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Dalio - Navigating debt crisis | L22d


Principi per Navigare le Grandi Crisi del Debito: Parte 1

Un modello per comprendere le dinamiche economiche ricorrenti e prepararsi alle tempeste finanziarie future.

Sommario

Il blocco delinea lo sviluppo e l’applicazione di un modello per comprendere le grandi crisi del debito, nato dall’esperienza diretta dell’autore e dallo studio di eventi storici. L’autore spiega di aver creato “template o modelli archetipici di ogni tipo—per esempio, il ciclo economico archetipico, il grande ciclo del debito archetipico, la deleveraging deflazionistica archetipica, la deleveraging inflazionistica archetipica, ecc.”. Questo approccio gli ha permesso di vedere “meno cose accadere ancora e ancora”, trasformando eventi unici in pattern riconoscibili. La ricerca, condotta con i partner di Bridgewater, ha portato a sistemi decisionali computerizzati che hanno permesso di navigare con successo la crisi del 2008, per la quale era stato costruito otto anni prima un “indicatore di depressione”. L’obiettivo dichiarato è condividere questo modello per “ridurre la probabilità di future crisi del debito e aiutarle a essere gestite meglio”. Viene inoltre introdotta la distinzione fondamentale tra credito e debito, definendo il primo come “il dare potere d’acquisto” e il secondo come la promessa di restituirlo, sottolineando come il problema sorga “quando c’è un’incapacità di ripagarlo”.


Il Ciclo del Debito Deflazionistico

Dinamiche autorinforzanti del credito e fasi della crisi sistemica.

Sommario

Il blocco delinea la struttura del ciclo del debito deflazionistico, partendo dal suo meccanismo fondamentale: “il prestito crea naturalmente movimenti ascendenti autorinforzanti che alla fine si invertono per creare movimenti discendenti autorinforzanti che devono a loro volta invertirsi”. La fase di espansione è caratterizzata da un circolo virtuoso in cui “il prestito sostiene la spesa e gli investimenti, che a loro volta sostengono i redditi e i prezzi delle attività; l’aumento dei redditi e dei prezzi delle attività sostiene un ulteriore indebitamento e la spesa per beni e attività finanziarie”. Tuttavia, questo processo spinge la spesa e i redditi al di sopra della crescita produttiva sostenibile, basandosi, vicino al picco, sull’“aspettativa che la crescita superiore al trend continui indefinitamente”. L’inevitabile inversione si verifica quando “il reddito scenderà al di sotto del costo dei prestiti”. L’analisi prosegue descrivendo le sette fasi del ciclo archetipico, dall’inizio, passando per la bolla e il picco, fino alla depressione e alla “bella riduzione della leva finanziaria”. Viene sottolineato il ruolo delle aspettative irrealistiche e del prestito avventato che “si traduce in una massa critica di prestiti inesigibili”, innescando una contrazione autosufficiente. Vengono inoltre esaminati gli strumenti a disposizione dei policy maker per gestire la crisi - austerity, default/ristrutturazioni del debito, stampa di moneta e trasferimenti di ricchezza - e la necessità di un mix equilibrato tra forze deflazionistiche e stimoli inflazionistici per ottenere una “bella riduzione della leva finanziaria”, in cui “i rapporti debito-reddito diminuiscono contemporaneamente al miglioramento dell’attività economica e dei prezzi delle attività finanziarie”.


La Gestione della Crisi del Debito e il Percorso di Deleveraging

Le dinamiche e gli strumenti di politica economica durante la fase depressiva di una crisi del debito e la transizione verso un “deleveraging bello”.

Sommario

I policy maker inizialmente sono riluttanti a fornire sostegno a causa del problema dell’“azzardo morale”, credendo che “gli eccessi di debito si ripeteranno se finanziatori e mutuatari non soffrono gli aspetti negativi delle loro azioni”. Questa esitazione fa sì che “la contrazione del debito e l’agonia che produce aumentino rapidamente”. Tuttavia, “più a lungo aspettano per applicare rimedi stimolativi, più brutto diventa il deleveraging”. Alla fine, scelgono di “fornire molte garanzie, stampare molta moneta e monetizzare molto debito”, spostando l’economia verso un “deleveraging rialzista”. L’esito dipende dalla tempestività e dall’efficacia di queste azioni: se eseguite correttamente, la depressione è “relativamente di breve durata”; altrimenti, è “solitamente prolungata”. I maggiori impedimenti sono “l’ignoranza e una mancanza di autorità”. La gestione della crisi richiede “molto cervello, disponibilità a combattere e acume politico”. Vengono dettagliati i tipici strumenti utilizzati: l’austerità, sebbene “naturale”, è un “grosso errore” poiché “anche una profonda austerità non riporta in equilibrio debito e reddito”. La leva principale diventa la stampa di moneta per “fermare l’emorragia e stimolare l’economia”, fornendo liquidità e garanzie, soprattutto alle “istituzioni sistemicamente importanti”. Il processo di gestione dei debiti inesigibili spesso coinvolge la creazione di “società di gestione patrimoniale” (AMC). Viene inoltre affrontata la ridistribuzione della ricchezza, poiché “le disparità di ricchezza aumentano durante le bolle” e “il populismo tende ad emergere”. Il risultato desiderato è un “deleveraging bello”, che si verifica quando le quattro leve (austerità, default/ristrutturazioni, stampa di moneta, trasferimenti di ricchezza) sono mosse in modo equilibrato per “produrre una crescita positiva con oneri del debito in calo e un’inflazione accettabile”. La chiave è che “la crescita del reddito nominale deve essere superiore al tasso di interesse nominale”. La “stampa di moneta non è inflazionistica se compensa la contrazione del credito”; è semplicemente “una negazione della deflazione”. Nelle fasi avanzate del ciclo del debito, i policy maker possono lottare con l’inefficacia degli stimoli, una situazione nota come “spingere su una corda”, che richiede forme di politica monetaria più dirette.


