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A History of Mechanics - Lettura (21m) - René Dugas


1. I postulati di Archimede e le basi teoriche dell’equilibrio: dal leveraggio ai corpi galleggianti

Dalla geometria delle leve alla fisica dei fluidi: assiomi, dimostrazioni e limiti di un sistema logico-matematico.

Il blocco definisce i fondamenti teorici dell’equilibrio meccanico e idrostatico secondo Archimede, articolandosi in due nuclei principali: i postulati sulle leve e le proposizioni sui corpi immersi. Le prime sette asserzioni (dai postulati 1 a 7) stabiliscono principi empirici come «pesi uguali a distanze uguali sono in equilibrio» (247) o «se a un peso in equilibrio se ne aggiunge un altro, il sistema si inclina verso il peso aumentato» (250-251), introducendo nozioni chiave come il centro di gravità (253, 255) e la proporzionalità inversa tra pesi e distanze (268). Le dimostrazioni successive — tra cui la Proposizione VI (268-295) — applicano questi principi a grandezze commensurabili, ma rivelano lacune logiche: Archimede «assume che il carico sul fulcro equivalga alla somma dei due pesi» (297) senza giustificare il principio di sovrapposizione degli equilibri (298), né il ruolo della funzione P·f(L) come misura dell’effetto di una forza (299). Il secondo nucleo (303-357) tratta i corpi galleggianti, partendo dall’ipotesi che «la parte meno compressa di un fluido sia spinta da quella più compressa» (303) e derivando il principio di Archimede: un corpo «affonda finché il volume di fluido spostato eguaglia il suo peso» (314, 347-348). Le proposizioni III-VI (316-350) analizzano casi limite (corpi di densità uguale, minore o maggiore del fluido), mentre il Libro II estende l’analisi a figure paraboliche, approssimando la superficie libera del fluido a un piano (360) per «utilizzare il concetto di centro di gravità» (361). Il testo chiude con un cenno alle fonti alessandrine e arabe (364-366), suggerendo che l’idea di momento — centrale per leve non rettilinee — fosse già in circolazione, seppur di origine incerta.

Il blocco evidenzia così un sistema deduttivo che, pur innovativo, «non può dimostrare logicamente la Proposizione VI con i soli postulati» (300), affidandosi a ipotesi implicite (299) e approssimazioni pratiche (362). I temi minori includono: il riferimento a testi perduti (254) o a autori successivi (308-309) che integrano o criticano Archimede; l’uso di dimostrazioni per assurdo (263); la simmetria sferica dei fluidi in quiete (311); l’analogia con applicazioni nautiche (359). Le figure geometriche (269, 320) e i diagrammi (342) supportano argomenti che oscillano tra astrattezza matematica e osservazione fenomenologica, come nel caso della «compressione differenziale delle parti di fluido» (328-330).


2. La dottrina dell’impetus nel XIV secolo: da Buridano alla scuola di Alberto di Sassonia

Tra dinamica aristotelica e meccanica moderna: la nascita di un principio inerziale.


Il blocco analizza la genesi e lo sviluppo della teoria dell’impetus—una «certa energia» («a certain energy») attribuita a un corpo in movimento—come alternativa radicale alla fisica aristotelica, che negava l’esistenza di una causa intrinseca al moto violento. Il testo si apre con il rifiuto aristotelico di un moto possibile nel vuoto («Nothing prevents a man from throwing a stone or an arrow even when there is no other medium than the vacuum»), confutato già da Giovanni Filopono (V sec.) e ripreso dai commentatori arabi come Al-Bitruji, ma ignorato da Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, i quali respingevano l’idea che «un sasso fosse alterato nella sua forma sostanziale» solo per lo spostamento. La svolta avviene con Guglielmo di Ockham, che smantella l’argomento aristotelico della necessità di un «motore esterno» in contatto col proiettile, osservando come «la freccia di due arcieri in collisione» dimostri l’insufficienza dell’aria come causa del moto. La teoria dell’impetus viene poi formalizzata da Giovanni Buridano: un «potere» («a certain power») impresso al corpo dal lanciatore, proporzionale a «velocità, densità e volume» del corpo stesso, che «diminuisce» per resistenza dell’aria o gravità, fino a esaurirsi. Buridano estende il concetto ai corpi celesti, ipotizzando che Dio abbia loro impresso un impetus «non indebolito dal tempo»—una proto-inerzia che elimina la necessità di «intelligenze motrici» aristoteliche. Alberto di Sassonia, allievo indiretto di Buridano, applica l’impetus alla caduta dei gravi, spiegandone l’accelerazione come effetto cumulativo di «gravità e impetus» («the more rapid it becomes, the more intense the impetus becomes»), pur ammettendo che la resistenza del mezzo ne limiti la velocità. Il blocco include anche le obiezioni metafisiche (l’impetus come qualità «violenta», non naturale) e le implicazioni cosmologiche, come la negazione di un’actio in distans nel moto dei gravi, contrapposta all’attrazione magnetica, dove Ockham e Alberto di Sassonia difendono posizioni divergenti: il primo ammette un’azione a distanza «senza qualità intermedie», il secondo distingue tra «luogo naturale» (causa remota) e «impetus» (causa prossima). Tematiche minori riguardano la sfericità della Terra (e i paradossi scolastici sulle «torri divergenti» o «pozzi conici»), il centro di gravità come punto «sperimentale» (non geometrico), e la cinematica dei corpi in rotazione, dove Alberto di Sassonia adotta la definizione di «velocità angolare» di Bradwardine, rigettando l’ipotesi di una velocità uniforme del raggio.


3. La cinematica oxfordiana tra latitudine del moto e impeto celeste: definizioni, eredità e limiti applicativi

Un’analisi dei fondamenti della meccanica tardo-medievale tra Scuola di Oxford e Scuola Italiana, con particolare attenzione alla distinzione tra velocità e accelerazione, all’uso delle latitudines e all’assenza di applicazioni concrete nello studio della caduta dei gravi.


Il blocco descrive lo sviluppo teorico della cinematica nel XIV secolo, incentrato sulla formalizzazione delle nozioni di «latitudo motus» («velocità») e «latitudo intensionis vel remissionis motus» («accelerazione»), come enunciato da Heytesbury nel De Tribus praedicamentis: «increase or the decrease of the former» definisce l’accelerazione come «variazione della velocità», anticipando concetti moderni come «il vettore distanza (S), la velocità (derivata vettoriale) e l’accelerazione (derivata seconda)». La Scuola di Oxford, attraverso il Liber Calculationum (falsamente attribuito a Swineshead ma riconducibile a Richard of Glymi Eshedi o William Collingham), sistematizza queste idee, pur mantenendo un «linguaggio oscuro» che nasconde «quantità divenute strumenti familiari» della fisica successiva.

