A History of Mechanics - Lettura (21d) - René Dugas
1. I Postulati e le Proposizioni di Archimede sull'Equilibrio e i Galleggianti
La trasmissione e la struttura dei lavori di Archimedes sull'equilibrio dei piani e sui corpi galleggianti, basati su assiomi e dimostrazioni geometriche.
Il blocco tratta dei fondamenti della statica e dell'idrostatica secondo Archimede. Vengono esposti i postulati sull'equilibrio delle leve, come il fatto che "pesi uguali sospesi a distanze uguali sono in equilibrio" e che "il lever sarà inclinato verso il peso maggiore" se i pesi sono a distanze disuguali. Seguono le proposizioni per determinare il centro di gravità di figure piane e per dimostrare che "magnitudini commensurabili sono in equilibrio quando sono reciprocamente proporzionali alle distanze a cui sono sospese". La trattazione prosegue con i principi dei corpi galleggianti, partendo dall'ipotesi che "la natura di un fluido è tale che... quello che è il meno compresso è spinto via da quello che è più compresso". Vengono dimostrate le proposizioni che formano il principio di Archimede, come il fatto che un corpo con lo stesso peso del fluido "affonderà fino a quando nessuna sua parte rimane sopra la superficie, ma non scenderà oltre" e che un corpo più leggero del fluido si immerge fino a quando "un volume di fluido che è uguale al volume della parte del corpo immerso ha lo stesso peso dell'intero corpo". Vengono anche sollevate obiezioni alla dimostrazione di Archimedes, come l'aver "assunto in questa prova che il carico sul fulcro di una leva è uguale alla somma dei due pesi che supporta" e l'aver "fatto uso del principio di sovrapposizione degli stati di equilibrio, senza enfatizzare che questo era un postulato sperimentale".
2. La Dottrina dell'Impetus e le Teorie del XIV Secolo
La scuola di Buridano e Alberto di Sassonia: la dinamica dell'impetus e le questioni cosmologiche.
Sommario
Il blocco tratta della dottrina medievale dell'impetus, sviluppata da Giovanni Buridano come spiegazione alternativa alla fisica aristotelica del moto dei proiettili. Viene presentata la critica di Buridano alla teoria aristotelica, che attribuiva il moto continuativo all'azione dell'aria mossa. Buridano sostiene invece che "chiunque lancia un proiettile incorpora in esso una certa azione, un certo potere di muoversi da sé". L'impetus è descritto come una "certa potenza" impressa nel corpo in movimento, proporzionale alla velocità e alla quantità di materia, che si consuma gradualmente a causa della resistenza dell'aria e della gravità. La teoria viene applicata anche per spiegare l'accelerazione dei gravi: "l'esistenza dell'impetus sembra essere la causa per cui la naturale caduta dei corpi accelera indefinitamente", poiché la gravità, agendo continuamente, accresce l'impetus. Viene inoltre affrontata la questione della sfericità della Terra e degli oceani, con Alberto di Sassonia che riprende e discute le prove aristoteliche, enunciando una serie di corollari paradossali, come il fatto che "se due torri verticali sono costruite, più esse diventano alte, più saranno lontane l'una dall'altra". La teoria del centro di gravità di Alberto di Sassonia specifica che è il centro di gravità dell'aggregato Terra-acque, non il centro geometrico, a coincidere con il centro del Mondo. Viene infine menzionata la sua cinematica, che distingue tra moti deformi e irregolari, e la discussione sull'azione a distanza, con posizioni contrastanti tra Averroè e Guglielmo di Ockham.
3. La Scuola di Oxford e la Tradizione Italiana: Sviluppi Cinematici e Dottrinali nel XIV e XV Secolo
La diffusione delle dottrine cinematiche di Oxford in Italia e la persistenza della tradizione scolastica.
Il blocco tratta della trasmissione delle teorie cinematiche sviluppate alla Scuola di Oxford nel XIV secolo, in particolare le nozioni di velocità e accelerazione, e della loro ricezione e elaborazione in ambito italiano nel XV secolo. Viene menzionata la figura di William Heytesbury, che "distinse fra la latitudo motus (velocità) e la velocitas intensionis vel remissionis motus il cui valore era l'aumento o la diminuzione della prima", un concetto che corrisponde all'accelerazione. La discussione si estende al Liber Calculationum, un documento tipico della dialettica di Oxford, erroneamente attribuito a Swineshead. Viene citata la legge delle distanze nel moto uniformemente accelerato: "se il moto di un corpo è uniformemente accelerato e inizia con un valore zero, il corpo percorrerà tre volte più lontano nella seconda metà del tempo che nella prima metà". Si afferma che "a Oxford, nel XIV secolo, la cinematica del moto uniformemente variabile era conosciuta e comunemente insegnata". La tradizione ossfordiana fu preservata in Italia da figure come Blasio di Parma e Gaetano di Tiene, che "enfatizzò la distinzione tra latitudo motus (velocità) e latitudo intensionis motus (accelerazione)". Il blocco accenna anche alla dottrina dell'"impetus impressus" in Nicola Cusano, che sosteneva fosse "sufficiente che il Creatore avesse impresso un impeto alle sfere all'inizio, e che l'impeto si sarebbe poi conservato indefinitamente". Viene infine introdotta la figura di Leonardo da Vinci, definito un "dilettante di talento" la cui opera in meccanica è "abbastanza unica".
Blocco 4: La Forza e la Dinamica in Leonardo da Vinci
Concetti leonardeschi su forza, moto e gravità, tra definizioni metafisiche e applicazioni meccaniche.
