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David Graeber - Burocrazia - Dettagli | 17d


L'Età della Burocratizzazione Totale 1

Un'analisi dell'ascesa della burocrazia onnipresente e del conseguente cambio di fronte del management aziendale a favore della finanza.

Il testo delinea la nascita di un'epoca definita "l’età della burocratizzazione totale", caratterizzata dall'invasività di scartoffie e moduli. Questo fenomeno, iniziato timidamente alla fine degli anni settanta, si è consolidato negli ottanta e ha preso veramente il volo negli anni novanta. Il contesto storico di riferimento è individuato nell'abbandono del gold standard del dollaro nel 1971, evento che "ha aperto la strada alla finanziarizzazione del capitalismo". L'analisi si concentra sugli effetti a breve termine di questa finanziarizzazione, in particolare su "un cambio di fronte da parte dei manager delle grandi aziende", che da una precaria alleanza con i lavoratori sono passati a schierarsi con gli investitori.

Viene descritto il precedente assetto corporativista, dove manager e lavoratori, godendo della "garanzia del posto fisso a vita", si consideravano portatori di un interesse condiviso, vedendo la finanza come "una forza aliena e parassitaria". Questo corporativismo, seppur nelle sue versioni socialdemocratiche, aveva anche risvolti reazionari e sciovinisti. Il voltafaccia strategico dei vertici della burocrazia privata americana negli anni settanta ha portato a una doppia dinamica: "il management delle aziende si è finanziarizzato, ma allo stesso tempo anche il settore finanziario si è «aziendalizzato»". Le conseguenze sono state la scomparsa del posto fisso, l'erosione della solidarietà di classe e l'affermazione di un nuovo credo per cui "tutti dovevano guardare il mondo con gli occhi di un investitore", come dimostrato dall'ingresso massiccio delle notizie di borsa nei media.


Blocco 2: La Burocratizzazione del Potere

Un'indagine sul sistema di complicità tra finanza e legge e sulle radici burocratiche della disuguaglianza.

Sommario

Il blocco prende avvio da un dialogo che illustra la prassi delle sanzioni finanziarie, dove "l’azienda, se paga, tecnicamente non viene riconosciuta colpevole di nulla" e le multe sono di solito "molto meno" dei profitti illeciti, "nell’ordine del 20-30 per cento, di media". Questo meccanismo viene interpretato come una licenza di frodare, un sistema in cui lo stato si accontenta di "una fetta della torta". L'analisi individua in questo non solo un'ingiustizia di classe, ma un sintomo di un fenomeno più profondo: la natura dei sistemi burocratici. Questi sistemi "creano sempre una cultura di complicità", dove "la fedeltà all’organizzazione si misura in base a quanto si è disposti a far finta di niente". La carriera dipende "soprattutto da quanto si è disposti a stare al gioco e a far finta che gli scatti di carriera si basino sul merito, anche se si sa che non è vero". Questa logica, un tempo confinata alle amministrazioni, ora "domina ogni aspetto della nostra esistenza", costringendo tutti a fingere di credere alle finzioni meritocratiche.

La risposta a questa "burocratizzazione totale" è stata incarnata, secondo il testo, dal Movimento per la giustizia globale. Questo movimento, descritto come "il primo grande movimento antiburocratico di sinistra", smascherò la natura della cosiddetta globalizzazione. I suoi attivisti sostenevano che non si trattasse di un processo naturale, ma della "consapevole realizzazione del primo sistema amministrativo-burocratico su scala planetaria", un intreccio di istituzioni come Fmi, Banca mondiale e multinazionali il cui scopo era "assicurare la corresponsione dei profitti agli investitori". La loro strategia fu di "prendere d’assedio i vertici" per rivelare al mondo l’esistenza di questa "vasta burocrazia internazionale". Le forme organizzative del movimento, come le assemblee, dimostravano la possibilità di relazionarsi e decidere "senza dover riempire moduli". Il blocco si conclude sottolineando il ruolo fondamentale della violenza nel sostenere questo sistema, affermando che "quando si comincia a sentir parlare di «libero mercato» è buona norma guardarsi intorno e cercare l’uomo con la pistola", poiché "non è mai molto lontano".