Il testo evidenzia due temi minori: (1) la trasmissione incompleta delle teorie, come dimostra il caso di «Pierre d’Ailly», che arricchisce i paradossi di Alberto di Sassonia con esempi geometrici («un campo scavato a volume costante inganna il vicino») o idrostatici («l’acqua su un piano tagliente il centro del mondo assume forma emisferica»), senza però collegarli alla dinamica; (2) la scissione tra astrattezza matematica e fenomeni reali, sottolineata dalla constatazione che «né a Oxford né a Parigi queste ricerche influenzarono lo studio della caduta dei corpi», rimasto «completamente qualitativo». Nonostante la precisione nella «legge delle distanze per moto uniformemente variato» («un corpo in accelerazione costante da fermo percorre nel secondo intervallo temporale una distanza tripla rispetto al primo»), la Scuola Inglese trascura la «rappresentazione grafica delle qualità uniformemente deformi» di Oresme, adottata invece dalla tradizione italiana.

La sezione si chiude con il ruolo di Nicola da Cusa, che estende la teoria dell’impetus (già elaborata da Buridan) ai moti celesti: «il Creatore impartì un impeto iniziale alle sfere, conservato indefinitamente» come «un’anima impressa nella materia», analogia che influenzerà Copernico, Kepler e Leonardo. Quest’ultimo, pur «amatore dotato» e «autodidatta», rompe con il sistematismo scolastico, introducendo concetti originali come il «momento di un corpo convolutabile» senza però risolvere le contraddizioni interne ai suoi appunti.


4. L’impeto decomposto e la forza come principio vitale: dinamica, metafora e contraddizioni nel pensiero meccanico

L’analisi dell’impeto come fenomeno scomponibile e la definizione della forza come entità spirituale e distruttiva, tra fisica empirica e slanci metafisici.


Il blocco delinea due concetti centrali — l’impeto e la forza — intesi come principi attivi che governano il moto e la trasformazione dei corpi. L’impeto è descritto come un fenomeno composito: derivante dal «motore» (che genera moto rettilineo e curvilineo) e dal «corpo in movimento» (che tende a ruotare «con il suo centro di convessità a contatto col piano» su cui poggia). La forza, invece, è una «qualità spirituale, potenza invisibile» che «infusa nel corpo» ne altera la «natura», spingendolo verso «una morte desiderata» e consumandosi nel «superare ostacoli»: «nasce dalla violenza e muore nella libertà», «cresce nello sforzo e svanisce nel riposo». Il testo oscilla tra osservazioni meccaniche («nulla si muove senza di essa») e immagini liriche («furiosamente allontana ciò che le si oppone fino a distruggersi»), accostando la forza a un’energia vitale che «cambia forma e posizione» e «costringe le cose create» a mutare.

Emergono temi minori: il confronto con il «peso» (naturale, indistruttibile, tendente alla «stabilità»), la negazione del «moto perpetuo» (poiché la forza «si consuma»), e accenni a teorie cosmologiche («ogni corpo pesante tende a ricongiungersi alla sua stella»). Le note finali introducono applicazioni pratiche — dalla «caduta dei gravi» (dove «il moto è proporzionale alla velocità») al «volo degli uccelli» (dove «il centro di gravità spostato» determina la direzione) — e errori concettuali, come l’idea che «le verticali» di due torri possano «convergere» o che «l’acqua nelle montagne» sia sostenuta dal «calore terrestre» come «il sangue nella testa dell’uomo». Il linguaggio alterna rigore tecnico e metafore («la forza è una vita magica») rivelando una tensione irrisolta tra «poesia» e «precisione».


5. La rivoluzione copernicana e le resistenze della tradizione: tra astronomia, gravità e polemiche scolastiche

Dall’eliocentrismo alle dispute sulla forma della Terra: come le teorie di Copernico e i suoi contemporanei si scontrarono con l’eredità aristotelica e le speculazioni tardomedievali.

Il blocco traccia il percorso intellettuale di Niccolò Copernico, dalla formazione accademica („ricevette il dottorato a Cracovia, poi si trasferì a Bologna e infine a Roma, dove si dedicò all’astronomia“ – 1401) alla sistematizzazione della teoria eliocentrica, fondata sull’osservazione dei moti di Mercurio e Venere („usò i moti di Mercurio e Venere per collocare il Sole al centro dei pianeti“ – 1402) e sul rifiuto di avanzare ipotesi prive di prove („non volendo proporre nulla senza evidenza, iniziò a osservare i moti planetari“ – 1404). Il suo De revolutionibus (1530, pubblicato postumo nel 1543) rompe con la tradizione tolemaico-aristotelica pur conservandone elementi („se non fece coincidere il centro della Terra con quello dell’Universo, mantenne gran parte delle idee degli Scolastici“ – 1406), come la sfericità terrestre („la Terra è sferica perché in ogni parte tende verso il centro“ – 1409) e la concezione della gravità come qualità naturale che unifica i corpi in una forma globulare („la gravità non è altro che una certa qualità naturale data alle parti della Terra dalla provvidenza divina, affinché convergano nella loro unità“ – 1410). La teoria si estende al Sole, alla Luna e ai luminari erranti („è probabile che questa proprietà appartenga anche al Sole, alla Luna e alle luci vaganti“ – 1411), ma si scontra con le obiezioni degli aristotelici, che separano centro di gravità e centro geometrico („non si deve dare ascolto agli aristotelici quando sostengono che il centro di gravità sia distinto da quello geometrico“ – 1414), e con le speculazioni scolastiche sulla proporzione tra elementi (terra, acqua, aria, fuoco), ereditate da Alberto di Sassonia e ripresi da autori come Gregorio Reisch („il volume della terra chiusa era dieci volte minore di quello delle acque“ – 1422) o Mauro di Firenze.

Il sommario include anche le reazioni contemporanee: Jean Fernel, medico di Enrico II, misura un grado di meridiano terrestre („contando le rotazioni delle ruote della sua carrozza tra Parigi e Amiens“ – 1428) e confuta Alberto di Sassonia, sostenendo l’unicità della superficie sferica di terra e acqua („decise a favore di un’unica superficie sferica per la massa combinata di terra e acqua“ – 1429). Le polemiche si estendono alla scolastica italiana del XVI secolo, divisa tra averroisti (come Agostino Nifo, che disprezza la scuola parigina del XIV secolo come „barbara, sordida e inculta“ – 1446), alessandrini (che attaccano l’impetus di Buridano in nome di Aristotele) e umanisti (come Giorgio Valla, che bolla gli averroisti come „creature primitive emerse dal fango“ – 1449). A Parigi, invece, la tradizione di Buridano e Alberto di Sassonia sopravvive al College de Montaigu, dove Joannes Majoris e Jean Dullaert insegnano la teoria dell’impetus e la quies intermedia, pur tra regressioni (Coronel ipotizza pietre sospese in aria per „un’ora, due o anche tre“ – 1476) e tentativi di conciliazione con Aristotele (Celaya ammette che „in assenza di ostacoli, l’impetus dura indefinitamente“ – 1495). Le critiche degli umanisti (Erasmo, Vives) colpiscono la scolastica come „un vasto edificio di asserti contraddittori, lontano da Dio e dalla natura“ (1521), mentre Domingo de Soto, tra i pochi a innovare, formula leggi corrette sulla caduta dei gravi, combinando impetus e agitazione dell’aria („chi lancia un proiettile mette in moto anche l’aria, come si vede nell’acqua intorno a una pietra“ – 1541).