Sommario
Il blocco analizza la teoria della "forza" in Leonardo da Vinci, definita come "una qualità spirituale, una potenza invisibile" che, per mezzo di "violenza esterna e accidentale", viene infusa nei corpi, alterandone il comportamento naturale. La forza è descritta come un principio attivo e di breve vita: "cerca di vincere e uccidere qualsiasi cosa le si opponga e, una volta vittoriosa, muore", e "cresce nello sforzo e svanisce nel riposo". Viene posta in antitesi con il peso, poiché "il peso è naturale e cerca stabilità, poi il riposo—la forza cerca l'uccisione e la morte per se stessa". Leonardo applica questi concetti a diversi ambiti, negando la possibilità del moto perpetuo poiché la forza "continuamente si consuma". In dinamica, afferma che "un corpo pesante che cade liberamente acquista un'unità di moto in ogni unità di tempo; e un'unità di velocità per ogni unità di moto", aderendo alla legge corretta della velocità. Vengono inoltre esaminati i suoi studi sulla figura della Terra, sul centro di gravità—dove sostiene che "la verticale dal centro di gravità non dovrebbe passare fuori dalla base"—e sul volo degli uccelli, notando che un corpo "si muoverà con maggiore velocità se il suo centro di pesantezza è più rimosso dal suo centro di sostegno". L'analisi si conclude con un cenno alle sue idee idrostatiche, che paragonano la risalita dell'acqua nelle vene terrestri alla circolazione del sangue.
5. La Riforma Astronomica e le Controversie Dottrinali nel XVI Secolo
La formazione di Copernico, i suoi studi astronomici e la successiva confutazione delle teorie scolastiche sulla figura della Terra.
Sommario
Il blocco delinea il percorso intellettuale di Copernico, che, dopo gli studi a Cracovia e in Italia, "si dedicò all'astronomia" a Roma. Egli condusse uno studio approfondito dei sistemi del mondo antichi, utilizzando "i moti di Mercurio e di Venere per collocare il Sole al centro dei pianeti" e, rifacendosi ai Pitagorici, propose "che il Sole dovesse essere posto al centro del Mondo". Per non avanzare nulla "senza prove, iniziò l'osservazione dei moti planetari". La sua opera, completata nel 1530, fu stampata solo alla sua morte nel 1543. Sebbene Copernico abbandonasse la dottrina aristotelica su un punto essenziale non facendo coincidere il centro della Terra con quello dell'Universo, mantenne molte idee scolastiche. Tuttavia, eliminò la distinzione fatta da Alberto di Sassonia "tra il centro di gravità e il centro geometrico della Terra". La dottrina di Copernico sulla figura della Terra, "più semplice di quella di Alberto di Sassonia", era "destinata a trionfare" e concordava "perfettamente con tutte le osservazioni geografiche". Nel suo De revolutionibus, Copernico attacca esplicitamente Alberto di Sassonia, affermando che "la Terra è sferica perché, da tutti i lati, tende verso il centro" e che "a causa della loro gravità, l'acqua e la terra tendono entrambe verso lo stesso centro". Sostiene che "non si dovrebbe dare ascolto agli Aristotelici quando affermano che il centro di gravità è separato dal centro geometrico" e che "sia la terra che l'acqua tendono verso un unico centro di gravità allo stesso tempo, e che questo centro non è in alcun modo diverso dal centro della Terra". La sua concezione della gravità è "null'altro che una certa qualità naturale data alle parti della Terra dalla divina provvidenza di Colui che fece l'Universo, affinché convergessero verso la loro unità e integrità, unendosi nella forma di un globo", una proprietà che probabilmente appartiene anche al Sole, alla Luna e agli altri astri. Le idee copernicane si scontrarono con la tradizione scolastica, radicata nella dottrina aristotelica dei quattro elementi, secondo cui "il volume totale dell'acqua era maggiore del volume totale della terra", come sostenuto da Gregorio Reisch e ripreso da Mauro di Firenze. Copernico "si sentì obbligato a confutare questo autore". Viene sottolineato che questa "questione geofisica" serve a mostrare "il tipo di obiezione che il grande riformatore del sistema del mondo incontrò durante la sua vita".
6. La Meccanica e la Caduta dei Gravi in Galileo
Analisi del contributo galileiano alla statica e alla dinamica, con particolare attenzione alle opere meccaniche e allo studio del moto dei corpi.