Titolo 3

Una raccolta di saggi per una critica di sinistra della burocrazia.

Sommario

Il testo si presenta come una raccolta di saggi che non ambisce a essere una teoria generale, ma indica "alcune possibili direzioni per una critica di sinistra della burocrazia". I saggi, che "non formano una tesi unica", ruotano attorno ai temi di "violenza", "tecnologia" e "razionalità e valore", con l'obiettivo primario di "far partire una discussione" su un problema che "ci riguarda tutti". L'urgenza della discussione nasce dalla constatazione che "siamo strangolati dalle pratiche, dalle abitudini e dai valori burocratici" e che "l’organizzazione della nostra vita si basa ormai sulla compilazione di moduli". Viene sottolineata l'inadeguatezza del linguaggio utilizzato per descrivere il fenomeno, che "forse è stato addirittura studiato per aggravare il problema". L'obiettivo è duplice: "spiegare che cosa non ci sta bene di questo processo e parlare con franchezza della violenza che lo circonda", ma anche "capire che cosa lo rende attraente, che cosa lo sostiene". Viene infine riportata un'esperienza personale che esemplifica la "stupidità strutturale" della burocrazia, attraverso il racconto di un'estenuante trafila di moduli, appuntamenti e incompetenze per ottenere una procura bancaria per la madre malata. L'episodio, che si conclude con la richiesta di un "certificato del medico" non precedentemente menzionato, serve a illustrare concretamente come i cittadini siano intrappolati in un sistema in cui, nonostante l'aiuto di impiegati, si finisce per compiere una "truffa sui generis" pur di accedere a diritti essenziali, rivelando l'assurdità di un meccanismo che sembra progettato per ostacolare, non per aiutare.


Blocco 4: La Burocrazia tra Letteratura e Accademia

Un'indagine sul contrasto tra la densità della vita sociale e la vacuità della documentazione cartacea, e sulla riluttanza del mondo accademico ad analizzare la propria burocratizzazione.

Il blocco delinea la natura chiusa e non interpretativa della documentazione cartacea, in antitesi con la ricchezza semantica dei fenomeni sociali e culturali, per la cui analisi "ci vorrebbe una vita intera". La narrativa letteraria, al contrario, ha saputo abbracciare questa vacuità, producendo opere che esplorano "l'assurdità grottesca della vita burocratica" e la sua "sottile vena di violenza", come ne Il processo di Kafka o in Comma 22 di Heller. Il testo osserva poi una paradossale reticenza della teoria sociale, e in particolare del mondo accademico, ad affrontare criticamente la burocrazia, nonostante gli accademici stessi siano sempre più "burocrati riluttanti". Viene sottolineato come, nonostante le lamentele quotidiane, gli studiosi evitino di analizzare il significato ultimo di questo fenomeno, ovvero "perché passiamo sempre più tempo in mezzo alle scartoffie".


Violenza strutturale e immaginazione 5

La conoscenza asimmetrica generata dalle relazioni di potere.