Note

Fonti e riferimenti impliciti
Temi minori

6. L’analisi galileiana della statica, della dinamica e del moto dei proiettili: dalla critica alla scolastica alla fondazione sperimentale delle leggi del movimento

Un percorso attraverso le opere meccaniche e i Discorsi, tra leveraggi, piani inclinati e la scoperta dell’accelerazione uniforme.


Il blocco delinea il contributo di Galileo alla meccanica e alla dinamica, partendo da una rottura con la tradizione scolastica e arrivando a una sistemazione teorico-sperimentale del moto. L’analisi si concentra su tre nuclei: 1) la riformulazione dei principi statici (leveraggi, momenti, centro di gravità), dove Galileo ridefinisce concetti come «il momento [come] l’inclinazione del corpo considerato sulla leva» (2127) e «la pesantezza [come] inclinazione naturale del corpo verso il centro della Terra» (2126), correggendo gli errori aristotelici sulla relazione forza-velocità («"il prodotto della forza e della velocità"», 2125); 2) lo studio del moto accelerato, dove attraverso esperimenti con piani inclinati e sfere («"una palla perfettamente rotonda su una superficie liscia"», 2133) dimostra che «le distanze percorse sono in rapporto quadrato ai tempi» (2155), superando l’errata ipotesi iniziale (v = k·s) per giungere alla legge corretta (v = k·t); 3) l’applicazione dei principi dinamici al moto dei proiettili, composizione di moto orizzontale uniforme e caduta verticale accelerata, descrivendo una traiettoria parabolica («"un moto composto da un moto orizzontale uniforme e un moto verticale accelerato"», 2305).

Emergono temi minori ma significativi: l’uso del principio di inerzia"sulla superficie orizzontale il corpo è indifferente al moto o alla quiete"», 2134, 2272), la critica alle dimostrazioni puramente razionalistiche dei scolastici («"Galileo rifiuta le discussioni sulla causa della caduta"», 2195), e l’innovazione metodologica nell’uso di esperimenti ripetuti («"l’esperimento del canale inclinato, ripetuto cento volte"», 2264). La trattazione culmina nella sintesi tra teoria e pratica, dove le leggi del moto vengono verificate attraverso misurazioni empiriche (es. «i tempi di caduta su piani inclinati sono proporzionali alle lunghezze dei piani», 2297) e dimostrazioni geometriche (triangoli di velocità, 2241-2248). Il dialogo tra Salviati, Sagredo e Simplicio nei Discorsi (2189) funge da cornice per esporre sia le obiezioni che i progressi concettuali, come la definizione di impeto come «tendenza al moto, misurabile dalla forza statica che la contrasta» (2292).


7. La dinamica del moto oscillatorio e centrifugo in Huygens: dal pendolo cicloidale al centro di oscillazione

Dall’ipotesi galileiana alla formalizzazione matematica: velocità, forze vive e reciprocità degli assi nel trattato che fonda la meccanica classica.

Il blocco delinea un percorso concettuale e dimostrativo che parte dall’analisi delle velocità acquisite in caduta su piani inclinati — „le velocità acquisite da un corpo in caduta su piani diversamente inclinati sono uguali quando le altezze dei piani sono uguali“ (3053) — per giungere alla teoria del pendolo cicloidale e del centro di oscillazione. Huygens vi adotta un metodo geometrico-infinitesimale, dimostrando l’isocronismo del pendolo cicloidale („i tempi di discesa in cui una particella parte da un qualsiasi punto della curva e raggiunge il punto più basso sono uguali tra loro“; 3075) e stabilendo una relazione tra la lunghezza del pendolo semplice e quella composta. Il testo introduce poi il conatus come tendenza al moto, equiparato alla forza centrifuga: „il conatus di una sfera attaccata a una ruota rotante è lo stesso che se la sfera tendesse a muoversi lungo il raggio con moto uniformemente accelerato“ (3220). La sezione finale enuncia leggi quantitative (proporzionalità inversa al diametro, diretta al quadrato della velocità) e applicazioni pratiche, come l’orologio a pendolo cicloidale, dove „la curva LM è l’evoluta della parabola FEe“ (3266).

Il blocco include temi minori ma significativi: la critica alle macchine a moto perpetuo („questo moto non può essere ottenuto con alcun mezzo meccanico“; 3118), la definizione del momento d’inerzia ante litteram („il prodotto della somma dei pesi per la distanza del loro centro di gravità“; 3141), e la polemica con i contemporanei (Roberval, Bernoulli) sulle „velocità perse o guadagnate“ (3187) nei sistemi vincolati. Le dimostrazioni si basano su due ipotesi fondamentali: la conservazione del centro di gravità („nessun corpo pesante può sollevarsi per il solo effetto della sua gravità“; 3106) e la trascurabilità degli attriti („la resistenza dell’aria e ogni altro disturbo del moto“; 3119). Le proposizioni sulla forza centrifuga, pur non dimostrate nel testo, collegano il moto circolare alla caduta libera („quando una particella si muove sulla circonferenza con la velocità che avrebbe acquisito cadendo da un’altezza pari a metà del diametro, la sua forza centrifuga uguaglia la gravità“; 3242-3243).


8. La controversia sul principio di minima azione: Maupertuis, Euler e Koenig tra matematica, metafisica e priorità scientifica

Dall’ironia di Voltaire alle obiezioni tecniche di Koenig, passando per il sostegno calcolato di Euler: un principio fisico tra rivendicazioni personali, dimostrazioni matematiche e speculazioni sull’ordine divino.


Sommario

Il blocco ruota attorno alla disputa sul principio di minima azione, attribuito a Maupertuis ma contestato su basi tecniche, storiche e filosofiche. Voltaire ne smaschera le debolezze con sarcasmo, ridicolizzando la pretesa di derivare l’esistenza di Dio da formule algebriche come «A + B diviso Z» (4404) e accusando Maupertuis di aver frainteso Leibniz, «il giovane autore ha preso solo metà dell’idea» (4407), mentre il prodotto «distanza per velocità» non è sempre un minimo, come lo stesso Leibniz aveva dimostrato (4406). La satira si estende a Euler, definito «tenente» di Maupertuis: le sue «formule piene di genio» (4408) vengono celebrate senza essere compresse, in un gioco di alleanze e derisioni che travalica la scienza.

Euler interviene con un giudizio tecnico, difendendo Maupertuis come «illustre Presidente» (4413) e lodando il suo principio per «l’accordo meraviglioso dell’equilibrio dei corpi» (4415), ma confutando Koenig, il quale riduce l’equilibrio all’«annullamento della forza viva» (4419) e accusa il principio di essere un «truismo» (4422). Euler obietta che il metodo di Koenig «conduce a grandi circonlocuzioni» (4426) e che «l’azione non differisce dalla forza viva» (4427) è una semplificazione inaccettabile. Nonostante ciò, Euler stesso ammette che la sua verifica del principio è a posteriori (4436), e pur riconoscendo a Maupertuis la priorità «senza pregiudizio» (4438), ne estende l’applicazione alla dinamica dei corpi celesti, dove «la somma dei prodotti massa-distanza-velocità è sempre minima» (4435). La questione metafisica rimane aperta: Euler non respinge le cause finali, anzi le considera «sane» (4457), ma le affida ai «professionisti della metafisica» (4463), mentre Maupertuis, accusato di aver «invertito l’ordine degli argomenti» (4474) per assecondare una narrazione teologica, vede il suo principio sopravvivere nonostante le critiche di Lagrange e Hamilton.