Sommario
Il blocco delinea l'evoluzione del pensiero di Galileo Galilei in meccanica, partendo dalla sua opera Meccanica per giungere ai Discorsi e dimostrazioni matematiche. Nella Meccanica, Galileo definisce concetti fondamentali come la gravità, intesa come "naturale inclinazione del corpo a portarsi al centro della Terra", e il momento, descritto come "composto dalla gravità assoluta del corpo e dalla sua lontananza dal centro della bilancia". Viene analizzato l'equilibrio su diversi strumenti come leva, bilancia, argano e piano inclinato. Per quest'ultimo, Galileo, servendosi di un "artifizio notevole", riduce l'effetto del peso sul piano inclinato a quello dello stesso peso sospeso al braccio di una leva, concludendo che "il rapporto del momento totale e assoluto del corpo mobile, perpendicolare all'orizzonte, al momento che esso ha sul piano inclinato HF è lo stesso che il rapporto di FH a FK". Risolve inoltre il problema ricorrendo al concetto di lavoro virtuale. La seconda parte è dedicata alla caduta dei gravi. Viene riportata la legge delle distanze s = costante × t², che Galileo inizialmente associò a un'errata legge delle velocità v = k × s, ritenendo che "un corpo che si muove naturalmente aumenti di velocità nella misura in cui si allontana dalla fonte del suo moto". Successivamente, nei Discorsi, corregge questa visione, postulando che il moto sia uniformemente accelerato e che "l'aumento della velocità è come quello del tempo". Un postulato fondamentale afferma che "i gradi di velocità acquisiti dallo stesso corpo mobile su piani inclinati diversi sono uguali quando le altezze dei piani sono uguali", principio verificato con esperimenti scrupolosi che mostrano come "le distanze percorse sono sempre state trovate nel rapporto dei quadrati dei tempi". Viene introdotto il concetto di impeto, o tendenza al moto, che è massimo lungo la verticale e nullo sul piano orizzontale, dove "il corpo è indifferente al moto o alla quiete". Questo costituisce la forma galileiana del principio d'inerzia. L'analisi si conclude con lo studio del moto dei proiettili, definito come un "moto composto" di moto orizzontale uniforme e caduta verticale accelerata, la cui traiettoria è una parabola.
7. Analisi del Principio di Huyghens e delle Forze Centrifughe
Sviluppo delle ipotesi galileiane sulla caduta dei gravi e formulazione della forza centrifuga.
Sommario
Il testo delinea l'evoluzione del pensiero meccanico, partendo da Buridan, il quale "credeva che la pesantezza causasse continuamente un nuovo impetus a quello già presente". Huyghens si propone di stabilire un'ipotesi "che Galileo chiese gli fosse concessa come ovvia", un principio che Salviati, nei Discorsi, fu obbligato a prendere come postulato: "Le velocità acquisite da un corpo che cade su piani diversamente inclinati sono uguali quando le altezze dei piani sono uguali". Attraverso un esperimento mentale con piani AB e CB di altezze AE e CD uguali, si dimostra che "in queste due circostanze la velocità acquisita in B è la stessa". La prova procede per assurdo, mostrando che un corpo che cade lungo CB "acquisisce una velocità che gli permette di risalire nuovamente per l'intera lunghezza di BC" e, per un principio di riflessione, "salirà fino a C, o a un'altezza maggiore di quella da cui è caduto, il che è assurdo". Viene così stabilita la proposizione. Huyghens mostra anche che "le durate della caduta hanno la stessa relazione tra loro quanto le lunghezze dei piani" e che un corpo che cade lungo piani inclinati "acquisisce sempre la stessa velocità di quella ottenuta alla fine di una caduta verticale dalla stessa altezza". Un "passaggio al limite" permette di considerare il moto su una curva. Un tema minore è l'isocronismo del pendolo cicloidale, per il quale "i tempi di discesa in cui una particella parte da qualsiasi punto sulla curva e raggiunge il punto più basso sono uguali tra loro". Il rapporto con il tempo di caduta verticale lungo l'asse "è uguale al rapporto di metà della circonferenza di un cerchio con il suo diametro". Il moto è definito da un'equazione differenziale, e il periodo T è ricavato essere T = π√(4R/g). Se la particella cadesse liberamente lungo DA, raggiungerebbe A in un tempo T' dato da 2R = (1/2)gT'², da cui segue che T/T' = π/2, "che è l'affermazione che Huyghens fa".
La trattazione prosegue con la teoria del centro di oscillazione. Huyghens ricorda che "molto tempo fa, quando ero ancora quasi un bambino, il sapientissimo Mersenne mi suggerì, e a molti altri, l'indagine sui centri di oscillazione o agitazione". La questione fu risolta completamente appellandosi a una generalizzazione del principio di Torricelli che dipendeva dal principio delle forze vive. L'ipotesi fondamentale è che "quando un qualsiasi numero di pesi inizia a cadere, il comune centro di gravità non può salire a un'altezza maggiore di quella da cui inizia". Questo implica che "nessun corpo pesante può sollevarsi per il solo effetto della propria gravità". Usando questa ipotesi, Huyghens dimostra che se un pendolo composto, dopo aver oscillato parzialmente, viene scomposto e i suoi pesi dirigono le loro velocità verso l'alto, "il comune centro di gravità salirà all'altezza che aveva all'inizio dell'oscillazione". Da ciò deriva la proposizione fondamentale: "Essendo dato un pendolo composto da un qualsiasi numero di pesi, se ciascuno di questi è moltiplicato per il quadrato della distanza dall'asse di oscillazione, e la somma di questi prodotti è divisa per il prodotto della somma dei pesi con la distanza del loro centro di gravità dallo stesso asse di oscillazione, si otterrà la lunghezza del pendolo semplice" isocrono. Questo risultato, espresso come x = (∑mr²)/(∑m d), dove d è la distanza del centro di gravità dall'asse, porta alla reciprocità tra "il centro di oscillazione e il punto di sospensione". L'intera teoria poggia sull'ipotesi fondamentale, che è "equivalente all'assunzione a priori della conservazione delle forze vive".
