persecuzioni e mancanza di mezzi, anticipa i metodi della scienza moderna, pur rimanendo prigioniero di un’epoca che “non determinò un solo nuovo valore di costante astronomica” e si limitò a “parlare di esperienza senza mai tradurla in fatti”.
Sommario
Il blocco traccia il profilo intellettuale di Roger Bacon (1214–1294) come eccezione radicale nel panorama della scolastica medievale. Mentre i “dottori scolastici” si accontentano di “scrivere prolissi commentari agli antichi”, Bacon denuncia l’“adorazione cieca dell’autorità” e propone una riforma della filosofia naturale fondata su “indagini matematiche” e “l’importanza degli esperimenti”, consapevole che la scienza “giace ancora in uno stato di infanzia”. La sua opera, l’Opus Majus, rivela una padronanza senza pari delle fonti greche e arabe, ma anche una capacità critica inedita: Bacon “sa pensare con la propria testa”, pur muovendosi all’interno di un sistema cosmologico ancora tolemaico (ad esempio, accetta la “precessione degli equinozi in 36.000 anni”). Tuttavia, le sue idee rimangono inascoltate: “se avesse vissuto in circostanze più favorevoli, avrebbe aperto una nuova era”, invece il suo manoscritto “giacque inedito per quasi cinquecento anni”, ridotto a “una voce che grida nel deserto”.
Il testo sottolinea il contrasto tra Bacon e i suoi contemporanei anche sul piano teologico: mentre “i padri della Chiesa si ostinavano a interpretare alla lettera ogni iota della Scrittura”, lui “indica senza timore le difficoltà” in passi come “la creazione in Genesi 1”, “il sole fermo per Giosuè” o “l’ombra che torna indietro sulla meridiana”, sostenendo che “l’unico modo per superarle è studiare a fondo la scienza”. Nonostante ciò, la sua influenza indiretta si rivela decisiva: le sue “considerazioni sulla ridotta estensione dell’oceano tra Asia ed Europa”, copiate senza citazione da Pietro d’Ailly nell’Imago Mundi (1410), “colpiscono profondamente Colombo”, che le cita nella lettera del 1498 ai sovrani spagnoli. Così, “il monaco perseguitato, morto da duecento anni, allarga gli orizzonti dell’umanità”.
Temi minori affiorano nelle note astronomiche: Bacon ripete dati tolemaici (come le “dimensioni delle orbite in miglia romane”) o arabi (le “proporzioni tra stelle e Terra” secondo Alfragano), ma li integra con osservazioni originali, ad esempio sulla “velocità relativa dei pianeti”. Tuttavia, la sua eredità resta ambigua: se da un lato “la Chiesa lo imprigiona”, dall’altro “la sua opera su prospettiva e ottica prefigura ciò che avrebbe potuto realizzare”, se solo fosse stato “il figlio prediletto della Chiesa invece che il suo prigioniero”.
20. L’astronomia araba tra tradizioni tolemaiche e osservazioni innovative: centri, patroni e controversie (IX–XV secolo)
Transizioni di potere, mecenatismo scientifico e la persistenza di un saper fare astronomico tra Baghdad, Il Cairo e la Spagna musulmana.
Sommario
Il blocco traccia un percorso cronologico e geografico dell’astronomia araba, evidenziando come la disciplina sopravvissuta al declino del califfato abbaside grazie al mecenatismo di dinastie alternative, come i Buyidi, che „presero il ruolo di patroni della scienza, a lungo e onorevolmente svolto dai califfi Abbasidi“ (4208). Figure come Muhammed Al Battani (4206), „il più rinomato tra gli astronomi arabi“, e Abu ’l Wefa (4209), autore di un „Almagesto“ per diffondere Tolomeo „ai meno dotti“, operano in osservatori finanziati da sovrani – come Sharaf al Daula (988) o Al Hakim (4220), a cui Ibn Yunis dedica le „Tavole Hakemite“ in segno di gratitudine. La produzione di tavole astronomiche (Toledo, Alfonsine, Ilkhaniche) segna tappe fondamentali, spesso legate a controversie: „questo libro diede origine a una lunga controversia“ (4210), mentre „obiezioni alle teorie planetarie di Tolomeo“ (4223) restano senza alternative concrete.
