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Carl von Clausewitz - Della Guerra - Argomenti | 11m+11m


1. La guerra come calcolo delle probabilità: incertezza, decisioni e limiti della razionalità strategica

La dinamica bellica tra intenzioni offensive, difensive e l’equilibrio instabile tra forze, scopi politici e debolezze umane.

La guerra non si riduce a un «urto istantaneo» né a una successione lineare di atti decisivi, ma si articola in un susseguirsi di scelte condizionate da «probabilità e supposizioni», dove «la frequenza delle soste allontana ancor più la guerra dall’assoluto». L’azione bellica è costantemente influenzata da «imperfetta conoscenza della situazione», da «timori e supposizioni» che sostituiscono i fatti reali, e dalla tendenza a «temporeggiare per trarre partito dalle circostanze favorevoli», anche quando tali circostanze sono incerte o illusorie. La separazione strategica delle forze introduce rischi di «debolezze e inimicizie personali dei comandanti», mentre la concentrazione estrema diventa necessaria solo «quando la sproporzione delle forze è tale che nessuna restrizione dello scopo può prevenire la catastrofe» o «nei casi disperati in cui le nostre forze sono di tanto inferiori».

La razionalità strategica si scontra con limiti intrinseci: «l’astrazione completa è altrettanto impossibile» quanto «distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è», e persino «la genialità» si manifesta non in «nuove forme originali», ma «nell’esatta realizzazione delle previsioni» e «nella silenziosa armonia dell’azione». La difesa, pur mirando al «mantenimento del possesso», deve evitare di «perdere di vista che marcia per vie di contrabbando», mentre l’attacco deve valutare se «l’avversario si mostri esitante, indeciso», o se «il Dio della guerra» possa sovvertire calcoli apparentemente solidi. Le «debolezze umane»«panico», «temerarietà», «superiorità morale» — diventano variabili decisive, tanto che «massimo ardimento diverrà per lui la suprema saggezza» quando «nessuna combinazione offre prospettive». La guerra di popolo, «incendio» che si scatena su «piccoli distaccamenti», e le «astuzie sottili» come «estrema risorsa» rivelano come «la guerra non ha bisogno di essere perseguita fino all’atterramento completo»: spesso «una leggera probabilità» basta a «decidere l’altra parte a cedere». Tuttavia, «chi si prefigga una via differente deve essere sicuro che l’avversario non ricorrerà alla soluzione sanguinosa», pena il rischio di «perdere il proprio processo davanti a questa giurisdizione suprema».


2. Il genio militare: intelligenza, carattere e azione nella condotta della guerra

Dall’analisi delle facoltà dello spirito alla prassi del comando: virtù, limiti e dinamiche dell’agire bellico tra risolutezza, audacia e responsabilità collettiva.

Il tema riguarda le qualità intellettuali, morali e pratiche che definiscono la figura del condottiero e lo spirito militare come fenomeno sia individuale sia collettivo. Al centro vi è il "genio" inteso non in senso filosofico, ma come "forza dello spirito assai intensiva, riferita a certi rami dell’attività umana" (578), in particolare quella bellica: un complesso armonico di "energie" (581) — coraggio, intelligenza, ambizione, risolutezza — che deve operare in un contesto segnato da "pericolo, fatiche fisiche, incertezza e caso" (652). La guerra esige un "indirizzo speciale dell’intelligenza" (637) capace di dominare l’"esitazione" (642) e di trasformare l’"attività spirituale" (1259) in decisioni rapide, anche quando "l’oscurità intensa" (618) offusca il giudizio.

Emergono distinzioni chiave: la "fermezza" si appoggia al sentimento, la "perseveranza" al raziocinio (685); l’"audacia", virtù dei gradi inferiori, deve nei comandi alti coniugarsi con "giudizio ponderato" (1923) per evitare "urti ciechi della passione" (1946). Il comando supremo richiede una "ponderazione" (1265) che estrae l’"essenza" dai fenomeni, un "talento" simile a quello dell’ape che trae miele: non mera erudizione, ma "istinto mentale" (1265). La "risolutezza", tratto del carattere, nasce dalla paura di "divenire indecisi" (637) e si nutre di "ambizione" (680), ma può venire meno nei gradi alti (641), dove "la responsabilità della conservazione degli altri" (1923) soppianta l’abnegazione personale.

Temi minori includono: la degenerazione dello spirito militare in routine (784), dove l’"attività unilaterale" atrofizza alcune facoltà; il ruolo dell’onore (1871) come "catechismo" che tiene coeso l’esercito anche nella sconfitta; la dialettica tra teoria e azione (7450), dove la prima deve "rinviare libero" lo spirito nell’agire pratico. La guerra, inoltre, attiva "sentimenti ostili" (1107) anche in assenza di odio preesistente, e la "cooperazione popolare" (4449) — con le sue "energie spirituali" — può alterare la natura stessa dell’istituzione militare. Infine, il terreno (1858) condiziona l’efficacia del talento: la manovra brilla in spazi aperti, l’"intelligenza" del capo in terreni frastagliati.


3. La critica militare tra teoria, storia e pratica: errori, metodi e limiti di un sapere incertezza

L’analisi dei giudizi sulla guerra come campo di conoscenza imperfetta, dove teoria, storia e azione si scontrano con l’imprevedibilità, le ambiguità terminologiche e l’abuso di esempi storici superficiali.


Sommario

L’argomento ruota attorno alla critica militare come pratica intellettuale instabile, costretta a mediare tra teoria astratta, ricostruzione storica e contingenza operativa, senza poter pretendere certezze scientifiche o artistiche. La critica è descritta come un’attività che «deve risalire fino a verità indiscutibili» (1416), ma che spesso cade in arbitrarietà, «dissertazioni e discussioni» infinite (1416) o «formule algebriche» (1176) inapplicabili, perché «la verità non vi prende forma di sistema» (1612). Il suo compito principale è valutare i mezzi impiegati (1404), ma si scontra con due ostacoli: la fragilità delle fonti («le memorie dei generali [...] sono trattate sommariamente, e talvolta [...] esposte appositamente in modo inesatto» – 1548) e l’impossibilità di ricostruire pienamente il contesto decisionale («nessun occhio umano è in grado di seguire il filo delle cause e degli effetti» – 1588).

La teoria della guerra viene dipinta come un tentativo fallibile di sistematizzare l’inesprimibile: non è «né un’arte né una scienza» (1310), ma una «ponderazione» (1165) che deve «dirigere lo spirito» del comandante (1175) senza «accompagnarlo sul campo di battaglia». Il suo linguaggio oscilla tra rigore analitico («lo spirito di ricerca scientifica è stato scarsamente indirizzato verso questa materia» – 1024) e vuota retorica («gusci vuoti, senza alcun contenuto» – 1629), mentre i suoi principi rischiano di diventare «pietre miliari» dogmatiche (1176) o «metodismi» (1387) ripetitivi. La storia, invocata come prova, è spesso manipolata o fraintesa: gli esempi servono a «condire le banalità» (4219) o a «imporre delle opinioni» (1691) a lettori ignari, mentre la «concatenazione dei fatti reali» (1574) viene ignorata a favore di «aneddoti» isolati (4488).

Emergono tre funzioni critiche distinte (1404): la ricerca storica (descrittiva), la ricerca critica (causale) e la critica valutativa (giudicante). Tuttavia, anche quest’ultima è condizionata dall’asimmetria informativa: il critico, pur conoscendo «i fatti svoltisi» (1544), non può «mettersi nelle condizioni del generale che ha operato» (1544) senza cadere in anacronismi o presunzione («si arroga [...] tutta la sapienza attinta a posteriori» – 1570). La guerra, dominio delle «forze morali» (1837) e dell’«immediato» (1612), sfugge a ogni «formula scientifica» (1612), rendendo la critica un esercizio di umiltà: il suo valore sta nel «ravvicinare la verità teorica alla vita» (1400), non nel dettare leggi.