Il ciclo del debito inflazionistico e le crisi valutarie

Delineazione del modello di crisi del debito caratterizzata da svalutazione valutaria, fuga di capitali e depressione economica inflazionistica, con analisi delle fasi e dei meccanismi di aggiustamento.

Sommario

La sezione delinea il modello archetipico di una crisi del debito inflazionistica, creata dalla media di “27 dei peggiori casi di cicli inflazionistici”. La crisi è innescata da una dinamica valutaria pericolosa in cui “i detentori di debito denominato nella valuta dal rendimento scarso sono motivati a venderla e spostare i propri asset in un’altra valuta”, portando a una depressione inflazionistica. Questo processo si articola in cinque fasi distinte. La prima fase, la parte iniziale del ciclo, è caratterizzata da “flussi di capitale favorevoli [che] sono il risultato di buoni fondamentali” e da un afflusso di capitali che stimola l’economia. Segue la fase della bolla, in cui “i prezzi della valuta e/o degli asset vengono rincarati e sempre più finanziati dal debito”, creando vulnerabilità. Il picco e la difesa della valuta avvengono quando “i flussi che hanno causato la bolla […] diventano insostenibili”, innescando spesso una difesa della valuta da parte della banca centrale che raramente funziona. La fase depressiva, spesso in concomitanza con l’abbandono del sostegno alla valuta, vede la valuta deprezzarsi notevolmente, in media “declinando di circa il 30 per cento in termini reali”, con un picco dell’inflazione e una forte contrazione economica. Infine, la normalizzazione arriva quando “c’è un equilibrio tra l’offerta e la domanda della valuta”, tipicamente dopo che un deprezzamento significativo ha reso gli asset del paese competitivi e ha ripristinato i conti con l’estero. Viene inoltre analizzato il rischio che alcune depressioni inflazionistiche degenerino in iperinflazione, un evento più probabile per i paesi che “non hanno una valuta di riserva” e presentano elevati livelli di debito estero.


Cicli del Debito e Dinamiche del Conflitto 5

Le dinamiche del potere e le conseguenze economiche dei conflitti armati all’interno del quadro dei grandi cicli del debito.

Il blocco analizza le due vie fondamentali che le parti in conflitto possono intraprendere: la via cooperativa e quella conflittuale. “Ciascuna parte può forzare l’altra a percorrere la seconda via (minacciare la guerra, perdere-perdere), ma serve che entrambe le parti scelgano di percorrere la via cooperativa, vincere-vincere”. Viene sottolineato come il potere relativo delle parti, definito dalla “capacità relativa di sopportare il dolore tanto quanto dalla capacità relativa di infliggerlo”, sia un fattore determinante. La scelta della via conflittuale porta a una definizione chiara, sebbene traumatica, dei rapporti di forza: “la seconda via chiarirà certamente — attraverso l’inferno della guerra — quale parte è dominante e quale dovrà essere sottomessa”. Questo spiega i periodi di pace che tipicamente seguono i conflitti, con il paese vincitore che detta le regole. La trattazione si concentra poi sulle politiche economiche in tempo di guerra, dove la priorità assoluta è “mantenere l’accesso a risorse finanziarie e non finanziarie necessarie per sostenere un buon sforzo bellico”. Ciò implica un accesso al credito e l’utilizzo di ingenti riserve valutarie, portando a un massiccio aumento della spesa pubblica, della spesa militare e del personale militare, con un esempio specifico che mostra come “il 20 per cento della forza lavoro statunitense si spostò nell’esercito” durante la Seconda Guerra Mondiale. Il periodo post-bellico è caratterizzato da recessione, deleveraging e dalla gestione degli enormi debiti contratti. Viene evidenziata la differenza cruciale tra vincitori e vinti: “I perdenti sperimentano una depressione molto più profonda, ricorrono a una maggiore stampa di moneta, spendono in modo significativo i propri risparmi/riserve e vedono tassi di inflazione molto più alti (a volte sperimentando l’iperinflazione)”. La sezione si conclude con una riflessione più ampia sulla gestione delle crisi del debito, ribadendo che “gestire le crisi del debito significa distribuire il dolore dei debiti cattivi”, operazione facilitata se il debito è in valuta nazionale. I rischi maggiori non derivano dai debiti stessi, ma dal “mancato intervento corretto dei responsabili politici a causa di una mancanza di conoscenza e/o di autorità”. Vengono discussi i limiti posti dai sistemi di controlli e contrappesi, che, sebbene protettivi, “possono aggravare una crisi perché possono rallentare il processo decisionale”. Nonostante l’impatto devastante a breve-medio termine, si osserva che le conseguenze politiche, “ad esempio, l’aumento del populismo”, possono essere molto più consequenziali delle crisi del debito stesse, mentre la produttività rimane il fattore determinante per la crescita di lungo periodo.