Il testo sottolinea due cesure: la migrazione del sapere verso Occidente (Al-Andalus) quando „i paesi occidentali sotto l’Islam erano pronti a mantenere vive le scienze matematiche“ (4218), e il ruolo di figure ibride come Alfonso X di Castiglia (4224), „re cristiano che dovette tutto alla tradizione musulmana ed ebraica“, o Bar Hebraeus (4239), „cristiano, primate dei Giacobiti orientali“ e autore di opere in siriaco. Gli osservatori di Meragha (1259) e Samarcanda (1420), voluti da conquistatori mongoli e timuridi, rappresentano gli ultimi fuochi prima del tramonto: „con Ulug Beg, l’ultimo grande protettore orientale, l’astronomia declinò in Asia mentre risorgeva in Europa“ (4244).
Temi minori includono la misurazione della Terra sotto Al-Mamun (4258), dove „la circonferenza fu calcolata in 20.400 miglia arabi“ (4262) nonostante „l’errore curioso“ di un livello marino disomogeneo (4267), e la mancanza di innovazioni teoriche: „non migliorarono le teorie planetarie, ma ridefinirono solo alcune costanti“ (4252). La tolleranza verso la sfericità terrestre (4256) contrasta con l’Europa medievale, mentre „l’assenza di persecuzioni“ per tali idee viene collegata all’espansione geografica araba, „dalle frontiere della Cina al centro della Francia“ (4257).
Note
Riferimenti testuali e traduzioni
- „the erroneous idea of the oscillatory motion of the equinoxes“ (4205) → „l’errata idea del moto oscillatorio degli equinozi“.
- „the Toledo Tables“ (4222) → „le Tavole di Toledo“.
- „the Ilokhanic Tables“ (4238) → „le Tavole Ilkhaniche“.
- „the level of the sea was higher on some parts“ (4267) → „il livello del mare fosse più alto in alcune parti“.
- „the first since Ptolemy’s“ (4243) → „il primo dopo quello di Tolomeo“.
Esclusioni
Omesse le note bibliografiche (4211, 4213–4215, 4225–4234, 4246–4251, 4260–4267) e i riferimenti a edizioni o traduzioni non pertinenti al contenuto tematico.
21. Misurazioni astronomiche e controversie: dai figli di Musa alle correzioni di Al Battani
Misure del globo terrestre, oscillazioni dell’eclittica e polemiche sulla priorità delle scoperte lunari tra astronomi arabi e greci.
Sommario
Il blocco documenta le attività di misurazione e teorizzazione astronomica nel mondo islamico medievale, con focus su tre ambiti principali: la determinazione delle dimensioni terrestri, le correzioni ai modelli tolemaici e le dispute sulla paternità di scoperte lunari. Le fonti citano i figli di Musa, incaricati da Al Mamun di misurare la circonferenza terrestre nella pianura di Sinjar e a Kufa, sebbene i risultati variino („Al Fargani riporta solo 56 miglia come esito delle misure di Al Mamun”) e la attendibilità delle testimonianze sia messa in dubbio („il terzo resoconto non è affidabile”). Le stime successive oscillano tra i 6800 e gli 8000 parasang (equivalenti a 240.000 stadi secondo Posidonio), con riferimenti a Al Biruni e Al Kusgi.
Un secondo tema riguarda le correzioni ai parametri tolemaici: Al Battani rileva un’„inclinazione dell’eclittica di 23°33’” (contro i 23°51’ dei greci) e un’„oscillazione tra 23°53’ e 23°33’” ipotizzata da Al Zarkali e Abu ’l Hassan Ali, influenzata dalla credenza nella „trepidazione degli equinozi”. Le osservazioni sull’apogeo solare (da 82°17’ di Al Battani a 77°50’ di Al Zarkali) e sulla precessione („54” annui”) rivelano tentativi di sistematizzazione, sebbene „nessuno sospettasse che l’apogeo si muovesse costantemente”.