Note

Terminologia ricorrente
Riferimenti impliciti

4. Il combattimento come unità strategica e tattica: forma, scopo e integrazione nel piano di guerra

Dalla definizione dell’atto bellico singolo alla sua funzione nel disegno complessivo: distruzione, sorpresa, disposizione delle forze e transizione tra tattica e strategia.

Il sommario tratta il combattimento come elemento cardine della guerra, analizzato sia come evento autonomo che come parte di un sistema più ampio. Il suo scopo primario è la «distruzione dell’avversario», obiettivo che «è applicabile alla maggioranza dei casi ed ai combattimenti più importanti» (2485), pur potendo assumere forme indirette: «mezzi per acquistare maggiore preponderanza» (1807) o «anelli intermediari» (1807) in vista di una decisione finale. La sua unità si delimita nello spazio («fino a dove si estende il comando personale» – 945) e nel tempo («fino alla completa risoluzione della crisi» – 945), mentre la sua rilevanza strategica emerge quando «ogni unità di ordine superiore costituita da combinazioni di combattimenti» (1217) diventa strumento per «uno scopo comune» (1217).

La difesa e l’attacco si distinguono per approccio: la prima sfrutta «vantaggi offerti dal terreno, sorpresa, attacco concentrico» (4440) e «gradazioni» (6772) legate all’attesa; il secondo è «sempre identico a se stesso» (6772) ma richiede «fin da principio» (4358) la previsione di una «difensiva che deve succedergli». La sorpresa non è solo tattica («attacco di sorpresa» – 2039), ma anche strategica, ottenuta «mediante opportuna ripartizione delle forze» (2039), specie in difesa. La disposizione delle truppe riflette questa dualità: «non si è più costretti a disporre le colonne l’una vicina all’altra» (3661) prima del combattimento, purché «la congiunzione avvenga mentre esso è in corso» (3661), e «le aliquote principali» (3661) agiscano come «piccoli complessi» (3661) autonomi.

Il piano di guerra e il piano di campagna ne determinano la collocazione: «è dal piano di campagna che hanno origine tutti i piani parziali» (6173), mentre «il piano di guerra abbraccia tutta l’azione bellica» (7451) come «unità mirante a uno scopo finale» (7451). La tattica e la strategia si intersecano: «la marcia all’infuori del campo tattico è uno strumento strategico» (968), ma «le truppe debbono essere sempre pronte a combattere» (968); «l’ordine di battaglia appartiene piuttosto alla tattica» (3342), mentre «la strategia si estende nella direzione degli scopi» (1284). La geometria ha «molto minore importanza in strategia che in tattica» (8321), dove conta «la figura geometrica» (8321) meno dei «risultati reali sui diversi punti» (8321).

Temi minori includono:


Note

(1) Le citazioni in corsivo tra virgolette sono tratte dalle frasi originali, tradotte in italiano dove necessario. (2) I riferimenti numerici corrispondono agli identificativi delle frasi fornite. (3) I temi minori sono segnalati solo se ricorrenti o esplicitamente distinti nel testo. (4) La struttura evita gerarchie interne al sommario per aderire alla richiesta di paratassi.


5. La dinamica della vittoria e della sconfitta nelle operazioni militari: superiorità, resistenza e conseguenze strategiche

Quando la forza si misura con l’incertezza e il calcolo con il caso.

Il tema riguarda la natura ambigua della superiorità militare e le sue implicazioni tattiche e psicologiche durante e dopo un combattimento. La percezione della propria inferiorità o superiorità è spesso distorta: „la sensazione della forza reale dell'avversario è di solito così vaga, l'impressione dell’inferiorità della propria è di massima tanto lontana dalla realtà“ (2546), tanto che anche chi dispone di un vantaggio numerico può non riconoscerlo pienamente, evitando così lo svantaggio morale che ne deriverebbe. La vittoria non è un evento isolato ma un processo che si estende nel tempo, influenzato da fattori come „l’effetto dissolvente del combattimento“ (2147) e „la superiorità morale“ (2577), che può tramutare una sconfitta in „disfatta“ o limitare i guadagni di una vittoria apparentemente schiacante. La notte, il logorio delle truppe e la gestione delle riserve giocano ruoli decisivi: „nel combattimenti notturni tutto è più o meno abbandonato al caso“ (2975), mentre „le forze che si ritengono necessarie“ (2154) vanno preservate per sfruttare „l’economia delle forze“ (2197) e „estendere il risultato“ (2197) quando l’occasione si presenti.

La resistenza prolungata e la ritirata strategica sono strumenti per erodere la volontà avversaria, „portare gradatamente il dispendio di forza del nemico ad un tale punto che il suo scopo politico non basti più a mantenere l’equilibrio“ (483). Tuttavia, „quando l’effetto dissolvente del combattimento è cessato con la vittoria“ (2147), una forza fresca non basta a ristabilire l’equilibrio perduto, poiché „anch’essa sarebbe trascinata nel vortice generato dal successo". La „superiorità morale“ (2507) emerge come elemento chiave, specialmente quando „il vincitore ha sofferto perdite equivalenti a quelle del vinto“ (2507), e la „ritirata in buon ordine“ (2807) diventa essenziale per evitare che „la sconfitta si tramuti in disfatta“ (2577). Le campagne militari si configurano come „una catena costituita da combattimenti“ (1820), dove „ogni singola vittoria“ (2233) pesa in relazione alla „massa delle truppe battute“, e dove „la possibilità di riparare ad una sconfitta diminuisce con la grandezza del rovescio subito". L’obiettivo ultimo non è il possesso territoriale ma „la distruzione delle forze nemiche“ (7758), poiché „solo mirando costantemente al nucleo centrale della potenza avversaria“ si può „abbattere realmente l’avversario“, evitando „preferire ai grandi successi il possesso meglio assicurato di una piccola conquista“.


6. Organizzazione e logistica delle marce militari: frazionamento, concentrazione e vettovagliamento delle truppe

Dall’ordinamento delle colonne alla gestione delle risorse in campagna: principi di dispiegamento, tempistiche e adattamento al terreno.

L’argomento riguarda i criteri operativi per la suddivisione, il movimento e il sostentamento di un esercito in marcia o in fase di schieramento. Il frazionamento delle truppe risponde a esigenze tattiche e logistiche: “un complesso [...] nel quale non si abbiano a distinguere tre aliquote” per avanzare, trattenere o sostenere, con una preferenza per “otto [...] il numero più opportuno per un esercito”, distribuito in avanguardia, massa principale (ala destra, centro, ala sinistra), sostegni laterali e distaccamenti. La marcia richiede una “ripartizione in colonne” che non deriva meccanicamente dallo schieramento, ma adatta la disposizione alle “esigenze dello schieramento” o “della marcia”: “100.000 uomini su una sola colonna [...] la coda non giungerebbe mai all’obbiettivo contemporaneamente alla testa”, imponendo frazionamenti per evitare “disordine generale”.

Le distanze tra i corpi — “una o due miglia dal grosso” per le divisioni, “tre o quattro miglia” per corpi di più divisioni — e la scelta delle strade dipendono dalla “possibilità di dover combattere”: “ogni aliquota della massa sia atta a sostenere da sola un combattimento”. La velocità e la coesione sono condizionate dal terreno: “in regioni coltivate [...] strade abbastanza buone e ad essa parallele” facilitano il “rapido concentramento”, mentre “una zona montana boscosa o comunque molto frastagliata” trasforma “la marcia [...] in continuo pericolo”. Il vettovagliamento segue quattro metodi — “l'alimentazione presso l’abitante, le contribuzioni, le requisizioni generali, i magazzini” — con “carreggio permanente” per distribuire “derrate alimentari”, ma “trenta o quaranta uomini” requisiscono più efficacemente di “un ufficiale con un paio di uomini”. Le tempistiche sono calcolate su “un’ora a sfilare” per una divisione di 5.000 uomini, con “marce di 5-6 miglia” come massimo giornaliero, mentre “lo strapazzo del soldato per 10-12 ore” supera “una passeggiata di tre miglia”.

