Lucrezio - De Rerum Natura - lettura
Argomento 1: L'esistenza del vuoto e dei corpi primordiali
Dimostrazione della natura duale della realtà attraverso ragionamenti filosofici.
L'argomento affronta l'esistenza del vuoto nelle cose. Si afferma che oggetti più leggeri indicano maggiore vuoto interno, come in "ergo quod magnumst aeque leviusque videtur, ni mirum plus esse sibi declarat inanis" ("quindi ciò che è grande ma altrettanto leggero, senza dubbio dichiara di avere in sé più vuoto"). Al contrario, oggetti pesanti hanno più corpo e meno vuoto, "at contra gravius plus in se corporis esse dedicat et multo vacui minus intus habere" ("al contrario, ciò che è più pesante dichiara di avere in sé più corpo e molto meno vuoto all'interno").
Si critica l'idea che i pesci creino spazio nell'acqua per muoversi, sostenendo che ciò implica un vuoto, "nam quo squamigeri poterunt procedere tandem, ni spatium dederint latices?" ("infatti, dove potranno procedere i pesci squamosi, se le acque non daranno spazio?"). Senza vuoto, il movimento sarebbe impossibile, "aut igitur motu privandumst corpora quaeque aut esse admixtum dicundumst rebus inane" ("o quindi i corpi devono essere privati del movimento, o si deve dire che il vuoto è misto alle cose").
Si discute di corpi che si separano, richiedendo aria a occupare lo spazio vuoto, "Postremo duo de concursu corpora lata si cita dissiliant, nempe aër omne necessest, inter corpora quod fiat, possidat inane" ("infine, se due corpi larghi si separano rapidamente dopo l'urto, è necessario che l'aria occupi tutto lo spazio vuoto che si forma tra i corpi"). L'aria non può condensarsi senza vuoto, "nam vacuum tum fit quod non fuit ante et repletur item vacuum quod constitit ante" ("infatti allora si forma un vuoto che prima non c'era, e similmente si riempie il vuoto che si è formato prima").
Si invita a riconoscere il vuoto attraverso ragionamenti, "esse in rebus inane tamen fateare necessest" ("tuttavia devi ammettere che nelle cose c'è il vuoto"). Ulteriori argomenti possono essere forniti, ma piccole tracce bastano per scoprire il resto, come cani che seguono piste, "namque canes ut montivagae persaepe ferai naribus inveniunt intectas fronde quietes" ("infatti come i cani montani spesso con il naso trovano le belve nascoste sotto la fronda").
La natura consiste di corpi e vuoto, "omnis ut est igitur per se natura duabus constitit in rebus; nam corpora sunt et inane" ("quindi tutta la natura per sé consiste di due cose: infatti ci sono i corpi e il vuoto"). Il senso comune conferma i corpi, "corpus enim per se communis dedicat esse sensus" ("infatti il senso comune dichiara che il corpo esiste per sé"). Senza vuoto, i corpi non potrebbero muoversi, "tum porro locus ac spatium, quod inane vocamus, si nullum foret, haut usquam sita corpora possent esse neque omnino quoquam diversa meare" ("inoltre, il luogo e lo spazio, che chiamiamo vuoto, se non ci fosse, i corpi non potrebbero essere situati da nessuna parte né muoversi in alcuna direzione").
Non esiste una terza natura oltre corpi e vuoto, "ergo praeter inane et corpora tertia per se nulla potest rerum in numero natura relinqui" ("quindi oltre al vuoto e ai corpi, nessuna terza natura per sé può rimanere nel numero delle cose"). Qualsiasi cosa deve essere corpo o vuoto, "scilicet hoc id erit, vacuum quod inane vocamus" ("certamente questo sarà ciò che chiamiamo vuoto").
Proprietà come peso o calore sono congiunte ai corpi, "coniunctum est id quod nusquam sine permitiali discidio potis est seiungi seque gregari" ("è congiunto ciò che non può essere separato senza distruzione fatale né isolato"). Eventi come tempo o guerre derivano da corpi e vuoto, "haec soliti sumus, ut par est, eventa vocare" ("questi siamo soliti chiamarli, come è giusto, eventi").
Senza materia e spazio, eventi storici non sarebbero accaduti, "denique materies si rerum nulla fuisset nec locus ac spatium, res in quo quaeque geruntur" ("infine, se non ci fosse stata materia delle cose né luogo e spazio in cui ciascuna cosa si svolge"). I corpi sono primordi o composti, "Corpora sunt porro partim primordia rerum, partim concilio quae constant principiorum" ("i corpi sono in parte primordi delle cose, in parte quelli che constano di un concilio di principi").
I primordi sono indistruttibili e solidi, "sed quae sunt rerum primordia, nulla potest vis stinguere; nam solido vincunt ea corpore demum" ("ma quelli che sono primordi delle cose, nessuna forza può estinguerli; infatti vincono con il corpo solido alla fine"). Anche se sembra che nulla sia solido, la ragione lo richiede, "usque adeo in rebus solidi nihil esse videtur" ("a tal punto nelle cose sembra che non ci sia nulla di solido").
La natura duale implica corpi solidi senza vuoto interno, "sunt igitur solida ac sine inani corpora prima" ("quindi i corpi primi sono solidi e senza vuoto"). La materia deve essere eterna per spiegare la creazione, "materies igitur, solido quae corpore constat, esse aeterna potest" ("quindi la materia, che consta di corpo solido, può essere eterna").
Senza corpi solidi, tutto sarebbe vuoto o pieno, ma alternano, "alternis igitur ni mirum corpus inani distinctum" ("quindi senza dubbio il corpo è distinto dal vuoto in alternanza"). I primordi non possono essere dissolti, "haec neque dissolui plagis extrinsecus icta possunt" ("questi non possono essere dissolti da colpi esterni").
Se la materia non fosse eterna, tutto sarebbe ridotto a nulla, "Praeterea nisi materies aeterna fuisset, antehac ad nihilum penitus res quaeque redissent" ("inoltre, se la materia non fosse stata eterna, prima d'ora ciascuna cosa sarebbe tornata completamente al nulla"). I primordi sono semplici e immortali, "sunt igitur solida primordia simplicitate" ("quindi i primordi sono solidi per semplicità").
Argomento 2: La Natura Incolore dei Principi Primi e l'Origine dei Colori
Esplorazione delle proprietà sensoriali emergenti da atomi privi di qualità secondarie.