Il terzo nucleo è la controversia sulla variazione lunare: Abu ’l Wefa viene accusato da Sedillot di aver anticipato Tycho Brahe nella scoperta della „terza disuguaglianza”, ma le obiezioni di Bertrand („Abu ’l Wefa non aggiunge la sua ‘mohazat’ alla prosneusi”) e l’analisi filologica sui termini „tathlith” e „tasdis” (interpretati come „ottanti”) smontano la tesi. Le misure dell’inclinazione lunare (da 5° di Ipparco a valori „tra 4°45’ e 5°8’”) restano inconcludenti per „mancanza di strumenti precisi”, mentre „la scoperta della variazione sfuggì loro per mancanza di perseveranza”.
Riferimenti minori
Fonti primarie
- Shems ed-din, Manuel de la cosmographie (1874); Ibn Challikan, Biographical Dictionary; Al Kusgi in Astronomica (1652).
- Abu ’l Wefa, Almagest (trad. Reinaud, Munk, Carra de Vaux); Ibn Junis su apogeo e precessione.
Termini tecnici
- Parasang (≈ 30 stadi); trepidazione: oscillazione ipotizzata dell’eclittica.
- Prosneusi: seconda anomalia lunare in Ptolemy; mohazat: termine ambiguo nella disputa sulla variazione.
22. La crisi delle teorie astronomiche pre-copernicane e il risveglio dell’osservazione in Europa
L’astronomia tra errori consolidati, speculazioni infondate e il lento affacciarsi di un metodo basato sull’evidenza empirica.
Il blocco descrive il declino delle teorie astronomiche ereditate da Tolomeo — come la trepidatio, definita «un tentativo che sarebbe stato meglio lasciare da parte» (4786) — e la loro persistente accoglienza nonostante «nessuna osservazione persistente» (4785) ne confermasse la validità. Si evidenzia come «astronomi continuarono ad accettare la teoria» (4784) fino al suo definitivo abbandono, quando «un vero osservatore delle stelle» (4784) dimostrò che «l’obliquità dell’eclittica era diminuita costantemente» (4784) e che «la precessione annua non era mai variata» (4784). Il testo segna poi il passaggio all’Europa medievale, dove «quando gli europei ripresero a occuparsi di scienza, trovarono l’astronomia quasi nello stesso stato in cui Tolomeo l’aveva lasciata» (4797), ma con un elemento cruciale: «gli arabi avevano messo nelle loro mani uno strumento potente» (4798) trasformando «il calcolo delle corde in trigonometria». Si delinea così il contesto del «riscatto dall’atmosfera pesante dello scolasticismo» (4812), con «il vento dalle sponde dell’Ellade» (4812) che apre alla rinascita umanistica e scientifica, pur tra differenze regionali: «in Italia la reazione fu così forte da sembrare destinata a rimettere il paganesimo al posto del cristianesimo» (4814), mentre «in Germania il lavoro preparatorio»(4815) gettò le basi per Copernico e Keplero.
Il sommario include anche le speculazioni di Nicola Cusano, che «non si fondano in alcun modo sull’osservazione» (4848) ma introducono idee rivoluzionarie: «l’universo deve essere infinito e quindi privo di centro» (4840), «la Terra non può essere priva di moto» (4841), e «è un’illusione credere di essere al centro del mondo» (4842). Cusano argomenta che «se uno fosse al polo nord celeste, il centro gli apparirebbe lì» (4842), e «non possiamo concepire il mondo, la sua figura e il suo moto, perché appare come una ruota in una ruota, una sfera in una sfera, senza centro né circonferenza» (4843). Nonostante «tutto questo sia pura speculazione» (4848), le sue idee anticipano temi copernicani, pur senza «riferimenti distinti a osservazioni» (4848) se non «vaghi» (4848), come «il Sole è più grande della Terra, e la Terra più grande della Luna» (4860-4861).
Frasi incluse
(4784–4788), (4790–4791), (4797–4798), (4800–4804), (4806–4814), (4816–4817), (4840–4844), (4846–4849), (4860–4863).
Note
- Le citazioni in lingua originale sono tradotte in italiano e riportate in corsivo tra virgolette.
- Le frasi (4792–4796), (4799), (4805), (4815), (4818–4839), (4850–4863) sono escluse in quanto fuoritema o ridondanti.
23. Precursori controversi: da Leonardo a Calcagnini, tra ipotesi eliotropiche e rotazioni terrestri
Tra equivoci storici e speculazioni astronomiche: come figure come Leonardo da Vinci e Celio Calcagnini furono associate – spesso a torto – alla rivoluzione copernicana, tra problemi meccanici, citazioni fuorvianti e tentativi di spiegare il moto terrestre prima del *De revolutionibus.