Note

Riferimenti testuali principali
Temi minori

9. Il paradosso di d’Alembert e la resistenza nulla dei fluidi: equazioni, principi e limiti teorici

Analisi dinamica dei fluidi in equilibrio e moto, tra conservazione delle forze vive, modelli meccanici e contraddizioni sperimentali.


Sommario

Il blocco delinea un’analisi sistematica della dinamica dei fluidi attraverso il principio di d’Alembert, incentrato sulla relazione tra velocità, pressione e conservazione delle “forze vive” (“ydx == costante”, 4717; “il principio della conservazione delle forze vive si applica anche ai fluidi”, 4724). Vengono esposte le equazioni di equilibrio per un fluido in moto, dove “f dvdx == 0” (4721) e “J ydx === 0” (4723) definiscono condizioni di stabilità, mentre la velocità “v” e la sua variazione “dv” sono legate alla geometria del sistema (“v :::::: - -”, 4721). Il testo evidenzia però un paradosso fondamentale: in specifiche configurazioni, “la resistenza del fluido sul corpo sarà assolutamente nulla” (4793), contraddicendo l’evidenza empirica (“non so come la resistenza dei fluidi possa essere spiegata in modo soddisfacente”, 4822). D’Alembert stesso riconosce che “il principio delle forze vive non deve essere applicato quando la velocità di un corpo varia istantaneamente di una quantità finita” (4734), come nel caso di un fluido che esce da un recipiente con “velocità finita uguale a quella della superficie che lo trascina” (4733).

Il blocco include anche una critica ai modelli meccanici semplificati (“un modello meccanico piuttosto fragile”, 4736) e una comparazione con i risultati di Daniel Bernoulli, “i cui risultati coincidono sempre con i miei” (4728), pur con eccezioni legate a “problemi in cui la velocità aumenta improvvisamente” (4730). Si affronta infine il paradosso idrodinamico (4758–4824): un corpo simmetrico immerso in un fluido in moto non subisce resistenza netta, poiché “la pressione sulla superficie anteriore è uguale e opposta a quella sulla superficie posteriore” (4793–4794). La conclusione è netta: “la teoria, trattata con tutto il rigore possibile, fornisce una resistenza che è assolutamente nulla in almeno diverse situazioni” (4822), lasciando il problema irrisolto e “affidato ai geometri” (4823).


Note


10. La dinamica dei sistemi materiali in Carnot: forze, urti e moti geometrici

Tra quantità di moto, forze vive e principi di minima azione: una meccanica senza assiomi chiusi.

Il blocco definisce un sistema concettuale centrato sulla comunicazione del moto tra corpi materiali, dove la forza non è un’entità univoca ma un costrutto polimorfo: «la forza di pressione o forza morta», «la forza viva (mv²)», «la forza d’inerzia» come «resistenza opposta al cambiamento di stato». La trattazione si articola attorno a tre nuclei:

  1. La decomposizione del moto: ogni corpo assume una «velocità composta» tra quella preesistente e le «nuove impressioni» (5208), mentre in un sistema l’«azione reciproca» dipende solo dalla «velocità relativa» (5233). L’urto tra «corpi duri» (non elastici) produce un «moto geometrico» (5253), cioè un movimento che «non altera l’intensità delle azioni mutue» (5237) e si determina «senza che i corpi ostacolino l’un l’altro» (5245). Carnot estende questo principio ai sistemi continui, dove «la somma delle forze vive perdute è minima» (5282), collegandolo criticamente al «principio di minima azione» di Maupertuis (5284) ma rigettandone la «dottrina delle cause finali» (5285).
  2. La tassonomia delle forze: la «forza motrice» (prodotto massa×accelerazione) si distingue dalla «forza viva» (mv²) e dalla «forza latente» (peso×altezza, PH). La «forza d’inerzia» è «la quantità di moto persa» (5223), mentre la «forza elastica» raddoppia «l’impulso perso senza cambiarne direzione» (5280). Carnot rifiuta la riduzione newtoniana, moltiplicando «i nomi per la forza» (5212) e fondando la meccanica su «postulati aperti» (5213), tra cui l’«equilibrio come annullamento reciproco delle forze» (5230) e la «direzionalità degli urti» (5234).
  3. L’estensione ai sistemi viventi: gli «animali», come «macchine a molle», convertono «forza viva latente in forza reale» (5297) attraverso «attrito con il suolo» (5295), ma il «momento di attività» consumato dagli «agenti esterni» (uomini, macchine) uguaglia sempre «l’incremento netto delle forze vive nel sistema» (5300), a patto che «il moto vari per gradi impercettibili» (5299).

Le «leggi della comunicazione del moto» (5210) emergono da una sintesi tra dinamica degli urti, geometria dei vincoli e calcolo delle variazioni, dove «non si cercano le leggi del moto in generale, ma quelle della sua trasmissione» (5210). La «curiosa discussione» (5226) sulla «forza d’inerzia» — difesa da Carnot contro Euler come «proprietà misurabile» (5227) — rivela una meccanica «intermedia tra geometria e fisica» (5244), dove «i moti geometrici» anticipano i «spostamenti virtuali» moderni (5247).


Note

Termini chiave tradotti
Riferimenti impliciti

11. Laplace, Fourier e Gauss: tra meccanica classica, principi variazionali e fondamenti della fisica teorica

Dalla critica alle qualità occulte alla formalizzazione del vincolo minimo: equazioni, geometria e limiti dell’intuizione fisica.


Sommario

Il blocco di testo definisce un percorso concettuale che attraversa tre momenti chiave della meccanica razionale: la ridefinizione laplaciana della gravità come principio analitico e non dogmatico, la sistematizzazione fourieriana del lavoro virtuale attraverso la riduzione al principio della leva, e l’introduzione gaussiana del principio di minima costrizione come sintesi dinamica tra moto libero e vincoli. Laplace (5638–5660) contesta l’accusa di "occultismo" mossa a Newton dai cartesiani, sostenendo che la «connessione analitica dei fatti particolari con un fatto generale» (5643) — verificata empiricamente dai «geometri» (5642) — legittima la gravità universale come teoria rigorosa, pur ammettendo che «il principio dell’attrazione universale [...] è spogliato del carattere a priori» (5646) e potrebbe essere «effetto generale di una causa ignota» (5651). La sua posizione è pragmatica: «le leggi che ci sembrano più semplici [...] concordano perfettamente con tutti i fenomeni» (5658), giustificando così la loro adozione come «rigorose» (5659).