Sommario dell'Argomento
I principi primi non possiedono colore, poiché "nullus enim color est omnino materiai corporibus, neque par rebus neque denique dispar" (nessun colore appartiene affatto ai corpi materiali, né uguale alle cose né del tutto diverso), e ciò garantisce che le cose non si riducano al nulla, come avverte "proinde colore cave contingas semina rerum, ne tibi res redeant ad nihilum funditus omnes" (pertanto evita di attribuire colore ai semi delle cose, affinché le cose non si riducano completamente al nulla). I colori emergono dalle forme, posizioni e moti dei principi, non da tinte inerenti, come esemplificato dal mare che cambia da nero a bianco: "ut mare, cum magni commorunt aequora venti, vertitur in canos candenti marmore fluctus" (come il mare, quando i grandi venti agitano le sue acque, si trasforma in onde bianche come marmo candente). Se i semi avessero colori fissi, non potrebbero mutare: "quod si caeruleis constarent aequora ponti seminibus, nullo possent albescere pacto" (se le acque del mare consistessero di semi azzurri, in nessun modo potrebbero diventare bianche).
Le combinazioni di atomi dissimili producono varietà sensoriali, inclusi colori, senza che i principi stessi li possiedano, poiché "semina cum porro distent, differre necessust intervalla vias conexus pondera plagas concursus motus" (poiché i semi differiscono, devono differire gli intervalli, le vie, le connessioni, i pesi, gli urti, gli incontri, i moti). Esempi come la piuma del colombo o la coda del pavone mostrano colori che mutano con la luce: "pluma columbarum quo pacto in sole videtur... namque alias fit uti claro sit rubra pyropo" (come la piuma dei colombi appare al sole... a volte diventa rossa come un chiaro granato), rivelando che "qui quoniam quodam gignuntur luminis ictu, scire licet, sine eo fieri non posse putandum est" (poiché questi sono generati da un certo impatto della luce, si deve pensare che senza di esso non possano esistere). I principi sono privi non solo di colore ma anche di altre qualità sensoriali come calore, freddo, suono e odore: "etiam secreta teporis sunt ac frigoris omnino calidique vaporis, et sonitu sterila et suco ieiuna feruntur" (sono del tutto privi di calore e freddo e vapore caldo, sterili di suono e privi di succo).
Le cose sensibili derivano da principi insensibili, come vermi che emergono dal letame: "quippe videre licet vivos existere vermes stercore de taetro" (infatti si può vedere vermi vivi emergere dal letame fetido), e la natura trasforma il cibo in sensi: "ergo omnes natura cibos in corpora viva vertit et hinc sensus animantum procreat omnes" (quindi la natura trasforma tutti i cibi in corpi vivi e da qui produce tutti i sensi degli animali). Questo ordine e miscela dei principi è cruciale: "iamne vides igitur magni primordia rerum referre in quali sint ordine quaeque locata et commixta quibus dent motus accipiantque?" (vedi dunque quanto importi per i principi primi delle cose in quale ordine siano posti e con quali misti diano e ricevano moti?).
Temi minori emergono, come l'impossibilità di mostri ibridi per via di semi specifici: "nam volgo fieri portenta videres, semiferas hominum species existere" (infatti vedresti comunemente prodigi accadere, specie semiferine di uomini esistere), negata perché "omnia quando seminibus certis certa genetrice creata conservare genus crescentia posse videmus" (poiché vediamo che tutte le cose, create da semi certi e da una certa genitrice, possono conservare il genere crescendo). Inoltre, la percezione tattile senza colore supporta l'idea: "nam cum caecigeni... tamen cognoscant corpora tactu ex ineunte aevo nullo coniuncta colore" (infatti i nati ciechi... tuttavia riconoscono i corpi al tatto fin dall'infanzia senza alcun colore congiunto).
Argomento 3: La Mortalità dell'Anima
Dimostrazioni epicuree sulla natura mortale dell'anima e la sua connessione indissolubile con il corpo.
Sommario
L'argomento esamina la natura dell'anima, sostenendo che essa non si genera né cresce da sola né persiste dopo la morte, come evidenziato da "Praeterea corpus per se nec gignitur umquam nec crescit neque post mortem durare videtur" (Inoltre, il corpo per sé non si genera mai né cresce né sembra durare dopo la morte), tradotto in italiano come "Inoltre, il corpo per sé non si genera mai né cresce né sembra durare dopo la morte". Si sottolinea che anima e corpo condividono moti vitali fin dall'inizio, rendendo impossibile una separazione senza distruzione, come in "discidium ut nequeat fieri sine peste maloque" (affinché la separazione non possa avvenire senza rovina e male), tradotto come "affinché la separazione non possa avvenire senza rovina e male".
Si argomenta contro l'idea che il corpo senta senza l'anima mista in esso, con esempi come "quid sit enim corpus sentire quis adferet umquam" (chi mai spiegherà cosa sia il corpo sentire), tradotto come "chi mai spiegherà cosa sia il corpo sentire", e si nota che il corpo perde ciò che non gli era proprio, come "perdit enim quod non proprium fuit eius in aevo" (perde infatti ciò che non fu proprio della sua esistenza), tradotto come "perde infatti ciò che non fu proprio della sua esistenza".
Vengono confutati concetti come gli occhi che vedono senza l'anima, paragonati a porte aperte, in "Dicere porro oculos nullam rem cernere posse" (Inoltre dire che gli occhi non possono vedere alcuna cosa), tradotto come "Inoltre dire che gli occhi non possono vedere alcuna cosa", e si critica la teoria di Democrito sui primordi alternati, come "Illud in his rebus nequaquam sumere possis, Democriti quod sancta viri sententia ponit" (Ciò in queste cose non puoi affatto assumere, ciò che la santa opinione dell'uomo Democrito pone), tradotto come "Ciò in queste cose non puoi affatto assumere, ciò che la santa opinione dell'uomo Democrito pone".
L'anima è descritta come più dominante per la vita rispetto all'animus, ma incapace di esistere senza il corpo, come in "Et magis est animus vitai claustra coercens" (E più l'animus è il custode delle porte della vita), tradotto come "E più l'animus è il custode delle porte della vita", con esempi di ferite che preservano la vita se l'anima rimane parzialmente, "at manet in vita cui mens animusque remansit" (ma rimane in vita colui al quale mente e animus sono rimasti), tradotto come "ma rimane in vita colui al quale mente e animus sono rimasti".