Sommario
Il blocco traccia un percorso critico attraverso le attribuzioni, spesso infondate, di anticipazioni copernicane a figure del Rinascimento, concentrandosi su due casi emblematici: Leonardo da Vinci e Celio Calcagnini. Il primo viene citato da Libri come sostenitore del “mouvement de la terre” in un manoscritto del 1496 (“En astronomie, il a soutenu avant Copernic la théorie du mouvement de la terre”), ma l’unico appunto concreto – un problema meccanico su “un corpo che descrive una spirale verso un globo rotante” (1510) – dimostra solo la sua padronanza del “parallelogramma dei moti”, senza implicare alcuna adesione all’eliocentrismo. L’autore smonta l’ipotesi: “proporre un problema del genere è ben diverso dal sostenere che la terra sia realmente un globo rotante”, paragonando l’errore a “accusare Leonardo di credere che i corpi in caduta descrivano spirali”.
Il caso di Calcagnini (1479–1541) è più articolato. Il suo saggio Quod caelum stet, terra moveatur (ante 1525) argomenta che “non è il cielo a ruotare con velocità incredibile in un giorno e una notte, ma la terra”, richiamando fenomeni come “i solstizi, gli equinozi, la durata variabile delle ombre” e “i sei mesi di luce e buio ai poli”. Tuttavia, la sua tesi si limita a una “rotazione perpetua attorno al centro immobile”, senza abbandonare la centralità terrestre (“la terra è posta al centro e non può scendere oltre”), e si perde in “citazioni fuor luogo di Platone e Aristotele” e “parole greche inserite a caso”. L’ipotesi che abbia attinto a Copernico – forse durante il soggiorno a Cracovia (1518) – resta “una supposizione”: il suo “tentativo goffo” di spiegare “tutti i fenomeni celesti con un moto terrestre sconosciuto” rivela “una conoscenza astronomica estremamente limitata”, tanto da ridurre il saggio a “frasi prive di senso”. L’unico merito, semmai, sarebbe stato “spiegare la rotazione diurna”, ma l’ambizione di estendere la teoria a “l’obliquità dell’eclittica” o “i moti epiciclici” lo “priva di ogni credibilità come precursore”.
Emergono temi minori: la circolazione inedita di idee (il saggio di Calcagnini, stampato postumo nel 1544, “era probabilmente noto in Italia già in vita”), le reazioni scettiche (come quella di Maurolico, che nel 1543 liquidava il moto terrestre come “perversità umana”), e il contesto editoriale (la riscoperta di Tolomeo tra traduzioni arabe e greche, culminata nell’edizione basileese del 1538). Le citazioni finali – da “Archimede, che promise di muovere la terra” a “Niceta e il Timeo di Platone” – suggeriscono una “consapevolezza vaga” di precedenti eliotropici, ma anche la “mancanza di strumenti” per svilupparli. Il blocco si chiude con un giudizio netto: “se Calcagnini si fosse limitato alla rotazione diurna, avrebbe meritato il titolo di precursore; invece, pretendendo di spiegare tutto, lo ha perso”.
24. La formazione intellettuale di Copernico: dagli studi a Cracovia agli anni italiani (1491–1506)
Tra matematica, astronomia e l’influenza di maestri come Albert di Brudzew e Domenico Maria da Novara.
Il percorso accademico di Copernico si snoda tra Cracovia, Bologna, Roma e Padua, segnato da incontri decisivi e da un progressivo distacco dalle teorie tolemaiche. Gli anni di studio a Cracovia lo introducono alla tradizione astronomica, con lezioni private di Albert di Brudzew, il cui commento alle «Theoricae novae Planetarum» di Peurbach rivela una «capacità di trarre tutte le conclusioni logiche dalle costruzioni di Tolomeo», pur senza anticipare «la possibilità o probabilità del moto terrestre». L’incontro con Novara a Bologna, descritto come «più un assistente e un testimone delle osservazioni che un discepolo», segna invece un passaggio cruciale: qui Copernico «osserva il cielo» per la prima volta (l’occultazione di Aldebaran nel 1497) e si confronta con l’ipotesi — poi smentita — di uno «spostamento del polo» verso le città mediterranee. Nonostante l’assenza di prove che colleghino direttamente i suoi maestri alla «grande scoperta», il ruolo del Sole nelle teorie planetarie, «straordinario» e centrale, potrebbe aver «fornito la chiave» per risolvere gli «enigmi dei pianeti».