Il blocco analizza la dinamica asimmetrica dello sforzo interpretativo all'interno di relazioni di dominio strutturale. Viene introdotto il concetto di "violenza strutturale" come generatore di "strutture dell’immaginazione fortemente sbilanciate". Si evidenzia come lo sforzo di comprendere l'Altro ricada quasi esclusivamente sui subordinati, un fenomeno osservato nella teoria femminista e negli studi critici della razza, e qui esemplificato attraverso le riflessioni di bell hooks sui neri che, "dalla schiavitù in poi, hanno condiviso... una «speciale» conoscenza della condizione bianca, maturata attraverso uno studio ravvicinato dei bianchi". Questo tipo di conoscenza, il cui "scopo era aiutare i neri a cavarsela e a sopravvivere", viene distinto in due elementi: il primo è il "processo di identificazione immaginativa come forma di conoscenza", per cui "è quasi sempre ai subordinati che spetta lo sforzo di capire come funzionano in concreto le relazioni in questione", come sanno "chiunque abbia lavorato nella cucina di un ristorante" o, in generale, i servi che "conoscono sempre molte cose sulle famiglie dei loro datori di lavoro, mentre non succede quasi mai il contrario". Il secondo elemento è il "modello risultante dall’identificazione simpatetica", per cui, come osservato da Adam Smith, "le vittime della violenza strutturale tendono a interessarsi dei suoi beneficiari molto più di quanto essi si interessino di loro". Questa asimmetria, unita alla violenza stessa, è "probabilmente la forza più potente che tiene insieme tali relazioni". L'analisi si conclude applicando queste considerazioni alla burocrazia, definendo i poliziotti come "burocrati armati" il cui ruolo principale non è combattere il crimine ma "far rispettare una serie infinita di norme e regole", un'attività descritta come "l’applicazione scientifica della forza fisica, o con la minaccia della forza fisica, per contribuire alla risoluzione di problemi amministrativi".

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Vengono citati gli studi critici della razza e la teoria femminista del punto di vista. Si menziona il concetto di compassion fatigue o «affaticamento da compassione».


La polizia, l'immaginario e la teoria sociale 6

La discrepanza tra la funzione reale della polizia e la sua rappresentazione culturale, e le sue implicazioni per la teoria sociale.

Sommario

Il testo inizia descrivendo la mancata denuncia della maggior parte delle aggressioni e dei furti, a meno che non sia necessario compilare moduli assicurativi, e l'assenza di intervento della polizia per la maggior parte dei reati violenti. Questo contrasta con la reazione immediata e armata che si scatena per infrazioni come girare senza targa, dove "appaiono quasi istantaneamente degli agenti in divisa armati di manganelli, pistole, fucili e/o pistole elettriche". Questa confusione sul ruolo della polizia è attribuita a un'identificazione immaginativa quasi ossessiva nella cultura popolare, dove i cittadini passano ore a "interpretare il mondo con gli occhi della polizia". Questi poliziotti immaginari, eroi carismatici in una società burocratica, "passano quasi tutto il tempo a combattere reati violenti", operando "proprio nella zona di confine tra le strutture burocratiche preposte all’ordinamento delle informazioni e l’applicazione materiale della violenza fisica".

La riflessione si sposta poi sulla teoria sociale, difendendone l'utilità nonostante le critiche mosse. Viene stabilito un raffronto illuminante tra conoscenza burocratica e conoscenza teorica. Entrambe sono descritte come processi di radicale semplificazione: la conoscenza burocratica "è una questione di schematizzazione" che "ignorare le sottili sfumature dell’esistenza sociale reale e ridurre tutto a formule meccaniche o statistiche prestabilite", dando l'impressione di vedere "solo il 2 per cento della realtà". Allo stesso modo, la teoria sociale, anche nelle sue "descrizioni dense", "coglie nella migliore delle ipotesi solo il 2 per cento" della realtà, estraendo "uno o forse due filamenti da un tessuto complesso di interazioni umane". Questo lavoro di riduzione, sebbene necessario per dire "qualcosa di totalmente nuovo sul mondo", è soggetto ai capricci della moda accademica, come dimostra il caso dell'analisi strutturale di Lévi-Strauss, oggi considerata "completamente superata".


Disuguaglianza Immaginativa e Critica della Burocrazia 7

La gerarchia sociale e il paradosso burocratico nel pensiero di sinistra.