Note minori includono l’adattamento degli alloggiamenti — “lungo la direttrice di marcia” per truppe in movimento, “poco in lunghezza” per truppe ferme — e la gestione delle avanguardie: “un miglio” di distanza riduce il “guadagno di tempo”, mentre “una giornata di marcia (3-4 miglia)”: “arrestare l'avversario [...] per un tempo di una volta e mezzo”. La cavalleria e l’artiglieria spesso “procedono del tutto separata” per “strade migliori”, e “le ali cambiano posto” per “l'onore di costituire ala destra”. In caso di ritirata, “non può integralmente avvenire in senso laterale”, e “il centro [...] può sempre tener testa per qualche tempo”. Esempi storici — “Bliicher [...] iniziò il proprio concentramento: ma alle 9 Ziethen era già impegnato” — illustrano “movimenti sotto gli occhi dell'avversario”, con “precauzioni e precisione maggiori”. La “guerra di popolo” perde efficacia se “le truppe regolari sono troppe”, poiché “gli abitanti fanno eccessivo assegnamento” su di esse.


7. La pianificazione strategica tra geometria, territorio e contingenza: criteri per la disposizione delle forze e delle fortificazioni

Dall’astrazione geometrica alle variabili umane e ambientali: come la teoria militare si scontra con la realtà del terreno, delle risorse e dell’incertezza.


Sommario

L’argomento riguarda i criteri di organizzazione strategica in guerra, con particolare attenzione alla disposizione delle fortificazioni, alla distribuzione delle forze e all’adattamento delle decisioni alle condizioni concrete. Le questioni centrali vertono su:

Emergono temi minori:


Note

Criteri di citazione
Esclusioni

8. Difesa strategica del territorio: ostacoli naturali, fortificazioni e tattiche di controllo

Barriere fluviali, rilievi montuosi, boschi e paludi come strumenti di resistenza militare: limiti, vantaggi e applicazioni pratiche nella guerra di posizione e di movimento.

Il tema riguarda l’uso sistematico di elementi geografici e artificiali per ostacolare l’avanzata nemica, con particolare attenzione a fiumi, montagne, foreste e zone paludose. Le acque, ad esempio, non sono valutate solo per la massa liquida ma per «la profonda incisione delle loro valli» (5550) e per la capacità di «impedire il passaggio» (5513), sebbene «non possano produrre una vittoria decisiva» (5513) perché limitano la manovra offensiva. I corsi d’acqua diventano efficaci se «attraversano la linea di comunicazione nemica» (5585) o se «dominano il traffico fluviale» (4930), mentre le «isole» e «le grandi città lungo il fiume» (5499) ne facilitano l’attraversamento. Le paludi, descritte come «acquitrini intransitabili, solcati soltanto da pochi argini» (6988), offrono una difesa più robusta dei fiumi perché «un argine non può essere costruito altrettanto rapidamente quanto un ponte» (5640) e perché la «lunghezza e ristrettezza dell’argine accresce l’efficacia del fuoco» (5656).

I boschi, pur «impercorribili solo in apparenza» (5711), sono «il vero ambiente naturale» (5711) della guerra partigiana, mentre le montagne, con «pendii terrazzati» (5401) e «dorsali non ininterrotte» (5401), richiedono «una catena di posti difensivi» (5739) simili a un «cordone» (5711) per evitare aggiramenti. Le fortificazioni, come «piazzeforti su ambe le rive» (5510) o «campi trincerati adiacenti» (5143), servono a «rendere impossibile l’assedio» (5143) o a «organizzare truppe poco solide» (5143), ma la loro utilità dipende dalla «posizione naturalmente forte» (4967) e dalla «distanza dalle strade principali» (4937). Emergono anche temi minori: l’«inondazione controllata» (5665) nei Paesi Bassi, dove «sfondando gli argini» (5665) si allagano «prati asciutti o campi coltivati» (5665); la «difesa passiva» (5671) in terreni paludosi, dove «non si può parlare di una singola linea di barriera» (5671); e il «ruolo delle strade» (4092), la cui «lunghezza, quantità e ubicazione» (4092) influenzano la mobilità delle armate.

La strategia difensiva si basa su «ostacoli naturali» (6504) integrati da «piccoli forti» (4940) e «piazze forti» (4937), ma evita «sacrifici inutili» (5143) per «piazzeforti di scarsa importanza» (7129). L’attaccante, dal canto suo, sfrutta «minacce alle comunicazioni» (7098), «occupazione di posizioni scomode» (7098) e «conquista di città redditizie» (7098) per indebolire il difensore. La «difesa in montagna» (5392) e quella «fluviale» (5499) richiedono approcci distinti: la prima si affida a «posti difensivi locali» (5739), la seconda a «tratti considerevoli» (5490) per evitare aggiramenti. Infine, la «zona-chiave» (5792) montana, spesso idealizzata, «è in contrasto con la natura» (5792), che «sparpaglia cime ed incisioni a capriccio» (5792).


9. La difensiva strategica: vantaggi, rischi e dinamiche di posizione tra attacco e difesa

Quando la forza risiede nell’attesa e il territorio diventa arma: logiche di schieramento, obiettivi indiretti e il paradosso della superiorità difensiva.

Sommario

La difensiva si configura come forma di guerra intrinsecamente più forte dell’offensiva, ma la sua efficacia dipende dalla capacità di sfruttare vantaggi posizionali, linee di comunicazione protette e la minaccia costante sul fianco strategico dell’avversario. Il difensore può «attendere che l’avversario proceda sfilandogli davanti» (6302) senza perdere iniziativa, purché la posizione scelta garantisca «le spalle completamente sicure» (5126) o impedisca all’attaccante di «lasciarsi il nemico sul fianco» (6263) senza conseguenze. La difesa non esclude azioni offensive localizzate: «in una battaglia offensiva si può attaccare con alcune divisioni» (4237), mentre «il lancio dei proiettili contro il nemico» (4237) rappresenta un’offensiva tacita entro una strategia complessiva di attesa.

La presenza di «piazzeforti» (7114) altera gli equilibri, poiché la loro conquista «indebolisce la difesa» (7114) ma offre all’attaccante «grandi vantaggi» (7114), tra cui «la possibilità di valersene per isti[tuire basi logistiche]» (7114). Tuttavia, «l’assedio è un’impresa che esclude disastri per l'attaccante» (7124) e può fungere da «piccola conquista a sé stante» (7124), utile per «scambi a scopo di pace» (7124). La difensiva trae forza anche dalla «superiorità intrinseca» (2322) della sua forma, che può «far sì che entrambi gli avversari si sentano troppo deboli per attaccare» (2322), generando «interruzioni assolute» (322) nell’azione bellica. L’attaccante, dal canto suo, subisce un «indebolimento progressivo» (7306) man mano che avanza: «ci allontaniamo dalle nostre fonti di reintegrazione» (7306), mentre «il territorio nemico oppone ostacoli» (7306) e «altre Potenze possono soccorrere lo Stato minacciato» (7306).

La scelta di «una posizione di fianco» (5147) è giustificata solo se «influisce sulla linea di ritirata nemica» (5151), costringendo l’avversario a «preoccuparsi per la propria ritirata» (5151). Altrimenti, «se il nemico sfila davanti senza scontarne il fio, la posizione diventa inefficace» (5016). La difensiva ottimale sfrutta «buoni preparativi, calma, sicurezza» (6311) e la «libertà di agire sulle linee di comunicazione avversarie» (7060), mentre l’attaccante, «obbligato ad assediare piazzeforti o occupare territorio ostile» (7306), vede «affievolirsi il lavoro della sua macchina bellica» (7306). Il paradosso emerge quando «la forma difensiva, più forte, non esercita un’influenza dannosa sull’offensiva» (6757), poiché «il vantaggio del differimento della decisione» (322) può equivalere a quello della difesa stessa.