Il soggiorno italiano, tra diritto canonico, medicina e greco, completa la sua formazione: a Roma tiene lezioni di «matematica» (probabilmente astronomia), mentre a Padua e Ferrara ottiene il dottorato. Al ritorno in Ermland (1506), le «leggere mansioni» nel capitolo di Frauenburg gli concedono «abbondante tempo libero» per la ricerca, pur tra impegni amministrativi. Le prime tracce della sua fama emergono con gli inviti a pronunciarsi sulla riforma del calendario (1514, declinato per «insufficiente conoscenza dei moti solari e lunari») e sulla critica al trattato di Johann Werner sulla «precessione» (1522), dove Copernico smaschera «un errore cronologico di undici anni» e confuta l’ipotesi di una «variazione nella velocità dell’ottava sfera».
Note
- Le firme di Copernico variano nel tempo: dalle prime «Koppernigk» (1512–1528, con pp) alla forma latinizzata «Coppernicus» (1537–1541, con p singola), adottata anche dal suo unico discepolo, Rheticus.
- La diocesi di Ermland, «praticamente un principato indipendente» sotto la protezione polacca, offre a Copernico un contesto politico e culturale autonomo, con Frauenburg come centro dei suoi studi.
- L’ipotesi dello «spostamento del polo» di Novara, pur infondata, «attira l’attenzione per oltre un secolo», divisiva tra scettici (Tycho, Gilbert) e sostenitori (Keplero in gioventù).
25. Il Commentariolus di Copernico: diffusione, struttura e ricezione della teoria elio-centrica prima del De revolutionibus
Un manoscritto dimenticato e le sue conseguenze: dalla circolazione privata tra astronomi alla pubblicazione clandestina di un sistema che «scuote le opinioni consolidate».
Sommario
Il blocco descrive la genesi, la circolazione e le reazioni suscitata dal Commentariolus, un trattato preliminare in cui Copernico espone per la prima volta il suo sistema elio-centrico in forma sintetica e non dimostrativa. Il testo, destinato a «lettori già familiari con i dettagli del sistema tolemaico» (5352), si apre con una critica agli «equanti di Tolomeo» e alle «distanze variabili dei pianeti» non spiegate da Eudosso (5349), per poi enunciare in «sei "petitiones" o assiomi» (5349) i principi del nuovo modello: la triplice moto della Terra, l’ordine delle orbite, e la necessità di riferire i movimenti «non all’equinozio ma alle stelle fisse» (5350). Nonostante l’assenza di «prove o ragioni» (5351), il Commentariolus circola tra gli astronomi grazie a copie manoscritte distribuite da Tycho Brahe — che ne riceve una nel 1575 dall’imperatore Rodolfo II (5347) — e da altri studiosi, tra cui «Widmanstad», che nel 1533 ne illustra «a voce il nuovo sistema» (5353-5354) a Papa Clemente VII.
Il trattato suscita l’interesse del cardinale Nicolaus von Schönberg, il quale, in una lettera del 1536, «esorta Copernico a rendere nota la sua scoperta» (5355) e offre di copiarne il manoscritto a proprie spese (5371). Tuttavia, Copernico «teme la tempesta» (5372) che la teoria scatenerà e ritarda la pubblicazione del De revolutionibus nonostante le pressioni degli amici, tra cui il vescovo Tiedemann Giese. Solo l’arrivo di «Georg Joachim Rheticus» (5374) — che nel 1540 pubblica la Narratio prima, una «recensione entusiasta» (5375) indirizzata a Johann Schöner — convince Copernico a consegnare il manoscritto. La stampa, affidata inizialmente a Rheticus e poi al teologo «Andreas Osiander» (5391), viene alterata da quest’ultimo con l’aggiunta di una «prefazione anonima» (5392) che riduce la teoria a «mere ipotesi di calcolo», sostenendo che «non è necessario che siano vere, basta che i calcoli corrispondano alle osservazioni» (5395). La prefazione, che «nessuno deve prendere per verità» (5406), scatena le proteste di Giese, il quale denuncia «l’abuso di fiducia e l’empietà» (5416) dell’editore. Nonostante ciò, il libro esce postumo nel 1543, lo stesso giorno della morte di Copernico (5387), con modifiche non autorizzate — come «l’omissione dell’introduzione sulla difficoltà e l’importanza dell’astronomia» (5390) — e l’inserzione di frasi scartate dall’autore, tra cui il passaggio «"La prova sarebbe la stessa se la Terra fosse ferma e il Sole si muovesse intorno a lei, come secondo Tolomeo"» (5389).
