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David Graeber - Burocrazia - Lettura | 22d

Perché le regole ci perseguitano e perché ci rendono felici


1. La critica liberale alla burocrazia e la sua evoluzione

Una ricostruzione delle origini e dello sviluppo dell'argomentazione liberale contro la burocrazia, dalla sua formulazione ottocentesca alle sue conseguenze nel populismo contemporaneo.

Il testo analizza la critica liberale alla burocrazia, nata nell'Ottocento dalla convinzione di un passaggio inevitabile dal "dominio delle élite guerriere" a quello della "libertà" e degli "interessi commerciali illuminati". In questa visione, le burocrazie moderne erano un problema, un "retaggio feudale" destinato a scomparire. L'emergere della teoria di Ludwig von Mises, che vede la burocrazia come un "difetto intrinseco del progetto democratico", segna un'evoluzione: i sistemi pubblici non possono organizzare le informazioni con l'efficienza dei "meccanismi impersonali di determinazione dei prezzi di mercato". Von Mises sosteneva che lo stato sociale avrebbe portato "inevitabilmente al fascismo", un concetto poi reso popolare da Ronald Reagan con la massima sulle "nove parole più spaventose". Tuttavia, questa ricostruzione ha "scarsissima attinenza con la realtà dei fatti". Storicamente, i mercati non nascono come baluardi autonomi della libertà, ma sono spesso un "effetto collaterale dell’attività dello stato – soprattutto delle operazioni militari". Si osserva quindi un paradosso, definito "Legge ferrea del liberalismo": le riforme di mercato hanno "l’effetto ultimo di incrementare il numero complessivo delle norme" e dei burocrati. Il testo conclude tracciando l'eredità di queste critiche nel populismo moderno, a partire da figure come George Wallace, che coniò l'espressione "burocrati saccenti", e nota come la sinistra moderata abbia spesso offerto "poco più di una versione annacquata di questa narrazione destrorsa", portando all'equivalenza moderna per cui "«democrazia» è diventata sinonimo di «mercato»".


Blocco 2: Le origini e la natura della burocrazia negli Stati Uniti

L'ascesa del capitalismo burocratico americano e la percezione distorta della burocrazia.

Il testo delinea l'affermazione del modello burocratico aziendale negli Stati Uniti a partire dalla fine del XIX secolo, un modello inizialmente visto come "un modo di applicare le moderne tecniche burocratiche al settore privato" per gestire le grandi imprese. Si osserva che, a differenza dell'Europa continentale, in America non si percepiva una differenza sostanziale tra burocrazia pubblica e privata, al punto che "i governi e le aziende – perlomeno le grandi aziende – venissero gestiti allo stesso modo". L'irruzione sulla scena mondiale degli Stati Uniti coincise con "l’affermazione di una forma specificamente americana: il capitalismo aziendale o burocratico", un modello condiviso con la Germania. Il testo prosegue sfatando l'auto-immagine individualista americana, affermando che "gli Stati Uniti sono – e lo sono da oltre un secolo – una società profondamente burocratica", sebbene questa caratteristica sia spesso nascosta perché i suoi valori "provengono dal settore privato". Viene infine analizzata la confusione tra pubblico e privato, evidenziando come "i confini tra pubblico e privato sono da sempre sfumati" e come gran parte delle procedure burocratiche che affrontiamo nascano in "una sorta di zona di confine, apparentemente privata, ma di fatto modellata da uno stato". Questo porta a un dibattito politico fuorviante su concetti come "deregolamentazione", che si basa su "premesse false".


Il corporativismo, la finanziarizzazione e la nuova burocrazia (3)

Dalla base filosofica del fascismo alla società credenzializzata: l'evoluzione del potere e del controllo.

Sommario

Il testo delinea la transizione storica del corporativismo, che, partendo dall'essere "la base filosofica del fascismo" e dall'aver assunto "tinte scioviniste", ha subito un "voltafaccia strategico" a partire dagli anni settanta. Questo cambiamento ha visto l'alleanza tra management e finanza, dove "il management delle aziende si è finanziarizzato, ma allo stesso tempo anche il settore finanziario si è «aziendalizzato»". La conseguenza è stata la creazione di un nuovo credo per cui "tutti dovevano guardare il mondo con gli occhi di un investitore", mitizzando figure come gli amministratori delegati il cui successo era misurato "sul numero dei dipendenti che sono riusciti a licenziare". Questo riallineamento non è stato solo politico ma anche culturale, preparando il terreno per l'invasione di "strumenti burocratici (valutazione delle prestazioni, focus group, survey sull’allocazione del tempo…) sviluppati nei circoli finanziari e aziendali" in ogni aspetto della società. Tale processo è accompagnato da un gergo specifico, fatto di parole come "visione, qualità, stakeholder, leadership, eccellenza, innovazione, obiettivi strategici e best practice", che si è diffuso come in una "capsula di Petri". Un tema minore ma significativo è l'ascesa del credenzialismo, per cui "le capacità non contano niente senza le credenziali", rendendo quella statunitense "la società più rigidamente credenzializzata al mondo" e portando all'esclusione di chi non ha studiato all'università "dalle professioni di pubblico rilievo". Questo sistema, che forza un "carico abnorme di debiti studenteschi", estrae profitti dai debiti altrui e utilizza l'apparato giudiziario come "meccanismo di estrazione dei profitti privati", costringendo i debitori a "burocratizzare sempre di più le loro vite".