Il testo analizza la relazione tra disuguaglianza strutturale e distribuzione del lavoro interpretativo, dove "chi sta in basso deve impiegare molta energia immaginativa" a differenza di chi detiene il potere. Questo squilibrio, presente in tutte le disuguaglianze sistemiche, viene gestito e organizzato dalle burocrazie, le quali, pur portando benefici come lo stato sociale, "producono sempre assurdità" a causa dell'adozione di una "prospettiva fortemente schematica e ottusa tipica del potere". L'ottusità burocratica è identificata come una "guerra all’immaginazione umana", elemento centrale nelle ribellioni come il Maggio '68, il cui slogan "Tutto il potere all’immaginazione" incarna una contraddizione maturata nel cuore del pensiero di sinistra: la sua essenza è una "critica della burocrazia", ma la sua attuale "incapacità di formulare una critica della burocrazia" ne rappresenta il declino, portando a una "frammentazione disarticolata". La conclusione invita a un riesame del realismo, citando l'invito a "Siate realisti: pretendete l’impossibile".


La natura del pubblico e i momenti insurrezionali 8

Sulla riconfigurazione del concetto di rivoluzione attraverso l'analisi del "pubblico" e delle sue potenzialità latenti.

Il testo analizza la natura delle insurrezioni, collocandole all'interno di un processo rivoluzionario complesso. Si osserva che "ciò che più sorprende è l’ingenuità della vecchia convinzione che una rivolta isolata o una guerra civile vinta potessero, per così dire, neutralizzare l’intero apparato della violenza strutturale". La riflessione si sposta quindi sulla necessità di "riconsiderare la natura di questi momenti insurrezionali" per afferrare un nuovo concetto di rivoluzione. Viene messa in discussione la coerenza del "pubblico", definito come "il prodotto di istituzioni specifiche che consentono alcune forme di azione – rispondere a sondaggi, guardare la televisione, votare, firmare petizioni, scrivere lettere a funzionari eletti o partecipare ad audizioni pubbliche – e non altre". Queste istituzioni creano "determinati orizzonti di possibilità", al punto che "la stessa composizione di cittadini è capace di prendere decisioni completamente diverse su questioni che riguardano la comunità a seconda che sia organizzata in un sistema parlamentare, in un sistema di plebisciti informatici o in una rete di assemblee pubbliche locali".

L'analisi prosegue descrivendo come il "pubblico" sia solo una delle possibili etichette applicate a un gruppo di persone, che in altri contesti diventa "forza lavoro", "consumatori", "elettorato" o "popolazione". Tutte queste entità sono presentate come "il frutto di cornici di azione istituzionalizzate e intrinsecamente burocratiche e, dunque, profondamente alienanti". Questi meccanismi, come "le cabine elettorali, gli schermi televisivi, i cubicoli degli uffici", sono definiti "il meccanismo stesso dell’alienazione" e "gli strumenti attraverso i quali l’immaginazione umana viene distrutta e fatta in mille pezzi". In opposizione a ciò, "i momenti insurrezionali, al contrario, sono i momenti in cui l’apparato burocratico viene neutralizzato". Questo processo di neutralizzazione "ha sempre l’effetto di spalancare gli orizzonti delle possibilità", il che spiega "per quale ragione i momenti rivoluzionari sembrino sempre seguiti da un’esplosione di creatività sociale, artistica e intellettuale". Viene fatto un accenno al parallelo con le calamità naturali, citando Rebecca Solnit, come situazioni in cui si sperimenta un simile ampliamento degli orizzonti.


Riflessione sulla violenza strutturale e le zone morte 9

Un'indagine sul potere, la pigrizia istituzionalizzata e gli spazi che respingono il significato.