Fourier (5662–5749) traspone il problema dell’equilibrio in un sistema assiomatico-deduttivo, fondando il principio dei lavori virtuali sulla «composizione dei momenti» (5680) e sulla riduzione geometrica a leve ideali (5708–5715). La sua dimostrazione, che distingue «vincoli bilaterali» (5745) e «unilaterali» (5748), culmina nell’affermazione che «il momento totale delle forze non può essere positivo all’equilibrio» (5746) se i vincoli sono espressi da equazioni, mentre «può sussistere equilibrio senza che il momento sia zero, purché non sia negativo» (5749) in casi di contatti non permanenti. La costruzione di Fourier è esemplificata dalla «sostituzione del sistema con un corpo più semplice» (5703) e dall’uso di «levette angolari» (5711) per simulare spostamenti virtuali, dimostrando che «le forze non possono produrre movimento se il momento totale è zero» (5726).

Gauss (5759–5791) chiude il cerchio proponendo un principio dinamico che estende la statica: il «moto avviene nella massima concordanza possibile con il moto libero, o sotto la minima costrizione» (5767), dove la misura della costrizione è data dalla «somma dei prodotti delle masse per i quadrati degli scostamenti dal moto libero» (5769). La sua formulazione, derivata da d’Alembert e Lagrange, «non aggiunge nulla di nuovo» (5760) ai principi esistenti, ma offre una «presentazione più precisa» (5762) e un’analogia con il «metodo dei minimi quadrati» (5791), suggerendo che la natura «modifica i moti liberi incompatibili con i vincoli allo stesso modo in cui si correggono gli errori sperimentali» (5791). Il blocco si chiude così su una tensione tra determinismo analitico e aperture epistemologiche: Laplace interroga la «primordialità» (5651) della gravità, Fourier stabilisce condizioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio, Gauss unifica statica e dinamica in un criterio di ottimalità.


12. Formulazione e implicazioni delle parentesi di Poisson nella dinamica analitica: dal teorema di Poisson alla geometrizzazione dell’azione

Il passaggio dalla derivazione algebrica delle relazioni invarianti tra integrali primi alle equazioni canoniche, con particolare attenzione alla dualità tra ottica geometrica e meccanica hamiltoniana.


Il blocco testuale si concentra sulla derivazione matematica delle parentesi di Poisson come strumento per esprimere relazioni costanti tra integrali primi dei sistemi dinamici, partendo da manipolazioni differenziali di equazioni del moto. Viene mostrato come, dati due integrali primi a e b (con costanti arbitrarie), la loro combinazione (b, a) — definita come «parentesi di Poisson» — risulti in una quantità costante: «(b, a) == constant». Tale proprietà, osservata da Poisson, rivela una simmetria fondamentale («"(a, b) == - (b, a)"» e «"(a, a) == 0"») che consente, in linea teorica, di generare nuovi integrali primi a partire da coppie note.

Il testo prosegue illustrando l’applicazione di questo formalismo alla dinamica perturbata, dove le equazioni di Lagrange vengono estese includendo termini di forza perturbativa Q. Si introduce così il concetto di funzione principale (o caratteristica) di Hamilton, S o V, la cui determinazione riduce il problema dinamico alla soluzione di equazioni alle derivate parziali del primo ordine. Hamilton dimostra che tale funzione soddisfa due equazioni simmetriche — una per le coordinate finali, una per quelle iniziali — e che la sua variazione descrive la legge dell’azione variabile, generalizzazione del principio di minima azione di Lagrange. Jacobi, criticando l’impostazione di Hamilton per eccessiva complessità, ne semplifica la teoria eliminando la seconda equazione (giudicata «superflua») e dimostrando che una singola equazione alle derivate parziali è sufficiente a determinare le traiettorie.

Emergono due temi minori:

  1. Dualità ottica-meccanica: Hamilton estende il principio di azione stazionaria dall’ottica geometrica (dove descrive percorsi luminosi come estremali di un integrale) alla dinamica, unificando i due campi attraverso la funzione caratteristica V. La «"azione"», interpretata sia come «"tempo di propagazione"» (teoria ondulatoria) sia come «"integrale dell’energia cinetica"» (teoria corpuscolare), diventa il cardine di entrambe le discipline.
  2. Limiti pratici del teorema di Poisson: Nonostante l’eleganza formale, la generazione di nuovi integrali primi è efficace solo se la parentesi «"(a, b)"» non è già costante o funzione degli integrali noti; altrimenti, «"questo processo non contiene nulla di nuovo"».

Il blocco si chiude con la geometrizzazione del principio di minima azione operata da Jacobi, che riformula l’integrale d’azione in termini puramente geometrici (traiettorie a energia costante), eliminando ogni residuo metafisico e preparando il terreno per sviluppi successivi in fisica matematica.


13. Causalità, determinismo e revisione dei principi meccanici: da Duhem alla relatività moderna

Tra definizioni contrastanti di causalità, critiche all’atomismo cartesiano e la profezia di una meccanica oltre i dogmi classici.

Il blocco esamina la tensione tra causalità e determinismo, evidenziando come il primo termine venga ridotto da molti fisici a mera “determinazione degli eventi futuri” (6968), mentre Painlevé ne difende un’accezione più ampia, legata al “trasferimento di moto in spazio e tempo” (6970) e svincolata dall’ipotesi deterministica (6969). La discussione si estende alla matematica, dove una “dimostrazione causale” (6971) evita “ipotesi parassitarie” (6971) e ogni “gruppo di trasformazioni” (6972) delimita un “dominio di causalità” (6972): da quello “galileiano” (6973) della meccanica classica a quello “lorentziano” (6973) della relatività ristretta.

Il focus si sposta poi sulla critica di Duhem alle teorie meccaniche, dalla “materia cartesiana, incapace di moto” (6979) alla “forza leibniziana” (6982), giudicata “proprietà incorporea e inspiegabile” (6982) ma necessaria, pur se caricata di “forme sostanziali” (6982) dannose per la fisica moderna. Duhem contrappone la “meccanica analitica di Lagrange” (6984), fondata su “azioni a distanza e vincoli” (6985), a quella “fisica di Poisson” (6984), basata su “azioni molecolari tra punti liberi” (6985), smascherandone le contraddizioni: l’uso di “integrali per corpi continui” (6987) invece di somme discrete, l’“equilibrio instabile” (6988) tra particelle attrattive, la “fusione dei corpi” (6988) come esito paradossale, e il ricorso a “azioni secondarie” (6991) per reintroduurre i vincoli lagrangiani. La “meccanica di Kirchhoff” (6995) è bollata come “sterile” (6996) per la sua “mancanza di intuizione feconda” (6997), mentre quella di “Hertz” (6998) resta un “programma” (7000) incompiuto, riducibile all’idea che “tutte le forze siano vincoli dovuti a corpi o moti ipotetici” (7001).