Blocco 4: La Burocrazia come Rito di Passaggio

Un iter amministrativo per ottenere una procura si trasforma in una riflessione antropologica sull'inefficienza e la natura rituale della burocrazia.

Il sommario descrive la lotta dell'autore per ottenere la procura sul conto della madre, per pagare l'affitto e non farle "perdere il diritto all'assistenza". L'azione si scontra con un sistema farraginoso: il percorso per l'autentica notarile è ostacolato da procedure interne, come la necessità dell'"autorizzazione del responsabile dei servizi sociali". Il notaio si rivela incompetente, portando a un modulo compilato erroneamente, dove l'autore scrive "il mio nome in stampatello dove si diceva «firma»". La banca rifiuta il documento, richiedendo anche un "certificato del medico" mai menzionato prima. L'autore riflette su come questa esperienza lo abbia reso "stupido", concentrandosi più sull'influenzare i funzionari che sul compito meccanico. La vicenda personale si amplia in una critica generale: le burocrazie, sia pubbliche che private, "sono forme utopiche di organizzazione" che "fanno richieste che secondo loro sono ragionevoli" per poi dare la colpa all'"inadeguatezza individuale del singolo". Viene quindi stabilita un'analogia antropologica: i documenti sono i moderni riti di passaggio, poiché "né mia madre né nessuna delle persone cremate [...] sarebbero state legalmente – e dunque socialmente – morte" senza i moduli. Tuttavia, a differenza dei rituali tradizionali, le scartoffie sono intrinsecamente noiose, un tratto funzionale, poiché "devono essere noiose", come dimostra il confronto tra i documenti storici riccamente decorati e quelli moderni, "monocromatici e del tutto spogli".


L'egemonia intellettuale di Weber e Foucault nel contesto accademico americano 5

L'influenza di due pensatori europei e il loro rapporto con la burocrazia e il potere.

Il testo analizza la straordinaria rilevanza di Max Weber e Michel Foucault nella scienza sociale americana del dopoguerra, un'egemonia intellettuale che non ebbero mai in patria. La loro popolarità è collegata a una lettura antimarxista, poiché le loro teorie, "spesso in forma brutalmente semplificata", sostenevano che il potere non è solo controllo dei mezzi di produzione ma un tratto "diffuso, sfaccettato e inevitabile" della realtà sociale. Tuttavia, il successo è attribuito principalmente al loro atteggiamento verso la burocrazia, ritenuta efficace e funzionante. Per Weber, le organizzazioni burocratiche sono "l’incarnazione stessa della Ragione", seppur una "gabbia di ferro". Foucault, più sovversivo, attribuisce al potere burocratico ancora più efficacia, sostenendo che attraverso concetti come governamentalità e biopotere, le burocrazie statali "finiscono per dare forma ai parametri dell’esistenza umana" in modo più intimo di quanto Weber immaginasse, poiché "tutte le forme di conoscenza diventano forme di potere".

La popolarità di questi teorici è messa in relazione con lo sviluppo del sistema universitario americano, divenuto un'istituzione per la creazione di funzionari di un "apparato amministrativo imperiale operante su scala mondiale". Dopo la Seconda guerra mondiale, sociologi come Talcott Parsons adottarono una versione ridotta della teoria di Weber come "teoria dello sviluppo" per il Dipartimento di Stato, offrendo un'alternativa al marxismo. Con la Guerra del Vietnam e le mobilitazioni nei campus, queste complicità emersero e Weber fu rifiutato dai radicali. L'attenzione si spostò allora su teorici francesi come Foucault, che si affermò negli anni ottanta, specialmente in quelle discipline "che si consideravano in qualche modo antagoniste". Si creò una "divisione del lavoro intellettuale": gli aspetti ottimistici di Weber, come la "teoria della scelta razionale", per la formazione dei burocrati, e quelli pessimistici per i foucaultiani in settori accademici distanti dal potere politico, attratti dalla riflessione sul nesso "potere-conoscenza". Il testo conclude spostando il focus dalla burocrazia alla violenza, sostenendo che la burocrazia è un modo per gestire situazioni sociali già "stupide a monte, perché fondate sulla violenza strutturale", ovvero su disuguaglianze sociali la cui minaccia ultima è la forza fisica, "quella, per intenderci, di quando uno prende a randellate un altro".


Blocco 6: La violenza strutturale e lo stato

La natura della violenza come fondamento dell'ordine sociale e la sua rimozione nel discorso accademico.