Note

(4332) Citazione tradotta dal tedesco: «se l’attaccante sceglie una strada diversa da quella in cui troverebbe il difensore, questi potrà [...] cadergli addosso con tutte le proprie forze».
(7124) «l’assedio [...] ha l'apparenza di essere una continuazione intensiva dell’offensiva»: il testo originale usa «scheint» (sembrare), sottolineando la percezione più che la realtà operativa.
(5160) «influenza sul fianco strategico francese»: riferimento contestuale a un esempio storico non esplicitato, mantenuto in forma generica.
(6432) «sfaccendato vagabondo»: traduzione letterale di «müssiger Landstreicher», metafora per un’offensiva priva di obiettivi chiari.

10. La guerra come strumento politico: evoluzione, equilibrio e trasformazione tra XVII e XIX secolo

Dall’arte militare come tecnica alla guerra come estensione della politica: mutamenti negli eserciti, nei metodi e negli attori tra feudalesimo, assolutismo e rivoluzioni.

La guerra subisce una radicale ridefinizione tra il Seicento e l’Ottocento, passando da pratica feudale o mercenario-privatistica a fenomeno statale e nazionale. Fino al XVII secolo, i conflitti coinvolgono il popolo interamente in guerra (7643) nelle scorrerie tatare o nelle repubbliche antiche, mentre con Luigi XIV e la Guerra dei Trent’anni la guerra diveniva affare di governi (7643), condotta con vagabondi oziosi (7643) assoldati e finanziata da scudi rinchiusi nelle casse (7643). L’addestramento al fucile trasforma la fanteria in forza dominante, ma l’ordine di battaglia (3334) rimane artificioso (3334), con cavalleria relegata alle ali. La Rivoluzione francese rompe questo schema: i mezzi impiegati non ebbero più limiti (7710), l’energia nella condotta della guerra venne straordinariamente aumentata (7710) dall’esaltazione veemente dei sentimenti (7710) di governi e sudditi, mentre la politica (7888) non cessa per effetto della guerra (7890) ma ne diventa i fili principali (7890).

L’equilibrio europeo oscilla tra status quo e tensioni: gli Stati trovano nel mantenimento dello status quo la migliore sicurezza (4485), ma la tendenza all’equilibrio può mirare a una modificazione (4482) se la stasi è già rotta. Le battaglie moderne perdono il carattere decisivo: i governi hanno cercato mezzi per evitarle (2906), sostituendole con tergiversazioni (2906) che teorici e storici elevano a culmine dell’arte (2906). La sproporzione fra grandezza di una vittoria e le sue conseguenze (2868) deriva dalla forza intrinseca (2868) dello scontro, che incrina tutta la potenza militare, e in questa, tutto lo Stato (2868). La guerra si adatta agli scopi politici, dall’annientamento (491) alla soddisfazione per l’onore delle armi (2376), mentre i condottieri (1704) ne fanno uno strumento speciale (1704) separato dalla società. Con Napoleone, un mondo nuovo di fenomeni bellici (6655) impone un metodo grandioso (6655), ma la connessione con la politica resta: le modificazioni nell’arte della guerra sono conseguenza dei mutamenti nella politica (7979).


11. Strategie militari tra logistica, errori tattici e dinamiche di potere: dall’incendio urbano alle campagne napoleoniche

Dall’arte di contenere un fuoco alle manovre che decidono il destino degli imperi: piani di guerra, ritiri forzati e il peso delle alleanze tra XVIII e XIX secolo.

L’argomento ruota attorno alla pianificazione strategica in contesti bellici, dove la disposizione delle forze, la gestione del territorio e la tempistica delle azioni determinano esiti radicalmente diversi. Le citazioni rivelano una doppia scala di analisi: da un lato, principi logistici elementari — come la priorità nel proteggere i muri più esposti in un incendio («il muro destro della casa potrebbe bruciare se non lo si coprisse prima che il fuoco giunga al muro sinistro») o la difesa dei fiumi come barriere naturali («l’Oder e l’Elba furono molto utili a Federico il Grande») —; dall’altro, errori tattici e opportunità mancate che ribaltano le sorti di intere campagne. Emblematico il caso di Macdonald a Nimega, il cui ritardo nel congiungersi con Napoleone «impedì a Macdonald di congiungersi con Napoleone prima della battaglia di Brienne» e concessero agli Alleati un vantaggio temporale cruciale. Analogamente, la sottovalutazione delle vie di ritirata — come quella russa verso Kaluga invece che Mosca nel 1812 — o la mancata concentrazione delle forze («un piano che prescrivesse ad ogni armata di astenersi dall’osare») emergono come fattori ricorrenti di sconfitta.

Nel sommario affiorano anche temi minori ma significativi: l’uso del territorio (le inondazioni olandesi del 1672 che «rendono disastroso qualsiasi attacco»), il ruolo delle alleanze (la Prussia tradì l’Inghilterra «fino alla perfidia»), e la disorganizzazione interna (le riserve prussiane «accantonate nella Marca» che giunsero troppo tardi a Jena). Le battaglie campali — da Waterloo («sacrificò fin le ultime truppe») a Kollin («avrebbe potuto marciare su Vienna») — sono lette come snodi dove la proporzione delle forze («60.000 contro 80.000») o la risolutezza del comando («un comando risoluto e avveduto avrebbe nutrito grandi speranze») fanno la differenza. Infine, traspare una critica ai piani teorici: la divisione delle armate alleate nel 1814 («si divisero, per entrare in Francia, con un'armata da Magonza e l’altra dalla Svizzera») viene giudicata inefficace, mentre la concentrazione delle risorse — come i 300.000 uomini ipotizzati per marciare su Parigi — è presentata come chiave per una vittoria decisiva. Le leggi non scritte della guerra — dalla geometria degli schieramenti («deviazione “dal centro”») alla psicologia del nemico («mai gli Alleati avrebbero osato distaccare 50.000 uomini su Parigi») — completano il quadro di un’analisi che unisce precisione tecnica e consapevolezza politica.





1. La guerra come sistema dinamico: logistica, strategia e limiti dell’azione bellica

Tra teoria e pratica: vincoli geografici, risorse umane e adattamento tattico nelle operazioni militari.


Didascalia

Dinamiche operative e criteri decisionali in contesti bellici: dall’efficacia della guerra popolare ai condizionamenti territoriali, logistici e psicologici nella condotta strategica.


Sommario

L’argomento ruota attorno alle variabili strutturali e contingenti che definiscono l’efficacia, i limiti e le contraddizioni dell’azione militare, con particolare attenzione alla dialettica tra pianificazione teorica e adattamento pratico. La guerra di popolo emerge come fenomeno indistinto e resistente alle manovre convenzionali: «contadini armati, sparpagliati, si frazionano in tutte le direzioni, senza che a ciò sia necessario un piano artificioso», a differenza dei reparti regolari, vincolati da «disposizioni serrate come un gregge». La logistica e il controllo del territorio si rivelano nodi critici: la «linea di comunicazione passante per Mosca» diventa insostenibile per i Francesi, costretti a «sgombrare non solo Mosca, ma anche Smolensk», mentre l’esercito russo, pur esposto a rischi analoghi, trae vantaggio dalla «disorganizzazione» progressiva del nemico in marcia. La geografia condiziona le operazioni: le «strade di montagna con forti colonne» ostacolano la mobilità, mentre i «burroni laterali» e le «zone montane ripide» potenziano la difesa; analogamente, «paludi intransitabili» e «corsi d’acqua importanti» possono rendere «assolutamente impossibile» il superamento di una posizione. Le risorse umane e materiali pongono vincoli invalicabili: «la ricchezza delle province conquistate può diminuire di molto il male, ma non può farlo scomparire», poiché «vi è sempre un gran numero di elementi reintegratori che la patria sola può dare, e in particolare, uomini»; inoltre, «le prestazioni in paese nemico non sono ottenute con la stessa prontezza e certezza».