Duhem anticipa una “meccanica generale” (7003) termodinamica, “reazione all’atomismo” (7004) ma anche “ritorno inaspettato all’aristotelismo” (7004), e chiude con una “profezia” (7008): “non c’è ragione logica per considerare le teorie esistenti come le uniche possibili” (7009), specie di fronte a “effetti strani” (7010) delle radiazioni, “difficili da sottomettere alla termodinamica” (7010). Le controversie ottocentesche sui “principi newtoniani” (7012) rivelano così la “necessità di una revisione” (7014), resa possibile dalle “discordie” (7018) tra i meccanici classici, che smascherano il carattere “contingente” (7018) dei loro assiomi. La transizione alla “meccanica moderna” (7020) è giustificata dall’“esperimento di Michelson” (7028) e dalla “teoria della relatività” (7063), nata dall’“impossibilità di spiegare gli effetti del secondo ordine” (7061) nell’ottica classica, mentre “meccanica quantistica e ondulatoria” (7030) acquisiscono “stabilità” (7030) nonostante lo scetticismo di chi le considera “effimere” (7025).


Note e riferimenti
Testi citati: La causalité des théories mathématiques (Bouligand, 1934) (6974); Évolution de la Mécanique (Duhem, 1903) (6977).
Traduzioni:
- (6968) “Per molti fisici, la parola causalità ha il significato ristretto di determinazione degli eventi futuri.”
- (6971) “Una dimostrazione è detta causale se evita ipotesi parassitarie, come quelle che implicano l’uso di certi algoritmi.”
- (6982) “Leibniz considerava l’attrazione una ‘proprietà incorporea e inspiegabile’, ma vide la necessità della nozione di forza—irriducibile a estensione e moto—che sfortunatamente caricò del carattere metafisico di ‘forma sostanziale’.”
- (7009) “Tutto ciò che si può dire è che non vi è ragione logica per considerare le teorie finora abbozzate come le uniche possibili.”

14. La transizione dalla teoria di Lorentz alla relatività einsteiniana: fondamenti matematici e implicazioni fisiche

Un’analisi delle equazioni di trasformazione, della massa elettromagnetica e delle basi concettuali che collegano la meccanica classica alla relatività ristretta.


Il blocco esamina la derivazione delle leggi di trasformazione di Lorentz e le loro conseguenze sulla dinamica dell’elettrone, evidenziando come la teoria di Lorentz anticipi risultati chiave della relatività ristretta, pur mantenendo un riferimento privilegiato all’etere. Le frasi (7126–7145) sviluppano le relazioni matematiche tra sistemi in moto relativo, introducendo la contrazione delle lunghezze e la variazione della massa con la velocità, concetti poi ripresi e generalizzati da Einstein. Si nota che «la legge della variazione della massa dell’elettrone introdotta da Lorentz è in accordo con gli esperimenti di Kaufmann» (7144), pur con limiti di precisione, e che «la contrazione non è causata dall’etere, ma è un puro dono degli dèi» (7313), sottolineando il carattere ad hoc delle ipotesi lorentziane.

Le frasi (7146–7168) introducono il lavoro di Einstein del 1905, che elimina l’asimmetria tra sistemi inerziali presente in Lorentz, affermando che «nessun fenomeno osservabile può essere connesso con la nozione di quiete assoluta» (7150). La relatività einsteiniana abolisce l’etere come mezzo privilegiato, rendendo simmetriche le leggi fisiche tra sistemi in moto relativo. Le trasformazioni di Lorentz (7221–7222) e la composizione delle velocità (7248–7252) vengono derivate da principi generali, senza ricorrere a ipotesi ad hoc.

Il sommario evidenzia:

  1. Derivazione delle trasformazioni di Lorentz: partendo dalle equazioni di Maxwell, Lorentz ottiene relazioni tra coordinate spazio-temporali (7126–7133), introducendo la contrazione delle lunghezze («un segmento parallelo a Ox e in quiete in S descrive linee mondiali parallele a Ou’», 7315) e la dilatazione dei tempi («un orologio in S’ appare rallentato in S nel rapporto β», 7245).
  2. Massa elettromagnetica e dinamica: la massa longitudinale e trasversale dell’elettrone (7135–7140) dipendono dalla velocità, con «ml = mt = e²/6πRc² allo stato di quiete» (7137). Einstein estende questi risultati a particelle massive, affermando che «per aggiunta di una carica arbitrariamente piccola, una particella dotata di massa può essere paragonata a un elettrone» (7282).
  3. Principio di relatività e simmetria: Einstein supera le asimmetrie della teoria di Lorentz («le azioni reciproche di un magnete e una corrente non dipendono esclusivamente dal loro moto relativo», 7148) postulando l’equivalenza di tutti i sistemi inerziali. La composizione delle velocità (7251–7252) mostra che «la velocità c assume il carattere di un limite insuperabile» (7252).
  4. Implicazioni sperimentali: la teoria spiega l’esito negativo dell’esperimento di Michelson («quest’influenza spiega il risultato di Michelson», 7142) e la deflessione dei raggi β («in accordo con gli esperimenti di Kaufmann», 7144), pur con margini di incertezza.

Riferimenti minori

15. Estensione e applicazioni delle condizioni di quantizzazione: dalla teoria di Bohr alla struttura fine degli spettri atomici

Spunti teorici e sperimentali sulla quantizzazione dei sistemi dinamici, con focus sul modello di Bohr, le condizioni di Wilson-Sommerfeld e la correzione relativistica per l’atomo di idrogeno.


Sommario

Il blocco delinea l’evoluzione delle condizioni di quantizzazione a partire dal modello atomico di Bohr, che introduce la discretizzazione delle orbite elettroniche tramite la relazione „2T = nh“ (8076), dove „l’energia cinetica è uguale, a meno del segno, alla metà dell’energia potenziale“ (8071). La generalizzazione a sistemi con più gradi di libertà avviene attraverso il lavoro di Wilson, che formula le condizioni quantistiche come integrali di fase „∮pₖdqₖ = nₖh“ (8084), applicabili a coordinate cicliche o limitate da estremi dinamici. Vengono citati i contributi di Epstein e Schwarzschild, che estendono il metodo ai sistemi quasi-periodici e degeneri, come l’atomo di idrogeno in campo coulombiano, dove „le variabili qₖ […] si sviluppano in serie di Fourier“ (8140) e la degenerazione scompare con l’introduzione di campi esterni o effetti relativistici.

Un’applicazione concreta è la teoria della struttura fine di Sommerfeld, che corregge il modello kepleriano introducendo termini relativistici proporzionali alla costante di struttura fine α = e²/ħc. La formula „ν = R[(n + n’)⁻² + α²R(…)]“ (8178) spiega la separazione delle righe spettrali (doublets) dell’idrogeno, confermata sperimentalmente da Paschen („0.3645 vs 0.365 calcolato“ – 8190). Il blocco accenna anche al principio di corrispondenza di Bohr, che riconcilia la dinamica quantistica con l’elettromagnetismo classico nel limite di grandi numeri quantici, e alla critica di Poincaré sulla incompatibilità tra la discontinuità quantistica e l’omogeneità dello spazio delle fasi classico („antinomia“ – 8267).

Temi minori includono:


16. Dalla diffrazione degli elettroni all’equazione d’onda: fondamenti sperimentali e teorici della meccanica ondulatoria

La conferma empirica dell’ipotesi di de Broglie e la formalizzazione matematica di Schrödinger.