Il testo analizza il concetto di violenza come base del potere, partendo dall'osservazione che "la capacità di chiamare individui in divisa" è un eufemismo per la violenza, un dato di fatto che "raramente i cittadini delle democrazie industriali riflettono". Viene introdotta l'idea di "violenza strutturale" attraverso l'esempio della tribù Alfa che conquista gli Omega: l'intero sistema si tiene in piedi "soltanto grazie alla minaccia continua della violenza", anche se le vittime possono interiorizzare la loro condizione. L'autore precisa che per lui l'espressione si riferisce a "tutte quelle strutture che possono essere create e tenute in piedi solo dalla minaccia della violenza", un meccanismo paragonato a quello per cui "le percentuali delle aggressioni a sfondo sessuale aumentano vertiginosamente" quando le norme di genere vengono messe in discussione. Si critica poi l'uso accademico prevalente del termine, che evita di "porre direttamente la questione della violenza", diventando un modo per non affrontare il problema dello stato e del suo "monopolio della violenza". L'analisi si conclude con un caso di studio sul Madagascar rurale, dove il governo, pur essendo "un’istituzione fondamentalmente coercitiva" basata sull'incutere paura, era un'entità sporadica: da un lato, "il potere burocratico non aveva praticamente alcun effetto sulla gente", dall'altro "permeava tutto", rivelando che l'interesse principale dello stato era "la denuncia delle proprietà tassabili" e il portare via "il bottino".


Violenza, interpretazione e potere 7

Una critica alle concezioni limitate della violenza e un'analisi dei suoi effetti sociali, con particolare attenzione alle dinamiche di potere, allo "sforzo interpretativo" e al ruolo della burocrazia e della polizia.

Sommario

Il testo contesta la visione riduttiva della violenza come mero atto fisico, proponendo invece che la sua caratteristica principale sia la capacità di produrre effetti sociali prevedibili senza necessità di comunicazione o comprensione reciproca. "La violenza è forse l’unica forma di azione potenzialmente capace di produrre effetti sociali senza essere comunicativa". Questo aspetto la rende uno strumento efficace per ovviare alla complessità delle relazioni umane e allo "sforzo interpretativo", definito come lo sforzo costante di "vedere il mondo con gli occhi dell’altro". La violenza, o la sua minaccia, permette relazioni semplificate, come in esempi quali "Supera questa linea e ti sparo". Questo principio è alla base della "violenza strutturale", situazioni di disparità sistematiche perpetuate dalla minaccia della forza. Tali situazioni generano strutture di identificazione immaginativa fortemente sbilanciate, dove i subordinati sono costretti a comprendere i potenti, mentre il contrario non avviene. "Le donne, in ogni luogo, sono sempre chiamate a domandarsi qual è la situazione agli occhi degli uomini. Agli uomini non si chiede mai di fare lo stesso con le donne". Questo modello, esemplificato dalle relazioni di genere e da quelle tra servi e padroni, è interiorizzato al punto che la sua messa in discussione può essere percepita come un atto di violenza. L'analisi si estende al ruolo della polizia, definita come "burocrati armati", il cui compito principale non è combattere la criminalità violenta ma "far valere la minaccia della forza per avere la meglio in situazioni che altrimenti non c’entrerebbero nulla con la forza". La percezione pubblica, distorta da una cultura popolare che promuove un'identificazione immaginativa con la polizia, è contrapposta alla realtà delle sue attività, prevalentemente amministrative. Il testo conclude riflettendo sulla teoria sociale, paragonando la conoscenza burocratica, che è una "questione di schematizzazione" e che ignora "le sottili sfumature dell’esistenza sociale reale", alla conoscenza teorica, affermando la potenziale utilità di quest'ultima per illuminare questioni altrimenti oscure.


Blocco 8: La contraddizione della sinistra e il naufragio del reale

Analisi del declino del pensiero di sinistra attraverso la sua incapacità di criticare la burocrazia e l'impatto paralizzante delle strutture materiali e giuridiche sui progetti radicali.

Sommario

Il blocco individua una contraddizione fondamentale nel pensiero di sinistra, che, nato come "critica della burocrazia", ha finito per piegarsi a quelle stesse strutture. La sua "attuale incapacità di formulare una critica della burocrazia" è considerata il paradigma del suo declino, poiché senza di essa il pensiero radicale "perde il suo centro vitale e collassa in una frammentazione disarticolata". Viene quindi messo in discussione il concetto di "realismo" politico, spesso ridotto a un "compromesso" che porta la sinistra a scegliere strade sicure che, in realtà, le scavano "una fossa ancora più profonda". La narrazione si sposta su un aneddoto relativo al New York Direct Action Network, una rete che operava secondo principi di democrazia diretta. La donazione di un'automobile scatena una crisi, rivelando come sia "impossibile per una rete decentrata possedere legalmente un’automobile". Questo episodio apparentemente minore diventa esemplare di un paradosso più ampio: i progetti radicali, pur essendo molto organizzati, naufragano quando entrano in contatto con un "mondo di oggetti grandi e pesanti" come automobili o palazzi. La difficoltà non risiede nella gestione democratica degli oggetti in sé, ma nel fatto che questi sono "circondati da un’interminabile regolamentazione pubblica" ed è "sostanzialmente impossibile sottrarli all’attenzione dei rappresentanti armati dello stato". L'esempio di una casa occupata, che dopo il riconoscimento legale deve affrontare costosi lavori di messa a norma, costringendo gli attivisti a "organizzare vendite di torte" e ad aprire conti bancari, conferma come tutte queste norme "vengono fatte rispettare con la violenza", sebbene questa sia spesso invisibile.