Si dimostra la mortalità dell'anima attraverso la sua nascita e crescita con il corpo, come "Praeterea gigni pariter cum corpore et una crescere sentimus pariterque senescere mentem" (Inoltre sentiamo che nasce insieme al corpo e insieme cresce e insieme invecchia la mente), tradotto come "Inoltre sentiamo che nasce insieme al corpo e insieme cresce e insieme invecchia la mente", e il suo declino con l'età, "claudicat ingenium, delirat lingua labat mens" (zoppica l'ingegno, delira la lingua, vacilla la mente), tradotto come "zoppica l'ingegno, delira la lingua, vacilla la mente".
L'anima subisce malattie come il corpo, condividendo dolori e cure, in "Huc accedit uti videamus, corpus ut ipsum suscipere inmanis morbos durumque dolorem" (A ciò si aggiunge che vediamo il corpo stesso subire gravi malattie e duro dolore), tradotto come "A ciò si aggiunge che vediamo il corpo stesso subire gravi malattie e duro dolore", e effetti come l'ubriachezza, "denique cor, hominem cum vini vis penetravit" (infine, quando la forza del vino ha penetrato l'uomo), tradotto come "infine, quando la forza del vino ha penetrato l'uomo".
Episodi di malattia mostrano l'anima turbata nel corpo, come "Quin etiam subito vi morbi saepe coactus" (Inoltre spesso costretto dalla violenza improvvisa della malattia), tradotto come "Inoltre spesso costretto dalla violenza improvvisa della malattia", e il suo recupero, "inde ubi iam morbi reflexit causa" (da lì quando la causa della malattia si è ritratta), tradotto come "da lì quando la causa della malattia si è ritratta".
La curabilità dell'anima indica mortalità, poiché cambiamenti implicano dissoluzione, in "Et quoniam mentem sanari corpus ut aegrum" (E poiché vediamo la mente curata come il corpo malato), tradotto come "E poiché vediamo la mente curata come il corpo malato", e "at neque transferri sibi partis nec tribui vult inmortale quod est" (ma l'immortale non vuole che parti siano trasferite né attribuite), tradotto come "ma l'immortale non vuole che parti siano trasferite né attribuite".
La morte progressiva del corpo mostra l'anima divisa e mortale, come "Denique saepe hominem paulatim cernimus ire" (Infine spesso vediamo l'uomo andare a poco a poco), tradotto come "Infine spesso vediamo l'uomo andare a poco a poco", senza possibilità di ritrazione interna senza contraddizione, "scinditur atque animae haec quoniam natura" (si divide e poiché questa natura dell'anima), tradotto come "si divide e poiché questa natura dell'anima".
La mente è fissa in un luogo come altri sensi, incapace di esistere separata, in "Et quoniam mens est hominis pars una locoque" (E poiché la mente è una parte dell'uomo e rimane fissa in un luogo), tradotto come "E poiché la mente è una parte dell'uomo e rimane fissa in un luogo", e unita al corpo per la vita, "Denique corporis atque animi vivata potestas" (Infine la viva potenza del corpo e dell'animo), tradotto come "Infine la viva potenza del corpo e dell'animo".
Al momento della morte, l'anima si dissolve come fumo, emanando dal corpo, come "Denique cum corpus nequeat perferre animai discidium" (Infine quando il corpo non può sopportare la separazione dell'anima), tradotto come "Infine quando il corpo non può sopportare la separazione dell'anima", e non persiste integra, "multimodis ut noscere possis dispertitam animae naturam" (affinché tu possa conoscere in molti modi che la natura dell'anima è stata divisa), tradotto come "affinché tu possa conoscere in molti modi che la natura dell'anima è stata divisa".
In prossimità della morte, l'anima sembra dissolversi interamente, come "Quin etiam finis dum vitae vertitur intra" (Inoltre mentre il confine della vita si volge all'interno), tradotto come "Inoltre mentre il confine della vita si volge all'interno", rendendo dubbia qualsiasi persistenza esterna, "Quid dubitas tandem quin extra prodita corpus" (Perché dubiti infine che espulsa dal corpo all'esterno), tradotto come "Perché dubiti infine che espulsa dal corpo all'esterno".
Durante la morte, non si percepisce l'anima uscire integra, ma fallire in regioni specifiche, in "nec sibi enim quisquam moriens sentire videtur" (infatti nessuno morendo sembra sentire), tradotto come "infatti nessuno morendo sembra sentire", e se immortale, non si lamenterebbe di dissoluzione, "quod si inmortalis nostra foret mens" (che se la nostra mente fosse immortale), tradotto come "che se la nostra mente fosse immortale".
La mente nasce in sedi fisse, non casuali, come "Denique cur animi numquam mens consiliumque gignitur in capite aut pedibus manibusve" (Infine perché la mente e il consiglio dell'animo non nascono mai nella testa o nei piedi o nelle mani), tradotto come "Infine perché la mente e il consiglio dell'animo non nascono mai nella testa o nei piedi o nelle mani", seguendo un ordine naturale, "usque adeo sequitur res rem" (a tal punto una cosa segue l'altra), tradotto come "a tal punto una cosa segue l'altra".
Se immortale e separata, l'anima necessiterebbe di sensi propri, ma non può averli senza corpo, in "Praeterea si inmortalis natura animaist et sentire potest secreta a corpore nostro" (Inoltre se la natura dell'anima è immortale e può sentire separata dal nostro corpo), tradotto come "Inoltre se la natura dell'anima è immortale e può sentire separata dal nostro corpo", confutando raffigurazioni mitiche, "pictores itaque et scriptorum saecla priora" (quindi i pittori e le generazioni precedenti degli scrittori), tradotto come "quindi i pittori e le generazioni precedenti degli scrittori".
Tagliare il corpo divide l'anima, dimostrandone la mortalità, come "Et quoniam toto sentimus corpore inesse" (E poiché sentiamo in tutto il corpo esserci), tradotto come "E poiché sentiamo in tutto il corpo esserci", con esempi di ferite in battaglia dove parti continuano a muoversi, "falciferos memorant currus abscidere membra" (ricordano che i carri falcati tagliano membra), tradotto come "ricordano che i carri falcati tagliano membra".
Anche in animali come serpenti, dividere il corpo implica anime multiple se immortali, ma ciò porta a contraddizioni, in "quin etiam tibi si, lingua vibrante" (inoltre se a te, con lingua vibrante), tradotto come "inoltre se a te, con lingua vibrante", concludendo che è mortale, "ergo divisast ea quae fuit una simul cum corpore" (dunque è divisa quella che fu una insieme al corpo), tradotto come "dunque è divisa quella che fu una insieme al corpo".