Infine, il testo espone la teoria della forza centrifuga. Huyghens considera la gravità come una "tendenza (conatus) a cadere", e analogamente definisce il conatus di un corpo attaccato a una ruota rotante. Attraverso un esperimento concettuale con un uomo su una ruota che trattiene un filo con una sfera di piombo, conclude che "il conatus di una sfera attaccata a una ruota rotante è lo stesso come se la sfera tendesse ad avanzare lungo il raggio con un moto uniformemente accelerato". Questo conatus "è interamente simile a quello di un corpo appeso a un filo". Le proposizioni che ne derivano stabiliscono che, per un dato periodo, la forza centrifuga è proporzionale al diametro; per una data velocità, è inversamente proporzionale al diametro; per un dato raggio, è proporzionale al quadrato della velocità. Una proposizione cruciale afferma che "quando una particella si muove sulla circonferenza con la velocità che avrebbe acquisito cadendo da un'altezza uguale a 1/4 del diametro, la sua forza centrifuga è uguale alla sua gravità". La dimostrazione coinvolge il confronto tra la distanza percorsa per inerzia lungo la tangente e l'allontanamento radiale, mostrando che "il conatus della forza centrifuga è uguale al conatus della gravità". Per Huyghens, la forza centrifuga non è una forza fittizia, ma ha una misura e un privilegio speciale identificandola con la gravità in questo caso particolare. Vengono inoltre trattate le proprietà del pendolo conico, la cui tensione, in un caso specifico, è "tre volte il peso del pendolo".
8. La controversia sul principio di minima azione
La disputa sulla paternità e validità del principio di minima azione, con i giudizi di Eulero.
Sommario
Il blocco tratta della controversia scientifica riguardante il principio di minima azione, attribuito a Maupertuis, e della successiva disputa sulla sua paternità e validità. Viene presentata la critica di Voltaire, il quale, nella sua Diatribe du Dr Akakia, pur in termini malevoli, osserva che "l'affermazione che il prodotto della distanza e della velocità è sempre un minimo ci sembra falsa, poiché questo prodotto è talvolta un massimo, come credeva Leibniz e come ha mostrato". Viene inoltre analizzata la posizione di Eulero, che esprime "un grande rispetto per Maupertuis, nostro 'illustrissimo Presidente'", e che difende il principio affermando che esso indica "il meraviglioso accordo dell'equilibrio dei corpi, sia rigidi, flessibili, elastici o fluidi". Eulero affronta le obiezioni di Koenig, il cui principio della "nullità della forza viva" viene giudicato come un metodo che "di solito porta a grandi circonlocuzioni ed è, spesso, incapace di applicazione". Un tema minore è il contributo di Eulero stesso alla meccanica, con la sua verifica a posteriori che l'integrale ∫ m v ds è un estremo, sebbene egli riconosca esplicitamente la priorità di Maupertuis: "poiché questa osservazione fu fatta solo dopo che il Signor Maupertuis aveva presentato il suo principio, essa non dovrebbe implicare alcun pregiudizio contro la sua originalità". Infine, viene menzionato il giudizio storico di Mach, secondo cui "Eulero, un uomo veramente grande, prestò la sua reputazione al principio di minima azione e la gloria della sua invenzione a Maupertuis; ma fece del principio una cosa nuova, praticabile e utile".
9. D'Alembert e il Paradosso della Resistenza dei Fluidi
Analisi del principio di d'Alembert applicato al moto dei fluidi e della scoperta del paradosso idrodinamico.
Il testo tratta dell'applicazione del principio di d'Alembert al moto dei fluidi, con particolare riferimento al problema della resistenza. Viene descritto il procedimento per cui, considerando un corpo solido di quattro parti uguali e simili immerso in un fluido in un vaso rettilineo, si suppone che il fluido scorra lungo la superficie anteriore e posteriore del corpo in modo simile. Sotto questa ipotesi, e utilizzando il principio di equilibrio e di incomprimibilità del fluido, si giunge alla conclusione che "la pressione del fluido sul corpo sarà assolutamente nulla". Si evidenzia così un paradosso: la teoria, "maneggiata con tutto il rigore possibile", fornisce una resistenza nulla in diverse situazioni, in contraddizione con l'evidenza sperimentale. D'Alembert afferma: "devo quindi confessare che non so come la resistenza dei fluidi possa essere spiegata dalla teoria in modo soddisfacente" e lascia questo "strano paradosso" ai geometri perché lo spieghino. Viene inoltre menzionato il tentativo di d'Alembert di indagare la resistenza dei fluidi nel Traité des Fluides e il suo utilizzo di un modello meccanico per arrivare a formule generali in cui compaiono solo i rapporti delle densità. Un tema minore è il riferimento al principio di conservazione delle forze vive, che d'Alembert considerava un corollario da verificarsi caso per caso, e la sua osservazione che tale principio non dovrebbe essere usato quando si suppone che un corpo nel sistema abbia una velocità che varia istantaneamente di una quantità finita.
10. I principi meccanici di Carnot
Un'analisi dei concetti fondamentali e delle leggi del moto nei sistemi materiali secondo Lazare Carnot.