La crisi del debito tedesco e l’iperinflazione (1918-1924)

La spirale inflazionistica nella Repubblica di Weimar tra il 1921 e il 1923, scatenata dalle riparazioni di guerra e dalla monetizzazione del debito.

Sommario

Il blocco descrive la transizione della Germania dalla finanziamento della prima guerra mondiale attraverso il debito interno alla crisi del debito estero e all’iperinflazione nel dopoguerra. Inizialmente, “il pubblico tedesco era sia disposto che in grado di finanziare l’intero deficit fiscale acquistando debito governativo” e “le emissioni di obbligazioni di guerra erano regolarmente sovrascritte”. Tuttavia, con il protrarsi del conflitto e l’accelerazione dell’inflazione, “il Tesoro scoprì che il pubblico non era più disposto a detenere tutto il debito che stava emettendo”. Questo fu causato in parte dal fatto che “l’inflazione bellica aveva causato tassi di interesse reali diventassero molto negativi”. La sconfitta e il Trattato di Versailles imposero un pesante fardello: “Le riparazioni totali furono fissate a 132 miliardi di marchi oro”, creando una crisi della bilancia dei pagamenti. L’impossibilità di attuare austerità o trovare prestiti esteri portò alla scelta di “stampare moneta per colmare il vuoto”. Ciò innescò una spirale: “la monetizzazione del debito aumentava l’inflazione, che riduceva i tassi di interesse reali, che scoraggiava i prestiti al governo, che incoraggiava un’ulteriore monetizzazione del debito”. Il testo cita anche temi minori come la fuga di capitali, per cui “i cittadini e le imprese tedesche si affrettarono a convertire la loro ricchezza nelle valute e nelle attività delle potenze vittoriose”, e la corsa ai beni rifugio, descritta come una “mostruosa brama di beni” e una “liquidazione generale”.


Crisi Finanziaria Tedesca e Iperinflazione: Febbraio 1922 - Agosto 1923

L’inasprimento della crisi valutaria e l’avvio dell’iperinflazione in Germania, guidati dal collasso delle trattative sulle riparazioni e dalla fuga di capitali.

Sommario

Il blocco descrive il rapido deterioramento della situazione finanziaria tedesca tra il febbraio 1922 e l’agosto Le trattative sulle riparazioni con le potenze alleate rimangono il fattore primario che guida l’instabilità, con il marco che oscilla violentemente in risposta a ogni notizia. “Le prospettive di un accordo sulle riparazioni sono peggiorate”, portando il marco a deprezzarsi del 40% rispetto al dollaro entro maggio. La situazione precipita nel giugno 1922 quando una serie di eventi, tra cui la dichiarazione francese di voler determinare autonomamente le riparazioni, il fallimento del piano per un prestito aureo internazionale e l’assassinio del ministro degli Esteri Rathenau, fanno crollare le aspettative di un accordo. Ne consegue una fuga di capitali senza precedenti: “i capitali esteri si ritirano dalla Germania” e “i tedeschi benestanti si affrettano a far uscire la loro ricchezza”. Il marco collassa e ha inizio l’iperinflazione. La Reichsbank è costretta a stampare moneta a ritmi sempre più accelerati per prevenire il collasso del sistema finanziario, ma questo alimenta una spirale iperinflazionistica. “I prezzi salgono di nuovo” e “la caduta del Marco” si intensifica. La crisi di liquidità diventa auto-rinforzante, con il pubblico che cerca disperatamente di convertire i marchi in beni reali o valuta estera. “Il marco è allo stesso tempo senza valore e scarso”, osserva Keynes in una vivida descrizione del paradosso. Nonostante il riconoscimento della spirale, le autorità si sentono intrappolate: interrompere la stampa significherebbe “l’arresto completo di tutta la vita nazionale ed economica”, mentre continuare alimenta l’inflazione. La situazione sfugge completamente di controllo, con la velocità della moneta che accelera e il marco che perde la sua funzione di mezzo di scambio.


La Crisi del 1929: Dal Crollo alla Depressione

Il crollo dei mercati azionari e l’inizio della Grande Depressione, tra speculazione, politiche della Federal Reserve e fallimenti a catena.