L'assenza di memoria di vite precedenti indica che l'anima muore e rinasce nuova, come "Praeterea si inmortalis natura animai constat et in corpus nascentibus insinuatur" (Inoltre se la natura dell'anima è immortale e si insinua nei corpi nascenti), tradotto come "Inoltre se la natura dell'anima è immortale e si insinua nei corpi nascenti", e se mutata, ciò implica dissoluzione, "nam si tanto operest animi mutata potestas" (infatti se tanto è mutata la potenza dell'animo), tradotto come "infatti se tanto è mutata la potenza dell'animo".
Se l'anima entra nel corpo formato, non crescerebbe con esso, ma si dissolve nel processo, in "Praeterea si iam perfecto corpore nobis inferri solitast animi vivata potestas" (Inoltre se nel corpo già perfetto ci è inserita la viva potenza dell'animo), tradotto come "Inoltre se nel corpo già perfetto ci è inserita la viva potenza dell'animo", e non è priva di nascita né di morte, "quapropter neque natali privata videtur esse die natura animae nec funeris expers" (per cui la natura dell'anima non sembra priva del giorno natale né esente dal funerale), tradotto come "per cui la natura dell'anima non sembra priva del giorno natale né esente dal funerale".
Semi dell'anima non rimangono nel corpo morto, altrimenti non sarebbe immortale, o se fugge integra, spiega i vermi, come "Semina praeterea linquontur necne animai corpore in exanimo?" (Inoltre semi dell'anima sono lasciati o no nel corpo esanime?), tradotto come "Inoltre semi dell'anima sono lasciati o no nel corpo esanime?", e non possono fabbricare corpi per sé, "at neque cur faciant ipsae quareve laborent" (ma né perché lo facciano né perché si affatichino), tradotto come "ma né perché lo facciano né perché si affatichino".
Caratteri ereditari mostrano l'anima crescere con il corpo, non immortale e mutevole, in "Denique cur acris violentia triste leonum seminium sequitur" (Infine perché la violenza acerba segue la stirpe dei leoni), tradotto come "Infine perché la violenza acerba segue la stirpe dei leoni", altrimenti causerebbe confusione di nature, "quod si inmortalis foret et mutare soleret corpora" (che se fosse immortale e solesse mutare corpi), tradotto come "che se fosse immortale e solesse mutare corpi".
Se immortale, non competerebbe per corpi mortali, come "Denique conubia ad Veneris partusque ferarum esse animas praesto deridiculum esse videtur" (Infine che le unioni per Venere e i parti delle fiere abbiano anime pronte sembra ridicolo), tradotto come "Infine che le unioni per Venere e i parti delle fiere abbiano anime pronte sembra ridicolo".
L'anima non può esistere senza corpo, come cose non crescono fuori luogo, in "Denique in aethere non arbor" (Infine nell'etere non albero), tradotto come "Infine nell'etere non albero", e è fissata nel corpo, "sic animi natura nequit sine corpore oriri" (così la natura dell'animo non può nascere senza corpo), tradotto come "così la natura dell'animo non può nascere senza corpo".
Unire mortale e immortale è assurdo, come "quippe etenim mortale aeterno iungere et una" (infatti unire il mortale all'eterno e una), tradotto come "infatti unire il mortale all'eterno e una", e l'immortale non soffre pericoli, ma l'anima sì, "at non sunt immortali ulla pericla" (ma non ci sono pericoli per l'immortale), tradotto come "ma non ci sono pericoli per l'immortale".
L'anima subisce afflizioni come furori e oblii, indicando mortalità, in "adde furorem animi proprium atque oblivia rerum" (aggiungi il furore proprio dell'animo e l'oblio delle cose), tradotto come "aggiungi il furore proprio dell'animo e l'oblio delle cose".
Infine, la morte è nulla per noi poiché l'anima è mortale, come "Nil igitur mors est ad nos neque pertinet hilum" (Dunque la morte è nulla per noi né ci riguarda affatto), tradotto come "Dunque la morte è nulla per noi né ci riguarda affatto", e non sentiamo nulla post mortem, "et vel ut ante acto nihil tempore sensimus aegri" (e come prima nel tempo passato non sentimmo nulla di male), tradotto come "e come prima nel tempo passato non sentimmo nulla di male".
Anche se ricostituita, non ci riguarderebbe, in "et si iam nostro sentit de corpore postquam" (e se già sente dal nostro corpo dopo che), tradotto come "e se già sente dal nostro corpo dopo che", senza connessione al passato, "et nunc nil ad nos de nobis attinet" (e ora nulla ci riguarda di noi, di ciò che fummo prima), tradotto come "e ora nulla ci riguarda di noi, di ciò che fummo prima".
Note
Le citazioni sono selezionate per rappresentare i punti chiave, con traduzioni dirette dal latino all'italiano per chiarezza.
Argomento 4: La Natura delle Immagini e delle Percezioni Sensoriali
Spiegazione dei meccanismi della vista attraverso simulacri e fenomeni ottici.
Sommario
Le particelle emesse dai corpi diffondono luce e calore rapidamente attraverso lo spazio, come "solis uti lux ac vapor", "come la luce e il calore del sole", che attraversano il cielo in un istante. Queste emissioni immediate implicano un movimento più veloce per le immagini pronte all'emissione, poiché "quone vides citius debere et longius ire", "vedi che devono andare più velocemente e più lontano". Lo specchio d'acqua riflette le stelle istantaneamente, dimostrando la velocità delle immagini, come "quam puncto tempore imago aetheris ex oris in terrarum accidat oras", "in quanto punto di tempo l'immagine dal cielo cada sulle rive della terra".
Corpi emettono continuamente odori, freddo, calore e suoni, fluendo in tutte le direzioni senza sosta, come "perpetuoque fluunt certis ab rebus odores", "e continuamente fluiscono odori da certe cose". La percezione tattile e visiva condivide cause simili, con le immagini che permettono il riconoscimento delle forme anche al buio, portando a concludere che "esse in imaginibus qua propter causa videtur cernundi", "la causa del vedere sembra essere nelle immagini".
Le immagini si diffondono ovunque ma sono percepite solo dagli occhi, determinando distanza e forma, come "et quantum quaeque ab nobis res absit, imago efficit ut videamus", "e quanto ciascuna cosa è lontana da noi, l'immagine fa sì che vediamo". Il flusso d'aria spinto dalle immagini permette di giudicare la distanza, con un'aria più lunga che indica maggiore lontananza, come "et quanto plus a'ris ante agitatur et nostros oculos perterget longior aura", "e quanto più aria è agitata davanti e sfiora i nostri occhi con un'aura più lunga".