Sommario
Il blocco delinea il sistema meccanico sviluppato da Lazare Carnot, partendo dalla definizione di forza come "prodotto di questa massa e della velocità" che un corpo assumerebbe se non ostacolato. Viene esplicitato che l'obiettivo non è cercare "le leggi del moto in generale, ma piuttosto le leggi della comunicazione del moto" all'interno di un sistema. Carnot introduce una nomenclatura articolata per le forze: la "forza motrice" è il prodotto della massa per l'accelerazione, la "forza viva" è espressa da mv² e la "forza viva latente" dal prodotto PH di un peso per un'altezza. Viene definito anche il "momento di attività", che corrisponde al lavoro elementare di una forza, e la "forza d'inerzia", descritta come "la resistenza offerta da un corpo a un cambiamento di stato". Il testo enuncia i sette postulati alla base della meccanica di Carnot, tra cui il principio d'inerzia e il principio per cui l'azione tra corpi "dipende solo dalla velocità relativa dei corpi". Un contributo fondamentale è l'introduzione del "moto geometrico", definito come un moto che, se impartito a un sistema, "non altera l'intensità dell'azione" che i corpi esercitano tra loro. In linguaggio moderno, questi sono spostamenti virtuali compatibili con i vincoli. La trattazione prosegue con il "Teorema di Carnot", relativo all'urto tra corpi duri, asserendo che "la somma delle forze vive prima dell'urto è sempre uguale alla somma delle forze vive dopo l'urto" più la somma delle forze vive associate alle velocità perdute. Dal teorema deriva che la somma delle forze vive dovute alle velocità perse è un minimo negli urti. Carnot estende infine la sua analisi a forze continue e a sistemi animali, considerati come "un assemblaggio di particelle" che immagazzinano forza viva latente, concludendo con una legge generale sul "momento di attività consumato".
11. Laplace e il dogma dell'attrazione universale
La concezione laplaciana della gravitazione e il suo metodo di verifica attraverso l'analisi matematica.
Il blocco tratta della posizione di Laplace riguardo alla legge di gravitazione universale di Newton, del suo carattere non dogmatico e della sua verifica attraverso l'accordo tra calcolo e osservazione. Viene esaminato il confronto di Laplace con il sistema cartesiano dei vortici e la sua difesa del principio newtoniano basata sul successo predittivo e sulla connessione analitica con i fenomeni particolari. Viene inoltre affrontata la questione della propagazione istantanea dell'attrazione e la moderata certezza che Laplace attribuisce alle leggi naturali, fondata su una convergenza matematica tra teoria e osservazione. Laplace riteneva che "questa connessione analitica di fatti particolari con un fatto generale" costituisse una teoria propriamente fondata. Egli si vantava di aver ottenuto una tale teoria nella deduzione degli effetti della capillarità da un'interazione a corto raggio tra molecole, una "vera teoria, una che esprime il rigoroso accordo del calcolo e dei fenomeni". Riguardo alla propagazione, un tentativo di spiegare l'accelerazione secolare del moto della Luna lo portò a supporre che, "se la velocità di propagazione era finita, doveva essere sette milioni di volte maggiore di quella della luce". Dichiarò quindi per una propagazione istantanea, scrivendo: "Senza dubbio la semplicità delle leggi della natura non deve necessariamente essere giudicata dalla facilità con cui le apprezziamo. Ma poiché quelle che ci sembrano più semplici concordano perfettamente con tutti i fenomeni, siamo ben giustificati nel ritenerle rigorose".
12. Derivazione delle equazioni del moto e parentesi di Poisson
Analisi delle proprietà formali degli integrali primi e della struttura delle equazioni della dinamica.
Sommario
Il blocco tratta della manipolazione formale delle equazioni del moto, partendo dalla differenziazione di un primo integrale contenente una costante arbitraria a. Attraverso operazioni di moltiplicazione e somma, si giunge a un'equazione chiave che coinvolge le derivate di a e di un altro primo integrale b. La procedura, ripetuta scambiando il ruolo delle variabili, porta all'identificazione di un'espressione, la parentesi di Poisson (b, a), la cui derivata temporale è nulla, rivelando che essa è una costante del moto. "La combinazione delle differenziali parziali di queste funzioni che è rappresentata da (a, b) sarà sempre una quantità costante". Viene notato che (b, a) = - (a, b) e che (a, a) = 0. Il teorema di Poisson, sebbene di notevole valore estetico, ha un contenuto pratico più limitato, poiché il processo di generazione di nuovi integrali primi si arresta se la parentesi di Poisson è identicamente costante o è funzione di integrali già noti. "Se la parentesi (a, b) è identicamente costante, o se è una funzione degli integrali già conosciuti, questo processo non contiene nulla di nuovo".
La trattazione si sposta poi sulle parentesi quadre di Lagrange-Poisson, introdotte per descrivere l'evoluzione temporale delle costanti arbitrarie del moto non perturbato quando al sistema sono applicate forze perturbative. Le equazioni che determinano i differenziali di queste costanti arbitrarie daᵣ sono derivate, mostrando come esse dipendano dalle derivate parziali della funzione perturbativa Q e dalle parentesi di Poisson delle costanti stesse. "I differenziali primi delle costanti arbitrarie possono essere espressi per mezzo delle differenze parziali della funzione Q, prese rispetto a queste quantità e moltiplicate per funzioni di queste stesse quantità". Questo risultato è presentato come una generalizzazione formale di un teorema scoperto da Lagrange e Laplace nel contesto delle "differenze degli elementi ellittici". Viene infine riportata la forma specifica della parentesi quadra di Lagrange.
13. Discussione sui principi newtoniani e transizione verso le teorie moderne
Analisi delle interpretazioni di Duhem sull'evoluzione della meccanica e delle controversie sui concetti classici, con una previsione sulla nascita di nuove branche della scienza.