Il sommario delinea la fase culminante della bolla speculativa e il suo successivo crollo nel Viene descritto l’inizio del restringimento monetario della Fed nel 1928, con “tassi che erano aumentati dell’1,5 percento” e un ulteriore rialzo “nell’agosto 1929, al sei percento”. Questo inasprimento, volto a frenare il credito speculativo, appiattì la curva dei rendimenti e rese il contante più attraente, invertendo la dinamica del mercato: “l’acqua si mosse fuori dalle attività finanziarie, facendole diminuire di valore”. Il picco del mercato si raggiunse il 3 settembre, ma “nessun evento o shock specifico causò lo scoppio della bolla”, piuttosto fu l’insostenibilità degli acquisti a leva. Seguirono segnali di cedimento, come il “Babson break” e il crollo dell’impero di Hatry a Londra. Il vero panico esplose in ottobre, con “un’ondata di margin call” che generò “vendite forzate” e volumi di scambio record. Il 24 ottobre, “Giovedì Nero”, vide “un’ondata di vendite così travolgente da provocare uno dei cali più ampi della storia”, nonostante un tentativo di stabilizzazione da parte di un pool di banchieri. I successivi “Lunedì Nero” e “Martedì Nero” sancirono il crollo definitivo, con il Dow che perse il 23% in due giorni. La Fed intervenne iniettando liquidità e tagliando i tassi, ma “non fu sufficiente a fermare il crollo del mercato azionario”. L’anno si chiuse con un tentativo di rassicurazione da parte delle autorità e una temporanea ripresa, mentre l’economia reale iniziava a mostrare i primi segni di cedimento.


Crisi del debito e aggiustamento negli Stati Uniti (1928-1937) 9

Contesto finanziario, crollo del mercato e risposte politiche durante la Grande Depressione.

Il sommario delinea la fase speculativa e l’ottimismo pre-crisi, con titoli di giornale che riportano affermazioni come “i prezzi delle azioni rimarranno a un livello elevato per gli anni a venire”. Segue la descrizione del crollo di Wall Street, caratterizzato da “un’ondata di vendite che travolge il mercato” e un “ordine di 000.000 di azioni” attribuito a J.D. Rockefeller. Vengono menzionate le difficoltà internazionali, come il fatto che “i trasferimenti via cavo toccano i $4.84 ¾”. La sezione prosegue documentando le risposte politiche, tra cui un “piano edilizio da $423.000.000” e il riferimento al “Successo” di un accordo annunciato personalmente dal Presidente. Sono citati anche studi successivi che analizzano le origini politiche della riforma e gli sforzi per “controllare la corruzione e la manipolazione politica durante il New Deal”.


Risposta 10: La Crisi Finanziaria del 2007 e la Risposta delle Autorità

Un’analisi delle vulnerabilità del sistema e delle prime reazioni di politica economica di fronte all’emergere della crisi dei mutui subprime.

Sommario

Il blocco delinea le prime fasi della crisi finanziaria, partendo dalla definizione del “moral hazard” come “la prospettiva che l’assicurazione distorca il comportamento”, utilizzato per opporsi a politiche di salvataggio. Viene descritta l’architettura finanziaria vulnerabile, con le banche esposte ai mutui subprime attraverso la “macchina della cartolarizzazione”, un processo che partiva “dall’emissione di mutui rischiosi” e finiva con “la vendita di obbligazioni molto sicure”. Questo sistema si basava su una “classica caso di data-mining della storia piuttosto che usare una logica solida per valutare il rischio”. Il testo riporta eventi specifici dell’autunno 2007, come l’indagine della SEC sulle agenzie di rating e il forte calo delle vendite di case, mentre le banche iniziavano a segnalare perdite, come il write-down di Citigroup di “5,9 miliardi di dollari”. La risposta delle autorità, guidata dalla Fed, fu aggressiva, con un taglio dei tassi superiore alle attese che innescò un rally “estatico” del mercato azionario. L’approccio fu quello di “mettere da parte le preoccupazioni di moral hazard”, un fattore a cui viene attribuito il merito di aver trasformato un potenziale costo del 5-10% del PIL in un guadagno. Vengono inoltre analizzati i problemi di finanziamento delle banche, in particolare la dipendenza dal “finanziamento all’ingrosso a breve termine”, descritto come “molto simile a un deposito non assicurato”, che creava un incentivo alla fuga in caso di problemi.


Crisi Finanziaria Iniziale e Reazioni (2007)

Prime avvisaglie della crisi del credito e meccanismi di contagio in Europa e Stati Uniti, con le prime stime delle perdite e le iniziative di contenimento.