Non è sorprendente che singole immagini non siano viste individualmente, simile al vento o al freddo percepiti complessivamente, come "ventus enim quoque paulatim cum verberat", "infatti il vento anche quando colpisce gradualmente". Toccando una pietra, si sente la durezza interna, non il colore superficiale, come "tangimus extremum saxi summumque colorem nec sentimus eum tactu, verum magis ipsam duritiem", "tocchiamo l'estremità della roccia e il suo colore superficiale, non lo sentiamo col tatto, ma piuttosto la durezza interna".
Le immagini negli specchi appaiono distanti, simili a visioni attraverso porte aperte con doppio strato d'aria, come "is quoque enim duplici geminoque fit a're visus", "infatti anche questo vedere è fatto con doppio e gemello aria". L'immagine si proietta spingendo aria, ritornando invertita, spiegando perché la destra appaia sinistra, come "fiet ut, ante oculus fuerit qui dexter, ut idem nunc sit laevus", "accadrà che l'occhio che era destro, ora sia sinistro".
Immagini si trasferiscono da specchio a specchio, fino a cinque o sei, anche da angoli nascosti, invertendo orientamento, come "fit quoque de speculo in speculum ut tradatur imago", "accade anche che l'immagine sia trasferita da specchio a specchio". Specchi curvi restituiscono immagini dritte per riflessione multipla o rotazione, come "aut quia de speculo in speculum transfertur imago", "o perché l'immagine è trasferita da specchio a specchio".
Si crede che le immagini camminino con noi per la simultaneità del movimento, come "indugredi porro pariter simulacra pedemque ponere nobiscum credas", "credi che le immagini procedano allo stesso passo e pongano il piede con noi". Oggetti luminosi evitano lo sguardo per la loro intensità, bruciando gli occhi con semi di fuoco, come "splendida porro oculi fugitant vitantque tueri", "gli occhi fuggono e evitano di guardare le cose splendenti".
Malati di itterizia vedono giallo perché semi gialli si mischiano alle immagini, come "lurida praeterea fiunt quae cumque tuentur arquati", "inoltre diventano gialle tutte le cose che guardano gli itterici". Dalla luce si vedono cose nell'oscurità perché l'aria chiara pulisce gli occhi, mentre l'opposto blocca le immagini, come "e tenebris autem quae sunt in luce tuemur", "ma dall'oscurità vediamo le cose nella luce".
Torri quadrate appaiono rotonde da lontano perché gli angoli si smussano nell'aria, come "quadratasque procul turris cum cernimus urbis", "e quando vediamo da lontano le torri quadrate della città". L'ombra segue il corpo bloccando la luce, non ingannando gli occhi ma richiedendo ragione per comprendere, come "umbra videtur item nobis in sole moveri", "l'ombra sembra muoversi con noi al sole".
Illusioni includono navi ferme che sembrano muoversi, stelle fisse in moto, montagne che sembrano isole unite, come "qua vehimur navi, fertur, cum stare videtur", "la nave su cui navighiamo si muove, quando sembra stare ferma". Colonne che girano paiono crollare dopo la sosta, illustrando percezioni ingannevoli, come "atria versari et circum cursare columnae", "le colonne dell'atrio sembrano girare e correre intorno".
Argomento 5: Origine e Sviluppo Primordiale della Vita
La Terra come madre generatrice e le prime forme di esistenza umana e animale.
Sommario
La Terra generava uteri radicati nel suolo, dove i neonati crescevano e, maturati, emergevano cercando aria e umidità; la natura forniva latte simile a quello delle madri attuali, come descritto in "hoc ubi quaeque loci regio opportuna dabatur, crescebant uteri terram radicibus apti; quos ubi tempore maturo pate fecerat aetas infantum, fugiens umorem aurasque petessens, convertebat ibi natura foramina terrae et sucum venis cogebat fundere apertis consimilem lactis" – "dove ogni regione del luogo offriva opportunità, crescevano uteri attaccati alla terra con radici; quando l'età dei bambini li aveva aperti al momento maturo, fuggendo l'umidità e cercando l'aria, la natura apriva lì i fori della terra e costringeva a versare succo dalle vene aperte simile al latte".
La Terra offriva cibo, calore come vesti e erba come letto; il mondo nuovo non produceva freddi estremi né caldi eccessivi né venti forti, e tutto cresceva e acquisiva forza allo stesso modo, come in "terra cibum pueris, vestem vapor, herba cubile praebebat multa et molli lanugine abundans" – "la terra forniva cibo ai bambini, vapore come veste, erba come letto, abbondante di morbida lanugine".
La Terra, meritando il nome di madre, creò il genere umano e gli animali, diffusi sui monti, e uccelli vari; ma dovette cessare di partorire, come una donna esausta dall'età, poiché il tempo muta la natura del mondo intero, e nulla rimane uguale, tutto migra e cambia, come espresso in "mutat enim mundi naturam totius aetas ex alioque alius status excipere omnia debet nec manet ulla sui similis res: omnia migrant, omnia commutat natura et vertere cogit" – "infatti l'età muta la natura dell'intero mondo e uno stato deve succedere a un altro, né rimane alcuna cosa simile a sé: tutto migra, la natura muta tutto e costringe a cambiare".
Alcune cose marciscono e languono con l'età, altre crescono e emergono dal disprezzo; così l'età muta la natura del mondo, e la terra assume uno stato diverso, capace di ciò che prima non poteva e viceversa.
La Terra tentò di creare molti portenti con forme e membra strane, come l'androgino né maschio né femmina, privi di piedi o mani, muti senza bocca, ciechi senza volto, legati in tutto il corpo, incapaci di agire o evitare il male, come in "Multaque tum tellus etiam portenta creare conatast mira facie membrisque coorta, androgynem, interutras necutrumque utrimque remotum" – "e la terra allora tentò di creare molti portenti sorti con faccia e membra meravigliose, l'androgino, né l'uno né l'altro sesso, remoto da entrambi".
Altri mostri e portenti furono creati invano, poiché la natura impedì la crescita, non raggiunsero l'età desiderata, non trovarono cibo né si unirono in atti venerei; molte cose devono concorrere per propagare le generazioni, come cibo, semi genitali e capacità di unione tra maschio e femmina per scambiarsi piaceri reciproci, come indicato in "multa videmus enim rebus concurrere debere, ut propagando possint procudere saecla" – "infatti vediamo che molte cose devono concorrere affinché possano propagare le generazioni".