Sommario
Il blocco delinea la discussione sui principi newtoniani attraverso l'opera di Duhem, che contrappone la meccanica analitica di Lagrange, basata su "azioni a distanza e forze di vincolo", a quella fisica di Poisson, fondata su "azioni molecolari tra punti liberi". Duhem critica i sistemi di Kirchhoff, giudicati sterili poiché "scrivono solo identità" e privi della "fecondità dell'intuizione", e quello di Hertz, considerato "meno una dottrina che il programma di una dottrina". Viene riportata la sua severa analisi delle difficoltà interne alle teorie classiche, come la contraddizione nell'opera di Poisson nel "trattare un corpo continuo con l'uso di integrali e non di sommatorie discrete" e il problema dell'equilibrio in "assemblaggi di interazione attrattiva senza la fusione delle particelle costitutive". Le controversie mostrano che la struttura classica "non poteva essere considerata perfetta" e "proclamavano la necessità di una revisione alla luce di nuovi dati sperimentali". Questa revisione, resa possibile dalle stesse dissensioni, si è concretata nel XX secolo con le teorie fisiche moderne. Duhem, nel 1903, conclude con una notevole profezia: lo studio delle radiazioni, rivelando "effetti così strani, così difficili da sottomettere alle leggi della nostra termodinamica", avrebbe potuto dar vita a "un nuovo ramo della scienza". Il testo si apre inoltre a una trattazione sulle obiezioni allo studio delle teorie moderne, confutate affermando che ormai "i postulati associati hanno acquisito un certo carattere stabile" e ricordando che la meccanica classica ha spesso "tratto profitto dal contatto stretto con le teorie fisiche".
14. Trasformazioni di Lorentz e dinamica relativistica dell'elettrone
Dall'analisi delle trasformazioni di Lorentz e della dinamica dell'elettrone relativistico emergono le leggi di trasformazione per masse, campi e coordinate, nonché le conseguenze sperimentali della contrazione delle lunghezze e della dilatazione dei tempi.
Il sommario tratta della trasformazione delle accelerazioni e della legge per le masse, ottenuta confrontando la trasformazione applicata alle accelerazioni con la legge (F). Viene considerata la quantità di moto elettromagnetica per un sistema elettrostatico, che si riduce a un integrale nel volume. Per un singolo elettrone con carica uniformemente distribuita su una sfera, si ricava l'espressione della quantità di moto. Si assume che la formula, valida per moto uniforme, sia applicabile anche per accelerazioni sufficientemente piccole. Le oscillazioni nel moto implicano l'esistenza di una forza. Assegnando all'elettrone una massa longitudinale e una trasversale, si mostra che entrambe sono di natura elettromagnetica e che l'elettrone non possiede altra massa "reale" o "materiale". Confrontando la legge per le masse ottenuta in questo caso particolare con la legge generale, si deduce una relazione che conduce all'ipotesi di una contrazione relativa parallela alla direzione del moto. Questa influenza spiega il risultato dell'esperimento di Michelson, il risultato negativo dell'esperimento di Trouton e Noble e la legge di variazione della massa dell'elettrone, in accordo con gli esperimenti di Kaufmann e, successivamente, di Guye e Lavanchy.
15. Modelli Atomici e Condizioni di Quantizzazione
Dallo spettro dell'idrogeno al principio di corrispondenza: l'evoluzione della teoria dei quanti di Bohr e il suo superamento.
Il sommario tratta della comparazione dello spettro dell'idrogeno con quello dell'elio ionizzato, "che contiene anch'esso non più di un singolo elettrone", e della generalizzazione del modello atomico a sistemi con più gradi di libertà. Viene descritta la formulazione delle condizioni quantiche per un sistema conservativo, ispirata al teorema di Bohr secondo cui "l'energia cinetica è uguale, a parte il segno, alla metà dell'energia potenziale". L'applicazione al problema kepleriano relativistico illustra la teoria della struttura fine, dove la correzione relativistica "determina la struttura fine delle righe". Il principio di corrispondenza di Bohr stabilisce un accordo asintotico tra le frequenze ottiche della teoria quantistica e le frequenze combianate della teoria classica. Viene inoltre menzionata l'antinomia, rilevata da Poincaré, tra la relazione di frequenza di Planck e la dinamica classica, che implica una discontinuità essenziale nel moltiplicatore di Liouville.
16. Verifica Sperimentale e Sviluppo dell'Equazione d'Onda
Diffrazione di elettroni e formulazione dell'equazione d'onda di Schrödinger.
Il blocco tratta della verifica sperimentale dell'ipotesi di de Broglie sulla natura ondulatoria degli elettroni, ottenuta attraverso esperimenti di diffrazione, e dello sviluppo successivo dell'equazione d'onda di Schrödinger, ispirato direttamente dalla tesi di de Broglie. Viene descritta la costruzione dell'equazione d'onda nella meccanica quantistica, partendo dall'analogia ottico-meccanica, e vengono presentati i primi applicazioni, come l'oscillatore lineare, che portano alla quantizzazione dei livelli energetici. Viene inoltre analizzata l'origine concettuale della meccanica ondulatoria, con le riflessioni di de Broglie sull'unione delle concezioni corpuscolare e ondulatoria sia per la luce che per la materia. Il sommario accenna anche alla formulazione matriciale della meccanica quantistica di Heisenberg, Born e Jordan e all'approccio algebrico di Dirac.