La strategia offensiva e difensiva si articola tra scelte tattiche e errori di valutazione. La distribuzione delle «piazzeforti» solleva questioni tecniche («se debbano essere a gruppi o uniformi», «se presso la frontiera o nell’entroterra»), mentre la «difesa in montagna» gode di una «rinomanza generale» per il «vantaggio di un migliore campo di vista» e la «forza eccezionale» conferita dal terreno. L’imprevedibilità e l’esperienza sovrastano i calcoli astratti: «quante centinaia di circostanze concorrono a determinare gli effetti» di un proiettile, e «quante di esse non possono essere riconosciute che con l’esperienza»; d’altronde, «la critica» deve «risalire fino a verità indiscutibili», evitando «proposizioni arbitrarie» che alimentano «dissertazioni infinite». L’equilibrio politico e le contingenze morali influenzano gli esiti: Gustavo Adolfo e Federico il Grande, pur con «eserciti perfezionati», restano vincolati al «livello generale dei successi medii» per via dell««equilibrio politico dell’Europa»; allo stesso modo, Napoleone, nonostante la «convinzione di abbattere il nemico alla prima battaglia», subisce perdite catastrofiche nel 1812, dove «dei 600.000 uomini [...] ne ripassarono il Niemen solo 50.000». La leadership richiede una sintesi di «familiarità coi rapporti elevati fra gli Stati» e «conoscenza delle tendenze abituali», ma anche la capacità di «superare se stesso» in condizioni estreme, quando «ogni nuovo sforzo senza punto d’appoggio esteriore non produce che una recrudescenza di perdite». Infine, la guerra come fenomeno sociale si scontra con i suoi «principi moderatori» esterni: «la guerra nasce da queste condizioni e da questi rapporti sociali che la determinano, la limitano, la moderano», ma tali «modificazioni non sono inerenti alla guerra», bensì «elementi contingenti» che non ne alterano l««essenza» di «impiego assoluto della forza».


2. La difesa strategica tra teoria e pratica: ostacoli naturali, logistica e limiti del metodismo militare

Difese fluviali, posizioni fortificate e mobilitazione delle risorse in un contesto di guerra dove la teoria si scontra con l’imprevedibilità del campo, tra vincoli geografici, errori di calcolo e l’illusione di sistemi infallibili.

Il tema ruota attorno alla difesa strategica come problema di equilibrio tra fattori naturali, logistici e decisionali, con particolare attenzione agli ostacoli idrografici, alle fortificazioni campali e ai limiti delle dottrine militari preconfezionate. Le acque — fiumi, paludi, valli incise — sono analizzate non come barriere assolute, ma come elementi che „non producono una interdizione assoluta“ (5513) e che, pur potenziando la difesa, „non possono compensare una minore entità della massa d’acqua“ (5513) o garantire vittorie decisive: „essa non può mai produrre una vittoria decisiva: sia perché mira soltanto a non lasciar che il nemico passi in alcun punto, sia perché il corso d’acqua stesso impedisce di allargare i successi“ (5513). Le posizioni fortificate (Torres-Vedras, Bunzelwitz) sono efficaci solo se supportate da retrovie sicure — „alle spalle un porto“ (5112) o „in comunicazione con una piazzaforte“ (5112) — e falliscono quando l’avversario, come Napoleone, „avrebbe sfondato subito una simile tela di ragno tattica“ (8053). La logistica emerge come nodale: „trenta o quaranta uomini [...] sapranno scovare fino all’ultimo pezzo di pane“ (3919), mentre „un ufficiale mandato con un paio di uomini a requisire derrate [...] finirà per incamerare soltanto una piccola parte“ (3919), evidenziando come „il rendimento della ricerca di derrate“ (3919) dipenda dalla capacità di sfruttamento diretto del territorio.

La teoria militare è criticata per il suo dogmatismo: „le teorie irragionevoli hanno spesso provocato [...] dissonanza col semplice buon senso“ (1179), spingendo i comandanti a „imitare procedimenti usati da grandi condottieri“ (1387) invece di adattarsi al contesto. Il „metodismo“ (1387) nasce dall’incapacità di „trovare la propria via fra i ragionamenti dei teorici“ (1387), mentre la guerra reale è „un mare inesplorato pieno di scogli“ (894) dove „il pensiero del generale può indovinare, ma la sua vista non ha mai constatato“ (894). La velocità decisionale è cruciale: „un avversario capace di agire rapidamente [...] non ci lascerà il tempo di attuare combinazioni laboriose“ (2474), e „quando tutto procede senza interruzione, il successo di ieri trae seco un nuovo successo oggi“ (8260). Gli esempi storici — „a Lipsia [...] tolse a Napoleone la vittoria; a Waterloo [...] pagò questo inesatto apprezzamento“ (6730) — servono a dimostrare come „l’incendio si propaga da un punto all’altro“ (8260) o si spegne per „circostanze del tutto estranee“ (6730). Infine, la mobilitazione popolare (Landwehr) introduce una variabile imponderabile: „quanto maggiormente l'istituzione si scosta da tale concetto [di cooperazione totale], tanto più [...] verrà a mancare dei vantaggi inerenti“ (4449), mentre „forze nemiche più o meno numerose“ (7265) possono emergere se l’avversario „dispone di milizie locali“ (7265). La geografia (montagne, strade) e il clima („la pioggia [...] fa abortire le cariche di cavalleria“ (886)) completano il quadro di un’azione militare dove „il colpo d’occhio penetrante del genio“ (7563) prevale su „ponderazioni d’indole scolastica“ (7563).


3. La guerra come sistema dinamico: strategia, rischio e adattamento tra logica e contingenza

Dalle manovre indirette alle battaglie decisive: equilibri precari tra calcolo, territorio e psicologia delle forze in campo.

L’argomento ruota attorno alla natura composita della guerra come fenomeno in cui strategia, geografia, risorse e fattori umani si intrecciano in un sistema instabile, dove il successo dipende tanto dalla pianificazione quanto dalla capacità di reagire all’imprevedibile. Al centro vi è la tensione tra razionalità militare — espressa in principi come la concentrazione delle forze („se l’attaccante sceglie una strada diversa da quella in cui troverebbe il difensore, questi potrà [...] cadergli addosso con tutte le proprie forze“), la difesa dei nodi critici („fortificare la capitale ogni qual volta le circostanze lo consentano“), o l’uso calcolato della sorpresa („solo di rado [la sorpresa notturna] può essere giustificata da motivi sufficienti“) — e variabili incontrollabili: il morale delle truppe („il dolore di dover [...] lasciare nelle mani del nemico tanti bravi compagni d’arme“), l’errore umano („un’impreveggenza o una temerarietà straordinaria da parte del nemico“), o la frammentazione degli obiettivi politici („gli interessi dei grandi e piccoli Stati [...] intrecciati in modo estremamente multiforme“).

Emergono temi minori ma ricorrenti: l’illusorietà delle regole assolute („non esiste alcuna specie di regola; [...] la vittoria dipenderà [...] dalla precisione, l'ordine, l'impavidità“), il ruolo ambiguo del territorio — ora ostacolo („la natura del teatro di guerra cambia per lui e diviene ostile“), ora risorsa („i fiumi [...] offrono il vantaggio di prestarsi all’organizzazione di linee di difesa“), ma spesso sovrastimato („l'utilizzazione di un fiume non ha quella grande importanza che ad essa viene abitualmente attribuita“). La dimensione psicologica permea sia la condotta dei comandanti („il coraggio [...] spicca il volo; il rischio ed il pericolo sono gli elementi fra cui si lancia“) sia quella delle truppe, dove la sfiducia nel comando („al quale i subordinati [...] sono proclivi ad attribuire l'insuccesso“) può erodere la coesione. Infine, l’evoluzione storica della guerra — dall’esercito come „automa“ („un congegno di orologeria“) alla mobilitazione di massa („la chiamata del popolo alle armi“) — sottolinea come i principi strategici debbano adattarsi a contesti mutabili, dove „la via diretta, semplice e piana“ è spesso sacrificata a „complicazioni inestricabili“ dettate da ambizione o vanità. Le campagne citate (1796, 1812, 1813-15) fungono da esempi concreti di tali dinamiche, mentre figure come Federico il Grande incarnano l’ideale di un equilibrio tra „energia“ e „saggia moderazione“.