Molte generazioni di animali perirono, incapaci di propagare la prole; quelle che si nutrono di aure vitali sono protette da astuzia, forza o mobilità fin dall'inizio, o affidate alla nostra cura per utilità, come leoni protetti dalla forza, volpi dall'astuzia, cani e bestiame domestico affidati all'uomo, fuggendo le fiere e cercando pace con cibo abbondante senza fatica.
A quelle che la natura non diede nulla, né capacità di vivere da sole né utilità per noi, divennero preda e bottino, legate da vincoli fatali fino all'estinzione.
Non esistettero centauri né esseri con doppia natura e corpi composti da membra aliene, poiché le parti non potevano essere uguali in potere; lo si capisce anche con mente ottusa, come cavalli che fioriscono in tre anni mentre i bambini no, e in vecchiaia differiscono, non compatibili in fioritura, forza, vecchiaia, desideri o costumi, come in "Sed neque Centauri fuerunt nec tempore in ullo esse queunt duplici natura et corpore bino ex alienigenis membris compacta" – "ma non ci furono centauri né in alcun tempo possono esistere con doppia natura e corpo doppio composto da membra aliene".
Similmente, Scille, Chimere e altri non potevano esistere per discordanze tra membra; la cicuta ingrassa le capre barbute ma è veleno per l'uomo; la fiamma brucia i leoni come ogni carne, rendendo impossibile una Chimera che sputa fuoco; chi immagina tali animali in terra e cielo nuovi, basandosi solo sul nome di novità, potrebbe fantasticare fiumi d'oro, alberi fioriti di gemme o uomini giganti, ma i semi abbondanti non significano miscele possibili, poiché erbe, frutti e alberi non si combinano, ognuno procede nel suo rito preservando distinzioni naturali.
Il genere umano era più duro nei campi, creato da terra dura, con ossa più grandi e solide, nervi forti, resistente a caldo, freddo, cibi nuovi e malattie; vivevano a lungo come bestie erranti, senza aratri, senza sapere lavorare la terra con ferro o potare alberi.
Ciò che sole e piogge davano, e la terra creava spontaneamente, soddisfaceva; curavano i corpi tra querce da ghiande, che la terra produceva più grandi; la novità florida del mondo portava cibi duri ma ampi per i miseri mortali; fiumi e fonti sedavano la sete, come ora l'acqua dalle montagne chiama le generazioni assetate di fiere.
Tenevano noti templi silvestri delle ninfe, da cui fluivano umori lavando sassi umidi con muschio verde, sgorgando in campi piani; non sapevano trattare il fuoco né usare pelli di fiere per vestirsi, ma abitavano boschi, monti cavi e selve, nascondendo membra squallide tra fronde per evitare venti e piogge.
Non potevano mirare al bene comune né usare costumi o leggi tra loro; ciascuno portava ciò che la fortuna offriva come preda, insegnato a valere e vivere da solo; Venere univa corpi di amanti nei boschi, per mutuo desiderio, violenza maschile, libido impetuosa o doni come ghiande, arbusti o pere scelte.
Con forza mirabile di mani e piedi cacciavano generazioni silvestri di fiere con sassi e clave pesanti; vincevano molti, evitavano pochi con nascondigli; come cinghiali irsuti davano membra nude alla terra di notte, avvolgendosi in foglie e fronde.
Non cercavano il giorno e il sole per i campi con lamenti, vagando pavidi nelle ombre notturne, ma attendevano silenziosi sepolti nel sonno finché il sole con torcia rosea portava luci al cielo; abituati fin da piccoli a vedere tenebre e luce alternate, non si meravigliavano né temevano che la notte eterna tenesse la terra priva di luce solare.
Maggiore cura era che generazioni di fiere rendevano spesso inquieta la quiete dei miseri; cacciati dalle case rocciose fuggivano all'arrivo di cinghiali schiumosi o leoni forti, cedendo di notte paventi giacigli coperti di fronde a ospiti feroci.
Non più di ora le generazioni mortali lasciavano la dolce luce della vita con lamenti; allora ciascuno catturato offriva vivo cibo alle fiere, divorato dai denti, riempiendo boschi e monti di gemiti, vedendo viscere vive sepolte in vivo sepolcro; chi sfuggiva con corpo rosicchiato, tenendo palme tremanti su ulcere orride, chiamava Orco con voci terrificanti finché vermi feroci li privavano della vita, inesperti di aiuti, ignari di cosa volessero le ferite.
Ma non un solo giorno dava all'uscita migliaia di uomini sotto insegne, né mari turbolenti sbattevano navi e uomini contro scogli; il mare spesso si agitava invano e vanamente posava minacce lievi, né lusinghe subdole del placido mare potevano attirare alcuno in frode con onde ridenti; l'improba arte della navigazione giaceva allora cieca; allora penuria di cibo dava membra languenti alla morte, ora invece abbondanza di cose sommerge.
Nota
Le citazioni sono selezionate per illustrare elementi chiave; temi minori includono l'impossibilità di creature mitiche e la sopravvivenza attraverso adattamento o utilità.
Argomento 6: I Fenomeni dei Tuoni e dei Fulmini
Spiegazione naturale delle cause atmosferiche che generano rumori e luci nel cielo durante le tempeste.