Sommario
La verifica sperimentale dell'esistenza dell'onda associata al corpuscolo materiale fu tentata "facendo avvenire la diffrazione di elettroni da parte di cristalli". L'esperimento di Davisson e Germer, che fecero cadere "un fascio di elettroni monocineti su un cristallo di nichel", ottenne "un caratteristico fenomeno di diffrazione", confermando vividamente "l'ardita ipotesi di L. de Broglie". L'accordo quantitativo "tra i valori osservati e calcolati di λ fu confermato entro il 2%". Schrödinger, "direttamente ispirato dalla tesi di L. de Broglie", intraprese "la ricerca di una relazione generale tra la dinamica dei sistemi conservativi nel senso classico e il fenomeno della propagazione ondulatoria". Nell'analogia ottica, "l'insieme delle superfici di uguale azione può così essere paragonato a un insieme di superfici d'onda la cui velocità in ogni punto è uguale a u". Schrödinger introdusse l'ipotesi "che le onde contemplate devono essere sinusoidali", con un argomento della forma "2π/h (V - Wt)", arrivando all'equazione d'onda "div grad ψ + 8π²/h² m(U + W)ψ = 0". Questa equazione "seleziona automaticamente le frequenze e i livelli di energia" e i livelli quantici "sono tutti determinati contemporaneamente come autovalori dell'equazione d'onda". Nell'esempio dell'oscillatore lineare, la quantizzazione di Schrödinger introduce "numeri 'seminteri'", in accordo con i risultati di Heisenberg. Louis de Broglie spiegò l'origine della meccanica ondulatoria, affermando che "lo studio della radiazione del corpo nero aveva rafforzato la mia convinzione che, per arrivare a una teoria più completa della luce e delle radiazioni, era necessario cercare di unire l'idea di corpuscoli con l'idea di onde". Ebbe "l'intuizione che una tale unione di onde e corpuscoli era anche necessaria nella teoria della materia", poiché "l'intervento dei numeri interi suggerisce i fenomeni di interferenza e risonanza - cioè, fenomeni essenzialmente ondulatori". Heisenberg, con l'idea di costruire una meccanica "in cui occorrono solo quantità osservabili", gettò le basi per una meccanica "dei quanti", i cui strumenti matematici furono identificati da Born e Jordan come matrici, con una legge di moltiplicazione non commutativa. Dirac, partendo dalle equazioni della meccanica analitica classica, cercò a quale algoritmo potesse corrispondere "una quantità come xy - yx nel senso di Heisenberg", arrivando alla conclusione che "la differenza xy - yx corrisponde al prodotto per ih/2π delle parentesi di Poisson delle funzioni x e y".
Blocco 17: Fondamenti dell'Algebra Simbolica e Interpretazione Fisica nella Meccanica Quantistica
Delineazione dei principi algebrici degli stati e degli osservabili, con l'interpretazione probabilistica delle misure e la transizione alla rappresentazione matriciale.
Il blocco tratta dei principi fondamentali dell'algebra simbolica nella meccanica quantistica. Definisce gli stati quantistici, i loro coniugati immaginari e le regole di normalizzazione. Introduce gli osservabili come operatori, descrivendone le proprietà algebriche di addizione e moltiplicazione, sottolineando la non commutatività. Viene stabilita la connessione tra algebra degli stati e algebra degli osservabili, definendo stati puri, autostati, autovalori e l'ortogonalità. Viene presentato il postulato di sviluppo in serie, le condizioni per osservabili che commutano e la rappresentazione degli stati attraverso autostati simultanei. L'interpretazione fisica è fornita attraverso teoremi probabilistici: "la probabilità di accordo dei due stati... è |ψr*ψs|²". Il blocco si conclude con la transizione alla rappresentazione numerica, dove stati e osservabili sono rappresentati da serie e matrici, recuperando la regola di Heisenberg. Viene introdotta la rappresentazione ortogonale e generalizzata a indici continui, utilizzando la funzione delta di Dirac.
18. La riconciliazione tra relatività e meccanica quantistica e il principio di complementarità
La tensione tra descrizione spazio-temporale e causalità nella teoria quantistica.
Sommario
Il blocco analizza la difficile riconciliazione tra relatività e meccanica quantistica, evidenziando come la teoria quantistica esistente rompa la simmetria relativistica tra spazio e tempo. Nella teoria di Dirac, "la variabile temporale gioca una parte che è del tutto diversa da quella delle variabili spaziali". Questo porta a definizioni che "non sono relativistiche", poiché la determinazione degli autovalori e dei valori medi avviene nel solo dominio spaziale, mentre una fisica veramente relativistica richiederebbe l'uso di "domini spazio-temporali". Il tentativo di utilizzare integrali nello spazio-tempo per definire i valori medi condurrebbe a "una fisica del tutto statica in cui ogni evoluzione nel tempo sarebbe proibita". La teoria quantistica necessita di un parametro evolutivo, e attualmente "prende il tempo come parametro evolutivo e così rompe la simmetria relativistica tra spazio e tempo". Viene discussa l'essenziale "polarità" dello spazio-tempo, dove "la variabile temporale varia sempre nello stesso senso". L'asimmetria è ulteriormente esplorata attraverso le relazioni di indeterminazione, dove la relazione per l'energia e il tempo "ha un significato che è del tutto diverso da quello delle prime tre".
Il testo introduce poi il principio di complementarità di Bohr, che caratterizza la teoria quantistica come una limitazione essenziale dei concetti per i fenomeni atomici. Il "postulato quantistico impartisce a qualsiasi processo atomico un carattere di discontinuità, o piuttosto di individualità", costringendo all'abbandono di "una descrizione insieme causale e spazio-temporale dei fenomeni atomici". Bohr sostiene che "dobbiamo contemplare una radicale modifica della relazione tra la descrizione spazio-temporale e il principio di causalità", che devono essere concepiti come "aspetti complementari ma mutualmente esclusivi". Questo si esprime simbolicamente nelle relazioni di Heisenberg, che esprimono "la natura complementare della descrizione spazio-temporale e del principio di causalità". Il dilemma tra concezioni corpuscolari e ondulatorie non è una contraddizione, ma piuttosto "concezioni complementari, di cui solo l'insieme può formare una generalizzazione naturale del classico metodo di descrizione". La meccanica quantistica è obbligata a ricorrere a entrambe le rappresentazioni, "nessuna delle quali rigorosamente basta, ed esprime la loro reciproca limitazione".