Il sommario accenna anche alle obiezioni fisiche sollevate da Copernico contro i detrattori — come «la violenza del moto che avrebbe disperso la Terra» (5445) — e alla sua difesa della rotazione terrestre, argomentando che «i corpi celesti più lontani si muovono più lentamente» (5443) e che «l’aria vicina alla Terra partecipa del suo moto» (5446). Emerge infine la contraddizione tra la «fede di Copernico nella realtà fisica del sistema» (5410), testimoniata dalla «dedica al Papa» (5411) e dalla polemica contro «Lattanzio e i suoi argomenti infantili» (5412), e la «prefazione di Osiander», che per decenni «attribuì falsamente a Copernico la paternità di un’ipotesi strumentale» (5420). Il blocco si chiude con un cenno alla struttura del De revolutionibus, suddiviso in «sei libri» (5422) che trattano rispettivamente «la sfericità del mondo» (5433), «la precessione degli equinozi» (5432), e «i moti dei pianeti in longitudine e latitudine» (5433).
Note
Storia del manoscritto e edizioni
- Il Commentariolus viene stampato per la prima volta da «Curtze (1873) dal manoscritto di Vienna» (5360), seguito da una copia rinvenuta «all’Osservatorio di Stoccolma» (5362). Un’edizione critica è curata da «Prowe (184-202)»(5365).
- La Narratio prima di Rheticus è ristampata «nella edizione del 1873» (5379) e nella biografia di «Prowe» (5380).
- La lettera di Giese contro Osiander appare in «una raccolta pubblicata a Cracovia (1615)»(5423), poi riprodotta «nella edizione di Varsavia (1854)»(5424).
Controversie editoriali
- Osiander è accusato da «Keplero (1609)»(5426) di aver aggiunto «orbium caelestium al titolo» (5428), sebbene «Copernico usi spesso questi termini» (5429).
- La «frase scartata sul moto del Sole» (5389) ricompare nel testo stampato, mentre «l’introduzione sul valore dell’astronomia» (5390) viene omessa.
26. L’ordine eliotropico: fondamenti e paradossi del sistema copernicano
Un trattato sulla centralità del Sole e le leggi del moto celeste, tra geometria, errori osservativi e la ricerca di un’armonia cosmica.
Il blocco descrive la struttura del sistema eliocentrico come formulato da Copernico, partendo dall’assunto che «in the midst of all stands the sun» («al centro di tutto sta il Sole») e che la Terra, lungi dall’essere immobile, «describe among the other planets a great orbit round the sun» («descrive tra gli altri pianeti una grande orbita attorno al Sole»). Il testo giustifica questa rivoluzione concettuale con argomenti di economia intellettuale: «it produces nothing superfluous or useless» («la natura non produce nulla di superfluo o inutile»), e la semplicità geometrica del modello eliocentrico viene contrapposta alla «almost endless multitude of circles» («quasi infinita moltitudine di cerchi») del sistema tolemaico. Tuttavia, l’adozione del principio eliocentrico non elimina del tutto le complessità: Copernico deve introdurre «a third motion of the earth» («un terzo moto della Terra») per spiegare la precessione degli equinozi, e ricorre ancora a epicicli ed eccentrici per rendere conto delle «varying velocities of the planets» («velocità variabili dei pianeti»), ereditando così parte delle soluzioni tolemaiche che intendeva superare.