Il testo analizza la natura del potere e della violenza strutturale, descritta come un "grande fardello di responsabilità" che, paradossalmente, si fonda "sul non doversi preoccupare, non dover sapere, non dover fare". Questa dinamica produce una "pigrizia istituzionalizzata" che il cambiamento rivoluzionario richiede di superare attraverso un "lungo [...] sforzo interpretativo (immaginativo)". L'autore spiega il proprio metodo, definendo la teoria sociale come "una specie di semplificazione radicale, una forma di ignoranza calcolata", un paio di paraocchi utili a rivelare strutture altrimenti invisibili. L'indagine si sposta quindi sulle "zone morte", aree "prive di profondità interpretativa" che "respingono l’immaginazione" e dove "lo sforzo interpretativo non funziona più". Affrontare questi spazi è presentato come una responsabilità etica, per non rischiare di "diventare complici della stessa violenza che li crea".

Viene criticata la tendenza a "romanticizzare la violenza", concentrandosi sui suoi aspetti drammatici e simbolici, mentre un tratto saliente è che "è profondamente noiosa". L'essenza della violenza è identificata nello "svuotamento di ogni possibilità di comunicazione o di significato", esemplificato dall'isolamento carcerario, un atto che consiste "soprattutto nel soffocare la possibilità di mandare altri messaggi di qualsiasi tipo". L'analisi si conclude con un monito: ignorare la complessità e l'ottusità generata dal potere, come "l’impossibilità dello schiavo di dire alcunché", significa rischiare di partecipare attivamente al processo che "chiude loro la bocca". Viene infine menzionato il legame con la "teoria femminista del punto di vista" e la necessità di non evitare questi "territori [...] groviglio burocratico di ottusità, ignoranza e assurdità", nonostante la comprensibile tentazione di farlo.


Il declino della creatività scientifica 10

Un'analisi dei fattori che inibiscono l'innovazione e la ricerca originale nel sistema scientifico contemporaneo.

Sommario

Il blocco delinea una critica serrata all'attuale sistema scientifico, descritto come un ambiente ostile alla creatività e all'eccentricità. Si afferma che "nella società non c’è più posto" per menti brillanti e prive di senso pratico, un problema che raggiunge l'apice nelle scienze naturali. Il sistema è caratterizzato da una "tirannia del managerialismo" e da una "privatizzazione strisciante dei risultati della ricerca", che hanno trasformato la tradizionale concorrenza "conviviale" – dove i ricercatori "condividono i risultati preliminari" – in una competizione di mercato che reprime la condivisione. Gli scienziati sono costretti a "passare tutto il tempo a litigare tra loro per convincere i finanziatori" e a "scrivere proposte anziché a fare ricerca", con la conseguenza che "le idee originali sono il bacio della morte per qualsiasi proposta". Questo clima, amplificato dall'uso di Internet per screditare rapidamente nuove idee come già tentate, soffoca lo spirito avventuroso. Il risultato è che "chi ha davvero la possibilità di scoprire qualcosa di concettualmente rivoluzionario di solito non riceve alcun finanziamento", impedendo di fatto scoperte radicali.


Titolo 11: Il passaggio dalle tecnologie poetiche alle tecnologie burocratiche

Un'analisi del rovesciamento dei fini e dei mezzi nell'ultima fase del capitalismo e delle sue implicazioni politiche.