Blocco 9: L'immaginazione tra potere e realtà

L'evoluzione del concetto di immaginazione e le sue implicazioni politiche e sociali, dalla concezione medievale di intermediario tra materia e spirito alla moderna dicotomia tra trascendenza e immanenza, fino alle aporie nel pensiero rivoluzionario.

Sommario

Il testo delinea l'evoluzione storica del concetto di immaginazione, partendo dalla sua antica funzione di "zona di passaggio che collegava la realtà materiale e l’anima razionale", un sistema intermedio come lo pneuma attraverso cui passavano le percezioni e gli intenti. Si evidenzia come, solo dopo Cartesio, l'immaginario abbia assunto il significato specifico di "tutto ciò che non è reale", dando vita a un "concetto trascendente dell’immaginazione" che crea mondi immutabili, come "elfi, unicorni o poliziotti della tv", i quali "non possono esserlo, perché non esistono". In opposizione, viene recuperata una concezione "immanente", descritta come "legata a filo doppio a progetti e azioni che tendono ad avere effetti reali nel mondo materiale", valida sia "quando si intaglia un coltello" sia "quando si cerca di non ferire i sentimenti di un amico".

L'avvento del capitalismo industriale e della società burocratica favorisce l'affermazione della concezione trascendente, che per i romantici prende "il posto che una volta era dell’anima". Questa confusione tra principi trascendenti e immanenti crea una tensione cruciale, specialmente in ambito politico, come nello slogan "Tutto il potere all’immaginazione". Se riferito all'immaginazione trascendente, il rischio è la creazione di una "vasta macchina burocratica" e di un "livello insostenibile di atrocità". Allo stesso tempo, non dare potere all'immaginazione immanente, quella "pratica e di buon senso di semplici cuochi, infermieri, meccanici e giardinieri", rischia di "produrre esattamente gli stessi effetti". Questa tensione è rintracciata in Marx, il quale da un lato sostiene che a renderci umani sia il fatto che "prima costruiamo strutture nella nostra immaginazione e poi proviamo a realizzarle", come fa l'architetto, ma dall'altro, parlando di rivoluzione, afferma che "Il rivoluzionario non deve mai procedere come l’architetto: non deve mai partire da un progetto di società ideale".

Riferimenti minori

(1081) - L'ossessione di incarcerare poeti e drammaturghi come segno di fede nel potere dell'arte. (1107) - L'invito a risolvere la questione dell'immaginazione, data l'alta posta in gioco.


10. La Promessa Infranta del Futuro

Un sentimento di delusione generazionale per le meraviglie tecnologiche previste e mai realizzate.

Il testo analizza un sentimento di delusione radicato nella "promessa solenne che ci era stata fatta da bambini su come sarebbe stato il nostro mondo da adulti". Questa promessa, mai esplicitata ma diffusa attraverso programmi educativi e la cultura popolare, includeva l'attesa di tecnologie come "campi di forza, teletrasporto, campi antigravitazionali... colonie su Marte". L'autore si chiede "Che ne è stato?" di queste meraviglie, notando che anche quando alcune vengono annunciate, "si scopre che non funzionano". La reazione comune è un rimando alle "meraviglie dell’informatica", visto come una specie di "risarcimento inatteso", ma l'autore sostiene che "non ci avviciniamo neanche a dove pensavamo di arrivare". Questo fallimento nel realizzare il futuro immaginato crea un "senso profondo di tradimento quasi inesprimibile" e un imbarazzo che rende l'argomento un "quasi tabù" nel dibattito pubblico, dove si teme di essere "messi alla berlina come degli sciocchi ingenui".

La delusione si estende al genere della fantascienza e alle sue narrazioni. Il testo osserva che "nel XX secolo, i creatori dei film di fantascienza ipotizzavano date concrete" per i loro futuri, come Stanley Kubrick che immaginava per il 2001 "voli commerciali sulla Luna, stazioni spaziali simili a città e computer dalla personalità umana". Tuttavia, "l’unica nuova tecnologia di 2001: Odissea nello spazio diventata realtà è il videotelefono". Questo divario tra aspettativa e realtà costringe le narrazioni ad adattamenti, come quando "gli autori di Star Trek hanno dovuto cominciare a giocare con cronologie e realtà alternative". Di conseguenza, il futuro immaginato dalla fantascienza successiva è "quasi sempre distopico" o "studiatamente ambiguo", trasformando "«il futuro» in una zona di pura fantasia", un rifugio dalla delusione per un domani che non è mai arrivato.


11. L'arresto del Futuro: Tecnologia, Potere e la Fine delle Aspettative

L'indagine sulle cause della mancata realizzazione del futuro tecnologico immaginato nel passato.