Sommario
I tuoni derivano da collisioni e movimenti delle nubi. "Dant etiam sonitum patuli super aequora mundi" – "Danno anche un suono sul vasto mare del mondo" – indica come le vele tese nei teatri producano crepitii simili ai tuoni. Le nubi si sfregano lateralmente. "Fit quoque enim inter dum ut non tam concurrere nubes frontibus adversis possint quam de latere ire" – "Accade anche talvolta che le nubi non possano scontrarsi frontalmente ma venire di lato" – crea un suono arido prolungato. Venti potenti entrano nelle nubi e le fanno tremare. "Hoc etiam pacto tonitru concussa videntur omnia saepe gravi tremere" – "In questo modo i tuoni sembrano spesso far tremare tutto gravemente" – con fragore quando la procella scoppia. Piccole vesciche d'aria esplodono con suono. "Pes mirum, cum plena animae vensicula parva saepe haud dat parvum sonitum displosa repente" – "Non è meraviglioso, quando una piccola vescica piena d'aria spesso dà un suono non piccolo esplodendo improvvisamente". Venti che soffiano attraverso nubi ramose producono rumori. "Est etiam ratio, cum venti nubila perflant, ut sonitus faciant" – "C'è anche una ragione, quando i venti soffiano attraverso le nubi, che facciano suoni" – come fronde in una foresta. Venti che squarciano nubi creano fragori. "Fit quoque ut inter dum validi vis incita venti perscindat nubem" – "Accade anche che talvolta la forza incitata di un vento valido squarci una nube" – simile a tempeste in terra. Flutti nelle nubi danno murmuri. "Sunt etiam fluctus per nubila, qui quasi murmur dant in frangendo graviter" – "Ci sono anche flutti attraverso le nubi, che danno quasi un murmure rompendosi gravemente". Fulmini che entrano in nubi umide causano clamori. "Fit quoque, ubi e nubi in nubem vis incidit ardens fulminis" – "Accade anche, quando la forza ardente del fulmine cade da una nube in un'altra" – come ferro caldo nell'acqua. Nubi secche bruciano con suono. "Aridior porro si nubes accipit ignem, uritur ingenti sonitu succensa repente" – "Inoltre se una nube più arida riceve il fuoco, brucia con un suono ingente accesa improvvisamente" – come fiamme su monti. Fragori di grandine e gelo nelle nubi. "Denique saepe geli multus fragor atque ruina grandinis in magnis sonitum dat nubibus alte" – "Infine spesso il molto fragore del gelo e la rovina della grandine danno suono nelle grandi nubi in alto".
I fulmini nascono da semi di fuoco nelle nubi. "Fulgit item, nubes ignis cum semina multa excussere suo concursu" – "Fulge anche, quando le nubi hanno scosso molti semi di fuoco con il loro concorso" – come scintille da pietra o ferro. Il suono arriva dopo il lampo. "Sed tonitrum fit uti post auribus accipiamus, fulgere quam cernant oculi" – "Ma il tuono accade che lo riceviamo alle orecchie dopo che gli occhi vedono il fulgore" – per ritardo. Nubi si tingono di luce tremula. "Hoc etiam pacto volucri loca lumine tingunt nubes et tremulo tempestate impete fulgit" – "In questo modo anche le nubi tingono i luoghi con luce volatile e la tempesta fulge con impeto tremulo". Venti riscaldano nubi e disperdono semi ardenti. "Ventus ubi invasit nubem et versatus ibidem fecit ut ante cavam docui spissescere nubem" – "Quando il vento ha invaso la nube e versatosi lì ha fatto, come ho insegnato prima, ispessire la nube cava" – seguito da suono. Fulmini in nubi dense e alte. "Scilicet hoc densis fit nubibus et simul alte extructis aliis alias super impete miro" – "Certamente questo accade in nubi dense e allo stesso tempo alte, costruite una sull'altra con impeto mirabile". Nubi come montagne accumulano venti e fuochi. "Contemplator enim, cum montibus adsimulata nubila portabunt venti transversa per auras" – "Contempla infatti, quando i venti porteranno nubi simili a monti trasverse per le aure" – con fremiti e fiamme. Fulmini dorati cadono per semi abbondanti. "Hac etiam fit uti de causa mobilis ille devolet in terram liquidi color aureus ignis" – "Anche per questa causa accade che quel mobile fuoco liquido di colore aureo voli giù in terra" – da nubi ricche di semi ignei. Nubi rarefatte fulgono senza terrore. "Fulgit item, cum rarescunt quoque nubila caeli" – "Fulge anche, quando le nubi del cielo si rarefanno" – con semi che cadono.
I fulmini mostrano segni di fuoco e zolfo. "Quod superest, quali natura praedita constent fulmina, declarant ictus et inusta vaporis signa" – "Ciò che resta, di quale natura siano dotati i fulmini, dichiarano gli impatti e i segni impressi del vapore" – non di vento o pioggia. Accendono tetti. "Praeterea saepe accendunt quoque tecta domorum" – "Inoltre spesso accendono anche i tetti delle case" – con fiamma rapida. Fulmini sottili e mobili penetrano. "Hunc tibi subtilem cum primis ignibus ignem constituit natura" – "La natura ha costituito questo fuoco sottile con fuochi primi" – attraverso mura, pietre, metalli. Fanno evaporare vini. "Curat item vasis integris vina repente diffugiant" – "Cura anche che vini da vasi integri fuggano improvvisamente" – rilassando legami. Fulmini da nubi spesse e alte. "Fulmina gignier e crassis alteque putandumst nubibus extructis" – "I fulmini devono essere generati da nubi spesse e alte costruite" – non da cielo sereno. Tempeste oscurano il cielo. "Nam dubio procul hoc fieri manifesta docet res" – "Infatti senza dubbio la cosa manifesta insegna che questo accada" – con nubi accumulate. Venti e fuochi riempiono tutto. "Hic igitur ventis atque ignibus omnia plena sunt" – "Qui quindi tutto è pieno di venti e fuochi" – causando fremiti. Vortex accendono fulmini. "Insinuatus ibi vortex versatur in arto et calidis acuit fulmen fornacibus intus" – "Inseritosi lì il vortice si versa in stretto e acuisce il fulmine nelle fornaci calde dentro" – con calore e contatto. Fulmini squarciano nubi. "Inde ubi percaluit venti vis et gravis ignis impetus incessit" – "Indi quando la forza del vento si è scaldata e l'impeto del fuoco grave è entrato" – con suono e tremore. Pioggia segue. "Quo de concussu sequitur gravis imber et uber" – "Da cui concussione segue pioggia grave e abbondante".