Infine, il testo delinea le differenze tra la "legalità" classica e quella quantistica, definendo l'osservazione massimale. In meccanica classica, la misurazione simultanea di diverse quantità è illimitata, mentre in meccanica quantistica "due osservabili sono simultaneamente misurabili solo se commutano tra loro", rendendo l'osservazione massimale "incompleta nel senso classico". Viene introdotto il "postulato di prevedibilità", che esprime la conoscenza di un singolo osservatore, e la necessità di un "postulato di stabilità", per cui piccoli errori di misurazione devono implicare solo piccole variazioni nelle previsioni.
19. Dibattiti sulla realtà e sui metodi nella meccanica quantistica
Un confronto tra le concezioni di Einstein, Bohr e de Broglie sulla natura della realtà fisica e sul ruolo dell'osservatore.
Il blocco analizza le posizioni contrastanti riguardo all'interpretazione della meccanica quantistica, focalizzandosi sul criterio di realtà di Einstein e sulla sua opposizione da parte di Bohr e altri. Viene discussa la distinzione fondamentale tra "casi puri" e "miscugli di stati", dove "i casi puri, che soddisfano esattamente il postulato", sono considerati "privilegiati" in quanto "costituiscono l'unico punto di convergenza delle dottrine classica e quantistica". Emerge un compromesso tra "la concezione di pura probabilità e quella di Einstein, la quale si limita alla considerazione dei soli stati puri dove la certezza si ottiene direttamente". Viene inoltre affrontato il dissenso epistemologico: per Einstein, "c'è una rottura tra la teoria fisica e la realtà", mentre Bohr insiste sul fatto che "la descrizione offerta dalla meccanica quantistica" emerge come "l'utilizzazione razionale delle possibilità di interpretazione". Louis de Broglie, al contrario, sostiene che "il fatto che un esperimento possa coinvolgere una perturbazione non porta necessariamente alla scomparsa del carattere oggettivo del sistema". La seconda parte del blocco delinea il conflitto tra il ragionamento astratto e quello intuitivo. Scienziati con "tendenze intuitive" cercano "rappresentazioni concrete", mentre quelli con "tendenze astratte" riducono una teoria a "una collezione di relazioni matematiche". Sebbene i modelli intuitivi abbiano un "carattere fallace", hanno reso un "servizio estremamente prezioso" e "è molto necessario che contengano qualche elemento di verità". Si conclude che "è possibile giustificare sia gli 'astratti' [...] sia gli 'intuitivi', senza i quali il progresso sarebbe spesso stato difficile e forse impossibile".
Riferimenti Bibliografici 20
Opere e citazioni di autori in ambito fisico-matematico.
Il blocco raccoglie riferimenti bibliografici a opere e articoli di numerosi scienziati e matematici, con particolare attenzione alla fisica teorica del primo Novecento. Si menzionano contributi fondamentali alla relatività, con citazioni come "~Zur Elektrodynamik bewegter Korper" e "Die Grundlage der allgemeinen Relativitatstheorie", e alla meccanica quantistica, con "The Fundamental Equations of Quantum Mechanics" e "Can quantum mechanical description of physical reality be considered complete?". Sono presenti anche riferimenti a lavori di Dirac, Ehrenfest e Fermi. Un tema minore riguarda studi storici di matematica, con opere di Eulero come "Methodus inveniendi lineas curvas" e di Fermat, di cui si citano le "CEuvres completes" e lettere che trattano il principio del "minimun" in ottica, come nella "Letter to C. de la Chambre" dove si afferma che "la natura agisce sempre per le vie più brevi".
21. Sviluppo e organizzazione dei principi della meccanica classica nel XVIII secolo
Dall'emergere del principio del lavoro virtuale alla sistematizzazione della meccanica analitica.
Il blocco delinea l'evoluzione e la formalizzazione dei principi fondamentali della meccanica classica durante il XVIII secolo. Vengono presentati i contributi chiave di Jean Bernoulli, con l'introduzione del principio del lavoro virtuale, e di Daniel Bernoulli, riguardanti la composizione delle forze. La trattazione prosegue con la controversia sulle forze vive e con l'opera di Eulero sulla meccanica di una particella. Un focus significativo è dedicato a Jacques Bernoulli e al problema del centro di oscillazione, nonché al Trattato di dinamica di d'Alembert, che enuncia il celebre principio per cui "le forze perdute devono essere in equilibrio con le forze applicate". Viene esaminato il principio della minima azione di Maupertuis, incluso il suo impiego nello studio dell'urto diretto di due corpi, e il giudizio di Eulero sulla controversia. L'esposizione si estende alla meccanica dei solidi e dei fluidi, con i contributi di Eulero, Clairaut, Daniel Bernoulli e d'Alembert, quest'ultimo noto per il suo paradosso sulla resistenza dei fluidi. Vengono inoltre discussi gli esperimenti sulla resistenza dei fluidi e le leggi sull'attrito di Coulomb. La meccanica di Lazare Carnot è caratterizzata dal suo teorema. Il blocco si conclude con l'opera di Lagrange, la cui "Meccanica analitica" unifica e sistematizza la disciplina, mostrando come la conservazione delle forze vive e il principio della minima azione siano corollari delle sue equazioni.