Il testo esamina le ragioni del mancato avverarsi delle previsioni tecnologiche ottimistiche del secolo scorso, esplorando due possibilità principali: aspettative irrealistiche o un effettivo deragliamento del progresso. L'autore opta per la seconda, sostenendo che "almeno alcune di quelle visioni non fossero intrinsecamente irrealistiche". Viene analizzata la percezione di un'accelerazione tecnologica, culminata nelle teorie di Alvin Toffler sullo "shock del futuro" e sulla "spinta accelerativa", sebbene i dati mostrino che "proprio nel momento esatto in cui stavano quasi tutti per esaurirsi". La critica si estende all'influenza di figure come Toffler e Gilder, le cui idee, nonostante le previsioni errate, "hanno trovato terreno fertile nelle stanze del potere". L'analisi identifica infine una transizione negli investimenti, da tecnologie che abilitavano futuri alternativi a tecnologie per il "mantenimento della disciplina sul lavoro e al controllo sociale", suggerendo un collegamento con dinamiche capitalistiche più ampie, dove la meccanizzazione potrebbe portare a un "abbassamento generale del tasso di profitto".


Blocco 12: La deriva della ricerca e il progetto neoliberista

Un'analisi degli effetti controproducenti delle politiche neoliberiste sulla ricerca scientifica e tecnologica, e delle sue conseguenze sociali.

Il testo analizza il cambiamento di paradigma nella ricerca e sviluppo a partire dagli anni Settanta. La ricerca privata non è più quella dei tempi d'oro della Bell Labs, poiché "i tagli alle tasse e le riforme finanziarie hanno avuto quasi l’effetto opposto rispetto a quello previsto dai loro fautori", incentivando il riacquisto di azioni invece che gli investimenti in innovazione. Contemporaneamente, lo stato ha dirottato i fondi dalla ricerca civile a quella militare, orientando lo sviluppo tecnologico verso "tecnologie che hanno migliorato la sorveglianza, la disciplina sul lavoro e il controllo sociale". Questo riorientamento è presentato come una strategia di classe, volta a "disfatta completa dei movimenti sociali sul fronte interno". Nonostante l'aumento generale dei finanziamenti, i risultati sono stati deludenti, con poche scoperte rivoluzionarie. La causa è individuata nella burocratizzazione e nella "sempre maggiore compenetrazione tra governo, università e aziende private", che ha soffocato la creatività a favore della logica aziendale e del marketing, come dimostra il fatto che "l’accademia era un rifugio per gli eccentrici [...] Ora non più. È diventata il regno dei professionisti dell’autopromozione".


Blocco 13: Dibattito sul capitalismo, progresso tecnologico e alternative future

Una critica al determinismo capitalista e una difesa della possibilità di futuri alternativi.

Il testo confuta l'idea che il capitalismo aziendale contemporaneo sia l'unico sistema economico possibile per una società avanzata. Viene messa in discussione la tesi che il capitalismo sia il motore unico del progresso tecnologico, osservando che "il capitalismo non sta facendo nessuna di queste cose" nel XXI secolo. L'argomento principale dello scettico, secondo cui i sistemi alternativi sono irrilevanti per società "moderne, complesse e tecnologicamente avanzate", viene contestato con un appello alla storia, che mostra "centinaia, addirittura migliaia di sistemi politici ed economici diversi". Si introduce così una critica al determinismo tecnologico, ritenuto il fondamento necessario della tesi dell'inevitabilità del capitalismo.

Viene analizzata una contraddizione interna al capitalismo neoliberista: da un lato deve presentarsi come all'avanguardia del progresso, dall'altro ne sta frenando la velocità, offrendo solo "miglioramenti modesti (l’ultimo iPhone!)". Tuttavia, si sostiene che l'innovazione non possa essere soffocata per sempre e che "l’invenzione e l’innovazione non potranno nascere all’interno della cornice del capitalismo aziendale contemporaneo". Il blocco si conclude con una prospettiva utopica: per realizzare un vero progresso tecnologico che serva l'umanità, è necessario un sistema economico completamente diverso, basato su una "distribuzione molto più equa della ricchezza e del potere", liberando così l'immaginazione come "forza materiale nella storia dell’uomo".


14. Le ragioni della persistenza burocratica

Un'indagine sul fascino nascosto e sulle logiche inesorabili che spiegano la crescita e la resilienza della burocrazia.

Sommario

Il testo esamina le ragioni per cui la burocrazia, pur universalmente condannata, tende a espandersi costantemente. Viene presentata una scuola di pensiero secondo cui la burocrazia segue "una logica interna, perversa ma inesorabile", per cui la creazione di una struttura per risolvere un problema "inevitabilmente finirà per creare altri problemi che, a loro volta, sembreranno risolvibili soltanto per via burocratica". Una variante di questa teoria, attribuita a Max Weber, sostiene che una burocrazia, una volta creata, cerchi di rendersi indispensabile detenendo il potere e "monopolizzando l’accesso a un certo tipo di informazioni chiave". Weber osserva che "ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni", difendendo con fanatismo il concetto di "segreto ufficiale". Questo potere informativo rende la burocrazia estremamente resistente al cambiamento, al punto che, secondo Weber, "l’unico modo per sbarazzarsi di una burocrazia consolidata è semplicemente eliminarne tutti i membri", poiché se ne rimane in vita un numero, "nel giro di pochi anni finirà inevitabilmente per controllare il regno". La seconda spiegazione proposta è che la burocrazia eserciti un fascino anche su chi la subisce, a causa della sua impersonalità. I "rapporti burocratici, freddi e impersonali", sebbene "senz’anima", sono "semplici, prevedibili e – entro certi parametri – trattano tutti più o meno allo stesso modo". Questa impersonalità ci permette di interagire senza doverci impegnare in "complesse ed estenuanti forme di sforzo interpretativo", offrendo un'apparente neutralità in contesti delicati come l'allocazione di organi per trapianti. L'analisi suggerisce infine che "la nostra stessa idea di razionalità, giustizia e soprattutto di libertà si fonda" su queste relazioni impersonali, promettendo di esplorare momenti storici in cui la burocrazia ha ispirato "sincero entusiasmo, quasi un’infatuazione".