Sommario

Il blocco di testo analizza una "profonda riluttanza ad affrontare il problema" e identifica una connessione tra questioni apparentemente distinte, affermando che "sotto molti aspetti si tratta dello stesso problema". Viene descritta una fondamentale inversione di tendenza: il passaggio "dalle tecnologie poetiche alle tecnologie burocratiche". Le tecnologie poetiche sono definite come "l’utilizzo di mezzi razionali, tecnici e burocratici per la realizzazione di fantasie incontrollate e impossibili", antiche quanto la civiltà e precedenti le macchine complesse. L'esempio delle piramidi egizie illustra come "il controllo burocratico trasformò eserciti di contadini negli ingranaggi di una grande macchina", dimostrando che i principi organizzativi per le persone hanno spesso preceduto e ispirato le macchine. Queste tecnologie, sebbene a volte terribili, sono sempre state al servizio di un "grande fine", come "cattedrali, lanci sulla Luna, ferrovie transcontinentali". Al contrario, oggi si assiste al problema opposto: non che "visione, creatività e fantasie irrazionali non vengano più incoraggiate", ma che "le nostre fantasie restano sospese in aria". La creatività, dove incoraggiata, viene dirottata per inventare "altre piattaforme, ancora più efficaci, per la compilazione di moduli". In questa "tecnologie burocratiche", "gli obblighi amministrativi sono diventati non il mezzo, ma il fine dello sviluppo tecnologico". La discussione si sposta quindi sulle implicazioni politiche, suggerendo la necessità di "ripensare radicalmente alcuni dei nostri assunti di base sul capitalismo". Vengono messi in discussione due assunti: che "il capitalismo si identifica con il mercato" ed è quindi nemico della burocrazia, e che "il capitalismo è per sua natura favorevole al progresso tecnologico". Si cita Marx ed Engels, dei quali si dice che, pur avendo "ragione a dire che la meccanizzazione della produzione industriale avrebbe finito per distruggere il capitalismo", avevano "torto... quando sostenevano che la concorrenza di mercato avrebbe spinto i proprietari delle fabbriche ad andare avanti comunque con la meccanizzazione". La conclusione è che "la concorrenza di mercato non è, in realtà, un fattore essenziale per la natura del capitalismo".

Riferimenti

(1679) - (1708)


Il Fascino della Burocrazia 12

Un'indagine sulle ragioni profonde del suo potere e della sua attrazione, dalle origini del welfare state all'efficienza esemplare delle Poste tedesche.

Sommario

Il blocco analizza il fascino e il potere della burocrazia, partendo dalla spiegazione più semplice: "la spiegazione più semplice del fascino delle procedure burocratiche sta nella loro impersonalità". Questa freddezza, paragonata alle transazioni monetarie, ha il vantaggio di essere "semplici, prevedibili e – entro certi parametri – trattano tutti più o meno allo stesso modo", liberando da complessi sforzi interpretativi, come quando "andiamo in biblioteca tiriamo fuori il tesserino senza dover spiegare perché ci interessano tanto i temi omoerotici della poesia inglese del XVIII secolo". L'impersonalità è presentata non solo come comoda, ma come un male necessario persino in una società utopica, poiché è "difficile immaginare un modo meno impersonale di allocare una quantità limitata di cuori e reni che non sia anche incommensurabilmente peggiore". Tuttavia, le motivazioni sono più profonde: "la nostra stessa idea di razionalità, giustizia e soprattutto di libertà si fonda su di esse". Per esplorare questa profondità, il testo si concentra su due momenti storici di "sincero entusiasmo, quasi un’infatuazione" per la burocrazia, prendendo come esempio l'efficienza leggendaria delle Poste tedesche, "considerata una delle grandi meraviglie del mondo moderno", la cui ombra ha ispirato conquiste e mali del '900. L'analisi storica prosegue smontando l'idea che lo stato sociale sia un prodotto di élite democratiche, affermando che "molte delle istituzioni centrali di quello che sarebbe poi diventato il welfare state non furono create dai governi ma dai sindacati, dalle associazioni di quartiere, dalle cooperative". In Germania, la reazione di Bismarck al successo dei socialisti fu duplice: la messa al bando dei movimenti operai e la creazione "dall’alto" di un'alternativa, "una versione annacquata delle politiche che facevano parte della piattaforma socialista, purgate di qualsiasi elemento democratico e partecipativo".


13. La natura paradossale della violenza organizzata e della razionalità burocratica

La violenza organizzata come antiazione e la trasformazione della burocrazia in una tecnologia poetica che democratizza il dispotismo.