4. Logiche operative e limiti strategici nella condotta della guerra: tra teoria, pratica e contingenze materiali

La gestione delle forze armate tra esigenze tattiche, vincoli logistici e dinamiche psicologiche, con particolare attenzione agli squilibri tra pianificazione astratta e realtà del campo, alle asimmetrie tra difesa e offensiva, e alle conseguenze di errori di valutazione in contesti di incertezza.


Sommario

L’argomento ruota attorno alle tensioni tra la teoria militare e la sua applicazione concreta, evidenziando come la guerra sia condizionata da fattori materiali, umani e ambientali spesso sottovalutati. La difesa emerge come attività che richiede una preparazione meticolosa: un esercito deve essere atto alla guerra, guidato da un condottiero che invece di attendere il nemico con ansietà [...] lo attende per propria libera scelta con calma ponderazione, appoggiato su „piazzeforti che non temono l’assedio” e su un „popolo sano” (4438). Tuttavia, la difesa non è esente da rischi: la rottura anche di un solo punto può comprometterne l’efficacia, soprattutto in terreni pianeggianti, dove „non può attuarsi [...] una resistenza durevole successiva” (5451), a differenza dei monti, dove il combattimento assume „un carattere di continuo pericolo” (6129) a causa di insidie come „contadini armati” o strettoie naturali che ostacolano i movimenti („una profonda valle rocciosa oppone un ostacolo molto maggiore” – 5542).

L’offensiva, invece, si scontra con la necessità di bilanciare rapidità e sicurezza: marce forzate (30 miglia in dieci giorni” – 3744) o l’occupazione di posizioni dominanti possono rivelarsi „vana manifestazione, simile a alzare un braccio (4221), se non supportate da una „superiorità numerica relativa” (2029) e da una „concentrazione di forze preponderanti sul punto decisivo” (2029). La logistica gioca un ruolo cruciale: „la conservazione di quanto si ha assume sempre maggiore importanza” (8004), e il „diritto di dettare per primo la legge all’avversario” (6009) si traduce in vantaggi tangibili, come la distruzione di ponti o il controllo delle risorse. Tuttavia, anche i piani meglio concepiti possono fallire („Federico [...] non ottenne assolutamente nulla” – 2061), soprattutto quando „idee confuse ed oscure” (1024) o „vanità“ (4219) sostituiscono l’analisi razionale.

Un tema ricorrente è l’inadeguatezza delle astrazioni teoriche: si tratta di semplici esercizi retorici, privi di fondamenta solide (3251), che portano a „combinazioni militari” banali („condire le banalità troppo apparenti” – 4219) o a „giuchi del pensiero” (2029) lontani dalla realtà. La guerra reale si svolge invece in „meandri” (7467) dove „l’uomo [...] obbedisce più alle idee e ai sentimenti [...] che alla linea rigorosa tracciata dalla logica” (7467), e dove „il genio del generale” (1600) deve fare i conti con „la fortuna” e con „l’incertezza“. La critica militare, pertanto, deve astrarre da quanto [il comandante] non poteva sapere (1545) e valutare le scelte „in base a ciò che ha motivato la sua azione“, non ai risultati.

Infine, la composizione delle forze riflette scelte strategiche e vincoli economici: la cavalleria, più costosa, era riservata a pochi („tutti gli uomini che non potevano essere assegnati alla cavalleria [...] erano assegnati alla fanteria” – 3304), mentre la coscrizione napoleonica („basandosi più sulla disponibilità di denaro che su quella di uomini” – 3309) dimostra come la guerra sia anche una questione di risorse. La disciplina („orgoglio di eserciti permanenti” – 1903) e l’addestramento („truppe temprate dalla lunga abitudine del pericolo” – 1649) si rivelano altrettanto decisive quanto la capacità di „valutare la durata di marcia di una colonna” (1264) o di „distinguere nettamente ciò che sembra confuso” (1170). L’argomento tocca infine la ritirata come manovra strategica („chi si ritira [...] ostacola l’avanzata di chi lo insegue” – 6009) e il morale, dove „la nobile ambizione di dominarsi” (719) può fare la differenza tra vittoria e sconfitta.


5. La guerra come sistema di forze, calcoli e contingenze: strategia, tattica e adattamento tra teoria e pratica

Dalle fortificazioni alle campagne militari: logiche di potere, errori umani e variabili imponderabili nella condotta della guerra tra XVIII e XIX secolo.

L’argomento ruota attorno alla natura composita della guerra come fenomeno governato da leggi strategiche, vincoli materiali e fattori psicologici, dove la teoria si scontra con l’imprevedibilità dell’azione. Al centro vi è la dialettica tra difesa e attacco, esemplificata dalle piazzeforti come nodi critici: queste non servono solo a respingere assedi, ma anche a rendere impossibile, o per lo meno molto difficile, l’assedio della piazza (5143), soprattutto se si tratta di porti irrinunciabili, mentre in altri casi il rischio è che la piazza ceda troppo presto per affamamento (5143). Le fortificazioni diventano così punti di raccolta per truppe inesperte (reclute, elementi di seconda e terza linea – 5143) o basi per operazioni diversive (distraggano dal teatro di guerra principale una quantità di forze avversarie maggiore di quelle impiegate – 7245), ma il loro valore dipende da condizioni topografiche (corso delle acque come vie di accesso ai punti più elevati – 5394) e dalla capacità di sfruttare ostacoli naturali (montagne, paludi, correnti acquee – 5855).

La guerra come attività di governo emerge nel contrasto tra popolo e élite militare: nel XVIII secolo, il popolo [...] non rappresentava più nulla in fatto d’influenza diretta (7643), ridotto a vagabondi oziosi (7643) o a risorsa passiva, mentre la guerra diveniva affare di governi (7643) che la finanziano con scudi rinchiusi nelle casse (7643). Questo distacco si riflette nella logistica (100.000 uomini su una sola strada [...] si dissolverebbe come un getto d’acqua – 3645) e nella gestione delle informazioni, dove notizie successive [...] si confermano, s’ingrandiscono (856) fino a indurre risoluzioni riconosciute poi sciocchezze (856). La campagna del 1812 diventa paradigma del fallimento: 500.000 uomini passarono il Niemen, 120.000 combatterono a Borodino (4350), vittime di strapazzi (3788) e mancanza di cure relative al vettovagliamento (8291). Qui, come in altri casi, la stravaganza (3788) nasce da errori di calcolo (si pensi quanto spesso sono stati difesi [...] fiumi insignificanti della Lombardia! – 6872) o da sottovalutazione delle variabili (nella teoria si tien calcolo soltanto delle condizioni apparenti – 6872).

La strategia si articola tra manovre (gioco di equilibrio delle forze – 6628) e adattamento al terreno (le valli [...] come vie di accesso ai punti più elevati – 5394), ma anche tra psicologia collettiva (l’attaccante [...] trova più facile continuare ad avanzare piuttosto che arrestarsi – 7412) e leadership (si sceglie il generale in capo per la fama delle sue qualità; [...] quanto più basso si scende nella gerarchia, ciò che manca dev’essere sostituito dalla virtù militare – 1878). Le diversioni (7245) e le azioni partigiane (abili gruppi [...] che cadano addosso ai piccoli presidi – 5873) mostrano come la guerra si frammenti in obbiettivi secondari (capitali, contribuzioni locali, appoggio di sudditi infedeli – 7245), mentre la teoria fatica a cogliere tutte le circostanze [che] sembrano all’attaccante più difficili di quanto non siano (6872). Infine, la storia funge da banco di prova: la posizione di Bunzelwitz (1672) o la battaglia di Auerstaedt (6333) dimostrano che la forza naturale di quella posizione si fece sentire (6333), ma anche che non si osò insistere su una vittoria immancabile (6333), rivelando come debolezze organizzative (mancanza di una unità di provvedimenti – 5692) o ritardi (campagna iniziata troppo tardivamente – 8291) possano vanificare piani apparentemente solidi.