Sommario

La crisi inizia con la dipendenza delle banche europee dal finanziamento wholesale, come dimostra il caso di Northern Rock, dove “i depositanti si sono messi in fila per ritirare i fondi per tre giorni consecutivi” a seguito del prosciugarsi della liquidità. Il contagio si propaga attraverso gli investimenti delle banche in cartolarizzazioni subprime, attratte dai rating AAA che “li avevano bollati come a rischio estremamente basso”. In ottobre, il peggioramento del sentiment si concretizza in forti ribassi dei listini e svalutazioni, come l’annuncio di JPMorgan di “una svalutazione di 2 miliardi di dollari”. Vengono create iniziative per proteggere il mercato, come il fondo da “75-100 miliardi di dollari” di Citigroup e altre banche. Le autorità, come il Segretario al Tesoro Paulson, annunciano misure di aiuto, ma l’impatto è limitato. L’analisi di Bridgewater stima perdite potenziali “nell’intervallo di 420 miliardi di dollari a livello globale” e distingue tra problemi “emersi” che ritiene contenibili e problemi “sotto la superficie” più minacciosi, derivanti da “un’enorme quantità di liquidità” e investimenti imprudenti. L’impatto sull’economia reale diventa evidente con “il calo della proprietà della casa” e “vendite di case in calo”. L’incertezza è aggravata dalle esposizioni nel vasto e opaco mercato dei derivati, strumenti “non regolamentati” utilizzati per coprire rischi e speculare.


Blocco 12: Crisi Finanziaria e Interventi d’Emergenza (2007-2008)

L’inizio della crisi del debito statunitense e le prime risposte delle autorità di vigilanza.

Sommario

All’inizio del 2008, l’economia e i mercati iniziarono a mostrare crepe, con dati relativamente scadenti sulla produzione manifatturiera, le vendite al dettaglio e l’occupazione. Le perdite si materializzarono attraverso ingenti svalutazioni annunciate da Citigroup e Merrill Lynch, nonché il declassamento di importanti assicuratori obbligazionari. Il mercato azionario statunitense scese di circa il 10% e i mercati globali registrarono performance peggiori. Di fronte a questi eventi, la Fed, ritenendo di dover agire, realizzò che la situazione rifletteva “la crescente convinzione che gli Stati Uniti siano diretti verso una recessione profonda e protratta”. Il Presidente della Fed Bernanke sottolineò la necessità di un’azione immediata, affermando che “affrontiamo, potenzialmente, un’ampia crisi” e che “non possiamo più temporeggiare”. In risposta, la Fed tagliò i tassi di interesse in due occasioni, con il risultato del “più ampio calo mensile dei tassi a breve dal 1987”. Il Senato approvò anche un pacchetto di stimolo per aumentare la domanda. Nonostante l’entità di questi interventi, le azioni non recuperarono le perdite e le condizioni creditizie ed economiche continuarono a deteriorarsi, con ulteriori svalutazioni e indicatori di fiducia dei consumatori che toccarono minimi pluriennali. Un rapporto stimò che le perdite sui titoli garantiti da ipoteca potessero ammontare a 600 miliardi di dollari. In questo contesto, si sottolineò che la situazione non era una normale recessione, ma un dinamica di “deleveraging/depressione”, descritta come un processo completamente diverso in cui “il deleveraging finanziario causa una crisi finanziaria che causa una crisi economica”. I problemi si estesero a fondi e istituzioni finanziarie con pesanti esposizioni ai titoli garantiti da ipoteca, minacciando l’intero sistema. La crisi di liquidità colpì in particolare Bear Stearns, considerata “troppo interconnessa per fallire” a causa delle sue numerose controparti e contratti derivati, con il timore che un suo fallimento potesse innescare un collasso in un importante mercato del credito.


Blocco 13: La Crisi del 2008 e il Dilemma della Fed

Dalla primavera all’estate del 2008, tra interventi di salvataggio, tensioni inflazionistiche e il deterioramento dell’economia reale.

Sommario

Il blocco descrive il periodo immediatamente successivo al salvataggio di Bear Stearns, caratterizzato da un iniziale ottimismo dei mercati finanziari che si scontra con il persistente deterioramento dei fondamentali economici. L’espansione del credito stava rallentando e “le condizioni economiche continuavano a indebolirsi come riflesso dalle statistiche economiche, che si sono rivelate al di sotto delle aspettative”. Vengono elencati i problemi: “La disoccupazione continuava a salire, la fiducia dei consumatori e il prestito continuavano a calare, i ritardi nei pagamenti dei mutui e i pignoramenti continuavano ad aumentare, e l’attività manifatturiera e dei servizi continuava a contrarsi”, accompagnati da nuovi pesanti svalutazioni in istituti come UBS e AIG. L’intervento della Fed viene paragonato a un’“intervento valutario che inverte temporaneamente i mercati ma non cambia le condizioni sottostanti che hanno reso necessaria l’azione”. Nonostante un rimbalzo dei mercati azionari, si sottolinea che “l’economia reale è ancora debole (vicina alla crescita zero) e sta ancora guadagnando slancio al ribasso”. Emerge il tema minore della crisi immobiliare, con “perdite dal vecchio modo (prestiti inesigibili) [che] stanno per esplodere”. Il dilemma della Fed si acuisce con l’emergere di rischi inflazionistici, poiché “i rialzi dei prezzi del petrolio e il deprezzamento del valore del dollaro hanno rappresentato una sfida per l’ancoraggio dell’inflazione a lungo termine”. La Fed segnala quindi una pausa nei tagli dei tassi, notando che “i rischi al rialzo per l’inflazione e le aspettative di inflazione sono aumentati”. L’attenzione si sposta infine sulla vulnerabilità di Freddie Mac e Fannie Mae, con un rapporto che “ha scatenato una fuga degli investitori”, portando a interventi normativi come restrizioni allo short selling e la creazione di un piano di salvataggio pubblico per le due agenzie.