Venti esterni creano fulmini. "Est etiam cum vis extrinsecus incita venti incidit in validam maturo culmine nubem" – "C'è anche quando la forza incitata del vento esterna incide in una nube valida al culmine maturo" – cadendo come vortice igneo. Venti senza fuoco si accendono in volo. "Fit quoque ut inter dum venti vis missa sine igni igniscat tamen in spatio longoque meatu" – "Accade anche che talvolta la forza del vento mandata senza fuoco tuttavia si accenda nello spazio lungo e nel cammino" – perdendo corpi e raccogliendone altri. Colpi eccitano fuoco. "Fit quoque ut ipsius plagae vis excitet ignem" – "Accade anche che la forza stessa del colpo ecciti il fuoco" – in cose adatte. Venti non del tutto freddi. "Pes temere omnino plane vis frigida venti esse potest" – "Non del tutto a caso la forza del vento può essere piana fredda" – ma tepida. Mobilità e impeto dei fulmini. "Mobilitas autem fit fulminis et gravis ictus" – "La mobilità tuttavia del fulmine e il colpo grave" – da elementi piccoli. Penetrano senza ostacoli. "Adde quod e parvis et levibus est elementis" – "Aggiungi che è da elementi piccoli e leggeri" – scivolando rapidi. Peso e colpo aumentano velocità. "Deinde, quod omnino natura pondera deorsum omnia nituntur" – "Poi, che del tutto la natura spinge tutti i pesi in basso" – discutendo ostacoli. Raccolgono mobilità in corso. "Denique quod longo venit impete, sumere debet mobilitatem etiam atque etiam" – "Infine che viene con impeto lungo, deve prendere mobilità ancora e ancora" – attirando corpi. Passano integri o frangono. "Incolumisque venit per res atque integra transit multa" – "E viene incolume attraverso cose e integra transita molte" – o dissolve metalli. Più frequenti in autunno e primavera. "Autumnoque magis stellis fulgentibus alta concutitur caeli domus" – "E in autunno più con stelle fulgenti l'alta casa del cielo è scossa" – per miscela di caldo e freddo.
Discordia di elementi causa tumulti. "Prima caloris enim pars est postrema rigoris" – "La prima parte del calore è l'ultima del rigore" – in stagioni di transizione. Critica alle spiegazioni divine. "Hoc est igniferi naturam fulminis ipsam perspicere" – "Questo è perspicere la natura stessa del fulmine ignifero" – non carmi tirreni o voleri divini. Dèi non colpiscono colpevoli. "Quod si Iuppiter atque alii fulgentia divi terrifico quatiunt sonitu caelestia templa" – "Che se Giove e altri dèi fulgenti scuotono con suono terrifico i templi celesti" – perché innocenti o luoghi soli? Non esercizi. "Cur etiam loca sola petunt frustraque laborant?" – "Perché anche luoghi soli cercano e faticano invano?" – o lasciano telum in terra.
Argomento 7: Cause Naturali di Terremoti, Eruzioni e Stabilità del Mare
Spiegazione epicurea dei fenomeni tellurici e marini attraverso principi atomistici.
Sommario
Le frasi descrivono i terremoti come causati dal vento sotterraneo che scuote la terra, simile a come i carri fanno tremare le case: "et merito, quoniam plaustris concussa tremescunt tecta viam propter non magno pondere tota" ("e giustamente, poiché le case intere tremano per via dei carri che passano sulla strada con non grande peso"). La terra vacilla quando grandi masse cadono in cavità acquose, paragonata a un vaso che oscilla nell'acqua: "ut vas inter
Il vento si accumula nelle caverne e preme, inclinando edifici e terre: "incumbit tellus quo venti prona premit vis" ("la terra si inclina dove la forza del vento preme inclinata"). Gli uomini temono la rovina del mondo, ma i venti si alternano e prevengono il collasso: "quod nisi respirent venti,
I terremoti derivano da venti o anime che erompono, creando voragini come a Sidone e Egion: "in Syria Sidone quod accidit et fuit Aegi in Peloponneso" ("ciò che accadde in Siria a Sidone e fu a Egion nel Peloponneso"). Città crollano e sprofondano nel mare: "multaque praeterea ceciderunt moenia magnis motibus in terris et multae per mare pessum subsedere suis pariter cum civibus urbes" ("e inoltre molte mura caddero con grandi moti in terra e molte città sprofondarono nel mare insieme ai loro cittadini").
Se il vento non erompe, diffonde terrore e tremore come il freddo nel corpo: "frigus uti nostros penitus cum venit in artus, concutit invitos cogens tremere atque movere" ("come il freddo quando penetra nelle nostre membra, ci scuote contro voglia costringendoci a tremare e muoverci"). La paura è duplice, per i tetti sopra e le caverne sotto, con timore di un baratro improvviso: "ancipiti trepidant igitur terrore per urbis, tecta superne timent, metuunt inferne cavernas" ("trepidano dunque con doppio terrore per le città, temono i tetti di sopra, temono le caverne di sotto").
Nonostante la credenza in un cielo e terra incorruttibili, il pericolo stimola paura di rovina: "ne pedibus raptim tellus subtracta feratur in barathrum rerumque sequatur prodita summa funditus et fiat mundi confusa ruina" ("affinché la terra sottratta rapidamente dai piedi non sia portata nel baratro e la somma delle cose segua tradita dal fondo e si faccia la confusa rovina del mondo").
Si meraviglia perché il mare non cresca con l'afflusso di acque: "Principio mare mirantur non reddere maius naturam, quo sit tantus decursus aquarum" ("In principio si meravigliano che la natura non renda il mare più grande, dove c'è un tale afflusso di acque"). Piogge, fonti e fiumi contribuiscono minimamente: "adde vagos imbris tempestatesque volantes, omnia quae maria ac terras sparguntque rigantque" ("aggiungi le piogge vaghe e le tempeste volanti, tutte che spargono e irrigano mari e terre").
Il sole evapora gran parte dell'umidità: "Praeterea magnam sol partem detrahit aestu" ("Inoltre il sole sottrae una grande parte con il calore"). Venti e nubi rimuovono umore, e l'acqua filtra dalla terra al mare e viceversa: "debet, ut in mare de terris venit umor aquai, in terras itidem manare ex aequore salso" ("deve, come l'umore dell'acqua viene in mare dalle terre, similmente stillare nelle terre dal mare salato").
Le eruzioni dell'Etna sono tempeste di fiamme causate da venti nelle caverne: "Nunc ratio quae sit, per fauces montis ut Aetnae expirent ignes inter dum turbine tanto" ("Ora la ragione per cui attraverso le fauci del monte Etna spirano fuochi talvolta con turbine tanto grande"). Il monte è cavo, pieno di vento e aria che si scalda e erutta fiamme e rocce: "hic ubi percaluit cale fecitque omnia circum saxa furens" ("questo quando si è scaldato e ha reso caldi tutti i sassi intorno furente").
La grandezza è relativa, come fiumi o alberi sembrano immensi a chi non ha visto di più: "scilicet et fluvius qui visus maximus ei, qui non ante aliquem maiorem vidit" ("certamente anche un fiume che sembra massimo a colui che non ne ha visto prima uno maggiore"). Dal infinito provengono semi per tali fenomeni, senza meraviglia: "sic igitur toti caelo terraeque putandumst ex infinito satis omnia suppeditare" ("così dunque per tutto il cielo e la terra si deve pensare che dall'infinito forniscano abbastanza tutte le cose").