Blocco 15: L'evoluzione del servizio postale come modello e simbolo

Dall'utopia alla disillusione: il servizio postale come prototipo di organizzazione sociale e la sua successiva crisi.

Sommario

Il blocco descrive l'evoluzione del servizio postale da strumento militare a servizio pubblico, sottolineando il suo ruolo nell'unificazione degli stati e la sua percezione come modello di efficienza e organizzazione. In seguito, per estensione, diventarono uno strumento chiave per tenere uniti gli imperi, come dimostra l'affermazione di Erodoto sui messaggeri persiani. L'Impero prussiano, rilevando il monopolio dei Thurn und Taxis, gettò le basi per un servizio postale nazionale tedesco la cui efficienza divenne motivo di orgoglio nazionale, con "5-9 consegne al giorno nelle città principali". Questa efficienza impressionò osservatori come Mark Twain e ispirò teorie politiche: Lenin scriveva che "la posta è attualmente un’azienda organizzata sul modello del monopolio capitalistico di stato" e vedeva in essa un modello per l'economia socialista, mentre Kropotkin citava l’«Unione postale universale» come esempio di organizzazione anarchica basata sull'accordo. Anche il sistema postale americano, che "presto gli americani avrebbero reso [...] più grande di quelli della Gran Bretagna e della Francia", fu visto come un modello, al punto che "per buona parte del secolo, agli occhi della maggioranza degli americani, il sistema postale era il governo federale". Il concetto di "postalizzazione" rappresentava l'ideale di nazionalizzazione. Tuttavia, a partire dagli anni ottanta, "il legislatore ha cominciato a tagliare sistematicamente fondi agli uffici postali", trasformando l'immagine del servizio postale in emblema di inefficienza e violenza, come suggerito dall'espressione "going postal". Questa trasformazione è stata analizzata in parallelo con le rivolte degli schiavi, entrambe descritte come "atti inspiegabili di rabbia e follia individuale" piuttosto che come conseguenze di cause strutturali. Il blocco si conclude tracciando un parallelo tra questa storia e quella di Internet, definito "un gigantesco ufficio postale elettronico e superefficiente", seguendo lo stesso schema: tecnologia militare, diffusione, fama di efficienza, adozione da parte di movimenti radicali e trasformazione in strumento di controllo e fastidio.


16. La natura contraddittoria della razionalità e le sue implicazioni

La coesistenza di due concezioni antitetiche della ragione e la loro proiezione in schemi cosmologici e strutture sociali.

Il blocco analizza la dicotomia fondamentale tra una razionalità etica, intesa come freno alle passioni, e una razionalità strumentale, mera schiava delle passioni. Esplora come questa contraddizione innervi la burocrazia, generi visioni utopiche e si radichi in una spiritualità che, dalle origini pitagoriche alla cosmologia medievale, eleva la ragione a principio divino. Viene infine introdotta la tripartizione dello stato moderno in sovranità, amministrazione e politica, suggerendo le antichissime origini delle tecniche burocratiche. Il sommario cita per illustrare la razionalità come forza etica: "La ragione – sia a livello individuale sia all’interno della comunità politica – esiste per tenere a freno la nostra natura più bassa"; e, per contrapposizione, la massima humeana che definisce quella strumentale: "«La ragione è e deve soltanto essere la schiava delle passioni»". Viene messa in luce l'incoerenza risultante: "A volte è un mezzo; a volte è un fine. A volte non ha niente a che fare con la morale; a volte è l’essenza stessa di ciò che è buono e giusto". Si osserva come la burocrazia incarni questa logica, trattando "i mezzi come se fossero completamente separati dalle cose che realizzano". L'analisi risale alle radici pitagoriche, per le quali "l’universo era fondamentalmente fatto di numeri" e la razionalità umana era "semplicemente l’azione di quel principio divino dentro di noi", una "tecnica per raggiungere l’unione con il divino". Questa visione, proiettata in una "burocrazia celeste virtuale" medievale, sopravvive nella struttura concettuale dell'Illuminismo, dove "l’appello alla razionalità di Cartesio e dei suoi successori è in sostanza un atto di fede, spirituale, perfino mistico". Viene infine problematizzata l'identificazione della razionalità come tratto distintivo umano, citando l'antropologo Edmund Leach: "ciò che distingue l’uomo dall’animale non è il fatto di possedere un’anima immortale, bensì la capacità di immaginare di averne una". Il testo si chiude delimitando i tre principi costitutivi dello stato – "sovranità, amministrazione e politica" – e anticipando le remote origini mesopotamiche delle tecniche amministrative, che "precedono non solo gli stati sovrani, ma anche le prime città".