Il blocco descrive la verifica sperimentale dell’ipotesi ondulatoria della materia attraverso la diffrazione degli elettroni, con i lavori pionieristici di Davisson e Germer (1927) e Thomson (1928), che osservarono fenomeni di interferenza analoghi a quelli dei raggi X, confermando la relazione „la lunghezza d’onda associata a un elettrone ha un ordine di grandezza di 10⁻⁸–10⁻⁹ cm“ (8340) con una precisione „entro il 2%“ (8345) tra valori calcolati e misurati. Si delinea poi il passaggio dalla „daring hypothesis“ (8344) di de Broglie — „un’onda associata a ogni corpuscolo materiale“ (8446) — alla sua sistematizzazione in „un’equazione d’onda generale“ (8352) da parte di Schrödinger, che „stabilisce una relazione tra la dinamica classica e la propagazione ondulatoria“ (8352). L’analogia con l’ottica geometrica („Maupertuis per il corpuscolo ≡ Fermat per l’onda“, 8444) porta alla „quantizzazione automatica“ (8407) dei livelli energetici come „autovalori“ (8408) dell’equazione, senza ipotesi aggiuntive. L’esempio dell’oscillatore lineare (8410) mostra come la soluzione imponga „numeri semi-interi“ (8418), in accordo con „osservazioni spettroscopiche“ (8420) e con i risultati di Heisenberg. Il testo accenna infine al „dualismo onda-corpuscolo“ (8460) come sintesi necessaria, evidenziando come „la meccanica classica [sia] un’approssimazione di una meccanica ondulatoria più generale“ (8459).


Note

Riferimenti sperimentali
Riferimenti teorici

17. Fondamenti algebrici della meccanica quantistica: stati, osservabili e rappresentazioni

Un quadro formale per la descrizione simbolica degli stati quantistici, delle osservabili e delle loro interazioni, con particolare attenzione alle proprietà algebriche, alle condizioni di normalizzazione e alle regole di transizione tra rappresentazioni.

Il blocco definisce un sistema assiomatico per la meccanica quantistica basato su entità astratte: gli "stati" (simboli ψ, ψ***) e le *"osservabili" (simboli α), legati da relazioni algebriche che ne determinano il comportamento fisico. Gli stati sono caratterizzati da proprietà di sovrapposizione lineare„la sovrapposizione di uno stato su sé stesso riproduce lo stesso stato“ (8772) — e di invarianza per fattore complesso non nullo („cψ deve essere considerato identico a ψ, qualunque sia c ≠ 0, reale o complesso“ (8773)). Vengono introdotti i coniugati immaginari (ψ***), che rappresentano lo stesso stato di *ψ se condividono lo stesso indice (8774), mentre operazioni come la somma tra ψ e ψ** non hanno significato (8775), a differenza di prodotti del tipo ψψ* (8776), che devono essere positivi definiti (8777) e normalizzati („ψψ = 1“* (8778)).

Le osservabili (α) agiscono sugli stati secondo regole lineari e associative (8786–8792), ma la loro moltiplicazione non è in generale commutativa (8792). La probabilità di transizione tra stati è data da |ψrψs|²* se gli stati sono normalizzati (8780), mentre gli autovalori (a) di un’osservabile α — definiti dall’equazione αψ = aψ (8805) — corrispondono ai possibili risultati di una misura (8806). Gli autostati associati a autovalori distinti sono ortogonali (8809) e indipendenti (8810), e ogni stato può essere sviluppato in serie su una base di autostati („postulato dello sviluppo in serie“ (8811)).

La rappresentazione concreta di stati e osservabili avviene tramite matrici (8830) o funzioni continue (8838–8842), con l’uso della delta di Dirac per trattare spettri continui. Le trasformazioni tra rappresentazioni (ad esempio, tra basi di autostati di osservabili non commutanti) sono mediate da funzioni di trasformazione (8849–8850), il cui modulo quadrato fornisce ampiezze di probabilità (8850). Infine, si stabilisce un collegamento con la meccanica ondulatoria (8865–8899), dove gli stati diventano funzioni d’onda normalizzabili in uno spazio di Hilbert (8873), e le osservabili operatori hermitiani (8885) i cui autovalori definiscono i valori misurabili („principio di quantizzazione“ (8893)) e le cui decomposizioni spettrali forniscono le probabilità („principio di decomposizione spettrale“ (8896)).


Note tecniche

Proprietà algebriche fondamentali

Rappresentazioni e basi

Postulati fisici


18. Asimmetria spazio-tempo e complementarità quantistica: tra relatività e meccanica ondulatoria

Un’analisi dei limiti concettuali nella definizione di variabili fisiche tra teoria di Dirac, principio di complementarità e relatività ristretta.


Sommario

Il blocco affronta la frattura concettuale tra spazio e tempo nella meccanica quantistica e nella teoria della relatività, evidenziando come le due dimensioni non siano trattabili in modo simmetrico. Le frasi (9029-9037) sottolineano che nella teoria di Dirac e nella meccanica ondulatoria il tempo assume un ruolo distinto dalle variabili spaziali: mentre gli autovalori e i valori medi sono definiti in domini spaziali, una loro estensione a domini spazio-temporali«sarebbe necessario utilizzare domini spazio-temporali per la definizione degli autovalori, e integrali spazio-temporali per i valori medi»“ (9032) comporterebbe una „fisica del tutto statica in cui ogni evoluzione temporale sarebbe proibita“ (9035). La meccanica quantistica richiede infatti un „parametro evolutivo“ (9036) — il tempo — che rompe la simmetria relativistica „tra spazio e tempo“ (9037), come già notato da Louis de Broglie per la „polarità essenziale“ dello spazio-tempo (9040).

Il tema si intreccia con il principio di complementarità di Bohr (9048-9067), dove la „limitazione essenziale“ (9048) dei concetti classici — „forme di intuizione che costituiscono il quadro di ogni nostro esperimento“ (9049) — impone un’abbandono della „descrizione causale e spazio-temporale“ (9051). La „discontinuità“ introdotta dal „postulato quantistico“ (9050) rende impossibile attribuire una „realtà fisica autonoma“ (9052) ai fenomeni atomici: osservarli significa interagire, e „non può più esserci questione di causalità nel senso ordinario“ (9056). Bohr propone così una „teoria della complementarità“ (9066), dove „descrizione spazio-temporale e principio di causalità“ (9062) diventano „aspetti complementari ma mutuamente esclusivi“ (9063).

Emergono due temi minori:

  1. L’asimmetria nelle relazioni di indeterminazione: la quarta relazione „ΔW·Δt ≥ h“ (9043-9045) — dove „W è la componente temporale del quadri-impulso“ (9043) — ha un „significato del tutto diverso“ (9045) dalle altre tre, legato all’osservazione in un punto fisso dello spazio per un intervallo „Δt“.
  2. **Il dualismo onda-particella come „dilemma“* (9082): le rappresentazioni „corpuscolare (W, p)“ e „ondulatoria (ν, λ)“ (9070) sono „complementari“ (9083) e „nessuna delle due suffraga rigorosamente“ (9084), costringendo la meccanica quantistica a „ricorrere a entrambe“ (9085).