6. Strategie difensive e dinamiche operative nei territori allagati e nei teatri di guerra complessi

L’arte della difesa tra inondazioni tattiche, logistica fluviale e adattamento del comando alle condizioni del terreno.


Sommario

L’argomento riguarda le strategie difensive che sfruttano condizioni geografiche e artificiali per neutralizzare l’avanzata nemica, con particolare attenzione ai sistemi di inondazione controllata, alle difese fluviali e alle variabili logistiche che influenzano l’efficacia delle operazioni. In Olanda, le inondazioni vengono descritte come uno strumento per rendere il territorio «assolutamente inattaccabile» (6991), trasformando «prati asciutti o campi coltivati» (5665) in barriere insormontabili: «sfondando gli argini [...] si è in grado di inondare la regione» (5665), lasciando emerse solo le strade rialzate e costringendo l’attaccante a «sopraffare la linea d’inondazione» (6991) con forze sproporzionate, come avvenne nel 1672 quando «20.000 uomini» olandesi resisterono a «50.000 francesi» (6991).

La difesa fluviale viene analizzata come risorsa sottovalutata ma potenzialmente decisiva, purché supportata da «forze sufficienti» (5517): un tratto di «24 miglia» (5517) può essere presidiato da «60.000 uomini contro forze molto superiori» (5517), a condizione che si eviti di «pretendere troppo dalla sua efficacia» (6873). La logistica emerge come fattore critico: la «sistemazione delle strade parallele ai fiumi» (5504) e l’«asportazione dei mezzi di passaggio» (5504) diventano priorità, mentre la «superiorità numerica» (2546) spesso non viene percepita durante l’azione, ma solo «più tardi, nella storia» (2546). Si delinea inoltre il ruolo del tempo come variabile strategica: «il tempo necessario [...] per produrre il suo effetto» (7409) condiziona sia la resistenza che l’attacco, con l’«avanzata che diviene un combattimento avanzando» (5921) quando il difensore oppone «una resistenza continua e misurata» (5921).

Temi minori includono:


Note

Riferimenti impliciti a contesti storici
Termini tecnici ricorrenti

7. La guerra come sistema organico: incertezza, psicologia militare e coordinamento strategico

Dall’analisi delle debolezze umane alle dinamiche geografiche, logistiche e decisionali che condizionano il successo o il fallimento delle operazioni belliche.


Sommario

L’argomento ruota attorno alla natura complessa e interconnessa della guerra, intesa come fenomeno in cui «ogni singola attività deve contribuire all’insieme e procedere dall’idea di tale insieme», dove l’errore, l’incertezza e le «debolezze ed inimicizie personali dei comandanti in sottordine» possono alterare gli esiti anche delle strategie meglio concepite. L’attenzione si concentra su tre assi portanti: 1) l’imprevedibilità e la frammentarietà delle informazioni, che rendono le operazioni simili a «un uomo che in una stanza priva di luce deve lottare con molte persone», con conseguenti rischi di «timori e supposizioni» che sostituiscono i fatti reali; 2) il ruolo della psicologia individuale e collettiva, dove «i sentimenti [dei comandanti] si infiammano vivamente e violentemente come la polvere» o, al contrario, «la debolezza, fisica e morale, dell’uomo è sempre proclive a cedere», influenzando decisioni tattiche e strategiche; 3) la dipendenza da fattori geografici, logistici e politici, come la disposizione delle truppe «sui versanti [dei monti], or più in alto or più in basso» o la necessità di «mantenere il rapporto più favorevole possibile tra le reciproche forze morali» durante le ritirate.

Emergono temi minori ma ricorrenti: la critica alla «menzione superficiale» degli eventi storici, che genera «opinioni erronee e speculazioni teoriche»; l’importanza della «perseveranza» e dell’«amore dell’onore e della gloria» come motivazioni superiori a «fanatismo» o «vendetta»; la centralità del «punto di vista politico» come «linea fondamentale» della direzione bellica. Le operazioni militari appaiono inoltre vincolate da limiti materiali («centomila uomini [...] richiedono un tempo doppio» rispetto a metà forze) e da «imperfezioni naturali dell’uomo», che spiegano tradizioni strategiche apparentemente irrazionali. La vittoria stessa si consolida spesso «solo dopo che è stata decisa», quando «la cavalleria nemica» insegue i resti dell’esercito sconfitto o «frazioni di truppe si smarriscono». Infine, la geografia — «il corso delle acque» che «determina nel modo più breve e più sicuro il sistema» difensivo — e la logistica — «il vettovagliamento» ostacolato da «atteggiamento ostile degli abitanti» — si rivelano variabili decisive, tanto quanto la capacità di «completare le lacune» percettive tramite «immaginazione» e esperienza.


8. La teoria della guerra tra logica strategica e adattamento contingente

Dall’astrazione dei princìpi alla prassi del comando: equilibrio, decisione e limiti della razionalità in campagna.

La teoria della guerra si configura come un sistema di riflessioni che cristallizza in princìpi e regole solo quando queste emergono spontaneamente dalle considerazioni strategiche, senza forzature algebriche o dogmatiche. Il suo scopo non è dettare pietre miliari per la pratica, ma illuminare i fuochi i quali convergono tutti i raggi del pensiero, lasciando che la decisione — chiave di volta dell’azione — si adatti alle circostanze piuttosto che a schemi prefissati. La guerra si svolge come una catena costituita da combattimenti in cui ogni anello condiziona il successivo, rendendo vano isolare conquiste geografiche o vantaggi apparenti: si divien proclivi a considerare ciò come un vantaggio importante per sé, anziché come un anello dell'intera catena degli avvenimenti.

L’efficacia della strategia dipende dalla capacità di oscillare tra equilibrio e slancio, misurando la forza in relazione a un equilibrio stabile che si eleva fino a effetti portentosi nei momenti critici, per poi ricadere in una condotta flessibile. La superiorità morale e tattica non deriva da regole astratte, ma dall’abile impiego del fuoco e dall’economia di truppe, mentre il genio militare si manifesta nella concatenazione reale degli eventi, intuita dal colpo d'occhio prima che dalla logica. Le forze morali — spesso trascurate da filosofie che si arrestano al di qua del limite ove cominciano — sono centrali: la tenacia oltre un certo punto diventa ostinazione disperata, e la teoria stessa deve evitare di dare formule o percorrere un sentiero ristretto, pena l’irrilevanza pratica. La guerra, infine, si scontra con l’enorme distanza tra genio e pedanteria, dove la fiducia eccessiva nelle attitudini naturali o nella teoria porta a negare l'utilità di ogni sapere o a considerare la condotta della guerra come una funzione naturale dell’individuo.


Note

Elementi secondari
Riferimenti impliciti

9. La dinamica strategica tra difesa, terreno e spirito militare: equilibri, errori e adattamenti tattici

Quando il bosco diventa trincea e la ritirata una scelta forzata: logiche di resistenza, illusioni di controllo e il peso delle variabili umane nella condotta della guerra.

L’argomento ruota attorno ai meccanismi concreti attraverso cui la difesa e l’attacco si articolano in relazione al terreno, alle risorse materiali e allo spirito militare, inteso come coesione psicologica e disciplina delle truppe. Il terreno — boschi, paludi, montagne, fiumi — non è solo un ostacolo fisico ma un moltiplicatore di forze o un punto di rottura: «grandi boschi [...] sono indubbiamente il vero ambiente naturale» della guerra irregolare, mentre «una difesa nella valle è esposta [...] al pericolo di essere tagliata fuori» se il nemico sfrutta sentieri non presidiati. La difesa si regge su posti interconnessi (il "cordone") o su trinceramenti, la cui efficacia dipende però dalla capacità di resistere al fuoco avversario: «che cosa significa [...] un fosso profondo quattro o cinque metri [...] se tali sforzi non vengono frustrati dal fuoco?».