La Crisi delle GSE e il Crollo di Lehman: Intervento Governativo e Fallimenti Sistemici

Salvataggio governativo e rischio sistemico dei giganti dei mutui, seguito dal collasso della Lehman Brothers che segna l’acme della crisi finanziaria.

Sommario

Il blocco descrive la situazione precaria di Fannie Mae e Freddie Mac, definite “disastri in attesa di accadere” a causa della loro “leva finanziaria eccessiva e della regolamentazione lasca”. La loro dimensione sistemica è enorme: “o possedevano, o avevano garantito, 000 miliardi di dollari in mutui ipotecari residenziali”, circa la metà del mercato USA, ed erano “uno dei più grandi emittenti di debito al mondo”. L’intervento governativo si rivela politicamente complesso a causa del “vasto potere politico” delle GSE, che esercitavano forti pressioni sul Congresso. Nonostante tentativi di rassicurare i mercati, come l’annuncio di un “piano di salvataggio” da parte del Tesoro e l’accesso al credito della Fed, le perdite sui mutui portano a un crollo azionario delle due società, costringendo il governo a un’azione drastica. Viene quindi approvato un provvedimento che concede al Tesoro un’autorità di spesa “non specificata”, di fatto “un assegno in bianco” per il salvataggio, culminato nel mettere le GSE in “conservatorship”. Contemporaneamente, la crisi si sposta su Lehman Brothers. Mentre il salvataggio di Fannie e Freddie inizialmente fa “rimbalzare” i mercati, l’attenzione si concentra sulla sopravvivenza di Lehman, la cui “quota è crollata di quasi il 50%”. La ricerca di un acquirente privato fallisce a causa delle dimensioni e della complessità della banca, che affronta un “problema di solvibilità” che non può essere risolto solo con la liquidità della Fed, portando al suo fallimento e innescando la fase più acuta della crisi.


La Crisi e le Risposte Istituzionali: Dal Prestito AIG al TARP

La gestione della crisi finanziaria attraverso interventi straordinari e la creazione di programmi di salvataggio.

Il blocco descrive la risposta delle autorità statunitensi alla crisi finanziaria del 2008, a partire dalle difficoltà del prestito alla AIG. Viene analizzato il ruolo cruciale delle garanzie collaterali, con la Fed che accettò come garanzia “quasi tutto ciò che [la AIG] possedeva”, incluse le sue controllate assicurative. Viene poi introdotta la discussione sulle regole contabili mark-to-market, descritte come un meccanismo per cui, quando un’attività “viene venduta a prezzi di liquidazione forzata”, le banche appaiono in perdita, il che “spaventa a morte le persone che hanno a che fare con loro”. La narrazione si sposta quindi sulla concezione del TARP, il Troubled Asset Relief Program, un piano da 700 miliardi di dollari per acquistare attività in difficoltà, nonostante le perplessità sul fatto che acquistare “ipoteche a prezzi di mercato non cambierà le condizioni finanziarie di quasi nessuno in modo materiale”. Viene infine dettagliata la crisi dei money market fund, con il Tesoro che, per fermare “la corsa agli sportelli”, ha utilizzato in modo creativo il Fondo di Stabilizzazione dei Cambi per garantire i fondi, una mossa che si è rivelata efficace poiché “la garanzia ha funzionato incredibilmente bene e i mercati hanno immediatamente invertito la rotta”.


Crisi Finanziaria e Risposte di Politica Economica (2007-2011)

Analisi delle cause, degli eventi critici e delle misure di stabilizzazione attuate dalle autorità statunitensi durante la crisi finanziaria globale.

Sommario

Il blocco delinea le origini della crisi nei mercati immobiliari, citando uno studio sulla “estrazione di capitale azionario dalle case” e un memorandum interno che sollevava preoccupazioni sui “Rischi delle Entità Supervisionate Consolidate”. Viene documentato l’inizio del contagio finanziario con la notizia che “2 fondi Bear Stearns sono quasi senza valore” e la successiva decisione delle banche di “abbandonare il fondo ‘Super-SIV’”. Le risposte delle istituzioni sono dettagliate attraverso i piani presentati, come l’“introduzione del Piano di Stabilità Finanziaria”, e le audizioni pubbliche, incluso l’episodio in cui “Geithner sottoposto a interrogatorio sul salvataggio AIG”. Le dichiarazioni pubbliche dei funzionari, tra cui l’ammissione che “l’economia statunitense affronta una grande minaccia” e l’ottimismo cauto secondo cui “l’economia sta iniziando a riprendersi”, tracciano l’evoluzione della percezione della crisi. Vengono inoltre menzionati gli sforzi di regolamentazione successivi alla crisi, come il dibattito sulla “Ri-autorizzazione” dei mercati dei derivati.