Blocco 17: La Burocrazia nel Fantasy e nei Giochi di Ruolo

Un'analisi della rappresentazione e dell'evoluzione dei principi burocratici all'interno di mondi narrativi e ludici apparentemente antiburocratici.

Il blocco esamina la tensione tra l'ideale antiburocratico del fantasy e la progressiva infiltrazione di logiche burocratiche al suo interno, fino alla loro piena affermazione nei giochi per computer. La letteratura fantasy viene definita come "il tentativo di immaginare un mondo del tutto privo di burocrazia", un luogo di evasione dove, tuttavia, "la burocrazia e i principi burocratici non sono totalmente assenti". Questi si insinuano attraverso la magia cerimoniale, con le sue "gerarchie cosmiche, i complessi ordini logici di incantesimi... con le loro diverse attribuzioni, denominazioni e aree di responsabilità amministrativa". L'evoluzione del genere, da universi eroici come Cimmeria all'ambientazione scolastica e istituzionale di Harry Potter, segna un passaggio verso una "narrazione antiburocratica che si svolge all'interno di una classica istituzione burocratica". Un ulteriore sviluppo è analizzato attraverso la popolarità dei giochi di ruolo come Dungeons & Dragons, inizialmente descritti come anarchici e con relazioni sociali che sono "l'esatto opposto delle gerarchie impersonali della burocrazia". Tuttavia, il gioco rappresenta anche "la burocratizzazione suprema della fantasia antiburocratica", con i suoi cataloghi, liste e statistiche dove "tutte le qualità più importanti possono essere ridotte a un numero". Questa standardizzazione ha avuto effetti profondi con la transizione al digitale, dove i giochi per computer "hanno trasformato il fantasy in una procedura quasi totalmente burocratica: accumulazione di punti, crescita di livello e così via". Il blocco conclude osservando come, in questo processo, "anche la negazione più radicale del mondo amministrativo in cui siamo intrappolati finisce per diventare una sua variante", rafforzando la sensazione di un universo dove le procedure contabili definiscono la realtà. Viene infine introdotta la riflessione sul rapporto tra burocrazia e gioco, descritta come un paradosso per cui "la burocrazia è tutt’altro che giocosa" eppure "restare intrappolati in una girandola burocratica è quasi come trovarsi catapultati in una specie di gioco dell’orrore".

Riferimenti minori


18. Gioco, giochi e sovranità: una distinzione fondamentale

La natura del gioco e dei giochi, la loro relazione e le implicazioni per la sovranità e la burocrazia.

Il testo analizza la distinzione concettuale tra "gioco" come principio creativo libero e "giochi" come sistemi di regole definite. Si afferma che "l’uno evoca la creatività libera e spontanea, l’altro le regole". Viene presentata la teoria di Huizinga sui giochi, descritti come "pura azione governata dalle regole", delimitati nel tempo e nello spazio, con partecipanti e obiettivi chiari. Questa struttura è indicata come fonte del divertimento, poiché elimina l'ambiguità tipica della vita reale, dove "raramente queste regole sono esplicite". Il gioco puro, invece, è definito come "libertà per il gusto della libertà", una "pura espressione di energia creativa" che può generare regole ma non ne è vincolata. L'analisi si estende al principio di sovranità, paragonato al gioco creativo, in quanto "potere di mettere da parte le leggi". Si sostiene che "la sovranità è sostanzialmente identica al gioco inteso come principio generativo". Viene esplorata la paura del gioco libero e la preferenza per i giochi regolati, collegando questo impulso alla burocrazia e all'espansione delle norme legali. Si cita la "cultura della valutazione" come esempio di trasformazione della consuetudine in un corpo esplicito di regole, un tentativo di "trasformare la consuetudine in una specie di gioco da tavolo" per eliminare l'arbitrio, sebbene "questo non succede mai".


19. Analisi critica del cinema supereroistico e delle sue implicazioni politiche

Un'indagine sulla natura reazionaria dei supereroi e sull'evoluzione dei loro messaggi politici.

Il blocco analizza l'evoluzione politica e psicologica del genere supereroistico, partendo dalla delusione per l'ultimo film di Nolan. Si sostiene che "i supereroi sono un prodotto delle loro origini storiche", come dimostrano le diverse estrazioni sociali di Superman, Batman e Spiderman. Il testo identifica una struttura narrativa fissa e reazionaria, in cui "gli eroi sono reazionari" poiché "si limitano a reagire agli eventi; non hanno progetti propri". Al contrario, "i cattivi, invece, scoppiano di creatività". Questa dinamica, unita a un "freudianesimo pop", trasforma il piacere dello spettatore in un "teorema" conservatore. Viene infine introdotto il paradosso del potere costituente per problematizzare lo status della legge nell'universo supereroistico, notando che "nessun sistema può generarsi da solo".