La percezione dell’equilibrio in battaglia è centrale: non si tratta di oscillazioni caotiche, ma di «un’alterazione lenta e graduale [...] progressivamente più consistente», dove segni come «la linea dei fuochi [...] vacilla involontariamente» o «i battaglioni in linea si assottigliano» preannunciano la sconfitta. Lo spirito militare«l’onore delle armi» come «conciso catechismo» — diventa il collante che evita il panico, mentre la superiorità morale («massimo ardimento diverrà [...] la suprema saggezza») può compensare svantaggi materiali. Le scelte strategiche sono spesso condizionate da variabili imponderabili: «congetturare se l’avversario si abbatterà stordito dal dolore [...] o se invece sarà eccitato fino al furore», oppure valutare «se le altre Potenze saranno spaventate od irritate».

Emergono temi minori:

Le fortificazioni e le popolazioni armate rallentano l’avanzata nemica: «se esistesse un paese in cui [...] tutte le località popolose fossero fortificate [...] la rapidità del movimento bellico ne verrebbe di tanto scemata». Tuttavia, la difesa statica ha limiti: «una volta sfondati [gli elementi difensivi], debbono [...] sparpagliarsi e perire». La guerra, insomma, oscilla tra calcolo razionale («dovrà congetturare la misura dell’indebolimento») e fattori irrazionali («come un toro ferito»), dove anche la disperazione («massimo ardimento») o la cooperazione forzata («l’imperatore di Russia [...] subordinò le proprie truppe a capi austriaci e prussiani») ridefiniscono gli esiti.


10. La guerra come fenomeno dinamico: strategia, adattamento e contraddizioni tra teoria e pratica

Tra evoluzione tattica, errori umani e la tensione irrisolta tra calcolo razionale e passioni collettive.

L’argomento ruota attorno alla natura mutevole della guerra, intesa come sistema in cui strategia, contesto sociale e psicologia umana si intrecciano in modi imprevedibili. Le guerre dei secoli XVII–XIX mostrano una cesura con i modelli precedenti: l’abbandono delle “pastoie feudali” e l’avvento di “soldati reclutati, assoldati e pagati regolarmente” (3296) trasformano la condotta bellica, rendendo obsoleta la massa di fanti indifferenziati e imponendo un’“istruzione nell’uso del fucile” (3296) che ne accresce ruolo e numero. L’innovazione non è solo tecnica: “mutate condizioni sociali” (6655) e “nuove scoperte” (6655) ridefiniscono i conflitti, come dimostra l’ascesa di Napoleone, cui si attribuisce un “metodo grandioso” (6655) capace di “produrre risultati tali da destare lo stupore” (6655). Tuttavia, l’adattamento non è lineare: errori tattici (come “l’errore di attendere” di Macdonald a Nimega, 5613) o ritardi logistici (l’“ordine di marciare su Namur” giunto troppo tardi a Thielemann, 3844) rivelano come la “continuità nelle operazioni” (299) sia un ideale fragile, minato da “concatenazioni più serrate di effetti e di cause” (299) che amplificano rischi e violenza.

La guerra oscilla tra razionalità e caos: da un lato, si invoca un’“azione intellettuale” (830) che resista alle “passioni” (720) e alle “circostanze contingenti” (865), affidandosi a “previsioni” (865) e “fiducia in se stesso” (865); dall’altro, si riconosce che “l’aspirazione dell’animo alla gloria e all’onore” (674) — spesso ridotta a “ambizione” o “bramosia di fama” — rimane “la più potente e costante” (674) tra le forze in campo. La teoria militare fatica a inquadrare questa dualità: i “libri teorici e critici” (1629) si perdono in “terminologie costituenti crocicchi oscuri” (1629) o “gusci vuoti” (1629), mentre la pratica mostra come “una piccola vittoria” possa “andare in parte perduta” (2540) per il vincitore o come “un governo” che “non senta più il coraggio” (6169) dopo una sconfitta commetta “un grave errore” (6169). La geografia stessa diventa attore: in montagna, lo “schieramento frazionato” (6287) rischia di degenerare in “guerra di posti staccati” (6287), e i “poderosi fiumi” (5402) o le “isole” (5499) condizionano le manovre più dei “punti atti al passaggio” (5499) previsti dai manuali. Infine, la guerra si svela come “strano triedro” (403): “violenza originale” (403) mista a “gioco delle probabilità” (403) e “strumento politico” (403), un paradosso in cui “l’odio e l’inimicizia” (403) coesistono con la “pura ragione” (403), e dove persino “i popoli civili” (183) possono agire per “istinto” (8299) quanto i “barbari” (720).


Note
Le citazioni in corsivo sono tratte dalle frasi originali, tradotte ove necessario. Il riferimento al “triedro” (403) evoca la metafora clausewitziana della guerra come entità trifase (violenza, caso, politica), pur senza esplicitarne l’autore. I temi minori includono: (a) il ruolo della cavalleria vs. fanteria (3296, 3334); (b) l’impatto della geografia (5402, 5739, 4439); © la critica ai “termini tecnici” (1629) della teoria militare; (d) la “nebulosa” (6139) di fattori imponderabili che precedono le decisioni risolutive.

11. La guerra come sistema dinamico: logica, incertezza e adattamento nelle operazioni militari

Tra calcolo strategico e imprevedibilità, dove la teoria si scontra con la pratica e l’azione dipende da probabilità, risorse e volontà.


Sommario

L’argomento ruota attorno alla natura della guerra come fenomeno non lineare, condizionato da variabili materiali, psicologiche e contestuali che ne rendono l’esito incerto e dipendente da scelte continue. La guerra non è riducibile a un modello matematico o a principi assoluti: «la guerra si estrinseca in un giuoco di possibilità, probabilità, fortuna e sfortuna» (350), dove «il rigore logico della deduzione viene spesso a perdersi» (7484) a favore di un «guardingo tasteggiamento» (3845) dettato da circostanze mutevoli. L’azione militare oscilla tra piani predefiniti e adattamenti improvvisati, influenzati da fattori come la topografia («pendii ripidi», «stretti burroni» – 4301, 5177), la logistica («grosso bagaglio», «linee di comunicazione» – 3737, 3436), e la psicologia collettiva («esaurimento graduale di tutte le forze fisiche e morali» – 665).

La strategia si scontra con limiti pratici: l’«acceleramento» delle marce (3737) è vanificato dai vincoli materiali; l’«occupare il territorio nemico» (6801) indebolisce l’esercito per perdite, malattie o «defezione di alleati»; la «sensibilità delle linee di comunicazione» (3436) introduce vulnerabilità impreviste. Anche la difesa e l’attacco sono soggetti a paradossi: la «fronte difficilmente accessibile» (4301) può rivelarsi un’«illusione» se i fianchi sono esposti, mentre l’«immobilità» apparente del difensore (4368) nasconde una «resistenza» calcolata, ma non inesauribile (4746). Le decisioni dipendono da «impressioni isolate di bravura o di paura» (2397), da «convinzioni anteriori» (739) o dalla «gravissima responsabilità» (2318) che spinge all’azione, mentre l’«immobilità» diventa la norma in assenza di «temperamento bellicoso» (2318).

Emergono temi minori:

Le campagne storiche (Federico il Grande, Turenne, Napoleone – 6980, 7186, 3845) servono da esempi, ma «ogni caso è diverso» (6509): la guerra resta «un giuoco di probabilità» (350) in cui «la fortuna» (7484) e «le scorciatoie» (491) contano quanto la pianificazione.