Glossario dei Termini Economici Chiave 17

Definizioni e meccanismi fondamentali per l’analisi delle crisi del debito.

Sommario

Il blocco fornisce un vocabolario tecnico essenziale per comprendere le dinamiche macroeconomiche, con particolare attenzione agli squilibri, alla gestione del debito e agli strumenti di politica monetaria e fiscale. Vengono definiti concetti cardine come il “saldo delle partite correnti”, descritto come “Esportazioni meno importazioni più i redditi netti da investimenti” e paragonato a un “reddito netto (reddito meno spese)”. Si spiega che un disavanzo in questo conto implica che “le sue spese sono superiori al suo reddito”, rendendo necessarie operazioni di finanziamento. Ampio spazio è dedicato al processo di “deleveraging”, presentato come “il processo di riduzione degli oneri del debito”, e alla sua attribuzione, un’analisi che “mostra cosa ha causato questo cambiamento: sopra lo 0 rappresenta qualcosa che ha aumentato gli oneri del debito, e sotto lo 0 rappresenta qualcosa che li ha diminuiti”. Vengono distinti i concetti di crescita “nominale”, che “include i casi in cui i prezzi aumentano a causa dell’inflazione”, e “reale”, dove i termini “che includono la parola ‘reale’ sono adeguati per rimuovere l’impatto dell’inflazione”. Sono inoltre chiariti i meccanismi di politica economica, come l’“easing”, che comprende “mosse di politica monetaria della banca centrale che hanno l’effetto di rendere il denaro e il credito più disponibili”, e il “tightening”, ovvero “mosse politiche che riducono la disponibilità di denaro e credito”. Il blocco si conclude introducendo la sezione successiva, che analizza “48 crisi del debito”, generate “scremando sistematicamente i periodi di deleveraging nei principali paesi nell’ultimo secolo”, con l’obiettivo di evidenziare “le somiglianze chiave così come le differenze”.


Casi di Deleveraging Deflazionistico in Economie Avanzate

Analisi comparata delle fasi di bolla, depressione e riflazione in sei economie sviluppate.

Il sommario delinea le fasi cicliche di bolla, depressione e riflazione comuni a Norvegia, Finlandia, Svezia, Giappone, Stati Uniti e Austria. Ogni caso è caratterizzato da un “ciclo autorinforzante” di crescita, debito e rendimenti delle attività durante la fase di bolla, che porta a un picco del debito prima della crisi. La fase di depressione, o “deleveraging brutto”, è innescata da uno shock e comporta cali autorinforzanti del PIL e dei prezzi delle attività, con le istituzioni finanziarie che subiscono “una pressione considerevole”. La transizione verso una “bella riflazione” avviene quando i responsabili politici forniscono “una stimolazione sufficiente”, spesso includendo la nazionalizzazione delle banche e riforme strutturali. La riduzione del rapporto debito/PIL nella fase riflazionistica deriva principalmente “dall’aumento del reddito, guidato principalmente da una maggiore crescita reale”, sebbene in Giappone sia stata “guidata principalmente dalla monetizzazione”. Vengono inoltre menzionati i picchi del servizio del debito pre-crisi che hanno reso le economie vulnerabili e l’uso di indicatori come “misure approssimative” per valutare le condizioni di bolla/depressione.


Analisi dei Casi di Crisi del Debito: Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito (2005-2018) 19

Casi di studio su crisi del debito deflazionistiche e fasi di riflazione in otto economie europee.

Sommario

Il blocco analizza una serie di crisi del debito in economie europee, caratterizzate da un ciclo di “deleveraging deflazionistico classico”. Ogni caso segue una struttura comune, descrivendo una “fase di bolla” alimentata da un “ciclo auto-rinforzante di debito crescente”, forti rendimenti azionari e crescita. Durante questa fase, i debiti sono aumentati in modo significativo, ad esempio in Spagna i “debiti sono aumentati del 93% del PIL” e nel Regno Unito hanno raggiunto “un picco pre-crisi del 437% del PIL”. La dipendenza dal finanziamento estero è un tema ricorrente, con molti paesi esposti a un “ripiego del capitale estero”. La fase successiva è la “Depressione” o “deleveraging ‘orribile’”, innescata da shock come la crisi finanziaria globale del 2008 o la crisi del debito europeo. Questa fase è contrassegnata da “declini auto-rinforzanti del PIL”, dei prezzi delle azioni e delle case, e da forti aumenti della disoccupazione, come in Spagna dove “i tassi di disoccupazione sono aumentati del 17%”. Nonostante la necessità di ridurre la leva finanziaria, in molti casi il debito in percentuale del PIL è aumentato a causa del calo dei redditi e della necessità di nuovo indebitamento pubblico. L’ultima fase è la “Reflazione”, in cui i responsabili politici hanno fornito stimoli, spesso abbassando i tassi di interesse allo 0% o oltre, permettendo una “crescita nominale ben al di sopra dei tassi di interesse nominali” e una riduzione del rapporto debito/PIL. L’impatto politico è un tema minore, poiché la crisi ha “avuto un impatto notable sulla politica” in paesi come Grecia, Ungheria e Italia, aiutando l’ascesa di leader considerati populisti.