Il sommario evidenzia anche le tensioni interne al sistema: la Terra, pur declassata a pianeta, mantiene un ruolo eccezionale, poiché «the centre of all movements» («il centro di tutti i movimenti») coincide con il centro della sua orbita, non con il Sole. Le osservazioni astronomiche, spesso inaffidabili o scarse, costringono Copernico a ipotesi ad hoc, come le «librations» («librazioni») dell’asse terrestre o i «two motions at right angles» («due moti perpendicolari») per spiegare fenomeni come la precessione e la variazione dell’obliquità dell’eclittica, ritenuti irregolari. Nonostante queste incongruenze, il sistema si propone come una «harmonious arrangement» («disposizione armoniosa») capace di spiegare fenomeni come le «retrograde arcs» («anomalie retrograde») dei pianeti o le variazioni di luminosità, attribuite al moto terrestre. Il testo si chiude con un riconoscimento del valore dell’opera: un «complete overhauling» («rifacimento completo») della tradizione tolemaica, che, anche prescindendo dall’eliocentrismo, offre «new theories and new tables» («nuove teorie e nuove tavole») per i moti planetari.
Note
- Le citazioni in lingua originale sono tradotte in italiano e riportate in corsivo tra virgolette.
- I riferimenti numerici agli identificativi delle frasi (es. 5487, 5500) sono omessi nel sommario per coerenza con le istruzioni, ma corrispondono alle sezioni citate.
- Tematiche minori emerse: a) il ruolo della matematica come strumento di chiarezza («make it clearer than the sun, at least to those who know something of mathematics»); b) l’influenza degli errori osservativi sulle teorie (es. la variazione irregolare degli apogei); c) il persistente ricorso a costrutti geometrici tolemaici (epicicli, deferenti) nonostante la critica al sistema geocentrico.
27. La rivoluzione celeste: da Tycho Brahe alla scoperta dell’orbita ellittica
Il dibattito sulla cometa del 1577 come spartiacque tra cosmologia aristotelica e astronomia moderna.
Il blocco di testo analizza il contributo di Tycho Brahe alla demolizione delle sfere celesti solide e alla ridefinizione del sistema planetario, con particolare attenzione al ruolo delle comete come corpi celesti e non atmosferici. Si evidenzia come le osservazioni di Tycho — tra cui la misurazione della parallasse della cometa del 1577, la confutazione della trepidazione degli equinozi e l’introduzione di un sistema ibrido (Tychonico) — abbiano preparato il terreno per le scoperte di Kepler. Emergono temi minori come la disputa sulla paternità del sistema Tychonico con Nicolai Reymers Ursus, le prime ipotesi su orbite non circolari („la figura [...] non undique et exquisite rotundum ad solem circuitum sed aliquantulum oblongiorem, in modum figuras quam *Ovadam vulgo vocant“), e i limiti delle teorie planetarie pre-kepleriane, dove „comets, which only last a short time, do not move with the same regularity as the planets do“*.
Il sommario prosegue con l’analisi delle osservazioni lunari di Tycho, che rivelano irregolarità nell’inclinazione dell’orbita e nel moto dei nodi, e con le prime avvisaglie delle leggi kepleriane: la proporzionalità tra velocità orbitale e distanza dal Sole („il tempo impiegato a percorrere un arco è proporzionale al raggio vettore“), e la scoperta che „l’orbita di Marte non è un cerchio ma una figura ovale“, precursore dell’ellisse. Si sottolinea il metodo empirico di Kepler — basato su „settanta tentativi“ per conciliare le osservazioni con la teoria — e il suo rifiuto degli „epicicli“ e dei „puncta aequantia“ ptolemaici, culminato nella formulazione delle due leggi fondamentali: „il raggio vettore descrive aree uguali in tempi uguali“ e „l’orbita è un’ellisse con il Sole in uno dei fuochi“. Il testo si chiude con le implicazioni filosofiche della scoperta, tra cui l’abbandono del „principio di moto circolare uniforme“ e l’ipotesi di una „forza motrice“ (anima motrix) solare, anticipatrice della gravità newtoniana.
Note e riferimenti
- „De Mundi cetherei recentioribus phaenomenis liber secundus“ (1588, pubblicato nel 1603): opera chiave in cui Tycho espone il suo sistema e i dati sulle comete.
- „Progymnasmata“: citato per la confutazione della trepidazione (pp. 38, 253).
- „De stella Martis“ (Kepler): testo in cui si enuncia la seconda legge („caps. xxiii.–xxviii.“).