20. L'evoluzione politico-psicologica del supereroe: dai fumetti alla trilogia di Batman di Nolan

Dall'analisi del fumetto classico al superhero noir e alla sua trasposizione cinematografica, con focus sulla trilogia di Batman di Christopher Nolan.

Il blocco analizza l'evoluzione del genere supereroistico, partendo dalla natura "apparentemente politica" ma "psicologica e personale" del fumetto tipico, che riflette "una riflessione prolungata sui pericoli dell’immaginazione umana". Si passa poi alla rivoluzione del "superhero noir" negli anni Ottanta e Novanta, con opere come Il ritorno del cavaliere oscuro e Watchmen, che ha portato a un'umanizzazione dei personaggi. L'attenzione si concentra infine sulla trilogia cinematografica di Christopher Nolan, definita l'apice di questo sottogenere. In Batman Begins, il regista "sostanzialmente si pone la domanda: «E se uno come Batman esistesse davvero?»", esplorando sistematicamente la psiche dell'eroe, descritto come "una personalità psicotica borderline" i cui nemici sono "soltanto frammenti e tessere della mente devastata dell’eroe". Sebbene emerga "un ovvio messaggio politico" attraverso figure come Ra's al Ghul, "un primitivista e un ecoterrorista", e il Joker, "l’Es che si fa filosofo", l'analisi conclude che il film è "l’ennesimo dramma psicologico travestito da dramma politico". La rappresentazione della politica è criticata come "semplicemente non è vera", riducendola a "l’arte di manipolare le immagini sostenuta dalla violenza" e a "un duello tra impresari di fronte a un pubblico", una visione che si scontra con l'emergere storico di movimenti popolari reali come Occupy. Nei film, il Popolo è relegato a Pubblico passivo, mentre le trame, specialmente in Il cavaliere oscuro e Il cavaliere oscuro - Il ritorno, sono lette come proiezioni della "mente torturata di Bruce Wayne". Il messaggio finale sembra essere che "il sistema è corrotto, ma è tutto quello che abbiamo" e che "qualsiasi tentativo di affrontare un problema strutturale, anche attraverso la disobbedienza civile non violenta, è una forma di violenza".


Blocco 21: La violenza strutturale e le sue dimensioni

Dagli studi sulla pace all'analisi antropologica e femminista: genesi, critiche e applicazioni del concetto di violenza strutturale.

Sommario

Il blocco tratta il concetto di "violenza strutturale", coniato da Johann Galtung per descrivere "qualsiasi assetto istituzionale che, per il suo stesso funzionamento, provochi regolarmente danni fisici o psicologici a una certa parte della popolazione". Questa forma di violenza è distinta sia dalla "violenza personale" che dalla "violenza culturale". Viene presentato il processo di adozione del termine nella letteratura antropologica, con riferimenti a opere come Death Without Weeping: The Violence of Everyday Life in Brazil di Nancy Scheper-Hughes. Il testo analizza le critiche all'approccio di Galtung, in particolare l'osservazione di Catia Confortini secondo cui esso "considera le 'strutture' come entità astratte e fluttuanti, mentre in realtà ci stiamo riferendo a processi materiali". Viene fornito un esempio concreto di violenza strutturale nell'esclusione delle donne da certi spazi, dove "la paura, le motivazioni che spingono gli uomini a perpetrare quelle aggressioni" e le conseguenti limitazioni economiche costituiscono "un’unica struttura di violenza". Si accenna al ruolo della violenza nel mantenere sistemi di potere, come nella schiavitù, dove "la capacità di costringere gli schiavi a adeguarsi a questa ideologia palesemente falsa è essa stessa un modo di affermare il potere puro e arbitrario del padrone". Il blocco include anche una discussione sulle definizioni di violenza, notando che "alcune definizioni più progressiste di violenza evitano di descrivere la minaccia di un danno fisico come una forma di violenza in sé". Vengono infine citati contributi femministi, come il volume The Feminist Standpoint Theory Reader, e si riflette su esperienze personali riguardanti l'immaginazione di sé in ruoli di genere diversi.


Blocco 22: Dottrine Pitagoriche, Gnosticismo e Autorità

La scuola pitagorica, la scoperta dell'irrazionale e le riflessioni sulla sovranità e la religione cosmica.

Il testo tratta della scuola pitagorica, distinguendone le dottrine da quelle del fondatore. Viene discussa l'attribuzione della cosmologia matematica a figure successive come Ippaso, la cui leggendaria morte per annegamento è collegata alla rivelazione del numero irrazionale. Si esplora l'ipotesi che Ippaso sostenesse che "dio fosse un numero irrazionale", un principio trascendente, deviando così dalla logica della "religione cosmica". Questo concetto, usato per descrivere lo gnosticismo che "rifiutava il concetto di un ordine cosmico ideale", introduce un dualismo. Il blocco si conclude con un'analisi delle forme di autorità legittima, citando una posizione che vede come unica autorità valida quella personale, riflettendo un "odio atavico per la burocrazia" e una fluttuazione tipica delle società eroiche tra re e anarchia.