Blocco di Testo 20

Un’analisi degli strumenti macroprudenziali negli Stati Uniti, del loro utilizzo in contesti di politica economica e delle questioni fondamentali per i decisori politici.

Sommario

Il blocco descrive i casi tipici di implementazione di politiche macroprudenziali, che si verificarono quando “la modifica dei tassi di interesse perdeva efficacia come strumento di politica monetaria” e quando era desiderabile “indirizzare il credito sia verso i settori affamati di credito, sia lontano da attività/prestiti speculativi”. Queste situazioni vedevano i responsabili politici utilizzare “una combinazione di diversi tipi di politiche contemporaneamente”, coordinate tra “la Federal Reserve, il Congresso, il ramo esecutivo e gli organismi di regolamentazione”. Gli strumenti impiegati sono classificati in misure volte a “cambiare la domanda di credito”, come la modifica dei rapporti loan-to-value e dei requisiti di margine, e misure per “cambiare l’offerta di credito”, come l’alterazione dei requisiti patrimoniali. L’efficacia fu mista: “i casi di maggior successo hanno coinvolto quantità significative di sperimentazione e flessibilità”, mentre altri strumenti, come il Regolamento Q, pur creando “distorsioni sostanziali”, furono mantenuti per anni. Il testo elenca poi una serie di domande cruciali che i policy maker devono affrontare, tra cui: “Dove stanno emergendo bolle nell’economia?”, “Quali settori sono affamati di credito?” e “Quali saranno le conseguenze di secondo e terzo ordine della politica?”. Viene citato l’esempio del “mopping up approach”, basato sulla difficoltà di “sapere quando il mercato sta valutando erroneamente un asset”, e il quadro degli anni ’50 per valutare la necessità di una politica creditizia differenziata. L’importanza del coordinamento è sottolineata con esempi storici, come lo sforzo della Seconda Guerra Mondiale, mentre la flessibilità è considerata essenziale, poiché “alcuni dei problemi più grandi sono derivati dalla scarsa flessibilità”. La sezione si conclude con un caso storico specifico: i requisiti di margine, utilizzati in modo anticiclico dalla Fed dopo il 1934 ma poi abbandonati quando “lo sviluppo di altri modi di acquistare asset a credito ha reso facile per gli investitori eludere questo requisito”.


Misure macroprudenziali mirate all’offerta di credito

Linee guida volontarie, requisiti di riserva e controlli sui tassi di interesse per indirizzare il credito e contrastare l’inflazione.

Sommario

Il blocco descrive l’evoluzione storica di strumenti macroprudenziali volti a controllare l’offerta di credito, con particolare attenzione a linee guida volontarie, requisiti di riserva e tetti sui tassi di interesse. Viene documentato l’uso di “limitazioni volontarie” del credito da parte del Congresso già nel 1947, con l’invito alle banche a “limitare volontariamente i loro programmi di prestito e investimento”. Questi strumenti erano spesso mirati a settori specifici, come durante il Programma Speciale di Restrizione del Credito del 1980, che cercava di “frenare determinati tipi di prestiti speculativi o inflazionistici, mantenendo al contempo la disponibilità di fondi per le piccole imprese, gli agricoltori e gli acquirenti di case”. L’efficacia era variabile: i requisiti di riserva, ad esempio, furono elusi con nuovi strumenti di finanziamento, mentre i tetti ai tassi d’interesse alla fine furono considerati “insuccesso” perché “c’erano molti modi per aggirarlo”. Viene anche menzionato l’uso di strumenti simili in Europa, come in Francia e Italia, dove i consigli nazionali del credito annunciavano quali settori necessitavano di più credito.


Blocco di Testo 22

Discorso sulla politica macroprudenziale e strumenti quantitativi, con riferimenti bibliografici e note metodologiche.

Sommario

Il blocco si concentra su un discorso tenuto alla Martin Feldstein Lecture, citando ripetutamente il lavoro di Elliott, Feldberg e Lehnert. Vengono esaminati gli strumenti macroprudenziali, con un’attenzione specifica alle politiche per i mercati immobiliari, come indicato dalla citazione Oltre i tassi di interesse: politiche macro-prudenziali nei mercati immobiliari. Un altro tema minore riguarda le “prospettive storiche europee” in materia, citando il lavoro di Kelber e Monnet. Il sommario prosegue descrivendo l’ampia base di dati e le fonti utilizzate dalla ricerca Bridgewater, che include “l’Ufficio australiano di statistica, Barclays Capital Inc., Bloomberg Finance L.P.” e molti altri. Vengono infine presentati i consueti avvisi di non responsabilità, affermando che “le opinioni qui espresse sono esclusivamente quelle di Bridgewater” e che “questo materiale è solo a scopo informativo e didattico”.