- „Mysterium Cosmographicum“ (1596): prima ipotesi kepleriana sui solidi platonici e le distanze planetarie („inter solidos orbes“).
- „Astronomia Nova“ (1609): sintesi delle leggi del moto planetario, derivata dai dati di Tycho („Kepleri Opera, iii. p. 291“).
28. La ricerca dell’armonia celeste: dagli epicicli alle leggi di Keplero tra geometria, osservazione e teoria magnetica
Tra epicycli in dissenso, ellissi contestate e tavole rudolfine: come un’ipotesi sui poliedri regolari si trasformò in una rivoluzione astronomica.
Il blocco traccia l’evoluzione del pensiero kepleriano dalla critica agli schemi tradizionali — dove “se sul circonferenza di un cerchio un epiciclo si muove, mentre il pianeta si sposta sull’epiciclo” (6682) e “la circolarità e l’uguaglianza dei moti” (6696) vengono messi in discussione — alla formulazione delle tre leggi. Emergono due filoni paralleli: da un lato, la resistenza concettuale alle ellissi, espressa in una lettera del 1607 dove si obietta che “con la tua ovalità o ellisse elimini la circolarità e l’uguaglianza dei moti, cosa che mi sembra assurdamente contraddittoria” (6696), e si insiste sul fatto che “il cielo, essendo rotondo, ha moti circolari e massimamente regolari attorno al suo centro” (6697). Dall’altro, la progressiva affermazione delle ellissi come soluzione geometrica, descritte in dettaglio da Keplero stesso in una lettera del 1605 dove spiega “come trovò l’ellisse” (6693) e la sua “teoria magnetica”, fino alla sistematizzazione nelle Tavole Rudolfine (1627), presentate come “la restaurazione dell’astronomia, concepita e realizzata da quel fenice degli astronomi, Tychone” (6729).
Il testo documenta anche il conflitto metodologico con David Fabricius, che proponeva “oscillazioni (librazioni) del centro di un cerchio eccentrico” (6701) per rappresentare il moto ellittico, ma senza rispettare la seconda legge kepleriana, tanto che “l’anomalia vera non corrispondeva a quella media corretta” (6702). Keplero, invece, estende le sue prime due leggi — inizialmente dimostrate solo per Marte — a tutti i pianeti nell’Epitome Astronomiae Copernicanae (1618–1621), pur ammettendo che “l’introduzione del moto ellittico nella teoria lunare era problematico a causa della variabilità dell’eccentricità” (6709) e che “né la pura uguaglianza dei moti, né la precisione assoluta si ottengono, né si risparmia fatica, e le cause dei moti restano occulte e neglette” (6714). La scoperta della terza legge nel 1619, esposta nell’Harmonices Mundi, chiude il cerchio: Keplero abbandona l’ipotesi dei cinque poliedri regolari — “la teoria era solo approssimativa” (6747) — e individua l’armonia “non negli intervalli [delle distanze], ma nei moti stessi” (6750), traducendo le velocità angolari in “vibrazioni di un tono” (6765) e scartando l’idea di una “musica delle sfere” letterale (“in cielo non esistono suoni” (6764)).
Note e riferimenti impliciti
Fonti primarie citate
- Lettera di Keplero, 11 novembre 1605 (6693): descrizione dell’ellisse e teoria magnetica.
- Lettera anonima, 20 gennaio 1607 (6698): obiezione alla “ovalitatem vel ellipsin”.
- Epitome Astronomiae Copernicanae (1618–1621) (6707–6708): estensione delle leggi a tutti i pianeti.
- Harmonices Mundi (1619) (6745–6750): terza legge e armonia dei moti.
- Tabulæ Rudolphinæ (1627) (6728–6729): pubblicazione delle tavole con dedica a Tycho Brahe.
Temi minori
- Critica ai predecessori: “spesso deve aver invidiato i suoi predecessori, che potevano introdurre un epiciclo per ogni nuova disuguaglianza” (6720).
- Luna e equazione annuale: scoperta indipendente da Tycho dell’“equazione annuale della luna” (6721), legata a “una forza emanante dal sole” (6724) o alla “velocità di rotazione terrestre” (6725).
- Fabricius: teoria alternativa “mai pubblicata” (6703), “ultimo rappresentante di un principio in via di abbandono” (6704).