Il blocco analizza la violenza organizzata, che "si caratterizza per il fatto di ridurre all’osso, semplificare e, in ultima analisi, impedire la comunicazione stessa" ed è "una forma di antiazione". Tuttavia, questi stessi sistemi minimalisti, come le catene di comando, "si trasformano in piattaforme invisibili per costruire tutto ciò che in origine non sono: sogni, progetti, dichiarazioni d’amore" e permettono "la creazione e la coltivazione di relazioni sociali". La burocrazia incanta quando diventa una sorta di "tecnologia poetica", un mezzo per "realizzare imprese impossibili: creare città dal nulla, scalare il cielo, far fiorire il deserto". Questo potere, un tempo riservato a pochi eletti, nel mondo contemporaneo "può essere frammentato in milioni di pezzi piccolissimi e messo a disposizione di chiunque sappia scrivere una lettera o schiacciare un bottone", in una "democratizzazione del dispotismo".

Viene poi esaminato il ribaltamento della concezione occidentale della razionalità. La tradizione intellettuale vede la ragione come una forza etica che "esiste per tenere a freno la nostra natura più bassa, per reprimere, incanalare e contenere le energie potenzialmente violente". Al contrario, l’emergere del "populismo burocratico" adotta la massima di David Hume per cui "La ragione è e deve soltanto essere la schiava delle passioni". In questa visione, la razionalità "non ha nulla a che fare con la morale" ed è "un elemento puramente tecnico, uno strumento, una macchina, un mezzo per calcolare come raggiungere nel modo più efficiente fini" non razionali. Le due concezioni coesistono, creando una "concezione di razionalità incoerente" dove a volte la ragione "è un mezzo; a volte è un fine" e "a volte non ha niente a che fare con la morale; a volte è l’essenza stessa di ciò che è buono e giusto". Questa contraddizione è al cuore della nostra concezione della burocrazia, vista sia come tecnologia sociale neutra, sia come ordine morale fine a se stesso in progetti utopici, per i quali "la creazione di una burocrazia efficiente è sempre la pietra angolare".


Blocco 14: Le origini del politico e l'antitesi eroico-burocratica

Sulle radici delle società eroiche e la loro relazione simbiotica e antagonistica con le prime forme di organizzazione burocratica.

Sommario

Il testo esamina l'emergere di tecniche amministrative come "standardizzazione dei prodotti, magazzinaggio, certificazione, archiviazione, redistribuzione e contabilità" nelle prime città mesopotamiche, pur ammettendo che "non sappiamo veramente il come e il perché" della nascita di una vera e propria burocrazia. Definito il principio della "politica" nel suo senso più ampio, si afferma che per gran parte della storia essa è stata "un fenomeno sostanzialmente aristocratico", dove il potere era conteso tra figure carismatiche in una continua lotta per il consenso. Questi "ordini sociali ‘eroici’" non riconoscevano il principio di sovranità e non creavano "un sistema amministrativo", ma sono emersi in una "rivalità simbiotica" con le società burocratiche, definendosi in termini antitetici. Se la civiltà urbana si basava sulla scrittura e sulla meticolosa registrazione dei beni, l'ordine eroico "rifiutava l’uso della scrittura" e organizzava grandi feste in cui "inestimabili tesori venivano distribuiti ai seguaci o agli avversari in segno di disprezzo per la ricchezza materiale". La persistenza del loro ricordo è attribuita al fatto che queste società sono "ordini sociali pensati per creare e raccontare storie", incarnando un rifiuto di ciò che la burocrazia rappresentava e tornando come antenati immaginari nelle grandi tradizioni epiche.


15. La critica alla burocratizzazione del potere e l'alternativa estetica

Un'analisi del processo di istituzionalizzazione del potere informale e delle sue conseguenze sulla libertà.