Note

Riferimenti impliciti

19. Certezza e realtà in meccanica quantistica: tra casi puri, probabilità e il dibattito Einstein-Bohr

I casi puri come ponte tra classico e quantistico, la frattura tra teoria e realtà, e il compromesso epistemologico tra determinismo e indeterminismo.


Il blocco esamina la tensione tra certezza classica e probabilità quantistica, focalizzandosi sui "casi puri" come eccezioni privilegiate: «i casi puri [...] costituiscono l’unico punto di convergenza delle dottrine classica e quantistica» (9329). Questi, soddisfacendo il postulato che Margenau esclude, offrono una «certezza di tipo classico» (9331), mentre le misure generali derivano da «una sovrapposizione di stati (generalmente infinita)»(9332), dove la scelta di uno stato non altera il sistema ma solo «la nostra conoscenza» (9334, citando Heisenberg). La distinzione è «sottile ma essenziale» (9335): lo stato di un sistema differisce dalla conoscenza acquisibile, «a meno di un gran numero di misure» (9336).

Emergono due concezioni opposte: Einstein insiste sulla «rottura tra teoria e realtà oggettiva» (9348-9349), concedendo realtà solo alle «osservazioni senza perturbazione» (9353) e respingendo la dualità onda-corpuscolo come «descrizione puramente simbolica» (9354). Bohr, invece, nega la separazione netta tra fenomeno e strumento, «imposta dal concetto classico di osservazione» (9355), e rifiuta che la meccanica quantistica sia «incompleta» (9344), definendola «utilizzo razionale delle possibilità interpretative» (9345). Heisenberg aderisce a Bohr, mentre de Broglie difende un «carattere oggettivo» del sistema anche sotto perturbazione, pur ammettendo che «una descrizione della realtà fisica del tutto indipendente dai mezzi di osservazione è impossibile» (9360).

Il compromesso proposto unisce «la concezione probabilistica pura» e «quella di Einstein, limitata ai casi puri» (9338), dove la «"realtà" quantistica» partecipa di entrambe (9339). La transizione al limite rivela una «relazione statistica tra lo stato-entità e la conoscenza matematica di uno stato» (9340), ma persiste il dissenso sull’«esistenza di una realtà oggettiva» (9354), con Dirac che evita di definirla, basandosi sulla dualità per «insistere sulla futilità di descrivere la realtà come qualcosa che contiene sia onde sia particelle» (9362). La conclusione invoca un «compromesso tra la tesi di Einstein e la concezione probabilistica» (9366), rinunciando a «cogliere simultaneamente aspetti complementari nel senso di Bohr» (9367).


Note

(9334) Cfr. W. Heisenberg, "Physikalische Prinzipien der Quantentheorie" (1930). (9341) Cfr. N. Bohr, "Physical Review", Vol. 48 (1935), p. 696. (9369-9370) Cfr. L. de Broglie, "Continu et discontinu en physique moderne" (1941), p. 91.


20. Riferimenti bibliografici e citazioni storiche in fisica teorica e meccanica quantistica

Fonti primarie e secondarie tra classici della meccanica, relatività e quantistica: da Fermat a Einstein, da Dirac a Eddington.


Sommario

Il blocco raccoglie un elenco sistematico di riferimenti bibliografici e storici che coprono un arco temporale dal XVII al XX secolo, con focus sulla fisica teorica, la meccanica quantistica e la relatività. Le citazioni spaziano da opere fondative come „Methodus inveniendi lineas curvas maximi minimive proprietate gaudentes“ (Eulero, 1744) e „Theoria motus corporum“ (1760), a contributi seminali sulla „teoria della relatività generale“ e „speciale“ („Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie“, Einstein, 1916), fino a „i principi della meccanica quantistica“ („The Fundamental Equations of Quantum Mechanics“, Dirac, 1925). Emergono temi minori come l’ottica geometrica („Synthesis ad refractiones“, Fermat, 1662), la dinamica dei fluidi („Principes generaux du mouvement des fluides“, Eulero, 1755) e dibattiti epistemologici („Can quantum mechanical description of physical reality be considered complete?“, Einstein-Podolsky-Rosen, 1935).

Le fonti includono pubblicazioni accademiche (Proceed. Royal Society, Annal. der Physik), traduzioni („French translation by Proca and Ullmo“), e corrispondenze private („Letter to C. de la Chambre“, Fermat, 1662). Si notano ricorrenze di autori chiave: Einstein (con riferimenti a „Zur Elektrodynamik bewegter Körper“ e „Kosmologische Betrachtungen“), Dirac (opere sulla meccanica quantistica), Eddington („Space, time, gravitation“), e Fermat (lavori su ottica e principio di minima azione). Le citazioni in lingua originale, quando non in italiano, sono tradotte: ad esempio, „Bemerkung über die angenäherte Gültigkeit der klassischen Mechanik innerhalb der Quantenmechanik“ (Ehrenfest, 1927) diventa „Osservazione sulla validità approssimata della meccanica classica all’interno della meccanica quantistica“.


Note

Riferimenti linguistici
Criteri di selezione

21. La meccanica cartesiana e le dispute sul moto: tra statica, urti e conservazione

Dalla legge di composizione delle forze alle controversie su equilibrio e dinamica nel XVII secolo.

Il blocco delinea un nucleo tematico incentrato sulla meccanica di Descartes e sulle polemiche scientifiche ad essa collegate, con particolare attenzione alla statica, alla caduta dei gravi, alla conservazione della quantità di moto e agli urti. Emergono due filoni principali: da un lato, l’analisi dei principi cartesiani — come „la legge di composizione delle forze“ (10562) e „la conservazione delle quantità di moto“ (10566) — e la loro applicazione a problemi concreti, tra cui „la caduta dei corpi pesanti“ (10565) e „l’impatto dei corpi“ (10567). Dall’altro, le dispute con figure come Roberval („il dibattito sul centro di agitazione“ 10568) e le „controversie geostatiche“ (10569), che rivelano tensioni metodologiche e concettuali nell’ambito della nascente scienza del moto.

Il testo accenna inoltre a un tema minore ma ricorrente: il confronto tra approcci teorici e sperimentali, evidenziato dalla „lite sulle forze vive“ (10614) e dalle „obiezioni cartesiane al principio di Fermat“ (10628), che prefigurano sviluppi successivi. Le citazioni „Descartes e la legge di composizione delle forze“ (10562) e „la discussione tra Descartes e Roberval“ (10568) fungono da perni per inquadrare il blocco come un momento di transizione, in cui „la meccanica classica“ comincia a definire i propri confini attraverso „principi di conservazione“ e „leggi d’urto“, pur tra „condanne delle cause finali“ (10638) e „paradossi dinamici“ (10654). Il riferimento a „Pascal“ (10563, 10569) e alla „idrostatica“ (10563) introduce una sottotraccia disciplinare che verrà ripresa in sezioni successive.