Il testo descrive un processo ricorrente di distorsione della tesi di Freeman sulle cricche, finalizzato a giustificare la loro istituzionalizzazione in comitati formali. Si sostiene che "bisogna far uscire il potere dall’ombra, formalizzare il processo, creare regole" per renderlo trasparente e non arbitrario. Da un punto di vista pratico, questa prescrizione è considerata ridicola, poiché è più efficace limitare il potere dei gruppi informali "negando loro ogni status formale e dunque ogni legittimazione". Si osserva inoltre che "le strutture di trasparenza si trasformano inevitabilmente in strutture di stupidità". Di fronte a questa argomentazione, la critica si sposta sul piano estetico, come ammesso da Finkelstein in un dibattito: "trovo semplicemente di cattivo gusto l’idea di essere governati nell’ombra, a qualsiasi livello".

Questo scontro rappresenta due utopismi materializzati: un antiautoritarismo che vede la libertà come gioco e un repubblicanesimo che la vede come un corpo di regole chiare. La seconda concezione, burocratizzata, è diventata predominante e presenta i nuovi assetti istituzionali come "piattaforme per una libertà" che scaturisce dall'efficienza. Tuttavia, l'effetto è un mondo in cui "il gioco fine a se stesso è completamente limitato" e la vita si riduce a un "complicato gioco da tavolo pieno di regole". Sebbene affascinante, questa visione è un'utopia illusoria quanto quella del gioco libero, un'"illusione scintillante che svanisce non appena la si tocca", sebbene tali illusioni non siano sempre un male.


Blocco 16: Analisi de "Il cavaliere oscuro – il ritorno" e propaganda anti-Occupy

Appendice sul film di Nolan come caso di studio per la sovranità e la cultura popolare.

Il blocco analizza il film Il cavaliere oscuro – il ritorno di Christopher Nolan, definendolo esplicitamente "un’opera di propaganda anti-Occupy". L'autore contesta le smentite del regista, ritenendole in malafede e sostenendo che piccoli dettagli, come il fatto che "i cattivi effettivamente occupano Wall Street e assaltano la Borsa", siano significativi. Il paradosso iniziale, per cui "il sindaco Bloomberg ha chiuso al traffico il vicino Queensboro Bridge per due giorni interi per permettere le riprese" dopo aver arrestato attivisti di Occupy per aver bloccato il traffico, introduce la critica alla produzione. Si sostiene che "proprio questo desiderio di rilevanza, il fatto che la produzione abbia avuto il coraggio di cavalcare i grandi temi del momento, a rovinare il film", rendendolo "orrendo" e "brutto" nonostante le ambizioni. L'analisi si estende quindi a una riflessione più ampia sul genere supereroistico, chiedendosi il motivo della sua "esplosione improvvisa" e perché i supereroi più popolari siano "pieni di complessi d’inferiorità" e sembrino costretti a scegliere "un esplicito orientamento politico".


Analisi 17: La Politica Reazionaria dei Supereroi

Un'indagine sulle radici freudiane e le implicazioni politiche del genere supereroistico, dalla loro natura reattiva alla creatività dei cattivi.

Il blocco analizza la politica intrinseca nel genere dei supereroi, partendo dalle loro origini nei fumetti del ventesimo secolo. Viene stabilito che i supereroi sono "essenzialmente freudiani" e che le loro storie funzionano "un po' come i sogni", ripetendo una trama ossessiva in un "eterno presente". La struttura narrativa è presentata come reazionaria: "gli eroi sono reazionari" nel senso letterale che "si limitano a reagire agli eventi; non hanno progetti propri". Questo è contrapposto alla natura dei cattivi, che "scoppiano di creatività" e hanno "piani, progetti e idee". Il testo suggerisce un processo di identificazione iniziale con il cattivo, poiché "sono quelli che si divertono di più", seguito da un ritorno al Super-Io dell'eroe che "a forza di botte riporta l’Es ribelle a più miti consigli". Viene infine affrontata l'obiezione che i fumetti siano "solo forme di intrattenimento a buon mercato!", implicando che questa prospettiva freudiana e politica sia valida nonostante tali critiche.